Sussidio di pastorale battesimale a cura dell'Ufficio catechistico della diocesi di Roma. PARTE QUARTA «Quando tuo figlio ti domanderà…» (Dt 6,20). L’accompagnamento delle famiglie con figli da 3 a 6 anni

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 09 /11 /2014 - 14:33 pm | Permalink | Homepage
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Presentiamo on-line la bozza ad experimentum della Parte quarta del Sussidio di pastorale battesimale a cura dell'Ufficio catechistico della diocesi di Roma che porta il titolo «Quando tuo figlio ti domanderà…» (Dt 6,20). L’accompagnamento delle famiglie con figli da 3 a 6 anni. Per scaricare il testo in word, clicca al link seguente: Sussidio pastorale battesimale IV parte 3 6 anni.
Le prime tre parti del Sussidio sono on-line ai seguenti link:

Anche la quarta parte del Sussidio viene presentata per ricevere i necessari suggerimenti e le opportune critiche in vista della redazione definitiva.

Il Centro culturale Gli scritti (9/11/2014)

DIOCESI DI ROMA

«Andate e fate discepoli, battezzando e insegnando». Riscopriamo la bellezza del Battesimo

Sussidio di pastorale battesimale (bozza ad experimentum)

PRESENTAZIONE

«Se è vero che non possiamo più presupporre la fede, come avveniva un tempo quando i genitori e i nonni introducevano i piccoli alla fede e alla preghiera, dobbiamo rimetterci a fianco delle famiglie per camminare con loro in questa opera educativa».

Card. Agostino Vallini

Il presente sussidio prosegue l’itinerario già presentato alle parrocchie nelle sue prime tre parti che riguardavano:
- la preparazione al Battesimo con schede rivolte ai catechisti e materiale da consegnare ai genitori che chiedono il Battesimo
- il cammino dei nuovigruppi di famigliesorti dopo il Battesimo con schede che propongono la traccia per un primo anno di itinerario
- le schede pensate in forma di lettere rivolteai genitori dei bambini fino a 3 anni.

Si aggiunge ora una IV parte con proposte per le famiglie con bambini da 3 a 6 anni.

Il presente sussidio viene proposto per essere sperimentato. Ogni suggerimento migliorativo sarà bene accetto e potrà giovare per una nuova edizione del sussidio.

PARTE QUARTA

«Quando tuo figlio ti domanderà…» (Dt 6,20). L’accompagnamento delle famiglie con figli da 3 a 6 anni

Indice

Scheda n. 1 Introduzione alla IV tappa: a fianco delle famiglie con bambini da 3 a 6 anni. «Bisognosi non solo di latte, ma di cibo solido» (cfr. Eb 5,12)

La maggior parte dei bambini da 3 a 6 anni frequentano la scuola dell’infanzia, uscendo dalle mura domestiche ed iniziando una più profonda interazione con il mondo esterno.

A/ Rispondere ai perché dei bambini è il compito dei genitori

È innanzitutto l’età dei “perché”, nella quale i bambini sono pieni di domande “metafisiche” che non dobbiamo eludere. Dinanzi a questi loro interrogativi sarebbe profondamente sbagliato comportarsi in modo infantile, senza prenderli sul serio, trattando i bambini come se fossero degli stupidi. Essi domandano, ad esempio: «Ma se Dio è amore, perché ha mandato il Figlio a morire e non è venuto lui?», «Ma Gesù è esistito veramente?», «E se Dio ha creato il mondo, chi ha creato Lui?», «Mamma, ma quando morirai, potrai amarmi ancora?», «Mamma cos’è il Paradiso? E quando ci andiamo non torniamo più qui a casa? A me piace di più la mia casa perché ci sono tutti i miei giochi, lì ci sono giochi?», «Ma perché Dio ha creato proprio me?», «Se l’uomo è stato creato da Dio, e io, mamma, ci credo davvero, perché c’è stato anche l’australopiteco?».

Dinanzi a questi loro interrogativi sarebbe profondamente sbagliato comportarsi in modo infantile, senza prenderli sul serio, trattando i bambini come se fossero degli stupidi.

Per aiutare ad affrontare questi “perché” sul sito www.catechistiroma.it (che rimanda poi al Canale Youtube Catechistiroma) trovate dei brevi video, ognuno di circa tre minuti per affrontare le “domande grandi” dei bambini. La scheda n. 17 tratta delle domande dei bambini e delle risposte che i genitori possono offrire loro con semplicità.

B/ Educare genitori e figli alla liturgia, perché riscoprano il senso e la bellezza delle grandi feste cristiane

La scoperta del mondo esterno rende in questa età possibile un maggiore inserimento dei bambini nel tempo liturgico della Chiesa. Le schede nn. 2-10 sono pensate per aiutare a riscoprire e presentare la domenica e le grandi feste cristiane ai figli. Esse trattano delle grandi celebrazioni in tre anni, in maniera da poter essere utilizzate anche in maniera ciclica (ne vengono proposte 3 per ogni anno).

Queste schede potranno essere utilizzate direttamente dai genitori, ma sono state pensate anche perché siano le parrocchie a proporre tre incontri l'anno a tutti i bambini che vanno dai 3 ai 6 anni, in una riunione che coinvolga anche i genitori.

È bene che questi incontri siano brevi, per essere adatti ai bambini: debbono servire a preparare le grandi feste che poi tutta la famiglia vivrà insieme alla comunità cristiana. L'esperienza mostra che il sabato pomeriggio o la domenica dopo la messa animata dalle famiglie sono i momenti ideali per questo tipo di incontri, ma ogni comunità potrà ovviamente scegliere un orario più adatto per la propria situazione.

Non si deve dimenticare che in questa età i bambini crescono nella fede non solo tramite le parole, ma vivendo i riti e percependone la bellezza. Possono perciò vivere con gioia incontri nei quali brevemente - si possono ipotizzare celebrazioni che durino una ventina di minuti - vengono presentate loro, circondati dai genitori, le feste che la comunità cristiana si sta preparando a vivere.

Imparando i canti, rivisitando i segni tipici delle feste (ad esempio i personaggi del Presepe a Natale, il segno dell’acqua Battesimale a Pasqua, la bellezza dei doni il giorno dell'Epifania, ecc.), ascoltando una pagina del Vangelo, recitando il Padre nostro e le altre preghiere, i bambini entrano nel ritmo dell’anno liturgico. I genitori, dal canto loro, trovandosi ad accompagnarli, possono riscoprire la bellezza della liturgia come realtà sempre nuova e significativa.

Non dobbiamo mai dimenticare che la veste bianca del Battesimo, le ceneri dell’inizio della Quaresima, i rami di ulivo della Domenica delle Palme, le candele della Candelora e così via, non sono feticci, ma segni che parlano a grandi e bambini. Tanti genitori ricordano che le loro mamme conservavano in una scatola la veste bianca e la candela del loro Battesimo perché non andassero perdute ed i figli le potessero così ritrovare da grandi! Oppure ricordano la benedizione della mensa fatta dal padre il giorno di Pasqua.

La logica del segno liturgico è in fondo la logica del dono: la Chiesa dona segni tangibili perché l’uomo possa vivere corporalmente la comunione con Dio. Questa logica del segno deve sempre di nuovo essere riscoperta nella trasmissione della fede.

Sarebbe bene che questi incontri in parrocchia non si limitassero al momento catechetico e celebrativo, ma potessero poi proseguire con un momento di fraternità nel quale fare merenda insieme genitori, figli e catechisti.

In queste occasioni i catechisti possono poi mettere a disposizione, in prestito o in vendita, libri sulla fede adatti ai bambini ed ai genitori.

C/ Educare al raccoglimento e alla preghiera

Queste celebrazioni potranno preparare anche ad una prima educazione al silenzio ed al raccoglimento, che sono così necessari per una vera maturazione dei bambini.

Le schede nn. 11-13 vogliono sostenere le famiglie perché introducano i figli nel grande “mistero” della preghiera: presentano le grandi preghiere cristiane ai genitori perché le possano riscoprire ed insegnare ai piccoli.

