1/ Ma davvero la Francia ha ancora un "impero" in Africa?, di Martino Ghielmi e Andrea Muratore ed Emanuel Pietrobon 2/ Perché il Sahel rischia di essere la tomba della UE, di Marco Pugliese, giornalista e analista geopolitico 3/ Il rompicapo Niger (e Sahel). Il dialogo unica arma, di Giulio Albanese 4/ Il Mali abbandona il francese come lingua ufficiale. Negli ultimi anni diversi Paesi dell’Africa occidentale si si sono sempre più avvicinati a potenze come Cina, Russia e Turchia, prendendo le distanze dall’ex potenza coloniale, la Francia. In Mali solo le 13 lingue nazionali del Paese riceveranno lo status di lingua ufficiale, di Liliane Mugombozi 5/ La "cintura dei golpe", di Emanuel Pietrobon 6a/ Niger: accendiamo la luce sull'Uranio..., di Martino Ghielmi 6b/ Niger (2/2): crocevia del traffico di migranti

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 06 /08 /2023 - 23:02 pm | Permalink | Homepage
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N.B. de Gli scritti Proponiamo sul nostro sito alcuni articoli per un primo orientamentio sulla crisi in Niger 

1/ Ma davvero la Francia ha ancora un "impero" in Africa?, di Martino Ghielmi e Andrea Muratore ed Emanuel Pietrobon

Riprendiamo dalla Pagina FB VadoinAfricaNetwork, curata da Martino Ghielmi, un articolo di Andrea Muratore ed Emanuel Pietrobon, con la relativa introduzione di Martino Ghielmi, pubblicato il'1/8/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Nord e sud del mondo.

Il Centro culturale Gli scritti (6/8/2023)

Questi giorni mi hanno fatto capire che serve un ripasso delle basi storiche e geostrategiche sul continente.

Assenti non per colpa ma per ignoranza.

Tema di oggi: la Francia in Africa.

Sono "anti-occidentale", filo-Putin, maoista-insurrezionalista, kattivissmo me nel portarlo alla vostra cortese attenzione?

Penso di no.

Viceversa avverto una doppia responsabilità:

- di tipo ideale verso chi oggi rischia la vita per una libertà sostanziale e non di facciata, premessa indiscutibile per un rinnovato rapporto tra Africa ed Europa.

- pragmatica perché nessuno si faccia male nel lavorare e interagire con un'area del mondo in rapido mutamento.

Vi propongo quindi un articolo molto dettagliato uscito a inizio anno su InsideOver firmato da Andrea Muratore ed Emanuel Pietrobon.

Come al solito, manteniamo un tono educato e costruttivo […]

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Quello della Françafrique, ovvero l’Africa della Francia, è l'ultimo esempio di spazio egemonico extracontinentale ancora de facto in vita di uno stato europeo.

Come ha ben raccontato Lorenzo Vita in Imperi (in)finiti la Francia, al pari di Turchia, Russia e Regno Unito, è una potenza post-imperiale che vive in termini missionari la sua visione del mondo.

La proiezione egemonica in Africa le consente di dare un senso più alto alla sua grande strategia di politica estera.

E la Françafrique è il più completo esempio di prolungata proiezione imperiale in assenza di dominio diretto che la storia europea e africana recente abbia contribuito a sviluppare.

Del resto, l’egemonia è una questione di idee, identità e necessità.

Esistono potenze che si accontentano di sé stesse, alcune che abbisognano di un estero vicino, per ragioni securitarie – Mosca e il mondo russo – o economicistiche – Berlino e la Mitteleuropa –, e altre che desiderano interi emisferi – Washington e la dottrina Monroe – o continenti – Parigi e l’ossessione per l’Africa.

Egemonia può significare ambizione su microscopici esteri vicini o su macroscopici spazi.

Molto dipende dal mix di moventi materiali e ideologici che fornisce benzina ai sogni dell’egemone.

Sogni che hanno spesso il colonialismo informale, i colpi di stato e le guerre sporche come mezzi, e la grandezza come fine. Come la storia della Françafrique ben insegna.

FRANCIA, L'IMPERO INFINITO

La Francia ha un solo destino: essere impero, o anelare a diventarlo. Se la Francia cessasse di (aspirare a) essere un impero, smetterebbe semplicemente di esistere. Non sarebbe più Francia. Perché lei, la regina d’Europa dalle mille spoglie, o è cercatrice di grandeur o non è.

Prima della Françafrique ci furono due imperi. Per la precisione, non quelli dei due Napoleoni, il Corso e Napoleon le Petit, bensì gli imperi coloniali costruiti da Parigi nel mondo. Il primo dei quali fu smantellato con la Guerra dei Sette Anni (1756-1763) prima e la caduta di Napoleone I poi, mentre il secondo costruito dal 1830 in avanti ebbe proprio nell’Africa il suo epicentro.

