Esiste una singolare convergenza fra la posizione di Barth rispetto alla teologia liberale e quella espressa da papa Pio X nei confronti del modernismo: entrambi intendono esaltare la libertà della grazia dimenticata in quel contesto da liberali e modernisti, da Bruno Forte

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 09 /12 /2025 - 10:00 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un brano da B. Forte, Eclissi e ritorno di Dio. Teologie del XX secolo, Brescia, Morcelliana, 2025, pp. 14-20. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Cristianesimo.

Il Centro culturale Gli scritti (7/12/2025)

Sarà Karl Barth a tematizzare [l]’irruzione dell’Altro divino e trascendente nel chiuso mondo dei nostri pensieri: lo stimolo gli fu offerto dallo scoppio della prima guerra mondiale il 4 agosto 1914. Si tratta per lui del giorno oscuro (dies ater), in cui si è delineato con chiarezza il dramma della coscienza europea: mentre quello stesso giorno Adolf von Harnack sottoscriveva un documento da lui stesso redatto, firmato da 93 uomini di cultura e intitolato Manifest der intellektuellen, per esprimere incondizionata adesione alla politica di guerra del Kaiser, Barth vede in quel drammatico evento il crollo del mondo dominato dal protagonismo del soggetto storico, ispirato dal sogno di poter tutto comprendere e spiegare con la sola forza della ragione.

Al tempo stesso, Barth denuncia un ascolto della Parola di Dio vissuto come semplice ripetizione dell’identità già data e conferma della società borghese nel suo proprio orizzonte, contrapponendovi la consapevolezza che la Bibbia presenta non la teologia dell’uomo, ma l’antropologia di Dio, quello che l’Eterno dice a noi sovvertendo i nostri calcoli e le nostre pretese.

È il cambiamento radicale di prospettiva rispetto al mondo liberale: documento della “svolta” è il commento che Karl Barth pubblica alla Lettera ai Romani di Paolo nel 1922. La prima edizione di quest’opera - datata 1919 - era ancora un testo di teologia liberale, in cui il divino veniva visto in continuità organica con la crescita nell’uomo: di esso non resterà “pietra su pietra” nell’edizione del ‘22. In questa Barth presenta un’idea del tutto diversa del divino, facendo i conti con quella “rivoluzione di Dio” per la quale il totalmente Altro non potrà mai ridursi alla risposta alle domande dell’uomo, ma si porrà innanzitutto come la crisi (die Krisis) dei nostri interrogativi e delle nostre capacità:

«Dio è il Dio sconosciuto […] La sua potenza non è né una forza naturale, né una forza dell’anima, né alcuna delle più alte o altissime forze che noi conosciamo o che potremmo eventualmente conoscere, ne è la suprema di esse, né la loro somma, né la loro fonte, ma la crisi di tutte le forze, il totalmente Altro, commisurate al quale esse sono qualche cosa e nulla, nulla e qualche cosa, il loro primo motore e la loro ultima quiete, l’origine che tutte le annulla, il fine che tutte le fonda».

Barth è consapevole che quanto sta proponendo non soltanto riveste una valenza teologica, ma ha anche una rilevanza filosofica ed ermeneutica: il pensiero che si mantenga all’interno dell’identità del soggetto è condannato a ripetere sé stesso; soltanto un pensiero aperto alla sorpresa, prodotta dall’alterità dell’Oggetto puro che viene a noi, potrà essere nuovo e fecondo.

Il problema non sta nel non usare la ragione, ma nel doverla usare fino in fondo per spingerla sulla soglia dov’essa possa aprirsi - con timore e tremore - alla novità dell’avvento. L’idea di una radicale “presupposizione” divina (Voraussetzung), conosciuta solo nello Spirito, autosufficiente, incondizionata e in sé vera, è per Barth la più forte smentita alla concezione hegeliana, che aveva voluto ricondurre il divino al dominio dell’identità onnicomprensiva del soggetto.

Il Deus dixit, ovvero l’evento storicamente determinato della rivelazione, è per lui precisamente lo spezzamento della continuità postulata dal trionfo dell’idea, la crisi di tutte le potenze mondane, la manifestazione della assoluta irriducibilità alle nostre misure del “presupposto” divino che viene a noi.

Risuona così il grande “no” che il discorso teologico degli anni venti del Novecento oppone alla ragione ideologica e alle sue conseguenze totalitarie e violente: ne è espressione significativa, la prima delle tesi della Dichiarazione teologica di Barmen, scritta dallo stesso Barth, testo ispiratore della resistenza cristiana al nazionalsocialismo:

«Gesù cristo, così come ci viene testimoniato dalla Sacra Scrittura, è l’unica Parola di Dio, che noi dobbiamo ascoltare e a cui dobbiamo fiducia e obbedienza in vita come in morte. Noi rigettiamo la falsa dottrina secondo cui la Chiesa, quale fonte del suo annuncio, possa e debba riconoscere, oltre e accanto a quest’unica Parola di Dio, ancora altri eventi e potenze, figure e verità come rivelazione di Dio».