La preghiera, infatti, è decisiva per un vero cammino di fede: si pensi solo al fatto che un quarto del Catechismo della Chiesa Cattolica è dedicato alla preghiera personale. Trascurare di insegnarla vuol dire sottrarre la quarta parte della fede a coloro che dobbiamo educare!

I bambini di questa età sono particolarmente desiderosi di maturare nella preghiera, perché ne avvertono il significato. Amano profondamente i loro genitori, ma insieme percepiscono che la vita è più grande della loro famiglia: sono capaci, ad esempio, di pregare Dio Padre perché protegga il loro papà, mostrando di invocare una paternità più grande, quella divina, rispetto a quella che sperimentano in famiglia.

D/ Diventare amanti del bene

Ma l’età che va dai 3 ai 6 anni è anche quella in cui si sviluppa il senso morale. Gli studi moderni riconoscono inadeguata la prospettiva di Piaget che riteneva “premorale” il bambino fino ai 5 anni: già nei primi 18 mesi, infatti, il bambino sviluppa un senso morale ed ha aspettative legate al bene ed al male. Soprattutto dai 3 anni emerge in lui il bisogno di una prima chiarezza intorno a questi temi[1]. È il bambino stesso che vuole sapere cosa è bene e cosa è male.

Le schede nn. 14-16 vogliono offrire un primo contributo perché i genitori non dimentichino mai che il senso morale matura innanzitutto in famiglia. È in casa, infatti, che si impara a condividere con i fratelli. È in casa che si impara ad avere rispetto dei genitori e dei nonni. È in casa che si impara ad attendere i tempi degli altri, a sacrificarsi, a donare.

Una scheda in particolare, la n. 16 vuole ricordare che la carità non conosce limiti di età. L'educazione dei figli è un'occasione perché la famiglia riscopra come essere aperta e vivere nella carità e come gli stessi bambini possano dilatare il loro cuore e divenire migliori iniziando un cammino di carità fin da piccoli.

Testi per meditare

Da Papa Francesco
Quando ero Arcivescovo […] avevo modo di parlare più frequentemente di oggi con i ragazzi e i giovani e mi ero reso conto che soffrivano di orfandad, cioè di orfanezza. I nostri bambini, i nostri ragazzi soffrono di orfanezza! Credo che lo stesso avvenga a Roma. I giovani sono orfani di una strada sicura da percorrere, di un maestro di cui fidarsi, di ideali che riscaldino il cuore, di speranze che sostengano la fatica del vivere quotidiano. Sono orfani, ma conservano vivo nel loro cuore il desiderio di tutto ciò! Questa è la società degli orfani. Pensiamo a questo, è importante. Orfani, senza memoria di famiglia: perché, per esempio, i nonni sono allontanati, in casa di riposo, non hanno quella presenza, quella memoria di famiglia; orfani, senza affetto d’oggi, o un affetto troppo di fretta: papà è stanco, mamma è stanca, vanno a dormire… E loro rimangono orfani. Orfani di gratuità: quello che dicevo prima, quella gratuità del papà e della mamma che sanno perdere il tempo per giocare con i figli. […] Gesù ci ha fatto una grande promessa: “Non vi lascerò orfani” (Gv 14,18), perché Lui è la via da percorrere, il maestro da ascoltare, la speranza che non delude. Come non sentire ardere il cuore e dire a tutti, in particolare ai giovani: “Non sei orfano! Gesù Cristo ci ha rivelato che Dio è Padre e vuole aiutarti, perché ti ama”. Ecco il senso profondo dell’iniziazione cristiana: generare alla fede vuol dire annunziare che non siamo orfani.

Da Sofia Cavalletti

«Nell’aiutare la vita religiosa del bambino, lungi dall’imporgli qualcosa che gli è estraneo, rispondiamo a una sua silenziosa richiesta». Perché il bambino – afferma – è un “metafisico”, come provano le sue domande: «Chi è Dio? Dove stavo prima di nascere? Con chi stava Dio prima della creazione? Dove sta la nonna che è morta? A te piace la vita?». «La grande disciplina che impone la catechesi dei piccoli è proprio questa: la fedeltà all'essenziale. Nella scelta dei temi e nel modo di presentarli. Si vede chiaramente soprattutto in un bambino piccolo: se si abborda una cosa secondaria, ti accorgi subito che non ti segue […] Il limitato non è attraente, è l'immenso; il mistero che attrae [il bambino e l’uomo].».

Da Papa Benedetto XVI

Fin da piccoli, i bambini hanno bisogno di Dio, perché l'uomo dall'inizio ha bisogno di Dio, ed hanno la capacità di percepire la sua grandezza; sanno apprezzare il valore della preghiera - del parlare con questo Dio - e dei riti, così come intuire la differenza fra il bene ed il male. Sappiate, allora, accompagnarli nella fede, in questa conoscenza di Dio, in questa amicizia con Dio, in questa conoscenza della differenza tra il bene e il male. Accompagnateli nella fede sin dalla più tenera età.

E come coltivare poi il germe della vita eterna a mano a mano che il bambino cresce? San Cipriano ci ricorda: "Nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre". Ed è perciò che non diciamo Padre mio, ma Padre nostro, perché solo nel "noi" della Chiesa, dei fratelli e sorelle, siamo figli. Da sempre la comunità cristiana ha accompagnato la formazione dei bambini e dei ragazzi, aiutandoli non solo a comprendere con l’intelligenza le verità della fede, ma anche a vivere esperienze di preghiera, di carità e di fraternità.

Da Papa Francesco
È come se l'Europa si fosse stancata di fare la mamma, preferendo fare la nonna. L'altro giorno leggevo una statistica sui criteri di spesa della popolazione a livello mondiale. Dopo alimentazione, vestiti e medicine, tre voci necessarie, seguono la cosmetica e le spese per animali domestici. Perché il rapporto affettivo con gli animali è più facile, maggiormente programmabile. Un animale non è libero, mentre avere un figlio è una cosa complessa.

Scheda n. 2 (per gli incontri del I anno) Invitati alla mensa della Parola e dell'Eucarestia.

Nel presentare per la prima volta la Messa ai bambini è bene partire da ciò che è centrale in essa. Non è importante che i piccoli ne capiscano ogni sua parte: ciò avverrà semplicemente partecipandovi. È importante invece andare subito al cuore dell'Eucarestia, perché i bambini perché lo abbiano subito chiaro. Si può tranquillamente affermare che il cuore dell’educazione cristiana dei figli da 3 a 6 anni è la celebrazione eucaristica: dove la famiglia partecipa insieme alla Messa e all’anno liturgico con gioia e serenità, ecco che l’educazione dei figli alla fede è garantita, perché è garantita la fede dei genitori ed il loro cammino cristiano. I genitori debbono preoccuparsi di essere cristiani loro: questo aiuterà i loro figli. I genitori debbono preoccuparsi di pregare e di celebrare ed i figli pregheranno e vivranno la liturgia vedendoli vivere

I due punti centrali dell'Eucarestia sono la proclamazione del Vangelo e la Consacrazione. Nel presentare la Messa ai bambini al principio basta soffermarsi su questi due momenti e farne percepire almeno in germe la loro bellezza. Non è poco se i bambini impareranno a riconoscere ed amare questi due momenti. Nell’introduzione a questa IV tappa si è già spiegato che la presentazione della Messa potrebbe essere fatta dal parroco, riunendo tutti i bambini dai 3 ai 6 anni ed, intorno a loro, tutti i genitori, invitando poi le famiglie ad approfondire l’incontro con i bambini nelle case. Le Indicazioni operative al termine di questa scheda spiegano meglio tutto questo. 

