«La vera laicità è dare spazio a tutte le fedi». Intervista al filosofo Fabrice Hadjadj, direttore dell'Istituto Philanthropos di Friburgo, sugli episodi di intolleranza religiosa in Francia. Un’intervista di François Vayne

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 09 /04 /2023 - 22:15 pm | Permalink | Homepage
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo sul nostro sito un’intervista di François Vayne a Fabrice Hadjadj, pubblicata il 2/4/2023, su Famiglia cristiana, pp. 44-47. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Educare all’affettività e Famiglia e affettività.

Il Centro culturale Gli scritti (9/4/2023)

Vigili del fuoco domano le fiamme appiccate 
all'interno della cattedrale dei Santi Pietro e Paolo,
a Nantes, il 18 luglio 2020

Fabrice Hadjadj, tra gli intellettuali cattolici più stimati in Francia, si presenta come «ebreo di nome arabo e di confessione cattolica». Questo filosofo francese, nato nel 1971 a Nanterre, vicino Parigi, da genitori di origine ebraico-tunisina, si è dichiarato ateo e anarchico fino alla sua conversione al cattolicesimo nel 1998. Una malattia grave del padre lo spinse, all'epoca, a entrare nella chiesa di Saint-Severin nel Quartiere latino e a pregare la Vergine Maria: fu l'inizio del suo percorso di fede. Sposato con l'attrice Siffreine Michel e padre di nove figli (cinque femmine e quattro maschi), oggi è direttore dell'Institut européen d'études anthropologiques Philanthropos di Friburgo, in Svizzera. Attento osservatore degli eventi in campo religioso, ha accettato di commentare per Famiglia Cristiana gli atti violenti che hanno colpito gli edifici cristiani in Francia negli ultimi anni, in particolare i numerosi incendi di chiese.

Visto dall'Italia, questo fenomeno delle chiese che bruciano una dopo l'altra è molto difficile da comprendere. Perché pensa che la società francese abbia raggiunto questo livello di inciviltà, di mancanza di rispetto per la fede religiosa degli altri e di violenza gratuita?

«Innanzitutto, va detto che è difficile valutare il fenomeno. La destra tende ad amplificarlo, la sinistra a minimizzarlo. E poi, tra tutti questi atti di vandalismo, quanti sono il risultato di un semplice crimine di malvagità (rubare da una chiesa ciò che può essere comprato per denaro), quanti gesti di una gioventù bisognosa di rivolta (per rendersi interessante distruggendo ciò che chiede rispetto), quanti infine riflesso di una vera e propria posizione ideologica anticristiana, che può essere tanto anarchica quanto islamica? Comunque sia, queste stesse difficoltà provano che il fenomeno è reale, anche di recente sono state demolite statue, sono stati rovesciati dei presepi... L'aspetto più interessante, però, è che i presepi siano stati vietati nello spazio pubblico. Si tende persino a non parlare più di "feste natalizie" ma di "feste di fine anno", come se la fine dell'anno fosse sufficiente a infondere uno spirito di festa. Nel 2021, il Commissario europeo per l'uguaglianza, Helena Dalli, ha raccomandato di trovare formule "più aperte e inclusive" di quella di "Buon Natale". Rimane quindi questo, a cavallo dell'anno solare: "Buona fine!"

Per quanto riguarda la Francia, dobbiamo ricordare la Riforma protestante e poi la Rivoluzione francese. Esiste una vera e propria tradizione francese di decapitare i santi alle porte delle chiese. Dopo aver rinunciato a essere "la figlia maggiore della Chiesa", la Francia si è proclamata custode dell'universale. Lo Stato difende i diritti umani, in generale, pretende di affermare ciò che è valido per tutti, e l’attuale ministro degli Interni (Gérald Moussa Darmanin, ndr) ha dichiarato di recente che "non ci sono leggi al di sopra di quelle della Repubblica". Per questo il dibattito è così frontale, la polemica così aspra, con grandi difficoltà a confrontarsi con la vera diversità. In Francia, quando si parla di diversità, si tratta ancora di un'idea astratta e generale, che tende a escludere la diversità concreta. Non siamo pragmatici come gli inglesi né regionalisti come gli italiani, la cui unità è tardiva».

In Francia, il laicismo genera reazioni da parte dei credenti (soprattutto di quelli avvicinatisi da poco alla fede) che non capiscono perché debbano rinunciare a portare i propri simboli religiosi in pubblico. Non crede che questa concezione francese della laicità sia fonte di intolleranza, seminando odio e divisione?

«Non partirei dal concetto di tolleranza. Per quanto riguarda l'odio e la divisione, possono essere provocati anche dai migliori. Il vecchio Simeone non aveva forse detto a Maria che il suo bambino sarebbe stato un segno di contraddizione? La vera questione, a mio avviso, è la natura stessa dello spazio pubblico. È uno spazio di libertà di espressione o un luogo impersonale dove deve prevalere l'autocensura? Dopo il cosiddetto giorno di San Bartolomeo e l'esperienza di una guerra civile legata alla perdita dell'unità religiosa, la gente ha paura, preferisce scacciare l'argomento che fa discutere, e il modo migliore per farlo è concentrarsi solo sulle questioni economiche. Conoscete la teoria del "dolce commercio" di Montesquieu: i legami commerciali producono interdipendenza e prevengono la guerra. Le istituzioni europee vantano un lungo periodo di pace raggiunto grazie alla creazione di un vasto mercato di 750 milioni di consumatori. Così il petrolio e il gas permettono a un leader cattolico di stringere la mano a un emiro che finanzia il terrorismo. Per evitare la violenza religiosa, si tende a esercitare la violenza contro la religione, a metterle la museruola a solo vantaggio del Pil e del potere d'acquisto, non della redenzione. La pace è ottenuta a spese della ricerca della verità e della salvezza: una pace vegetale, che può trasformarsi molto facilmente in un combattimento tra cani. C'è ancora qualcosa di diverso. Posso esprimerlo tanto più facilmente in quanto sono di origine ebraica, proveniente dal Nord Africa, e quindi segnato dalla cultura araba. All'arabo piace vedere forza e virilità. Il musulmano, poi, considera una decenza di base affermare pubblicamente la propria religione. Di conseguenza, più cerchiamo di accogliere gli arabi musulmani attraverso l'inclusione laicista, più appariamo loro come codardi, femminucce, indegni di rispetto.