La Francia occupò l’Algeria nel 1830, per annetterla al territorio metropolitano e nel corso degli anni estese anche la sua influenza in Tunisia nel 1881 stabilendovi un protettorato.

All’inizio del governo del futuro imperatore Napoleone III fu stabilito un presidio commerciale e coloniale in Senegal e fu occupata anche l’isola del Madagascar.

Divennero in seguito colonie transalpine i territori oggi appartenenti agli attuali Mauritania, Guinea, Mali, Costa d’Avorio, Benin, Niger, Ciad, Repubblica Centrafricana, Gabon, Camerun; fu stabilito un presidio nel Corno d’Africa, a Gibuti. Pietro Savorgnan di Brazzà, esploratore italiano, in nome di Parigi prese invece possesso del Congo.

L’impero francese in Africa fu il retroterra su cui la Francia costruì un capitalismo coloniale estrattivista mai paragonabile a quello britannico ma tale da fare, nuovamente, della potenza di Parigi un attore globale.

Fu inoltre il primo terreno della Liberazione del generale Charles de Gaulle, che dall’Africa iniziò a costruire una base territoriale alla Francia Libera. Un legame osmotico, quello franco-africano, a cui dopo la scoperta di risorse strategiche e il declino dell’Europa Parigi non ha voluto rinunciare.

Per non perdere la sua missione fondativa: essere impero, a qualunque costo.

DECOLONIZZAZIONE E GUERRA FREDDA

La storia della Françafrique comincia con la fine della Seconda guerra mondiale, secondo episodio della grande guerra civile europea e capolinea del sistema europeo degli Stati e dei loro imperi coloniali.

All’epoca, nel 1945, quasi un terzo della popolazione globale viveva sotto il giogo delle potenze coloniali del Vecchio Continente e la sola Francia legiferava sulle vite di oltre 100 milioni di africani sparsi su un territorio di 11 milioni di chilometri quadrati.

Il tricolore francese sventolava da Algeri ad Antananarivo. Ma il vento tagliente della decolonizzazione, alimentato da genuine ricerche di indipendenza e dai tornei di ombre delle nuove potenze globali, avrebbe rivoluzionato la geografia politica dell’Africa nell’arco di un ventennio. A partire dal fatidico 1946.

Scrivere della Françafrique, che è un termine giornalistico, equivale a raccontare dell’Unione francese – prima erede dell’Impero, esistita dal 1946 al 1958 – e della Comunità francese – creazione gollista fondata nel 1958 e terminata da Jacques Chirac nel 1995 – e di tutto ciò che è accaduto nel corso della loro cinquantennale saga: cambi di regime, false flag, guerre civili teleguidate, neocolonialismo – il franco CFA –, omicidi politici, operazioni di polizia e terrorismo.

Con il supporto di un genio della strategia rispondente al nome di Jacques Foccart, altresì noto come Monsieur Afrique, de Gaulle e successori hanno utilizzato ogni mezzo a disposizione della Francia nel perseguimento dell’obiettivo ultimo della preservazione di una posizione di primazia sulle vecchie e nuove potenze interessate al continente.

Il prodotto di mezzo secolo postcoloniale è stata la costruzione di un sistema egemonico a ragnatela, strutturato su logiche di dominio e sfruttamento coloniali, i cui fili toccano quasi l’intero continente e non risparmiano neanche quegli spazi privi di legami passati con la Francia, come Congo e Libia.

La Françafrique è stata costruita in concomitanza con la decolonizzazione, sullo sfondo della Guerra fredda tra Occidente e Unione Sovietica e della guerra eterna tra Francia e Inghilterra. La sua materializzazione è stata possibile grazie al divide et impera, cioè strumentalizzando le rivalità interetniche e interreligiose che animano le multinazioni artificiali del continente; alla corruzione; a pratiche di colonialismo informale; e a una rilevante dose di soft power: la laica francofonia come collante di popoli in luogo del razzialistico (ed emancipatorio) panafricanismo.

Scrivere della origin story della Françafrique, ovvero della sua costituzione durante il processo di decolonizzazione, equivale a raccontare, in particolare, di episodi come:

- l’assassinio di Ruben Um Byobe, il fondatore dell’Unione dei popoli del Camerun, nel 1958;

- l’avvelenamento (letale) di Félix-Roland Moumié, successore di Um Byobe, nel 1960;

- l’eliminazione di Barthélemy Boganda, fondatore del Movimento per l’evoluzione sociale dell’Africa nera, a mezzo di sabotaggio aereo nel 1959;

- l’uccisione di Patrice Lumumba, ex primo ministro congolese, giustiziato durante la guerra del Katanga nel 1961;

- la morte di Sylvanus Olympio, presidente del Togo, perito durante il colpo di stato del 1963;

- gli agguati mortali a Outel Bono, leader dell’opposizione alla dittatura ciadiana di François Tombalbaye, e Dulcie September, attivista antiapartheid, freddati a Parigi rispettivamente nel 1973 e nel 1988;

- la scomparsa di Thomas Sankara, carismatico presidente del Burkina Faso, martirizzato durante il golpe del 1987.