Il canto dell'Alleluia, prima della proclamazione del Vangelo

Non si deve dimenticare che, mentre l'adulto forse è colpito da ciò che cambia ogni volta, il bambino invece gode nel vedere ciò che si ripete, ciò che permane, ciò che il rito ripropone sempre uguale. Per questo, piuttosto che spiegare all'inizio i singoli brani del Vangelo è bene mostrare come la sua lettura è sempre preceduta dal canto dell'Alleluja. Il racconto della vita di Gesù è talmente bello che prima di ascoltarlo ci si prepara cantando. Ai bambini piacerà scoprire che Alleluja è una parola ebraica, la stessa lingua che parlava Gesù. E sapere che quella parola vuol dire “lodate Dio”, “alelu Ya” (dove “alelu” vuol dire “lodate” e “Ya” è l'abbreviazione di “Yahve”, il nome di Dio in ebraico). Con quel canto il popolo ebraico ha lodato il Signore fin dalle sue origini. La gratitudine va a Dio per qualche dono specifico che ci fa, la lode, invece, sale a Lui semplicemente perché Egli è ed è presente. Ora questa lode è divenuta perfetta perché Dio è venuto in mezzo a noi, donandoci il suo Figlio. Per questo la Chiesa canta l'Alleluja prima ancora di sapere quale racconto o parola Gesù ci dirà, semplicemente perché è Lui che ci parla.

È molto importante insegnare ai bambini a cantare l'Alleluja. Sarà bene, ovviamente, scegliere la melodia dell'Alleluja che si canta abitualmente nella Messa frequentata dalle giovani famiglie. Il canto piace moltissimo ai bambini e la loro gioia fa riscoprire anche ai genitori quanto sia bello esprimere la lode di Dio cantando.

Dopo aver insegnato il canto, si può proseguire spiegando ai bambini che ci si segna con il segno della croce sulla fronte, sulla bocca e sul cuore, perché la Parola che ascolteremo si imprima nella nostra mente, nel nostro cuore e sia ripetuta dalle nostre labbra. Questo permetterà loro di partecipare con quel gesto semplicissimo alla liturgia ogni volta che si recheranno a messa con i loro genitori, imparando ad individuare quando viene proclamato il Vangelo, la Parola di Gesù.

I genitori saranno invitati, invece, a leggere il Vangelo della domenica in casa con i figli prima di venire a Messa, o a parlarne quando, terminata la celebrazione, si ritroveranno in famiglia. Sarà bene anche mostrare ai genitori un Messalino o dare indicazioni sui siti Internet che pubblicano ogni settimana la liturgia domenicale per spiegare loro come possono trovare con facilità il Vangelo della Messa domenicale.

Si può offrire ai genitori, se non è stato già fatto, anche la scheda n. 7 della III tappa che presenta la bellezza del giorno del Signore nella vita della famiglia e della comunità parrocchiale.

La Consacrazione

L'incontro può proseguire poi con la presentazione della Consacrazione (ma si potrebbe pensare anche ad un secondo incontro successivo). Il sacerdote spiegherà che in quel momento si invoca il Padre perché mandi lo Spirito Santo, mostrando il gesto dell'epiclesi. La liturgia è fatta non di concetti, ma di gesti ed i bambini sono attentissimi ai gesti che imparano a riconoscere e ad amare. Farà ascoltare poi ai bambini le parole della Consacrazione, mostrandone ancora una volta i gesti. Spiegherà così che proprio perché Gesù è risorto ed è il vivente può servirsi del sacerdote per donare se stesso. Egli ha il potere di entrare nel nostro tempo e di donarsi proprio perché, dopo la morte, è risorto, a differenza di tutti gli uomini del passato. E si dona a noi e ci incontra e ci ama, proprio perché noi abbiamo bisogno di Lui come del pane che ci nutre e come del vino che rende allegra la vita dei grandi. Veramente quel pane e quel vino diventano il suo corpo ed il suo sangue. Nel linguaggio di Gesù dire il “mio corpo” ed il “mio sangue” non significa “dire” separatamente delle parti di sé. “Questo è il mio corpo” vuol dire “questo sono io stesso”, “questo è il mio sangue” vuol dire “questo sono io stesso”.

Nell'incontro sarà bene mostrare la patena ed il calice e farli anche prendere in mano ai bambini, spiegando però che è solo il sacerdote a poter fare la Consacrazione.

Infine, sarà molto importante spiegare ai bambini il gesto dell'inginocchiarsi, mostrandolo loro ed in invitandoli a ripeterlo. L'uomo non piega il suo capo e le sue ginocchia dinanzi a nulla e a nessuno, perché è costituito figlio da Dio Padre e, quindi, libero. Ma dinanzi a Gesù l'uomo si inginocchia perché sa quanto grande sia il suo amore, perché riconosce quanto è grande che Gesù si doni a noi. Solo dinanzi a Dio noi ci inginocchiamo e questo gesto dice quanto Egli sia unico per noi.

Durante la Consacrazione tutti tacciono, proprio perché è la salvezza di Dio che giunge a noi e tutti siamo concentrati nell'accoglierla. Ed è importantissimo anche insistere su questo silenzio, su questo raccoglimento che si deve creare al momento della Consacrazione e che anche i bambini debbono vivere. Solo più tardi essi potranno ricevere la Comunione, ma già ora possono desiderarla con quel silenzio ed accogliere Gesù che viene in mezzo a noi.

L'incontro si potrà concludere portando i bambini dinanzi al Tabernacolo e facendo fare loro il gesto della genuflessione, lasciandoli un istante in silenzio a dire a Gesù il loro grazie o le loro richieste.

Indicazioni operative

N.B. Le indicazioni che seguono valgono per tutte le schede nn. 2-10

È bene che l'incontro sia presieduto dal sacerdote che presiede la messa abitualmente frequentata dalle famiglie. I bambini hanno bisogno di incontrare ripetutamente il sacerdote che li accompagna, perché accolgono volentieri le parole di un volto che conoscono e da cui si sentono amati. Pian piano impareranno anche che un sacerdote è importante a motivo della sua ordinazione, al di là della persona concreta di questo o quel sacerdote.

Si consiglia di invitare insieme tutti i bambini che hanno dai 3 ai 6 anni insieme ai loro genitori. A loro non crea eccessivo problema la diversità di età quando si tratta di vivere insieme un momento in cui sono i grandi a raccontare loro qualcosa. Tenere insieme le diverse età semplifica, ovviamente, il lavoro del sacerdote e dei catechisti. Solo se il numero dei partecipanti dovesse essere molto alto, si potrà pensare allora ad una suddivisione.

Sarà utile sistemare una sala parrocchiale con un grande tappeto al centro del quale siederanno i bambini, mentre intorno al tappeto possono essere disposte le sedie sulle quali siederanno i genitori che accompagnano i figli.

Il sacerdote spiegherà che l'incontro non sostituisce la celebrazione vera e propria che si svolgerà di domenica insieme a tutti i cristiani della parrocchia nella chiesa, ma che è invece un'occasione per prepararsi ad essa. In questa maniera aiuterà i bambini fin dall'inizio a capire che la liturgia non può essere infantilizzata. Anzi essa è la celebrazione di tutti, ma proprio perché è così preziosa  i grandi sono felici di mostrarne ai piccoli la bellezza, perché essi vengono pian piano preparati a divenirne pienamente partecipi.

Nella celebrazione preparatoria con i bambini, si utilizzeranno i segni e gli oggetti veri della liturgia permettendo ai bambini di vederli da vicino e di toccarli per familiarizzarsi con essi, ma si avrà cura di ricordare che essi saranno poi utilizzati realmente la domenica.

Ad esempio, in questo primo incontro si potranno utilizzare il calice e la patena, si potranno mostrare le particole e farle assaggiare, si potrà far versare ai bambini alcune gocce d'acqua nel calice del vino, ma avendo sempre cura di spiegare che solo nel contesto celebrativo domenicale quei gesti assumono il lor pieno significato. 

I catechisti potranno insegnare i canti - nel primo incontro, ad esempio, l'Alleluia - facendolo ripetere finché non sia stato appreso.

Sarebbe bello, ove possibile, concludere l'incontro con una merenda: essa permetterebbe non solo di dare più spazio all'incontro personale, ma anche di aiutare le famiglie a conoscersi vicendevolmente.

Sarebbe utile far trovare sempre in occasione di questi incontri un tavolo con alcune proposte librarie, ma anche con DVD e CD utili per approfondire la fede cristiana, adatti ai genitori con figli di questa età.

