Le iscrizioni della Maestà di Simone Martini nel Palazzo Pubblico di Siena, invito al Buon Governo, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Andrea Lonardo. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Arte e fede e I luoghi della Bibbia e della storia della Chiesa.
Il Centro culturale Gli scritti (7/12/2025)
Nel Palazzo Pubblico di Siena non è solo la sala con affreschi di Ambrogio Lorenzetti, con il Buono e il Cattivo Governo, a raccontare di una visione medioevale della politica dove la giustizia e il bene comune dovevano avere la centralità (Cfr. su questo Il Palazzo Pubblico e la Sala del Mappamondo, con la Maestà di Simone Martini (scheda per il pellegrinaggio degli universitari romani a Siena) e “Il buon governo” di Ambrogio Lorenzetti: quando l’arte insegna alla politica, di Mariella Carlotti), ma lo è anche la parete con la Maestà della Vergine, dipinta da Simone Martini.
Il Bambino, tenuto in braccio dalla Madonna, ha un cartiglio che recita:
«Diligite iustitiam qui iudicatis terram».
la frase con cui inizia il Libro della Sapienza: “Amate la giustizia voi che governate le terra”.

È un monito a chi si riuniva in quella sala per decidere delle sorti della città e delle altre con le quali Siena doveva avere a che fare.
Un secondo testo, più lungo, corre sui due gradini su cui è posto il trono della Vergine e del Bambino. Esso recita:
«Li angelichi fiorecti, rose e gigli, / onde s’adorna lo celeste prato, / non mi dilettan più che i buon consigli. / Ma talor veggio chi per proprio stato / disprezza me e la mia terra inganna, / e quando parla peggio è più lodato. / Guardi ciascun cui questo dir condan[n]na!».
Il testo prosegue nel gradino più in basso:
«Responsio Virginis ad dicta santorum / Diletti miei, ponete nelle menti / che li devoti vostri preghi onesti / come vorrete voi farò contenti. / Ma se i potenti a’ debil’ fien molesti, / gravando loro o con vergogne o danni, / le vostre orazion non sono per questi/ né per qualunque la mia terra inganni».

La Vergine, insomma, gradisce certamente fiori, ma soprattutto “buoni consigli” nel Consiglio, cioè sagge decisioni, mentre è costretta a vedere che c’è chi la disprezza e “inganna” Siena e più parla a torto e più è lodato. L’iscrizione ricorda quindi che la Vergine non gradisce le preghiere di chi aggrava vergognosamente e a danno i deboli, ingannando così – si ripete l’espressione “inganno” – la “sua” terra.
Nella cornice della Maestà, al centro, sono poste poi due figure femminili rappresentanti la Lex Vetera (l’Antico Testamento) e la Lex Nova (il Nuovo Testamento), l’una con gli occhi bendati (è la sinagoga), mentre l’altra è con evidenza la Chiesa.
Intorno alla Lex vetera stanno iscritte le quattro virtù cardinali – Prudentia, Iustitia, Fortitudo, Temperantia – poiché senza di esse non ci può essere una vita di fede ed un “buon governo”.
Al fianco sono elencati i Dieci comandamenti, uno per uno, poiché senza il loro rispetto la città andrebbe in rovina.
A fianco della Lex Nova stanno le tre virtù teologali – indicate anch’esse con il loro nome: Fides, Spes, Charitas – perché anche senza di esse il governo non potrebbe essere “buono”.
In maniera simmetrica ai dieci comandamenti sono invece elencati i sette sacramenti con una introduzione significativa che ricorda la presenza del peccato in ognuno, a motivo del peccato originale, e quindi la necessità dell’ausilio dei Sacramenti, perché sia garantito un governo giusto.
Così recita il testo:
«Lex S[piritu]s vite i[n] [Christo] Ih[es]u/ libera me a lege/ peccati [et] mortis/ sac[ra]m[en] ta legis noue/ s[unt]/ vii/ baptismus/ crisma/ eucharistia i/ [d est ]/ d [omini c]orp[us]/ penitentia/ extrema u[n]tio i/ [d est ]/ oelu[m]/ s[anctum]/ ordo/ et matrimoniu[m]»[1].
Cioè: “La Legge dello Spirito della via in Cristo Gesù mi libera dalla Legge del peccato e della morte”.

La Maestà venne dipinta da Simone Martini per la Sala del Consiglio, oggi chiamata del Mappamondo. Vi si riunì il Consiglio Generale della Repubblica senese fino al 1343 - il nome “del Mappamondo” trae origine, invece, dalla perduta opera realizzata da Ambrogio Lorenzetti intorno al 1345 che era costituita da un disco circolare, forse in tela o pergamena, fissato su di un telaio, sul quale era rappresentato il mondo allora conosciuto con al centro la città di Siena, di cui rimane traccia nei segni di rotazione visibili sulla parete di fondo.
Simone Martini lavorò alla Maestà fra il 1312 (o forse 1313) e il 1315, con un secondo intervento risalente al 1321. L’affresco ritrae la Vergine, che Siena aveva proclamato sua sovrana in occasione della battaglia di Montaperti il 4 settembre 1260, siede su un trono, simile a un reliquiario gotico a tre cuspidi, sotto un grande ma leggero baldacchino, circondata dai patroni di Siena e da santi e venerata da angeli.
La data del 1315 risulta dall’iscrizione frammentaria recuperata nell’Ottocento al di sotto della balza.
[1] È la trascrizione corretta fornita da B. Cosnet, Sous le regard des vertus. Italie, XIVe siècle, Presses universitaires François-Rabelais, 2015, 83, nota 129, disponibile on-line al link https://books.openedition.org/pufr/8283.



