Gaza, la Flotilla e i suoi sostenitori: l’intellighenzia inizi a confrontarsi con tradizioni di identità nazionale e religiosa che sono dure, non morbide come quelle laico-cristiane, di Giovanni Amico
Riprendiamo sul nostro sito un testo di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Politica internazionale, Ebraismo e Islam.
Il Centro culturale Gli scritti (2/10/2025)

1/ L’intellighenzia è dinanzi ad un problema che non capisce: quello delle identità forti
L’intellighenzia – e con esse la Flotilla, pur meritevole in quanto portatrice di risorse alimentari – non è in grado di capire mondi in cui le identità, sia nazionali che religiose, sono forti e anzi fortissime.
Tali identità sono “dure” al punto da non accettare minimamente che altri mettano bocca nei propri confini. Più in generale rifiutano che non esistano confini netti e separanti e rifiutano che non esistano culture e religioni identitarie.
Per i mondi diversi dai paesi laico-cristiani non ha alcun senso dire “imagine there’s no countries and no religion, too”: essi ritengono che sia gravissimo negare nazioni e stati, come confini e religioni.
La laicità della Flotilla non è un punto di merito, ma di demerito per entrambe le identità forti di palestinesi e israeliani.
Il mondo arabo, solo per fare un esempio, ha preteso – e ottenuto – che scendessero dalla Flotilla esponenti del mondo LGBTQ+.
Con tali considerazioni non si intende certo dire che tali popoli abbiano ragione ad avere identità forti.
Si intende piuttosto dite che è l’intellighenzia ad essere totalmente inadatta a comprendere questi mondi, tanto essi sono fuori da schemi laico-cristiani: gli studiosi e gli attivisti occidentali non capiscono quanto siano diverse le visioni di quei popoli.
Se per l’intellighenzia valgono i concetti di mediazione culturale, di giustizia, di equità, di sviluppo sostenibile, di attenzione al più fragile, non così è per le identità forti di altre culture.
Perché tali identità sono contrarie a stati multietnici e multireligiosi e per esse non valgono la libertà di opinione sempre e comunque.
2/ Una violenza che supera ogni limite, da una parte e dall’altra: una questione a cui gli analisti occidentali non sono preparati
È ben per questo che le due parti rivendicano sicurezza e assoluta disponibilità del potere nei propri presunti confini.
Ed è ben per questo che la risposta nei decenni ad ogni azione violenta è stata altrettanto violenta (cfr. su questo Il linguaggio delle “lamentazioni” più che quello delle “rivendicazioni” è il giusto tono per affrontare il dramma sconfinato di Gaza, di Giovanni Amico).
I laici con radici culturali cristiane non avrebbero mai compiuto atti come l’attacco del 7 ottobre e non avrebbero mai preso in ostaggio persone della parte avversa. Ciò è fuori dalla nostra visione. Certo, può esserci un singolo criminale che compia singoli atti violenti, certo ci possono essere gruppi che, in nome della propria visione di giustizia, divengano capaci di eccidi (si pensi ai NAR e alle BR), ma mai che ciò sia compiuto da un’intera classe governante di una nazione, come è avvenuto con Hamas per la Palestina il 7 ottobre e come si configura l’azione militare odierna di Netanyahu.
È ben per questo che Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, erra quando si smarca dall’affermazione del sindaco di Reggio Emilio che chiedeva la cessazione sia delle violenze israeliane sia, al contempo, la liberazione degli ostaggi: Albanese ha affermato di “aver già condannato quell’eccidio”[1] e proprio con tali parole mostra di non capire la situazione.
Erra perché quella strage è viva proprio negli ostaggi che sono tuttora nei tunnel e si tratta di condannarla oggi e non ieri, ma soprattutto si tratta di comprendere che quel popolo ragiona nei suoi capi con criteri assolutamente diversi da quelli delle democrazie occidentali: alla violenza dura e contro civili si risponde con violenza dura e contro civili.