Scrivere della Françafrique equivale a raccontare di un’intera epoca, la Guerra fredda, trascorsa a contrastare la diffusione del panafricanismo e a guerreggiare con vecchi – Regno Unito – e nuovi nemici – Unione Sovietica – per l’egemonia del continente.

Equivale a raccontare di omicidi politici, delle rocambolesche avventure di Bob Denard, di operazioni militari – come Barracuda – e di guerre civili – come il fratricidio nigeriano del 1967-70.

Tutto nel nome di un imperativo:

impedire l’alba dei popoli africani.

LA FRANÇAFRIQUE OGGI E DOMANI

La Françafrique ha superato la prova della decolonizzazione, ingabbiando il fu spazio coloniale in quella che il giornalista investigativo François-Xavier Verschave ha definito “una nebulosa di attori economici, politici e militari, in Francia e in Africa, organizzata in reti e gruppi di pressione, e concentrata sullo sfruttamento […] di materie prime e aiuti pubblici allo sviluppo”.

La Françafrique si identifica con gli interessi commerciali e politici di Parigi: la corsa all’uranio del Niger da parte di Areva, multinazionale a controllo statale che alimenta nel Sahel l’energia atomica transalpina; i rifornimenti di armi al Ciad, “gendarme” nella regione; gli investimenti nelle infrastrutture, la logistica e i porti dell’impero economico di Vincent Bolloré, le missioni boots on the ground compiute dal Gibuti alla Costa d’Avorio e la strumentalizzazione degli aiuti allo sviluppo – 2,9 miliardi di euro nel 2020.

La sfera securitaria della Françafrique è particolarmente pronunciata: più di 70 operazioni militari (antipirateria, antiterrorismo, controinsurgenza, gestione di crisi, mantenimento della pace e via dicendo) in oltre 20 Paesi dal 1946 al 2022; un dispositivo militare semipermanente nel Sahel e dintorni di circa 6 mila soldati; 32 accordi di cooperazione in affari militari, difesa e sicurezza.

Ultimo, ma non meno importante, è il caso del Franco della Comunità Finanziaria Africana (CFA), la moneta delle ex colonie la cui emissione è controllata da Parigi e lega il destino di 14 economie al Tesoro francese.

Curiosamente, in origine, ovvero nel 1945, CFA era l’acronimo di “Colonie Francesi d’Africa” e soltanto successivamente lo divenne di “Comunità Finanziaria Africana”.

Contenuto diverso, medesima sostanza: Parigi ha costruito una nicchia di enorme privilegio in Africa che contribuisce a rendere la Francia una potenza più che europea, eurafricana.

Oggi, dopo aver resistito all’onda d’urto della decolonizzazione, l’Impero africano della Francia vacilla sotto i colpi di forze interne ed esterne.

La Cina mette a repentaglio il primato economico della Francia con un’infiltrazione surrettizia e graduale.

I ritorni di fiamma di malconcepiti tentativi di “furto geopolitico” non smettono di produrre dei buchi neri, dalla Libia al Congo, dai quali trarre profitto a detrimento altrui è impossibile.

Le insurrezioni jihadiste nel Sahel e dintorni mostrano un sentimento francofobico montante. E le missioni militari francesi iniziano a subire la disaffezione popolare nei Paesi target, come il caso del Mali insegna.

Alle spalle del protagonismo cinese e turco, si pone la questione dell’ascesa militare della Russia in Paesi che la Francia vorrebbe sotto la propria influenza, dall’Algeria al Mali, e della presenza sempre più pervasiva dei mercenari Wagner nella Françafrique, che mostra come la svolta verso il mondo multipolare stia minando le basi della primazia transalpina.

Senza però che per l’Africa giunga l’ora dell’indipendenza e del riscatto: si tratta di una competizione egemonica in cui pochi Paesi, forse solo quelli del Sahel, sapranno sottrarsi alla logica che li vede oggetto e non soggetto delle relazioni di potenza.

[…]

2/ Perché il Sahel rischia di essere la tomba della UE, di Marco Pugliese, giornalista e analista geopolitico

Riprendiamo dalla Pagina FB di Martino Ghielmi, un articolo di Marco Pugliese, pubblicato il 3/8/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Nord e sud del mondo.

Il Centro culturale Gli scritti (6/8/2023)

La Francia ha una serie di interessi economici in Niger, dovuti in gran parte alla sua storia coloniale (mai veramente conclusa) ed alle risorse naturali del paese.

