Roberto Benigni, Tutto Dante al Teatro Tenda di Roma. Con riconoscenza
di Andrea Lonardo

Questa breve recensione è apparsa originariamente sul Blog dei redattori de Gli scritti. Alcune trascrizioni di precedenti incontri o trasmissioni di Benigni su Dante sono disponibili sul nostro sito:

Il Centro culturale Gli scritti (19/5/2007)


“E’ questo che commuove di Dante, che ci conosce, che ci capisce”. Così Roberto Benigni in Tutto Dante al Teatro Tenda di piazzale Clodio. La pietà di Dante, la sua attenzione ad ogni storia - non solo a quelle paradisiache ma anche a quelle infernali - tutto grida nella Commedia la dignità dell’uomo, di ogni uomo. Sarà Dante a dire il nome della donna che ha parlato, senza che lei stesso lo pronunci: “Francesca”. Egli sa chi è lei, chi è colei che gli ha parlato.
Dante non scrive da moralista, ma da poeta, come uno che ci capisca e ci spieghi. Per giungere al Paradiso - sembra dirci - bisogna attraversare l’inferno. Egli lo fa per noi. Vi scende, lo attraversa, ma questo discendervi è già, in realtà, un risalire. “Egli ci guida perché lo attraversiamo ed andiamo oltre” – commenta Benigni.

“Ognuno di noi è un miracolo, ognuno di noi è di una bellezza straordinaria”. Tutta la Commedia, con la sua visione medioevale dell’uomo, ci dice la dignità del nostro essere unici, irripetibili - “c’ è qualcosa che abbiamo tutti in comune: che siamo diversi”, afferma con passione l’attore toscano.

In cosa consiste questa dignità dell’uomo, dove si manifesta, dove ci appare? “Nella sua libertà”, innanzitutto, risponde Benigni. Noi abbiamo libertà. “Dio ci ha fatti liberi al punto che possiamo competere con lui”. Si compete con Dio, gli si può dire di no, addirittura! Così grande è la libertà. Forse per questo gli ignavi sono così orrendi. “Hanno svilito la libertà”, non scegliendo. “Non possono neanche stare all’inferno perché i dannati potrebbero dir loro: ‘Siete peggio di noi’ e trovare così sollievo! Gli ignavi hanno rinunciato a quella dignità che è la libertà di scegliere; non hanno amato nulla e nessuno, non sono andati dietro neanche ad una piccola idea, ad un valore, a niente. Benigni esprime il loro atteggiamento verso la vita alla maniera romana: “Boh! A me che me frega, tanto non cambia niente”. Non hanno mai scelto.

Ma la suprema dignità della libertà non sta nel dire di no. La libertà può dire di sì. Aggiungiamo noi: può dire di sì a Dio! Qui sta la grandezza della libertà umana. Benigni torna al XXXIII del Paradiso, a Maria “termine fisso d’etterno consiglio”. Dio attende che Maria gli dica di sì. Egli non le può imporre nulla. Tutto il mondo dipende da quel “sì”. L’eterna sapienza di Dio, il suo eterno desiderio e progetto, deve passare per quell’assenso libero, che può arrestare tutto. Benigni racconta come l’uomo faccia talvolta esperienza di quest’attesa di un’eternità, quando incontra la persona che ama: “Ti ho atteso dall’eternità”. La persona amata appare come preparata da sempre per colui che la ama, eppure solo un istante prima non la conosceva ancora. Questo fa Dio: ci attende dall’eternità.

Ma la dignità dell’uomo non si manifesta solo nella libertà. Molto di più si rivela a noi nell’amore. Ed è “Gesù che ha inventato la carità, l’amore”. Benigni grida, agitandosi: “Non c’era prima, non c’era la carità prima di Gesù!”.

L’amore è sempre un altro a destarlo nel nostro cuore, non nasce da noi. “E’ Cristo che lo ha destato in noi”. L’attore racconta di Seneca, forse il più saggio dei romani, il tipo del filosofo, del sapiente. “Dinanzi ai giochi del Colosseo - alla morte di uomini per mano di uomini o di bestie - li criticava dicendo: Mi annoiano!”. Niente di più. Questo era il suo argomento più incisivo. “Gesù ci ha fatto fare un balzo in avanti di un milione di anni! Non c’era la carità prima!”