Nessuna cattura storica del divino sarà allora legittima: il fondamento della resistenza anti-ideologica, vissuta in prima persona da Barth in opposizione alla barbarie nazista e che gli costò l’espulsione dalla Germania e lo decise al definitivo ritorno in Svizzera, sta nel riconoscimento del primato del divino Altro, che si offre a noi nella rivelazione. Certamente, Barth elabora queste idee nel clima inquieto che segue immediatamente la prima guerra mondiale, in un mondo cioè nel quale lo spezzamento in atto sconvolge tutte le presupposizioni precedenti e dove le forze che si affacciano sulla scena - bolscevismo e fascismo in testa - si presentano come tipiche “ideologie della crisi”. Barth, tuttavia, non intende sostituire un’ideologia a un’altra, ma vuole opporre all’ideologia liberale, che nella tragedia della guerra ha mostrato il suo fallimento, la pura è forte alterità dell’avvento divino, che ha raggiunto l’umanità in Gesù Cristo.

Quest’intento è particolarmente chiaro nella critica da lui mossa a Hegel: Barth riconosce nel sistematore dell’idealismo il maestro della soggettività moderna, colui che ha portato la celebrazione della ragione fino alle sue espressioni più alte, perché in lui la ragione è stata capace di farsi pensiero totale della vita e delle sue contraddizioni.

Ciò che rimprovera a Hegel è di aver pensato la ragione come ragione di Dio, di aver identificato Dio con lo Spirito assoluto e questo con la potenza del pensiero:

«Il Dio di Hegel è per lo meno prigioniero di sé stesso. Comprendendo tutto, comprende infine, e al massimo grado, anche sé stesso, e facendo ciò nella coscienza dell’uomo, viene dall’uomo inteso tutto ciò che Dio è e fa come propria necessità. Nella rivelazione non può più trattarsi di una libera azione di Dio […] Per lui il rivelarsi è una necessità».

Barth dice dunque “no” a ogni continuità di divino e umano, a ogni ideologia intesa come celebrazione del protagonismo assoluto del soggetto storico. Ciò cui egli mira è restituire il primato a chi ne ha il diritto: Dio è Dio e l’uomo non è Dio; Dio è l’Altro e solo come tale libera e salva.

Nella polemica contro Adolf von Harnack, già suo maestro a Berlino, espressosi in maniera fortemente critica verso il suo commento a Paolo e specialmente verso il suo metodo, ritenuto rinunciatario rispetto a ogni statuto critico, Barth estenderà all’intera teologia liberale la critica mossa al suo presupposto, e cioè al monismo hegeliano dello Spirito.

Ascoltare la Parola di Dio nelle parole umane in cui si comunica, senza risolverla in esse, è per Barth il compito della teologia, intesa come pensiero della rivelazione, radicalmente obbediente all’avvento divino: soli Deo gloria è la formula che esprime l’intenzione ultima della svolta barthiana.

Lo chiarisce lui stesso:

«Se ho un “sistema”, esso consiste in ciò che io mi tengo davanti agli occhi, con tutta la tenacia possibile, quella che Kierkegaard ha chiamato “l’infinita differenza qualitativa” del tempo e dell’eternità, nel suo significato positivo e negativo. “Dio è in cielo e tu sulla terra”. […] Il rapporto di questo Dio a questo uomo, il rapporto di questo uomo a questo Dio è per me il tema della Bibbia e insieme la somma della filosofia. I filosofi chiamano questa crisi del conoscere umano “origine”. La Bibbia vede in questo punto cruciale Gesù Cristo».

Merita qui accennare alla singolare convergenza fra la posizione di Barth rispetto alla teologia liberale e quella espressa da papa Pio X nei confronti del modernismo nell’enciclica Pascendi Dominici Gregis, pubblicata l’8 settembre 1907, in cui è condannata la tesi che riduce l’esperienza credente a mero sentimento, negando il primato della grazia e la fede come accoglienza del dono dall’alto.

Questa tesi è così sintetizzata:

«Nel sentimento religioso, si deve riconoscere quasi una certa intuizione del cuore; la quale mette l’uomo in contatto immediato con la realtà stessa di Dio, e tale gl’infonde una persuasione dell’esistenza di Lui e della Sua azione sì dentro, sì fuori dell’uomo, da sorpassar di gran lunga ogni convincimento scientifico […] Or questa esperienza, poi che l’abbia alcuno conseguita, è quella che lo costituisce propriamente e veramente credente».

La condizione della salvezza, posta dai modernisti totalmente nelle mani dell’uomo, della sua scelta di credere e di affidarsi a Dio senza alcuna previa e necessaria azione della grazia divina, rende vana la missione del Figlio incarnato e la Sua azione di mediatore assoluto fra gli uomini e il Padre, come anche quella dello Spirito nella Chiesa e nel cuore della creatura umana, che si apra all’Eterno.

La rivelazione del Dio vivente nella storia esige invece il riconoscimento umile e fiducioso del Suo primato assoluto, da accogliere e confessare nell’obbedienza della fede, che libera e salva.