Uranio: la Francia è fortemente dipendente dall'energia nucleare, che rappresenta circa il 70% della sua produzione di energia elettrica.

Il Niger è uno dei maggiori produttori di uranio al mondo, e la società francese Orano (precedentemente Areva) ha operato nel paese per decenni. Nel 2019, il Niger era il quarto produttore mondiale di uranio, con una produzione di 2.983 tonnellate.

Petrolio: la Francia, attraverso la società Total (vedremo che accadrà con Eni nell’area Sahel), ha interessi nel settore petrolifero del Niger. Nel 2011, Total ha acquisito una quota del 40% nel blocco di esplorazione di Bilma, nel nord-est del Niger.

Agricoltura: la Francia è uno dei principali importatori di prodotti agricoli dal Niger, tra cui arachidi, sesamo e pelle. Nel 2020, il valore delle esportazioni di arachidi dal Niger alla Francia era di circa 2,3 milioni di dollari.

Aiuti allo sviluppo: la Francia è uno dei principali donatori di aiuti allo sviluppo per il Niger, con un impegno di 1 miliardo di euro per il periodo 2017-2021. Questi aiuti sono destinati a settori chiave come l'istruzione, la sanità e l'infrastruttura ma sempre vincolati.

Investimenti diretti esteri (IDE): La Francia è uno dei principali investitori stranieri in Niger. Nel 2019, gli IDE francesi in Niger ammontavano a circa 500 milioni di dollari.

Questi interessi economici riflettono l'importanza strategica del Niger per la Francia, sia in termini di sicurezza energetica che di stabilità regionale in Africa occidentale.

La Francia è pronta ad alzare l’intensità (a combattere per capirci) se in Niger dovesse precipitare la situazione (il contagio con i Paesi limitrofi è inevitabile) e minare gli interessi energetici francesi. La presenza militare francese nel Sahel è imponente.

Nel mentre la Russia mette lo scarpone in Africa andando direttamente alla fonte dell’economia della Francia, nazione che con il suo sistema coloniale ora inguaia tutta l’Europa, che però lo ha sempre tollerato

Il problema è anche economico, oltre al prezzo al ribasso dell’uranio la Francia gestisce la moneta di derivazione coloniale (CFA) tramite la propria banca centrale (poi però è un problema il 3% sforato dall’Italia per garantire pensioni e welfare, per giunta meno volte di Parigi…).

Quando scrivevo che il Sahel sarebbe stato la tomba della UE molti mi diedero del pazzo, in realtà già nel 2017 la mia analisi si basava sui bisogni energetici europei…”

3/ Il rompicapo Niger (e Sahel). Il dialogo unica arma, di Giulio Albanese

Riprendiamo da Avvenire un articolo di Giulio Albanese, pubblicato il 5/8/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Nord e sud del mondo.

Il Centro culturale Gli scritti (6/8/2023)

Il Niger è un rompicapo politico-diplomatico. Anzitutto perché la comunità internazionale – dalla Ue all’Onu, dall’Unione Africana alla Comunità economica dei Paesi dell’Africa Occidentale (Ecowas-Cedeao) - si è stretta, com’era prevedibile, attorno al deposto presidente Mohamed Bazoum.

Dall’altra, una parte consistente del popolo nigerino manifesta apertamente un forte sentimento anti-francese, sostenendo la giunta militare del generale Abdourahmane Tchiani.

Come se non bastasse, i protagonisti dei colpi di stato avvenuti a cavallo tra il 2020 e il 2022 in Mali e Burkina Faso, hanno fatto sapere che qualsiasi intervento militare contro il Niger equivarrebbe a una dichiarazione di guerra contro i loro rispettivi Paesi, già pronti ad adottare misure d’intervento in appoggio alla giunta insediata a Niamey. Nel frattempo, il fallimento della missione diplomatica dell’Ecowas non fa ben sperare.

Il governo di Mosca, da parte sua, ha assunto una posizione moderata auspicando una soluzione negoziale per la risoluzione della crisi. Una presa di posizione, questa, che comunque va assunta col beneficio d’inventario in quanto proprio nel vicino Mali è dislocato un contingente di mercenari della Wagner alcuni dei quali, stando a fonti della società civile, sarebbero già da alcuni giorni in territorio nigerino. Ed è bene rammentare che l’intera macroregione saheliana è infestata di formazioni jihadiste che già da diversi anni seminano morte e distruzione.

Motivo per cui la Francia aveva allestito, in funzione antiterroristica, l’operazione Barkhane a cui si era aggiunta successivamente quella denominata Takuba, delle forze speciali europee. Il problema di fondo è che a questo punto, avendo la Francia perso del tutto la propria influenza non solo in Mali e Burkina Faso, ma ora anche in Niger, si trova senza un orizzonte chiaro, né militare né politico, e una via d’uscita onorevole. Tra jihadisti, golpisti e mercenari russi, neanche in Niger potrà più esserci spazio per l’influenza della vecchia potenza coloniale.