Il sacerdote potrebbe incoraggiare al termine dell'incontro genitori e figli a ritornare su quanto scoperto insieme in un dialogo a casa. L'esperienza insegna che questo avverrà comunque per la curiosità innata dei bambini: essi, avendo scoperto che è possibile porre domande su ciò che avviene durante la messa, non mancheranno di farlo non appena ne sentiranno l'esigenza.

Testi per meditare

Da Papa Francesco
Voi sapete una delle periferie che mi fa così tanto male che sento dolore - lo avevo visto nella diocesi che avevo prima? È quella dei bambini che non sanno farsi il Segno della Croce. A Buenos Aires ci sono tanti bambini che non sanno farsi il Segno della Croce. Questa è una periferia! Bisogna andare là! E Gesù è là, ti aspetta, per aiutare quel bambino a farsi il Segno della Croce. Lui sempre ci precede.

Da Papa Francesco
Cari amici, non ringrazieremo mai abbastanza il Signore per il dono che ci ha fatto con l’Eucaristia! E' un dono tanto grande e per questo è tanto importante andare a Messa la domenica. Andare a Messa non solo per pregare, ma per ricevere la Comunione, questo pane che è il corpo di Gesù Cristo che ci salva, ci perdona, ci unisce al Padre. E' bello fare questo!
E tutte le domeniche andiamo a Messa, perché è il giorno proprio della risurrezione del Signore. Per questo la domenica è tanto importante per noi. E con l'Eucaristia sentiamo questa appartenenza proprio alla Chiesa, al Popolo di Dio, al Corpo di Dio, a Gesù Cristo. Non finiremo mai di coglierne tutto il valore e la ricchezza. Chiediamogli allora che questo Sacramento possa continuare a mantenere viva nella Chiesa la sua presenza e a plasmare le nostre comunità nella carità e nella comunione, secondo il cuore del Padre.

Da Papa Francesco
EG 174 Abbiamo ormai superato quella vecchia contrapposizione tra Parola e Sacramento. La Parola proclamata, viva ed efficace, prepara la recezione del Sacramento, e nel Sacramento tale Parola raggiunge la sua massima efficacia.

Scheda n. 3 (per gli incontri del I anno) Il Natale

Fra le feste dell’anno il Natale è evidentemente quella che si lega immediatamente al mondo dei bambini. È stato giustamente osservato che la gioia con cui il Cristo bambino viene accolto nel mondo, la felicità non solo di Maria e di Giuseppe, ma anche dei pastori e poi dei Re Magi, viene avvertita dal bambino come segno che anche la sua nascita è stato un avvenimento gioioso per i suoi genitori e per la comunità. Ci sono poi riti e tradizioni i cui simboli (la luce, la capanna, la stella …) sono alla portata dei bambini e li coinvolgono in una sfera profonda.

Ma il bambino è in grado di percepire anche il significato profondo di tutto ciò: l'Incarnazione. Egli gioisce quando si sente annunziare che quel Dio che l'uomo, fin dalla preistoria, ha cercato senza riuscire a trovare ora ha deciso di farsi carne, di farsi uomo, per venire ad abitare in mezzo a noi.

La centralità della Pasqua non deve mai farci dimenticare che essa, senza il Natale, non avrebbe alcun significato. La resurrezione di Gesù non è come la resurrezione di Lazzaro, destinata ad una successiva nuova morte: è la resurrezione del Figlio di Dio che, proprio per essersi fatto carne, è in grado di salvare ogni uomo. Non è un caso che tutti i sette Concili del primo millennio si siano concentrati sul “mistero” dell'Incarnazione, perché il Natale è la svolta determinante della storia della salvezza.

È importante che i bambini comincino a comprendere - anche se avranno bisogno di anni per maturare il senso del tempo e della storia - che con il Natale di Gesù noi misuriamo il tempo. Da quel giorno tutto è cambiato. I bambini sono pieni di “perché” e si domandano come è fatto Dio e come si può essere sicuri che Egli esiste, chiedendo ai genitori se sono sicuri che il cristianesimo è vero. Debbono essere presi sul serio nel loro interrogare: la fede cristiana è vera perché il Dio infinito si è fatto carne. Nessun uomo si era mai immaginato che questo potesse avvenire.

Gesù Bambino e/o Babbo Natale? Un falso problema

Per questo non è un problema che i genitori raccontino ai figli di Babbo Natale. Figure come la sua  hanno sempre accompagnato la vita dei bambini. Fanno parte di quel mondo magico (basta pensare al topolino che porta un regalo ogni volta che cade un dentino) di cui il bambino ha bisogno per arrivare pian piano a una percezione piena della realtà. L'esperienza insegna che il bambino sarà capace da solo di distinguere la verità della fede e la “finzione” della favola e che non è il caso che noi adulti poniamo eccessiva enfasi in questa distinzione. Una esperta di catechesi raccontava sempre lo stupore che aveva provato dinanzi ad una bambina piccolissima che, dinanzi alla statuetta del presepe che rappresentava Gesù Bambino, aveva detto: «Questo non è una bambola», esprimendo con la semplicità delle sue parole la consapevolezza della realtà e dell'importanza di quel Bambino.

Semmai è importante per gli adulti sapere che Babbo Natale è, in realtà, San Nicola, reinterpretato prima in chiave protestante e poi colorato con i colori pubblicitari della Coca Cola (per un approfondimento su questo, cfr. l’articolo “Breve nota sulle figure di Babbo Natale (da San Nicola, a Santa Claus, a Babbo Natale, passando per la Coca Cola)” e della Befana, a cura dell’Areopago sul sito www.gliscritti.it ).

Ma ciò che veramente conta è trasmettere l'amore a Gesù che nasce, perché in Lui Dio si fa uomo.

La presentazione del Natale in parrocchia da parte del sacerdote e la preghiera fatta in famiglia sono sufficienti a segnalare al piccolo lo spartiacque tra il mondo della fede e quello fiabesco, senza bisogno di insistere sulla distinzione fra questi due mondi.

La presentazione del racconto della nascita del Signore ed il Presepio

Nel corso dell'incontro il sacerdote ed i catechisti potranno sintetizzare le narrazioni evangeliche che raccontano la nascita di Gesù, componendo in un unico racconto Matteo e Luca. Sarebbe sbagliato presentare a bambini così piccoli uno solo dei due vangeli, poiché essi hanno bisogno di stupirsi del fatto dell’Incarnazione. Entrambi gli evangelisti – si può dire ai bambini che tanti sono i testimoni della nascita di Gesù, perché ne parlano anche San Marco, San Giovanni, San Paolo, ecc.: è importante sottolineare fin dall'inizio che quel Bambino è l'Emmanuele atteso da tanto tempo: Dio ha preparato la sua venuta, annunciando al popolo ebraico una speranza che non avrebbe deluso. Quell’attesa si compie ora nel Figlio di Dio, prima annunziato a Maria e poi da lei dato alla luce. Si può sottolineare, se i bambini chiedono cosa raccontano gli altri vangeli che il vangelo di Marco si apre con la proclamazione dei titoli dati a Gesù di Cristo e di Figlio di Dio e che soprattutto Giovanni insiste sull'incarnazione del Verbo di Dio.

Alla narrazione si può collegare immediatamente la presentazione dei personaggi del Presepe che aiutano a visualizzare quanto è stato loro raccontato. Si potranno presentare i diversi personaggi, ognuno con il suo specifico lavoro e con i suoi attrezzi, che stanno intorno alla culla, per indicare che ogni uomo è atteso come invitato per quella nascita. Ma ci si soffermerà, ovviamente, poi sui grandi protagonisti della Natività: Maria, Giuseppe e Gesù. Questo aiuterà i bambini a comprendere che quanto verrà poi fatto in casa dai genitori appartiene alla tradizione dell'intera Chiesa. Tutte le famiglie cristiane preparano il Natale con gli stessi segni.

Dove è tradizione, si potranno invitare le famiglie alla benedizione delle singole statuine del Presepe in giorno di domenica.