È fondamentale, comunque, non arrestarsi alla violenza di Hamas, ma indicare quella israeliana. I laici d’occidente con radici cristiane non avrebbero mai risposto all’attacco del 7 ottobre e alla detenzione degli ostaggi con la violenza e l’assoluta mancanza di garanzie per i civili degli attacchi israeliani. Mai una nazione occidentale avrebbe permesso alle proprie truppe di comportarsi come si stanno comportando le milizie israeliane. E, difatti, l’azione della Flotilla è non violenta e puramente dimostrativa, puramente di protesta, cioè difforme dalle modalità di culture altre.
Dinanzi all’enormità delle violenze di entrambe le parti, è necessario precisare che non si tratta solo di Hamas e di Netanyahu: il problema è ben più grande. I leader di Hamas e, dall’altra parte, Netanyahu sono stati eletti con elezioni democratiche e rappresentano la maggioranza delle loro popolazioni.
Certo non si deve dimenticare che queste maggioranze non rappresentano la totalità delle due nazioni. Ci sono certamente molti “laici” nelle due nazioni che lottano e manifestano perché queste violenze abbiano fine – ovviamente la “laicità” è un concetto noto in Israele, nato da ebrei di area laica e socialista, mentre è pressocché ignota alla parte palestinese.
Ma il problema delle identità forti è caratteristico di entrambe le nazioni e non è risolvibile – questo è ciò che l’intellighenzia non capisce – alla maniera occidentale delle maggioranze e delle minoranze. È una questione ben più radicale e radicata.
Non lo si risolve a partire da convincimento personali, alla maniera dell’occidente, dove è l’individuo ad essere centrale – questa è la tipica visione laica di ispirazione cristiana.
Lì, invece, sono le masse, sono i popoli, sono le religioni, sono le culture, a fare la differenza e il singolo è immediatamente preso dall’insieme e si perde in esso.
3/ L’intellighenzia non comprende forme peculiari di religione che implicano visioni di società che non siano secolari
L’intellighenzia non comprende che in quelle due nazioni – a differenza che in occidente – la cultura e la religione in senso lato siano decisive. La secolarizzazione è in crisi oggi anche in Europa, mentre sembrava inarrestabile, proprio a motivo di religioni forti come l’Islam e l’ebraismo.
La secolarizzazione è un concetto tipicamente occidentale, ma non vale per queste culture e, in effetti, l’Europa e gli USA stanno attraversando un processo di de-secolarizzazione, perché tutti ciò che hanno elaborato in relazione a cattolici, protestanti e ortodossi non vale dinanzi all’Islam e all’Induismo intesi come mondi culturali (come dinanzi a molte altre religioni).
Certo la cultura e la religione sono decisive a Gerusalemme in particolare, perché non esiste altro luogo al mondo dove non sono solo gli stessi territori, non è solo la stessa città, ma è addirittura lo stesso luogo – il Tempio/Spianata delle moschee – ad essere comune e ad essere ritenuto sacro da due diverse religioni (sulla paradossale situazione dei luoghi sacri e dei testi sacri in Israele, cfr. Il paradosso biblico della Terra di Israele nell’Antico Testamento, secondo l’esegesi moderna “canonica” e storico-critica. Una riflessione scritturistica complementare alle discussioni di politica internazionale su Israele e Palestina, di Andrea Lonardo).
Ma la questione non è semplicemente[L1] quella del medesimo luogo chje si afferma essere centrale e in cui si intende offrire il culto, così come non è semplicemnte la visione di una qualsivoglia religione in sé. La questione è – in maniera ben più grande – quella di culture che ritengono di dover gestire la vita civile alla loro maniera e non ritengono di poterlo fare alla maniera di minoranze dentro una maggioranza diversa che sarebbero tenuti a rispettare.