La posta in gioco è alta se si considera che la Ue in questi anni ha sostenuto l’intervento armato francese contro le formazioni islamiste, offrendole anche un sostegno militare multinazionale. Non solo: Bruxelles finora ha ritenuto il Niger come un vero e proprio baluardo per contrastare i flussi migratori dall’Africa Subsahariana verso il Mediterraneo.

Per inciso, è bene precisare che i nigerini sebbene vedano passare sul proprio territorio i migranti più svariati dell’Africa Subsahariana, sono gli unici che non possono partire vista la tremenda condizione di povertà in cui versa il loro Paese. E dire che gli abitanti del Niger potrebbero essere più ricchi di quelli del Canton Ticino se potessero accedere ai benefici delle attività estrattive.

Finora, infatti, il monopolio del business dell’uranio è stato gestito dal monopolista francese Orano, (la leggendaria ex Areva); per non parlare di quello aurifero, appannaggio di potentati più o meno occulti. E proprio a proposito degli affari sporchi c’è da considerare che il Niger è uno snodo cruciale per il traffico della cocaina sudamericana.

Occorre poi rilevare che sebbene il Mali e il Burkina Faso siano solidali con la giunta nigerina, essi hanno assunto due linee di condotta diverse. Mentre il Mali ha accolto a braccia aperte la Wagner, non ha fatto lo stesso la giunta burkinabé. La sensazione è che il generale Tchiani propenda per la linea d’azione maliana.

La situazione è molto complessa e preoccupa anche gli Stati Uniti che, come gli altri attori occidentali, in Niger hanno interessi e contingenti militari. Nessuno ha una sfera di cristallo tra le mani ma l’Europa, se vuole ricoprire un ruolo decisivo deve promuovere il dialogo, costi quel che costi, mettendo al primo posto l’agenda dei diritti umani, unitamente a quella dello sviluppo e non i propri interessi economici come ha sempre fatto la Francia in questi anni.

4/ Il Mali abbandona il francese come lingua ufficiale. Negli ultimi anni diversi Paesi dell’Africa occidentale si si sono sempre più avvicinati a potenze come Cina, Russia e Turchia, prendendo le distanze dall’ex potenza coloniale, la Francia. In Mali solo le 13 lingue nazionali del Paese riceveranno lo status di lingua ufficiale, di Liliane Mugombozi

Riprendiamo da Città Nuova un articolo di Liliane Mugombozi, pubblicato il 3/8/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Nord e sud del mondo.

Il Centro culturale Gli scritti (6/8/2023)

Proteste contro la Francia a Bamako (AP Photo/Harandane Dicko, File)

Con la sua nuova Costituzione, adottata dopo il referendum del 18 giugno in cui ha ottenuto la schiacciante adesione del 96,91 per cento, il Mali ha abbandonato il francese, lingua ufficiale del Paese fin dall’indipendenza dalla Francia, ottenuta nel 1960.

Il francese non è più la lingua ufficiale del Mali: la lingua di Voltaire sarà d’ora in poi una lingua di lavoro. Solo le 13 lingue nazionali del Paese riceveranno lo status di lingua ufficiale. In Mali si parlano circa 70 lingue locali, alcune delle quali, tra cui Bambara, Bobo, Dogon e Minianka, avevano ottenuto lo status di lingua nazionale fin dal 1982.

Sabato 22 luglio scorso il capo della giunta golpista maliana, il colonnello Assimi Goita, ha annunciato che l’attuazione del quadro costituzionale segna l’inizio, nell’ex colonia francese, della Quarta Repubblica. Ha insistito sul fatto che una nuova Costituzione è essenziale per ricostruire il Paese, promettendo di tornare ad un governo civile con le elezioni di febbraio 2024.

Le relazioni tra Parigi e Bamako si sono deteriorate negli ultimi anni, con un “sentimento antifrancese” che secondo Parigi è cresciuto nelle ex colonie in Africa occidentale a seguito di accuse di fallimento militare contro i jihadisti e di interferenze politiche. Alla fine dello scorso anno il governo militare ha ordinato a tutte le Ong, compresi i gruppi di aiuto umanitario finanziati dalla Francia, di cessare le operazioni nel Paese. Questo in risposta alla decisione di Parigi di interrompere gli aiuti allo sviluppo per presunte preoccupazioni sulla cooperazione del Mali con la compagnia militare privata russa Wagner.

Perché l’Africa vuole liberarsi della camicia di forza francese? La decisione del Mali di abbandonare la lingua francese arriva in un momento in cui le politiche francesi, descritte in Africa come neocoloniali, vengono contestate con slogan e cartelli da molti giovani di tutto il continente. Chiedono un nuovo modello di cooperazione più equo e rispettoso della sovranità delle loro nazioni.