Potremmo domandare da dove venga al Cristo questa carità, chi l’abbia destata in lui. Benedetto XVI ci aiuterebbe a comprendere la risposta di sempre: “Il cuore della vita del Signore, il suo segreto, è nel suo rapporto con il Padre. Gesù è colui che è rivolto al Padre, che guarda a lui. Non è un benefattore, un buono, un generoso”.

Ma torniamo a Benigni. “L’amore è così decisivo che chi non chiarisce a se stesso cos’è, si ritrova a perdere la stessa vita!” – poiché nell’amore è tutta la dignità e la grandezza dell’uomo. “Hanno vissuto male l’amore e, quindi, non hanno vissuto!” Sono “anime affannate”, non c’è ombra di alcuna serenità possibile per loro. Nemmeno Dio può essere nominato all’inferno, solo circonlocuzioni del suo nome. Tale è il fallimento dell’amore. Ciò che hanno scelto Dio lo ritiene scelto per l’eternità – è la legge dantesca del contrappasso.

“Pietà mi giunse”. Così Dante. Benigni pone in rilievo questa partecipazione di Dante, la pietas di chi capisce, di chi porta anche solo un’ ombra di sollievo.

Con l’amore, appare l’eternità, Dio stesso. Qualcosa che era in ombra irrompe sulla scena con l’amore. Quando l’amore sorge in noi, diciamo: “Per sempre”, “Non ti lascerò mai”, “Per tutta la vita”. L’amore – grida Benigni - è sorgente di eternità, desta l’uomo all’eternità.

Perchè l’amore desta l’uomo. L’attore toscano commenta il brano evangelico della donna che perde sangue – l’emorroissa. La donna fa voltare Gesù. “Perché l’amore fa voltare. L’amore fa voltare il mondo”. Con i padri potremmo dire: “Solo l’amore genera l’amore”.

“Non c’era prima l’amore! Non lo sapevo che c’era! E’ l’altra persona a destarlo in me”. E’ la donna che perde sangue che fa voltare Gesù – ma potremmo andare a ritroso fino a comprendere che è la presenza del Signore che fa voltare la donna!

“Tutta la nostra arte, da Roma antica alla Roma papale del Rinascimento, tutta la storia italiana, tutto il medioevo dantesco ci parla di questa dignità, di questa unicità dell’uomo”. Nelle parole di Benigni traspare la coscienza della bellezza generata da questa storia.

Davide Rondoni, citato con riconoscenza nello spettacolo da Benigni, ha poi scritto, restituendo la gratitudine, su Avvenire del 29 aprile 2007 di lui e di altri artisti che recentemente hanno portato in scena Gesù: “Insieme al Papa che parla di Gesù arrivano anche loro, gli artisti. Meno noiosi dei filosofi, dei commentatori, più bizzarri e geniali, più criticabili e incostanti. Un po' come tutti, in fondo”.

Un tassello prezioso manca. Siamo così abituati a disprezzarlo che quasi si stenta ad individuarne la mancanza: è la madre chiesa, generata da Gesù per amore e, per amore, da lui donata all’uomo. E’ per lei che il nostro oggi si lega all’origine, al Cristo stesso. Senza di lei, senza la nostra appartenenza a lei, la storia di Gesù sarebbe solo una bella storia da raccontare, non la vita nella quale vivere. E’ lei, la Chiesa, che, ricca di bellezza ed insieme di rughe, ridesta continuamente in noi la carità del Cristo. E’ lei, nonostante tutto e attraverso tutto, non la nemica ma la via stessa al Cristo.


Testi su Dante presenti su questo stesso sito www.gliscritti.it

Dante a settecento anni dal viaggio della “Commedia”
Paolo VI, "Il signore dell'altissimo canto": Dante Alighieri
Il cristianesimo di Dante


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