Indicazioni operative

Come dare ai bambini una parte attiva nella realizzazione del presepio? Bisogna tener presente sia la tradizione della famiglia (in casa c’è quasi sempre uno spazio più o meno grande per il presepio), sia il coinvolgimento del bambino in rapporto alla sua età. Almeno fino ai 3 anni converrà realizzare due presepi distinti: uno del bambino e uno della casa.

A quello della casa penseranno i genitori, chiamando eventualmente ad assistere e a collaborare per piccole cose il bambino (ma non va dimenticato un'altra possibilità, quella dell’effetto sorpresa, quando si prepara di nascosto il Presepe e lo si mostra al bambino già completamente realizzato con le sue luci).

Ma sarà importante, almeno a partire dai 2 anni, che il bambino possa lavorare sul primo, quello personale. Come? Si prendono i personaggi e le cose essenziali legate alla scena della Natività e li si usa per presentare il racconto in maniera animata.

Ecco una possibile traccia da seguire:

«Gesù nacque a Betlemme, un piccolo paese della Giudea. Sua madre si chiamava Maria (eccola) e suo padre su questa terra Giuseppe (eccolo), ma egli era il Figlio di Dio, poiché Dio voleva mostrarci il suo volto. Giuseppe e Maria erano arrivati a Betlemme dopo un lungo viaggio. Maria era incinta, cioè aspettava Gesù, e viaggiava su un asinello come questo… Arrivati a Betlemme, Giuseppe e Maria cercarono posto in una casa confortevole, ma non lo trovarono, anche perché erano poveri. Così Gesù venne alla luce in una capanna e fu messo sopra una mangiatoia, lì dove i contadini mettono il fieno per gli animali. E infatti in quella capanna c’erano pure un bue (eccolo) e l’asinello su cui aveva viaggiato Maria (eccolo). Era piccolo Gesù, come tutti i neonati del mondo, come questo (eccolo)».

Completato il racconto animato si lascia il materiale a disposizione del bambino che, quando vorrà, potrà ripetere da solo la scena che ha sentito e visto animare dal padre o dalla madre.

Certamente dai 3 anni in su sarà bene che il bambino faccia un proprio presepe nella sua stanzetta, mentre collabora alla realizzazione di quello della famiglia.

Qui si aprono, come è ovvio, possibilità molto semplici e belle di attività comuni dei genitori con i figli. I bambini potranno andare con i genitori in un parco a raccogliere il muschio, dei legnetti o un po’ di ghiaia e altre cose da mettere nel presepio. Si potrà andare insieme a comprare nuove statuine o le carte speciali per fare il cielo e le montagne… Poi, a mano a mano che i bambini cresceranno, potranno anche dare un contributo personale - in rapporto alle capacità acquisite - alla costruzione concreta del presepio importante della casa.

Un momento di preghiera davanti al presepio

Il Presepe deve essere legato al tempo liturgico. Anche nel caso in cui il presepio fosse pronto da qualche giorno, è importante che il Bambino Gesù venga collocato al suo posto - e può essere il bambino stesso a farlo - proprio la notte di Natale, o al mattino seguente, se nella notte il bambino non riuscisse a stare sveglio, ma mai prima. Il momento deve essere vissuto con solennità, alla presenza di tutta la famiglia. Sarà bello leggere il brano del Vangelo di Luca che parla della nascita di Gesù (Lc 2,1-14). Ma la cosa più importante è avere un breve momento di preghiera spontanea: del padre, della madre e, se è in grado di farlo, del bambino stesso e di altri fratelli, se già ci sono. Alla fine è opportuno invitare tutti a rimanere qualche momento in silenzio, pregando nel segreto del proprio cuore. Questo aiuta a curare il proprio rapporto personale con Dio. Si ricorderà ai bambini che il Signore conosce i nostri cuori perché ci ama e, quindi, non dobbiamo avere paura di parlargli nel silenzio.

Si possono naturalmente trovare altre modalità (ad esempio recitare il Padre nostro), ma il momento di preghiera dinanzi al presepio non deve mancare. Vedere la propria famiglia pregare aiuta il bambino a cogliere - più di tante parole - la dimensione religiosa della realtà e della sua vita.

È bene aprire i regali di Natale solo dopo aver posto il bambino nel Presepe, proprio perché di quel dono essi sono segno.

Un discorso analogo vale per i Re Magi. Si tornerà a parlarne nelle schede successive, ma si può dire fin da ora che è bene che i tre personaggi trovino posto nel presepio solo nella notte o al mattino del giorno dell’Epifania. Si potranno presentare al bambino per nome (ecco Gaspare, ecco Melchiorre, ecco Baldassarre) e spiegare chi sono (persone sagge che vengono da molto lontano), sottolineando che rappresentano gli uomini di tutto il mondo desiderosi di conoscere e di adorare Gesù. Anche in questo caso sarà opportuno concludere con una preghiera.

L’albero di Natale

A differenza di quanto si pensa, l’albero di Natale ha un profondo significato religioso. È l’albero della vita di cui parla la Genesi (Gn 2,9). Dagli studi recenti risulta che nel Nord Europa, dove si è sviluppata questa tradizione nel Medioevo, un albero trovava posto, sotto forma di abete, nelle sacre rappresentazioni sulla Natività. Certo l'utilizzo dell'albero come segno di vita riprendeva anche le tradizioni pre-cristiane che, se sane e belle, il cristianesimo non ha mai disprezzato, ma esse assumevano ora un nuovo e più profondo significato: con la nascita di Gesù era la creazione intera che tornava a fiorire e, quindi, l'albero della vita che era stato promesso all'uomo all'inizio della creazione, ricominciava a dare i suoi frutti.

Tutti i doni che Dio ci offre, donandoci il suo Figlio, sono oggi rappresentati dalle palline e dagli oggetti multicolori con cui si addobba l'albero di Natale: è come se tutto divenisse segno del dono più bello, il Bambino Gesù, che fa fiorire tutto ciò che esiste e che porta con sé tutti i doni di Dio.

È bene coinvolgere i bambini nella sua preparazione? Come per il presepio, si possono scegliere vie diverse: saranno i genitori a valutare in rapporto all’età e all’interesse dei bambini. Per chi ritiene importante l’effetto sorpresa, l’albero potrebbe essere preparato quando i bambini non sono in casa, o la notte, dopo che i piccoli sono andati a dormire. Quando se lo troveranno davanti facilmente scatterà in loro lo stupore e la meraviglia (specie se l’albero presenterà delle novità rispetto all’anno precedente). Altrimenti potrà essere preparato con il loro aiuto.

Ciò che in ogni caso non dovrà mai mancare è la spiegazione del significato religioso dell’albero insieme a una preghiera spontanea che potrà essere di questo tipo:

«Signore, abbiamo fatto l’albero di Natale per ricordarci che tu ci vuoi bene e ci riempi sempre di doni. Tutte le cose belle che vi abbiamo appeso ci ricordano i doni con cui tu riempi la nostra vita. E soprattutto il dono più grande, più straordinario, che tu ci hai fatto: Gesù, il nostro Salvatore che sta per arrivare tra noi nella Notte Santa di Natale. Grazie, Signore, per il tuo dono».

Canti di Natale

Ai bambino piacciono molto la musica ed i canti: questi lasciano in lui un segno profondo.  La tradizione dei canti di Natale è vastissima e tutti ne conoscono almeno qualcuno. Il sacerdote li canterà con i catechisti ed i genitori durante l'incontro, presentandone anche alcuni versi. Ma soprattutto sarà poi importante e bello che i genitori li cantino (vincendo quel pudore che può nascere in questi casi) con i loro bambini in casa. I piccoli li imparano semplicemente sentendoli ripetere e dopo poco tempo sono loro stessi a desiderare di ascoltarli ancora, chiedendo spiegazioni sul significato di espressioni che non hanno compreso. Il canto ha un potere di creare un clima di festa e di gioia come nessun'altra cosa è in grado di fare. Ed è stato assunto dalla liturgia cristiana proprio perché senza di esso l'uomo non è in grado di esprimere pienamente la sua preghiera.

Libri di Natale

Esistono libri molto belli sul Natale adatti ai bambini. Possono essere sfogliati e letti ai bambini (con il loro ricco corredo di immagini) durante l’Avvento. Durante l'incontro alcuni di questi libri possono essere messi a disposizione delle famiglie perché li acquistino o li prendano in prestito.