Ha scritto un islamologo: “Io non conosco un solo musulmano che sia cattivo, io conosco solo ottime persone di fede musulmana. Il problema è quando numerosi musulmani vengono ad abitare in un determinato quartiere e ritengono che la loro visione di vita, della donna, del matrimonio, del vestire, dell’educazione dei figli, di come sia lecito studiare o innamorarsi o assumere posizioni pubbliche in merito alla religione o alla cultura, debba essere partecipata socialmente e non solo individualmente” (la citazione è ad sensus). Lo stesso vale per il reciproco ebraico, soprattutto non nella diaspora, ma in terra di Israele.
4/ La questione che è dinanzi
Ora dica l’intellighenzia quale sarebbe secondo lei il giusto status di Gerusalemme, della Spianata del Tempio e del Muro del Pianto, dica come dividerebbe i territori fra Israele e Palestina, oltre che continuare giustamente a stigmatizzare le violenze.
Ma lo dica consapevole che non si tratta di un’equa ripartizione, bensì si tratta di una questione dove i tratti identitari delle due parti hanno un peso ben diverso da quella da altri gruppi etnici qualsiasi (come spagnoli e baschi, o spagnoli e catalani).
Per questo è sbagliato e soprattutto inutile dare ragione solo ad una delle due parti, quasi che le due non fossero entrambe fortemente identitarie e restie a cedere sulla questione dell’identità: l’intellighenzia proponga, se ne è capace, una mediazione culturale indicando quali autorità delle due parti dovrebbero farla, avendone legittimità rispetto alle rispettive popolazioni che la riconoscerebbero, e dica come procederebbe, dove nessuno finora è stato in grado di venire a capo del rebus.
L’intellighenzia occidentale è moralistica e per questo è inutile dinanzi ad una questione tanto complessa. Non ha la minima idea di cosa si dovrebbe fare e si limita a stabilire – fra l’altro cambiando di decennio in decennio le sue simpatie – chi avrebbe ragione e chi no.
L’intellighenzia occidentale ha straparlato di complessità non semplificabili e poi ragiona, come altre volte, in maniera dualistica e manichea, quasi che una parte avesse tutte le ragioni e un’altra tutti i torti, ma più ancora non comprendendo che le due parti non “ragionano” alla maniera occidentale.
Quando si parla di identità e di religione, fra l’altro, non si tratta di identità speculari, bensì anche lì sussistono differenze notevoli. Per la parte israeliana – anche se i religiosi sono in costante aumento – è la storia a suggerire che sia necessaria un’identità nazionale con certezza di confini a tutelare l’identità culturale (e non semplicemente religiosa), mentre per la parte palestinese pesa maggiormente la dimensione religiosa – poiché è assente la componente laica.
Le indicibili attuali violenze e le contrapposte visioni identitarie potrebbero, invece, generare una nuova generazione di analisti e storici capaci di riconsiderare anche per il passato i pregiudizi storici che attribuiscono solo all’occidente violenze identitarie, quasi che la storia europea sia l’unica ad essere stata e ad essere “razzista”, “intollerante”, “religiosa”, “incapace di accettare le libertà individuali” ed aprirsi ad una considerazione più articolata dei drammi delle epoche passate, segnalando la diversa intensità derivante da culture specifiche.
5/ Ciò che deve essere messo in conto per aiutare veramente, ciò che deve essere almeno più chiaro per farlo poi evolvere
L’intellighenzia che si propone come guida per i futuri eventi di Israele e Palestina dovrebbe capire innanzitutto il ruolo della nazione e della religione in quei paesi, altrimenti è destinata a permanere velleitaria e ideologica.
Dovrebbe iniziare ad aver chiaro che Israele non accetterà mai di essere spogliata di una terra e di una terra sicura – e ciò vale anche per la sinistra israeliana – e che lo stesso vale per la parte palestinese che non è pronta ad accettare che esista Israele.
