Le minoranze religiose perseguitate dall’Isis. Un'intervista a Vittorio Berti di Daniele Mont D’Arpizio

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 27 /03 /2023 - 21:10 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un’intervista a Vittorio Berti, pubblicata su Il BO live Università di Padova (https://ilbolive.unipd.it/it/content/le-minoranze-religiose-dell%E2%80%99isis) il 23/10/2014. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Chiese ortodosse, L’Islam e la questione della libertà religiosa e Cristianesimo.

Il Centro culturale Gli scritti (27/3/2023)

Sono i più antichi abitanti della regione, ma adesso scappano. Si tratta delle comunità cristiane siriache, presenti in Mesopotamia fin dalla fine del primo secolo dopo Cristo e ora perseguitate dall’Isis (o Daesh), l’autoproclamato stato islamico i cui miliziani vanno a caccia di infedeli di casa in casa.

Un’ostilità che viene da lontano e che ha conosciuto un drammatico peggioramento soprattutto con l’invasione dell’Iraq nel 2003 da parte dell’alleanza guidata dagli Stati Uniti. Da allora la storia di quest’antichissima comunità è stata un’ininterrotta striscia di sangue, costellata da continui attacchi dinamitardi alle chiese e dalle stragi degli squadroni della morte degli integralisti islamici: come nel 2008, quando venne rapito e ucciso l'arcivescovo caldeo di Mossul Paulos Faraj Rahho, oppure il 31 ottobre 2010, quando un gruppo di terroristi fece irruzione nella chiesa siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad, facendo strage di fedeli.

Una violenza continua che negli ultimi anni è culminata in una vera e propria campagna di persecuzione, tanto che dei circa 600.000 cristiani residenti in Iraq prima della guerra – la maggior parte siriaci – oggi sono sempre più quelli che cercano rifugio nelle comunità della diaspora, in primo luogo nel Nord Europa e negli Usa, dove da tempo risiede anche Mar Dinkha IV, attuale Catholicos della Chiesa assira d'oriente.

Una situazione che accomuna i cristiani ad altre minoranze religiose presenti in Iraq, come i mandei e in soprattutto gli yazidi, contro i quali, secondo l’Onu, potrebbe essere in atto in questi giorni un vero e proprio genocidio.

Qual è però l’origine e soprattutto quali sono le prospettive di queste antiche comunità nel paese tra i due grandi fiumi, e in generale in Medio Oriente? Lo chiediamo a Vittorio Berti, storico del cristianesimo e assegnista di ricerca presso l’Università Roma 3, che proprio alla conoscenza della cultura siriaca, e in particolare alla traduzione dei suoi antichi testi, ha dedicato i suoi studi.

Chi sono i cristiani siriaci che sono oggi perseguitati in Iraq? Qual è la loro storia?

I cristiani mesopotamici o siro-mesopotamici sono una comunità molto composita e differenziata, sia dal punto di vista etnico sia da quello religioso, visto che sono divisi in diverse confessioni: dalla Chiesa ortodossa siriaca, che confessa una cristologia miafista– ovvero dell’una natura divina del Verbo incarnato – alla Chiesa Caldea e a quella Maronita, che invece rientrano a pieno titolo nel cattolicesimo, a quella assira, tradizionalmente definita “nestoriana”, fondamentalmente difisita (due distinte nature in Cristo). Il loro tratto comune è l’utilizzo del siriaco, una lingua semitica appartenente al gruppo dell'aramaico orientale, come lingua liturgica e a lungo anche come lingua letteraria.

Qual è l’importanza storica e culturale di queste comunità oggi in pericolo?

Si tratta di una civiltà che ha prodotto una vastissima letteratura e spiritualità (bastino i nomi di Efrem il Siro e di Isacco di Ninive), e che ha funzionato da camera di trasmissione e traduzione tra Europa e Asia – i manoscritti più antichi delle opere di alcuni padri della Chiesa greca, come ad esempio Gregorio di Nazianzo, sono quelli siriaci, e risalgono anche a prima del VII secolo; o ancora, si pensi al ruolo di mediatori della cultura classica a quella islamica, che incentivò presso i conquistatori lo studio della filosofia e della medicina greca. Fondamentale fu anche l’opera missionaria di queste chiese, che si spinse fino in India e in Cina oltre mezzo millennio prima di Marco Polo, che infatti nel Milione registra con stupore l’esistenza di comunità cristiane nate da questa predicazione.