È la bellezza del Natale che aiuta le famiglie a vincere il rischio della sua banalizzazione commerciale

È veramente noioso il continuo richiamo moralistico che a volte sentiamo ripetere contro le derive consumistiche del Natale. L'esperienza mostra che quando il suo vero significato è al centro, tutte le altre cose vanno al loro posto naturalmente, perché divengono semplicemente espressione di un motivo reale di festa. Sarà certamente importante non stordire i bambini con un eccesso di stimoli, ma anzi vivere con loro istanti di raccoglimento, come nella preghiera dinanzi al Presepe. Anche la condivisione e la carità avranno il loro posto, innanzitutto perché il Natale “obbliga” all'incontro con tanti parenti ed amici ed il bambino imparerà insieme ai suoi genitori il senso dell'accoglienza, del rispetto, della cura per tutti, anche per le persone che non si sono scelte, ma che appartengono alla propria famiglia e che possono essere talvolta meno simpatiche di altre. Potrà, inoltre, cominciare ad offrire i suoi disegni ai genitori ed il papà potrà preparare con lui qualcosa per la mamma e viceversa, spiegando che più che gli oggetti concreti ciò che l'altro apprezza è la sincerità dell'amore. Infine si potrà scegliere un dono di carità da fare alle persone bisognose che si conoscono, coinvolgendo il bambino nella riflessione su questo gesto.

Il dialogo con i nonni per valorizzare la memoria della tradizione

Sarà importante suggerire ai bambini, tramite i genitori, di interrogare i nonni su come vivevano il Natale quando erano giovani. Questo non solo aiuterà le diverse generazioni a trovare il coraggio di raccontarsi la bellezza di una vita vissuta, ma permetterà anche ai bambini di percepire che il Natale è una festa antichissima che unisce tutte le generazioni, perché l'Incarnazione è veramente l'evento che ha cambiato la storia di tutti.

Testi per meditare

da un appunto di Giovanni Battista Montini (il futuro Paolo VI)

Come quando in una notte buia s'accende un lume le cose d'intorno e gli spazi prendono forma e misura, così all'apparire di Cristo, ogni cosa acquista un senso, un valore. Non è ancora luce piena, ma già basta per istruirci e per riempirci di meraviglia e d'ansia di nuovo sapere.

da Papa Francesco

Dio mai dà un dono a chi non è capace di riceverlo. Se ci offre il dono del Natale è perché tutti abbiamo la capacità di comprenderlo e riceverlo. Tutti, dal più santo al più peccatore, dal più pulito al più corrotto. Anche il corrotto ha questa capacità: poverino, ce l'ha magari un po' arrugginita, ma ce l'ha. Il Natale in questo tempo di conflitti è una chiamata di Dio, che ci dà questo dono. Vogliamo riceverlo o preferiamo altri regali? Questo Natale in un mondo travagliato dalle guerre, a me fa pensare alla pazienza di Dio. La principale virtù di Dio esplicitata nella Bibbia è che Lui è amore. Lui ci aspetta, mai si stanca di aspettarci. Lui dà il dono e poi ci aspetta. Questo accade anche nella vita di ciascuno di noi. C'è chi lo ignora. Ma Dio è paziente e la pace, la serenità della notte di Natale è un riflesso della pazienza di Dio con noi.

Scheda n. 4 (per gli incontri del I anno) Vivere la Pasqua con i bambini

Solo in apparenza la Pasqua è una festa di difficile comprensione per i bambini. Alcuni ritengono a torto che sia sbagliato parlare di Cristo risorto, perché ciò implica parlare prima della sua morte: secondo costoro il mistero della fine della vita deve essere nascosto ai bambini, perché altrimenti essi crescerebbero nell'ansia e nella paura.

La realtà invece è molto più semplice. I bambini sanno già che esiste la morte e ne hanno paura. Ciò che li rasserena veramente è la scoperta che c'è uno, il Signore Gesù, che ha vinto la morte. Per questo è sbagliato insistere con i bambini sul fatto che la morte è il destino di tutti - essi già lo sanno e pongono continuamente domande su cosa accadrà dopo la morte - mentre è veramente importante spiegare che Cristo è morto e che l'amore del Padre gli ha ridato la vita. Ai bambini interessa soprattutto ciò che è vero e reale dell’annuncio della resurrezione e saranno loro stessi, crescendo, a coglierne poi tutte le implicazioni personali.

G.K. Chesterton, il grande scrittore inglese convertito al cristianesimo, diceva con grande finezza ed intuito pedagogico: «Le favole non danno al bambino la prima idea di uno spirito cattivo. Ciò che le favole danno al bambino è la prima chiara idea della possibile sconfitta dello spirito cattivo. Il bambino conosce dal profondo il drago, fin da quando riesce ad immaginare. Ciò che la favola gli fornisce è che esiste un San Giorgio che uccide il drago».

La morte di Gesù: i suoi motivi storici ed il suo motivo personale

Ecco allora che la festa di Pasqua è bella anche per loro, proprio a partire dal suo nucleo centrale. Gesù è stato ucciso, ma Dio gli ha ridonato la vita. Ed è stato ucciso nonostante Egli fosse venuto a portare l'amore di Dio: nonostante Egli fosse l'amore di Dio! Ma l'amore non è stato amato.

Egli è stato ucciso perché i capi dei sacerdoti del tempo non potevano tollerare che Egli si facesse simile a Dio. Essi, come San Paolo, sentivano che il suo annunzio era totalmente nuovo, che Egli si presentava non solo nel nome di Dio, ma come se fosse Dio stesso. E questo era intollerabile ai loro orecchi. Come ha detto splendidamente C.S. Lewis, l'autore delle Cronache di Narnia, Gesù o era un pazzo o era il Figlio di Dio: non è possibile una terza ipotesi.

I capi dei sacerdoti sobillarono allora la folla e Pilato ebbe paura dei discepoli dei sacerdoti: essi avrebbero messo a ferro e fuoco Gerusalemme, se egli, che era allora il capo del potere politico, non avesse fatto eliminare Gesù. Gesù ed i suoi discepoli non facevano alcuna paura al potere romano, ma Pilato ebbe paura dell'azione politica del sinedrio e preferì sacrificare un innocente, purché i discepoli dei sacerdoti del tempo non generassero tumulti. Questi sono i motivi storico della sua crocifissione.

Ma c'è un altro motivo, più profondo, che condusse Gesù alla morte. Egli non volle scappare ed anzi, sapendo che volevano ucciderlo, offrì se stesso. Egli entrò nel male amando. Amando coloro che gli volevano del male ed amando tutti gli uomini. Per questo volle celebrare l'ultima cena prima di essere catturato per offrire il suo corpo ed il suo sangue. E portò così nel mondo l'amore stesso di Dio che non ama solo quando è amato, bensì si carica anche del male di chi non ama, prendendolo su di sé e riempiendolo del suo stesso amore.

La resurrezione di Gesù

Gesù morì veramente, ma Dio lo ha resuscitato. Ed Egli è risorto come primizia, proprio perché il suo dono d'amore e l'amore con cui Dio l'ha amato resuscitandolo dai morti conducessero anche noi ad avere la vita eterna. È bello cominciare a condividere con i bambini almeno alcuni dei motivi per cui noi siamo certi della resurrezione di Gesù. Alla sua morte tutti erano scoraggiati, perché tutto sembrava perduto. Alcuni discepoli se n'erano già tornati alla loro casa, mentre altri se ne stavano impauriti chiusi in casa. Solo perché Egli apparve a loro risorto e vivo essi ritrovarono il coraggio di riunirsi, di uscire dalle loro case e di annunziare a tutti che Egli era vivo. Le lettere di Paolo, i vangeli e tutti gli altri scritti che raccontano di Gesù sono stati scritti pochissimo tempo dopo quei fatti, quando tutti i testimoni erano ancora vivi. E soprattutto, i discepoli si ritrovarono pieni dello Spirito Santo, che li rendeva capaci di amare come Cristo, di vivere come non sarebbero mai stati capaci di fare da soli, se Gesù vivente non fosse stato ancora con loro.