Di recente questa disaffezione sembra essere aumentata, in particolare con l’emergere in Mali, Guinea e Burkina Faso di giovani leader con idee nazionaliste che non esitano a denunciare pubblicamente gli accordi con la Francia.

Romual Ilboudo, analista della sicurezza e di geopolitica, vede questo cambiamento come un “fattore generazionale”. «Gli attuali leader di Burkina Faso, Mali e Guinea non hanno vissuto la colonizzazione o il periodo dell’indipendenza, quindi non hanno pregiudizi. È una generazione che vuole trattare con l’ex colonizzatore su un piano di parità. Poi c’è l’atteggiamento della Francia stessa. Parigi non ha cambiato la sua politica e la sua visione delle ex colonie e non tiene conto del cambiamento generazionale. Nel corso degli anni le frustrazioni sono cresciute. Il rifiuto è il risultato di queste frustrazioni».

Per molti questo cambiamento è un passo verso la sovranità. «Oggi, la relazione che abbiamo con la Francia è imposta dalla storia, non dalle scelte strategiche dei nostri Stati», afferma Boubakar Bokoum, leader del Parti africain pour l’intégration et la souveraineté au Mali.

L’altra grande questione che genera rabbia nella regione è il delicato tema del franco cfa, una moneta ereditata dall’epoca coloniale e attualmente ancora utilizzata in 14 Paesi del continente. Da molti anni in Africa si discute se una moneta africana debba sostituire il franco cfa.

Marc Bonogo, presidente dell’Alliance des nouvelles consciences, un’organizzazione della società civile del Burkina Faso, afferma che «la maggior parte delle persone che guidano questa campagna sono giovani sotto i 30 anni che vivono le conseguenze della disoccupazione giovanile endemica e della povertà persistente. Tutti questi fattori sono legati al franco cfa. In effetti, molti ritengono che questa moneta ereditata dall’era coloniale ostacoli la capacità dei Paesi africani di controllare le proprie economie e di svilupparsi autonomamente. L’indipendenza politica può esserci, ma dal punto di vista finanziario ed economico i Paesi dell’Africa francofona non sono liberi», afferma Bonogo.

Nuovi partner

Negli ultimi anni si è assistito a un crescente avvicinamento dei Paesi africani ad altre potenze come Cina, Russia e Turchia.

Per alcuni, questo accostamento è il risultato di una serie di fattori, tra cui la ricerca di nuove opportunità economiche, il desiderio di diversificare le relazioni internazionali e di stabilire partnership con nazioni di altri continenti. Per altri, invece, riflette soprattutto l’emergere di un “sentimento antifrancese” nel continente. Marc Bonogo non è d’accordo e afferma che «non c’è alcun sentimento antifrancese in Africa. Quella che condanniamo è la politica francese in Africa. La gente si è resa conto che nella cooperazione della Francia con le nazioni africane è solo la Francia che ci guadagna, mentre l’Africa resta a mani vuote, ed è per questo che i giovani africani hanno intrapreso un processo di emancipazione politica, economica, sociale e culturale».

Romual Ilboudo sottolinea inoltre l’alto livello di ospitalità dell’Africa, e dell’Africa occidentale in particolare. «I francesi in Africa occidentale sono ben integrati… Tuttavia, devono mostrare considerazione per chi li ospita. E finché c’è rispetto reciproco, saranno sempre i benvenuti».

5/ La "cintura dei golpe", di Emanuel Pietrobon

Riprendiamo dalla Pagina FB di Martino Ghielmi, un articolo di Emanuel Pietrobon, pubblicato l'1/8/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Nord e sud del mondo.

Il Centro culturale Gli scritti (6/8/2023)

"Che la Russia sia dietro l'ondata di golpe che ha colpito Sahel e dintorni dal 2021 è ovvio.

Ma che le circostanze fossero favorevoli per attaccare le "frontiere esterne" dell'UE era altrettanto chiaro: il risentimento anticoloniale era in crescita da tempo in tutta l'Africa.

Ieri criticavo un grafico con relativi commenti volto a "dimostrare" come UE e Russia sarebbero agli estremi in Africa: UE in posizione leader, Russia ultima.

Motivo? Il commercio.

L'UE domina l'import-export dell'Africa col resto del mondo, la Russia poco e niente.

Chi sottovaluta la Russia commette sempre lo stesso errore: guardare ai dati economici.

Se i numeri influissero sulla realtà come sui grafici, la UE sarebbe un'iperpotenza capace di far impallidire Cina e Usa, mentre la Russia potrebbe al massimo contendersi Tenerife con la Spagna.

Ma non è così: 10.000+ sanzioni non hanno piegato Mosca, il budget militare (apparentemente) risicato non ha impedito ai russi di creare una "cintura dei golpe" lungo il Sahel e il secondo summit Russia-Africa è andato molto bene (anche se i nostri commentatori dicono di no).