Quale è stato l’impatto della conquista musulmana sulle comunità siriache?

All’inizio l’Islam percepisce sé stesso come una realtà politica ancora prima che religiosa; i sottoposti sono in qualche modo chiamati, ma non costretti alla conversione, anche se è comunque esagerato parlare di tolleranza. Gli arabi all’inizio portano la loro nuova fede e l’abilità militare, ma manca loro uno strumento fondamentale: l’organizzazione statale. Per questo nei primi decenni i conquistatori usano ampiamente le élites cristiane per rifornirsi di funzionari, segretari, medici, finanche gioiellieri. 

I cristiani siriaci rimangono a lungo la maggioranza...

Fino al IX secolo si attestano intorno al 30-40% della popolazione, contro un 20-25% di musulmani (dati comunque molto opinabili). Intanto però con il califfato si completa il processo di sedentarizzazione, e di lì lo sviluppo di un ceto di intellettuali e funzionari musulmani, oltre a una cultura urbana islamica; i cristiani diventano sempre più marginali e iniziano a scrivere e ad esprimersi in arabo. Dal IX secolo in poi la letteratura siriaca è sempre meno vivace e diffusa, fino all’ultimo grande autore, Gregorio Bar Ebreo, che vive nel XIII secolo. 

Dopo cosa succede?

A seguito dell’invasione dei mongoli e soprattutto con Tamerlano la Mesopotamia entra in una spirale di progressiva decadenza. Le comunità cristiane siriache si spingono e si concentrano a nord, in particolare nella piana di Ninive e nelle vicine valli del Kurdistan. Progressivamente in età moderna dal siriaco si sviluppano alcuni dialetti, oggi parlati correntemente da poche migliaia di persone, e una letteratura volgare; a fianco vediamo per tutta quest’area la realtà di un cristianesimo per lo più arabizzato, in cui il grande lascito della cultura siriaca sopravvive soprattutto nelle antiche liturgie, nelle immense collezioni di manoscritti e nella memoria culturale.

Poi c’è la prima guerra mondiale...

Qui le comunità assire, secondo una dinamica parallela e analoga a quella subita dagli armeni, si trovano coinvolte nei piani di pulizia etnica promossa da segmenti dell’élite ottomana. Questo sterminio, che viene chiamato Sayfo (la spada), si snoda in una serie di eventi tra il 1890 e il 1925, e secondo le stime ha provocato tra i 250.000 e i 400.000 morti. Come tutte le comunità cristiane del vicino oriente anche quelle siriache di lì in poi hanno difficoltà a trovare un proprio posto negli stati nati dalla disgregazione dell’impero ottomano.

Arriviamo ad oggi, con le case dei cristiani segnate con la “N” (da nazareno=cristiano) scritta con la vernice dai miliziani del “nuovo califfato”.

Purtroppo i cristiani iracheni, così come la comunità degli yazidi – una setta che abbraccia un credo sincretistico di impostazione gnostica – sono soggetti deboli stritolati in meccanismi più grandi di loro, in particolare lo scontro tra sunniti e sciiti, giocato a un livello geopolitico più esteso. Con Saddam Hussein l’Iraq era sostanzialmente governato da una minoranza sunnita “laica”, in parte appoggiata anche dai cristiani caldei, rappresentati dal vice del “rais”, Tarek Aziz. Con il secondo intervento americano, gli sciiti sono andati alla guida del paese, generando il risentimento di una parte dei vecchi dominatori, a cui si sono aggiunti gruppi fondamentalisti di matrice wahabita. La cosa paradossale è che oggi i cristiani sono perseguitati da una parte dei loro vecchi “alleati” (se si può dire così), mentre sono protetti dai curdi, con cui in passato avevano avuto scontri.

Quali sono le prospettive di questa popolazione e della loro cultura?

Onestamente non molte. È davvero un dramma che in questo momento l’unica scelta possibile sia l’abbandono delle terre natie. Si tratta di una sconfitta per tutti, perché in qualche modo queste minoranze sono le prime e più antiche esperte della convivenza tra cristianesimo e Islam. Di diverso segno è la condizione della preservazione, almeno scientifica, della cultura siriaca: occorre registrare infatti lo sviluppo poderoso che gli studi siriaci hanno avuto negli ultimi cinquant’anni nelle accademie occidentali.