Così quando i bambini chiedono come è possibile che la Madonna ed i santi continuino ad amarci, o come possiamo sapere che i nostri bisnonni morti sono ancora vivi, noi risponderemo che possiamo rispondere a questa domanda proprio a partire dalla Pasqua. Dio è il Dio della vita, Dio ha resuscitato Gesù dai morti proprio perché voleva che tutti gli uomini trovassero in Lui la vita. Poiché Gesù è il risorto ed il vivente allora anche i nostri morti sono già misteriosamente con Lui.

Nel raccontare della morte e della resurrezione di Gesù, come sempre avviene nel rapporto con i bambini, non ci si deve preoccupare che essi capiscano tutto. Pian piano essi, crescendo, entreranno nel mistero di cui però avranno già almeno intuito il cuore.

Indicazioni operative

Il grande segno della luce

Sarà bello introdurre i bambini ancora più profondamente nel mistero della Pasqua, dopo il racconto della morte e della resurrezione di Gesù, con i segni tipici della liturgia cristiana. Innanzitutto quello della luce. Si potrà raccontare loro come inizia la Veglia di Pasqua, ripetendone i gesti, anche se sempre spiegando che la vivranno pienamente solo partecipando alla liturgia nella notte della Resurrezione. Ricreando una situazione di semi-oscurità si potrà predisporre un cero più grande, spiegando loro che esso rappresenta Cristo. E da quel cero si accenderanno poi le candele che tutti avranno nelle mani fino a rischiarare il luogo dove ci si ritrova. I bambini così comprenderanno con i segni della tradizione come quella luce sia in grado di raggiungere tutti, restando se stessa.

L'acqua del Battesimo e la benedizione della mensa di Pasqua in casa

Si potrà proseguire poi se ci sarà tempo, o rimandare questo ad un incontro successivo o addirittura all'anno successivo, con la presentazione presentando ai bambini ed ai genitori del segno dell'acqua, così centrale nella notte di Pasqua. La forza della resurrezione di Gesù ci raggiunge e ci tocca tramite l'acqua del Battesimo. L'acqua è stata sempre per l'uomo il segno della vita. Ma Gesù l'ha assunta dandole un significato ancora più ricco e dandole un potere che essa non aveva. L'acqua del Battesimo ci immerge nella vita di Dio, ci immerge nella forza dell'amore di Dio, ci immerge nella vita eterna. Ed in quell'acqua annegano il male e la morte. La morte ed il male muoiono, mentre noi riceviamo la vita di Gesù.

Si potrà poi consegnare ai genitori la preghiera di benedizione della mensa del giorno di Pasqua, spiegando a loro, dinanzi ai bambini, che i padri prenderanno l'acqua benedetta nella Veglia Pasquale e la porteranno nelle case e con essa, a ricordo del Battesimo e della salvezza già ricevuta, benediranno la loro famiglia. Nel far questo si potrà ricordare loro che è tradizione utilizzare per la benedizione i rami di ulivo della domenica delle Palme.

Si può utilizzare la benedizione proposta dal Benedizionale:

Prima del pasto

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo
R. Amen.

Preghiamo.
Tutti pregano per qualche momento in silenzio.

Signore Gesù Cristo, risuscitato dai morti,
che ti sei manifestato ai discepoli nello spezzare il pane,
resta in mezzo a noi;
fa' che rendendo grazie per i tuoi doni
nella luce gioiosa della Pasqua,
ti accogliamo come ospite nei nostri fratelli
per essere commensali del tuo regno.
Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.
R. Amen.

Oppure

Sii benedetto, Signore nostro Dio,
che in questo giorno di Pasqua nutri i tuoi figli
con amore di Padre;
benedici noi e questi doni
che stiamo per ricevere come segno della tua bontà
e fa' che tutte le genti
godano dei benefici della tua provvidenza.
Per Cristo nostro Signore.

R. Amen.

Dopo il pasto

Preghiamo.

Tutti pregano per qualche momento in silenzio.

Dio, fonte della vita,
infondi in noi la gioia pasquale;
e poiché ci fai partecipi dei beni della terra,
fa' che diventiamo commensali
al banchetto della vita nuova,
che il Signore risorto ha meritato
e preparato per noi.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.

R. Amen.

Le uova di Pasqua

Infine, si potrà accennare al significato delle uova di Pasqua. In molte culture l'uovo è segno di rinascita, poiché contiene in sé il germe della nuova vita. Questo simbolismo è stato ripreso nel cristianesimo occidentale - in molte chiese soprattutto della Francia, si conservano uova di struzzo che erano utilizzate nel Medioevo nelle Sacre Rappresentazioni nel momento in cui le Sante Donne uscivano dal sepolcro di Cristo appositamente ricostruito, portandole al vescovo che le benediceva - così come nella tradizione delle Chiede d'Oriente dove esse vengono appese dinanzi all'iconostasi o sull'altare alternate alle lampade. Ovviamente quelle uova vengono nel cristianesimo a significare non un astratto principio cosmico di rinascita stagionale, bensì quella resurrezione che Cristo ha portato nel mondo.

Con i bambini sarà possibile preparare le uova (colorate o istoriate) che troveranno posto sulla mensa nel giorno di Pasqua. Le tecniche sono diverse. Si potrà far uso di coloranti per alimenti da aggiungere all’acqua in cui saranno poi immerse le uova (sode). Si potrà, in alternativa, far ricorso a decalcomanie (è facile trovarne in commercio) da attaccare alle uova (sempre sode). I bambini più grandi potranno dipingerle loro stesse con colori appositi. Si potranno altrimenti preparare alimenti che le contengano, come è tradizione in diverse regioni italiane.

Le uova potranno poi essere portate in chiesa il giorno di Pasqua perché siano benedette prima di essere poi presentate in tavola al momento del pranzo pasquale.

Testi per meditare

Da papa Francesco
La luce della fede: con quest’espressione, la tradizione della Chiesa ha indicato il grande dono portato da Gesù, il quale, nel Vangelo di Giovanni, così si presenta: «Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre» (Gv 12,46). Anche san Paolo si esprime in questi termini: «E Dio, che disse: "Rifulga la luce dalle tenebre", rifulge nei nostri cuori» (2 Cor 4,6). Nel mondo pagano, affamato di luce, si era sviluppato il culto al dio Sole, Sol invictus, invocato nel suo sorgere. Anche se il sole rinasceva ogni giorno, si capiva bene che era incapace di irradiare la sua luce sull’intera esistenza dell’uomo. Il sole, infatti, non illumina tutto il reale, il suo raggio è incapace di arrivare fino all’ombra della morte, là dove l’occhio umano si chiude alla sua luce. «Per la sua fede nel sole — afferma san Giustino Martire — non si è mai visto nessuno pronto a morire». Consapevoli dell’orizzonte grande che la fede apriva loro, i cristiani chiamarono Cristo il vero sole, «i cui raggi donano la vita». A Marta, che piange per la morte del fratello Lazzaro, Gesù dice: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?» (Gv 11,40). Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta.

Da papa Benedetto XVI

Due grandi segni caratterizzano la celebrazione liturgica della Veglia Pasquale. C’è innanzitutto il fuoco che diventa luce. La luce del cero pasquale, che nella processione attraverso la chiesa avvolta nel buio della notte diventa un’onda di luci, ci parla di Cristo quale vera stella del mattino, che non tramonta in eterno – del Risorto nel quale la luce ha vinto le tenebre.
Il secondo segno è l’acqua. Essa richiama, da una parte, le acque del Mar Rosso, lo sprofondamento e la morte, il mistero della Croce. Poi però ci si presenta come acqua sorgiva, come elemento che dà vita nella siccità. Diventa così l’immagine del Sacramento del Battesimo, che ci rende partecipi della morte e risurrezione di Gesù Cristo.
Della liturgia della Veglia Pasquale, tuttavia, fanno parte non soltanto i grandi segni della creazione, luce e acqua. Caratteristica del tutto essenziale della Veglia è anche il fatto che essa ci conduce ad un ampio incontro con la parola della Sacra Scrittura. La Chiesa vuole condurci, attraverso una grande visione panoramica, lungo la via della storia della salvezza, dalla creazione attraverso l’elezione e la liberazione di Israele fino alle testimonianze profetiche, con le quali tutta questa storia si dirige sempre più chiaramente verso Gesù Cristo. Nella tradizione liturgica tutte queste letture venivano chiamate profezie. Anche quando non sono direttamente preannunci di avvenimenti futuri, esse hanno un carattere profetico, ci mostrano l’intimo fondamento e l’orientamento della storia. Esse fanno in modo che la creazione e la storia diventino trasparenti all’essenziale. Così ci prendono per mano e ci conducono verso Cristo, ci mostrano la vera Luce.