La Russia, lungi dall'essere un attore irrilevante in Africa, è al momento la potenza in ascesa più influente (insieme alla Cina).

Ma finché si guarderà all'import-export non sarà possibile comprendere l'espansione della Russia, che mai è stata una potenza commerciale.

Per capire l'estensione della presenza russa in Africa è necessario guardare altrove, laddove gli occhiali rosa dell'Europa non vedono: cultura, informazione, internet, strade, università.

Macron ha ragione quando dice che le "operazioni cognitive della Russia hanno nutrito la francofobia in Africa", fabbricando il consenso ai colpi di stato a pioggia che han colpito il centro del continente.

Ma è davvero tutto qui? No.

La Russia ha semplicemente preso un malcontento pregresso (e piuttosto esteso) e lo ha utilizzato per i propri fini.

Accusare i nigerini che sono in piazza a sventolare bandiere russe di essere tutti sul libro-paga della Russia è sbagliato e significa non capire nulla di Africa, un continente che continua a leccarsi le ferite di oltre un secolo di imperialismo e dove neocolonialismi hanno sostituito il colonialismo storico.

Non è un caso che le operazioni cognitive e le trame destabilizzatrici della Russia abbiano più successo nei territori della "Françafrique", cioè le porzioni d'Africa sotto influenza francese.

La Russia è riuscita a imporsi in quei territori attraversati da sentimenti anticoloniali, traumatizzati dal passato e vittime dei divide et impera delle potenze europee, usando media tradizionali e nuovi, internet e social network, per ammaliare le opinioni pubbliche.

Una strategia che ha funzionato per un motivo molto semplice: la Russia (allora URSS) ha effettivamente guidato il movimento di decolonizzazione durante la Guerra fredda, aiutando le allora colonie africane a diventare paesi indipendenti.

Un ruolo che viene ancora ricordato e che per dei popoli che vivono in stati falliti, dittature e guerre civili è "simbolo di speranza".

Perciò Putin nei suoi discorsi - che qui nessuno ascolta per intero, limitandosi a estrapolare i passaggi più acchiappa clic - si rivolge spesso all'Africa ricordando il contributo sovietico all'indipendenza di molti dei suoi stati.

La Russia non avrà mai il potere commerciale/economico dell'UE, ma questo non la priva di persuasione e attrazione: esistono il soft power, la diplomazia culturale, la sicurezza, ecc.

In definitiva, la Russia è sottovalutata perché commercia poco, ma forma i dirigenti di domani, offre accordi di sfruttamento delle risorse "un po' più equi", cancella debiti, dona tanto, sa usare bene i social media e ha tanti mercenari.

Ed è così che si è presa il Sahel."

6a/ Niger: accendiamo la luce sull'Uranio..., di Martino Ghielmi

Riprendiamo dalla Pagina FB Vado in Africa, curata da Martino Ghielmi, un suo articolo, pubblicato il 1/8/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Nord e sud del mondo.

Il Centro culturale Gli scritti (6/8/2023)

Il Niger, di cui fino a laltroieri non sapeva nulla nessuno (tant'è che lo confondevano con la Nigeria) non è un Paese qualunque.

È altamente strategico per Francia (e quindi per l'Europa) per almeno due ragioni, che vediamo in due post separati:

-estrazione di uranio (7° produttore mondiale)

-crocevia del traffico di migranti (anticamera della Libia).

Pronti per il primo punto? ViA!

Circa un terzo dell’energia nucleare prodotta in Francia dipende dalle miniere del Niger.

La grande miniera di uranio ad Arlit è in funzione dal 1966 ed è uno dei più grandi depositi di uranio conosciuti al mondo.

Questa risorsa non ha mai arricchito i nigerini, che sono tra i più poveri del mondo, poiché la Francia da cinquantasette anni paga le sabbie uranifere del Niger poco più della sabbia da costruzione.

Contratti complessi, dove lo Stato francese è socio delle sue multinazionali in un'operazione presentata come "win-win" ma che, di fatto, è una depredazione sistematica nell'intrallazzo tra politici e grandi aziende.

Nonostante la ricchezza dei suoi territori, il Niger rimane uno tra i Paesi più poveri del mondo.

La sua economia si basa sull’agricoltura di sussistenza e l’allevamento nomade, settori spesso messi in crisi da una serie di insidie tra cui siccità, inondazioni e sostanze radioattive che finiscono nei terreni e nelle acque.

Il 60% della popolazione vive in povertà, con l’approvvigionamento alimentare tra le più grosse piaghe del Paese. Tant’è che quasi la metà dei bambini soffre di malnutrizione.