Sia chiaro: sono cattolico, non sogno la teocrazia. Il potere temporale non deve essere confuso con il potere spirituale. E soprattutto, la Chiesa non deve aspettare il permesso dello Stato per annunciare il Vangelo. La persecuzione non è mai stata un ostacolo. È lo spazio primario e ordinario della testimonianza cristiana. Non mi piace denunciare la "cristianofobia". Lo Stato non deve farsi carico della religione, ma deve fornire un luogo nello spazio pubblico in cui la religione possa manifestarsi, almeno sotto forma di dibattito, e di dibattito razionale, altrimenti manca il bene comune».

In Italia il terrorismo islamico non è stato molto attivo. I credenti si sentono rispettati e "Dio fa parte della vita", si potrebbe dire. Secondo lei, quale sarebbe la soluzione per far sì che il dialogo interreligioso funzioni meglio in Francia e che l'integrazione dei musulmani avvenga in modo più morbido, meno conflittuale?

«Perché avere così paura del conflitto? È un desiderio di dolcezza o un bisogno di conforto? Cristianesimo o imborghesimento? Il problema non è il conflitto o la lotta, che fanno parte della condizione umana, ma il come e a quale scopo. San Paolo invita Timoteo a combattere la buona battaglia. E i rabbini del Talmud sono sempre a confronto, secondo l'adagio "Due ebrei, cinque opinioni opposte!" Sono disposto ad accettare la parola "integrazione" nella misura in cui si riferisce all'integrità e si contrappone al fondamentalismo. Dobbiamo stabilire una conflittualità integrata, quella che si può avere intorno a un tavolo: si condividono il pane e il tè (non oso dire il vino) e si cerca di discutere, anche se l'inizio è burrascoso. Non ho la competenza per dire ai funzionari statali cosa fare. Ma, come cristiano, il mio Dio è il Verbo, il Verbo fatto carne, il Verbo che è venuto a sedersi vicino ai peccatori. Quindi credo nella Parola data in vicinanza. E se questo porta alla crocifissione, fa parte della promessa, non del programma. Il sangue dei martiri è il seme del cristiano. È vedendoci in piedi e sorridere di nuovo nella persecuzione che i nostri avversari saranno confusi, se non addirittura fecondati. La cosa peggiore per noi è stare solo sulla difensiva, difendere i privilegi del mondo, mostrare un volto contrariato e fuori luogo, che esclude il nemico dalla misericordia, mentre noi stessi siamo stati i primi nemici di questa misericordia, e non saremmo cristiani senza la sua grazia. Inoltre, sostengo che il vero laicismo non è neutrale. Ha un'origine giudaico-cristiana. Nella Bibbia c'è una distinzione, o anche un'opposizione, molto netta, tra il re, il sacerdote e il profeta. Questo non è il caso dell'islam. I musulmani sono stupiti in linea di principio dalla separazione tra Stato e Chiesa. Possono comprenderla come un'affermazione religiosa solo se si dimostra loro che è Allah stesso a volerla così, secondo il comandamento di suo Figlio: "Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio"».

Al di là delle questioni relative a credenti e laici, sembra che in Francia la delinquenza sia un problema nazionale nelle periferie delle grandi città, dove regna l'insicurezza. Qual è la causa di questo disastro e quali proposte consiglia nell'educazione delle nuove generazioni?

«Anche in questo caso, non sono abbastanza competente per fornire soluzioni. Le statistiche mostrano un aumento della delinquenza e della criminalità, nelle periferie, ma anche nel centro delle grandi città. Si potrebbe pensare che la risposta si trovi nell'ambito della sicurezza: aumentare il numero di agenti di polizia, applicare la legge senza alcuna concessione, cacciare gli immigrati clandestini dal Paese... Ma accontentarsi di questo è come cercare di tappare con le mani la falla di una diga. Dobbiamo andare alla sorgente del problema. Il progressismo è crollato. I giovani di oggi non hanno speranza. Ai loro occhi esiste solo un equilibrio di potere, la lotta per la sopravvivenza della teoria darwiniana, e tutti, di fronte alla cronaca annunciata della fine del mondo, cercano una via di uscita. Dove le utopie politiche della modernità non esistono più, e dove la tecnologia ci disumanizza a grande velocità, l'urgenza è quella di ripristinare la speranza, e questa speranza è quella di un Dio che salva la nostra umanità, con la sua storia, con le sue debolezze».

Padre Jacques Hamel, ucciso il 30 luglio 2016 
nella chiesa di Saint-Etienne-du- Rouvray di Rouen,
in Normandia, da due estremisti dell'Isis.