Mentre in occidente è quasi “normale” accettare di essere minoritari e convivere con idee opposte a condizione che ciascuno possa sbandierare pubblicamente ciò che pensa in una logica di piena e libera espressione, non così è in Medio Oriente, e non così è dovunque non ci sia alla radice la complessa storia laico-cristiana.
L’occidente è abituato a visioni culturali, nazionali e religiose deboli, dove si accetta che ci siano componenti opposte che spingano addirittura alla separazione di parti di nazione. L’occidente è abituato a miscugli di popolazioni provenienti da realtà etniche diverse da quelle storicamente fondatrici ed accetta che ci siano nuove identità che possano crescere di numero, poiché alla radice ci sono la laicità che è di per sé aperta a qualsivoglia religione e il cristianesimo che è una religione più “dolce”.
Di fatto, la parte palestinese cristiana è ben diversa da quella che cristiana non è – e questo deve essere notato non tanto per dare giudizi moralistici, quanto per evidenziare le questioni in ballo e fare un bagno di realtà.
Allo stesso modo nella tradizione laico-cristiana è considerato “normale” che esista una commistione culturale nella quale vinca il migliore e il più prolifico – anche se questo comincia a fare problema pure in Europa. Ma non così avviene dove esistono identità forti, non così avviene in Medio Oriente e nelle altre parti del mondo. Lì le visioni nazionali sono dure e dure sono pure le religioni.
L’intellighenzia occidentale dovrebbe cominciare a mettere in conto, se vuole giovare alla pace, che le identità nazionali delle altre culture sono molto più identitarie che in occidente e che le religioni delle altre culture sono più dure del cristianesimo.
L’intellighenzia occidentale dovrebbe comprendere che è ora di abbandonare l’asserto dogmatico che si è amati perché si è laici, mentre dovrebbe iniziare a considerare che in altri contesti è proprio la laicità a non essere accetta, come è invece accetta e anzi promossa dal cristianesimo.
L’intellighenzia occidentale dovrebbe abbandonare l’asserto che solo il cristianesimo sia stato identitario e violento e che tutte le altre culture e religioni non lo siano state e che siano comunque oggi più dolci e tolleranti: un bagno di realtà in tali culture più identitarie potrebbe aprire menti e cuori a proposte più concrete e meno velleitarie.
6/ Il valore di comunità che vivano non solo la denuncia della violenza altrui, ma anche l’ammissione della propria, in una rinnovata mitezza
Paradossalmente, in una terra in cui le due culture che si combattono non amano a priori una laicità atea, ma anzi ne diffidano - poiché il riferimento a Dio è essenziale per esse -, proprio una condanna delle violenze, ma sempre accompagnata da mitezza e da una disponibilità al perdono, è l’unica via praticabile e carica di futuro.
Qualcosa dovrà comunque accadere, anche se forse fra molti anni e anzi fra decenni. In attesa di questo, appare chiaro che tutto ciò che spinge ulteriormente al conflitto, tramite posizioni e dichiarazioni che sottindendano che una sola delle due parti è colpevole, allontana una prospettiva di pace.
La via di chi, invece, attesta la disponibilità al perdono, nel riconoscimento di responsabilità anche della propria parte, è quella che sarà da percorrere in futuro – e se ne sente la necessità.
Lo stile, le parole e i gesti della comunità palestinese cristiana di Gaza si rivelano qui vera testimonianza, poiché invitano innanzitutto gli israeliani a cessare dalla violenza, ma poi parimenti non la incoraggiano da parte palestinese, invitando ad una conversione dei cuori – oltre che alla liberazione degli ostaggi e all’abbandono delle armi.
Quel piccolissimo nucleo di cristiani, cattolici e ortodossi, che vive e resiste nella striscia di Gaza, senza odiare e senza semplificare troppo facilmente le responsabilità, è veramente un piccolo lievito che ha il compito di fermentare le attese, indicando l’unica via percorribile – e il cardinal Pizzaballa se ne va instancabilmente portavoce con toni assolutamente diversi da tutte le altre voci che si levano altrove.