Prima di dare consigli non richiesti ai nigerini, e in generale agli africani francofoni, vi invito quindi a:

1. studiare la storia degli ultimi 100 anni (che sono nulla quando parliamo di Stati)

2. sciacquarvi la bocca rendendovi conto di essere nati e cresciuti in un Paese da 80 anni in pace, dove una serie di fortunate coincidenze hanno portato prosperità, per ora, diffusa.

Ammettere che ciò che ho scritto è vero non significa "tifare Putin", come qualche demente mi vorrebbe far dire.

Significa semplicemente amare la verità in un mondo - quello della geopolitica africana - irto di falsità.

Se volete lavorare con l'Africa, iniziate a fare un passo fuori dalla menzogna.

Altrimenti, ve lo posso assicurare, presto o tardi farete un passo fuori dall'Africa.

6b/ Niger (2/2): crocevia del traffico di migranti

Riprendiamo dalla Pagina FB Vado in Africa, curata da Martino Ghielmi, un suo articolo, pubblicato il 1/8/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Nord e sud del mondo.

Il Centro culturale Gli scritti (6/8/2023)

Oltre all'uranio, il Niger è un Paese strategico perché snodo cruciale della principale rotta da Ovest utilizzata dai trafficanti di esseri umani verso l'Europa.

L'altra (da Est) passa da Khartoum (Sudan) ed è quella utilizzata da chi lascia Eritrea, Somalia, Etiopia, ecc.

Disclaimer importante: i "migranti" che arrivano via mare sono solo una minoranza di chi entra in Europa (es. visti legali, anche se sempre più complessi da ottenere, documenti falsi, via terra).

E solo una parte di loro proviene dall'Africa. Es. nel 2023 in Italia sono sbarcati in Italia 7.921 persone dalla Costa d’Avorio, 7.155 dalla Guinea, 7.128 dall'Egitto poi 5.943 dal Pakistan e 5.910 dal Bangladesh. Questi ultimi due Paesi sono in Asia!

Ciò che vorrei farvi notare - ahimè, preferirei non fosse così! - è l'elevato grado di ipocrisia europeo (in primis francese, ma non solo) sul tema.

L'Europa è il continente più vecchio del pianeta.

Nel 2050 avrà 6,5 milioni di abitanti in meno con circa il 30% over65.

Il paradosso è il seguente:

-c'è fame di lavoratori in settori basati sulla manovalanza non specializzata (es. agricoltura, edilizia, assistenza alle persone - tutti lavori dove si fatica per stipendi base).

In alcune zone (es. Sud Italia) intere filiere si sono "sedute" su una sorta di servitù della gleba (sostituendo ai "cafoni" di un secolo fa i migranti, ma a condizioni peggiori).

-nessun politico può ammettere questa necessità in modo pragmatico, anche perché nessun Paese europeo ha la duttilità (linguistica e sociale) degli USA nell'assorbire flussi di emigranti con lingua e cultura differente.

Ci sono segnali di insofferenza dei cittadini (NB: elettori) nei confronti del fenomeno così come è stato (mal) gestito in questi decenni e nessun politico vuole perdere le prossime elezioni, per definizione.

Da qui nasce la strabica (e miope) strategia dell'Europa sul tema:

-da un lato preservare la propria "superiorità morale" con diritto di asilo e affini, riservato alla piccola minoranza di chi riesce a mettere piede sul "sacro suolo".

-dall'altro cercare - in modo esplicito o meno - di esternalizzare il "lavoro sporco" di dissuasione dei candidati al viaggio a Paesi terzi in cambio di ingenti stanziamenti (es. Turchia, Libia, Marocco e appunto... Niger)

Bene, ma non benissimo.

Perché in questo modo il potere di ricatto di questi governi (tipicamente autoritari e senza scrupoli di "diritti umani" anche quando sono "amici" dell'Europa vedi Erdogan) sale.

Ricordate l'apertura/chiusura dei flussi migratori da parte di Erdogan?

La Francia in tutto questo (schifoso) "grande gioco" ha il non invidiabile primato di:

- aver "spalancato la porta" bombardando la Libia nel 2011 (fino a quel momento i numeri erano più contenuti, anche perchè molti si fermavano a Tripoli o Bengasi dove si guadagnava bene)

- far applicare da altri (leggi: Italia) la parte difficile della questione (salvataggi in mare, accoglienza) per finire comunque con il prendersi i "migliori" superstiti di questa filiera che, almeno da Ovest, passa per il Niger.

Come bisognerebbe fare per uscire da questa palude?

Non lo so e vi invito a diffidare di chiunque offra ricette facili a problemi complessi.

Di certo anche in questo campo non ci si "dice la verità" tra Europa e Africa e si ha scarso coraggio nell'esplorare vie alternative a quanto "si è sempre fatto".

Se davvero salta il Niger si pagherà la miopia e il cortotermismo della faccenda con gli interessi.

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