Scheda n. 5 (per gli incontri del II anno) Solennità di tutti i santi e Commemorazione dei fedeli defunti

La festa di tutti i Santi

Il sacerdote ed i catechisti potranno introdurre con le modalità consuete (vedi le Indicazioni operative della scheda n. 2) le famiglie con i loro bambini al “mistero” della Chiesa celeste e della vita eterna, preparando insieme le celebrazioni del 1° e del 2 novembre.

Il 1° novembre si fa festa, anche se non è domenica, per celebrare tutti i santi. Perché la Chiesa celebra i Santi e non solo Dio? Perché Dio è talmente grande da non voler agire da solo, ma è anche capace di coinvolgere l'uomo nell'opera del salvare la creazione e renderla bella. I Santi sono il segno che l'opera di Dio è efficace e che cambia il mondo.

Egli ci ama da sempre, ma ci ama anche inviandoci i Santi. Ha amato la nostra vita inviandoci Giovanni Paolo II, madre Teresa di Calcutta, Charles de Foucauld e così via. Tramite i suoi Santi egli visita ancora la storia e queste persone sono luce e forza per il nostro cammino.

Essi già godono della beatitudine del cielo. E per questo possono continuare ad amarci pregando per noi. I santi, a partire da Maria, sono come una primizia: sono la garanzia che tutti possiamo arrivare in Paradiso. E nel Paradiso essi continuano ad amare: per questo possono pregare per noi.

Quando è stata presentata ai bambini l’immagine di Maria (nell’itinerario dai 0 ai 3 anni) si è insistito giustamente sulla bellezza e sulla bontà che Dio le ha donato e che lei ha messo a nostra disposizione. Come Maria tante altre persone, nell’arco della storia, sono state un segno grande della bontà di Dio. La Chiesa ha come un fiuto nel riconoscere i “santi” fra tutti coloro che hanno fatto del bene agli altri, hanno curato i malati, hanno annunciato il Vangelo ed hanno educato ad una vita buona nel nome di Gesù, hanno testimoniato fino al martirio la bellezza della fede, hanno offerto la loro sofferenza e le loro preghiere. Altri sono stati “santi” in maniera così nascosta che non si ricorda la loro vita in maniera esplicita, ma sono lo stesso celebrati in questa festa che vuole averli tutti presenti. Essi sono gli amici di Gesù e gli amici nostri. E gli amici veri vogliono sempre il nostro bene.

Nel fare del bene noi siamo felici e rendiamo felici gli altri. Vivere cercando Dio ed il bene vuol dire diventare beati, vuol dire scoprire la felicità, una gioia certo faticosa, ma più reale di quella che ci promette la pubblicità in maniera illusoria. Per questo i santi sono le persone più felici del mondo! Ed ora che sono vicini a Dio vogliono fare felici anche noi indicandoci la via dell’amore e della bontà. Così nella festa dei Santi vogliamo ricordare che anche noi siamo chiamati a diventare santi come loro.

Indicazioni operative

Per mostrare visivamente tutto ciò che la festa di tutti i Santi esprime sarà bello portare bambini e genitori dopo la catechesi nella chiesa parrocchiale. Lì si potrà innanzitutto mostrare loro il luogo dove nell'altare sono poste le reliquie dei Santi

L'eucarestia viene celebrata “sui” loro corpi, perché sono essi ad avercela trasmessa: la nostra fede è la stessa di quella dei santi, l'eucarestia che celebriamo oggi è stata già celebrata dai santi. La fede non è solo della nostra generazione: è piuttosto un dono che ci viene dalla catena ininterrotta della tradizione che dagli apostoli di Cristo è giunta fino a noi. È fondamentale che il bambino impari che non esiste solo l'“io”, ma anche il “noi”. Come in famiglia si utilizza il “noi” per indicare che si è un solo amore e che si condivide tutto, così nella Chiesa si utilizza il “noi” per indicare che si è un solo popolo che unisce tutti i popoli e tutti i tempi.

Ma i santi non sono solo le nostre radici. Non sono solo coloro che ci hanno amato, che ci hanno donato tutto, vivendo prima di noi. Sono anche coloro che ci precedono e che ci accompagnano oggi con la loro preghiera. Per questo la Chiesa li dipinge negli affreschi e li ritrae nei mosaici e nelle statue. Si potrà mostrare ai bambini che l'assemblea liturgica è come abbracciata dalle immagini dei santi proprio perché essi sono una cosa sola con noi che siamo la Chiesa sulla terra: c'è una Chiesa celeste che ci accompagna nel cammino. In alcune chiese d'occidente e d'oriente, addirittura, tutte le pareti sono affrescate con santi, tranne il posto occupato dai fedeli per indicare che siamo completamente abbracciati, circondati, dalla Chiesa del cielo, ma che noi siamo stati ammessi tra di loro, come “concittadini dei santi”.

Ovviamente si spiegherà ai bambini che i santi vivono in Cristo, mostrando come l'immagine di Cristo ed il crocifisso siano centrali nella chiesa rispetto alle immagini dei santi.

Si potranno poi invitare i genitori, se già non l'hanno fatto, ad informarsi sulla vita del santo di cui il bambino porta il nome per condividerne con lui a casa la storia.

Sempre si ricorderà che oltre ai santi che sono sugli altari ve ne sono tanti di cui non ricordiamo il nome, ma che hanno vissuto in santità la loro vita. Si ricorderà ai bambini che nella vita incontreranno dei santi viventi in terra e che, se avranno lo sguardo di Dio, sapranno riconoscerli come tutti sono stati capaci di riconoscere la santità di Giovanni Paolo II ancora prima che la Chiesa la riconoscesse. E si annunzierà ai piccoli che loro stessi potranno diventare santi, se si abbandoneranno alla volontà del Dio buono.

La festa di tutti i Santi ed Halloween

Alla singole famiglie spetta la decisione educativa di vietare o di concedere che i bambini festeggino Halloween: esistono responsabilità che competono a coloro che sono i diretti educatori dei figli e che essi si debbono assumere.

Può essere utile, però, ricordare che Halloween è un nome cristiano e che vuol dire precisamente “vigilia dei santi”, dall'inglese “hallow”, “santificare” e “eve”, abbreviazione di “evening”, “sera”, cioè “sera dei santi”.

Perché questo nome? Perché prima del cristianesimo presso alcune popolazioni del nord Europa si credeva che in quella sera, almeno una volta l'anno, i morti potessero venire a visitare le persone che avevano amato. Questa celebrazione esprimeva l'anelito di ogni uomo: che i propri cari defunti non scompaiano nel nulla, che possano ancora ricordarsi di noi, mentre noi li ricordiamo. La Chiesa non disprezzò questa tradizione, ma anzi la cristianizzò[2], affermando che non solo i morti possono venire a visitarci una volta l'anno, ma che essi, in Dio, soprattutto se santi, ci accompagnano sempre con la loro preghiera. Nacque così la festa dei Santi e, legata ad essa, la commemorazione dei defunti, proprio perché la speranza cristiana illuminasse quel vago desiderio presente nel mondo pagano. Streghe ed ammennicoli vari vennero introdotti per Halloween solo nell'ottocento, nell'America del nord, rendendo irriconoscibile l'antico anelito della festa pagana e nascondendo il fatto che la celebrazione cristiana di tutti i santi, con la sua vigilia di Halloween, aveva dato pieno significato a quel desiderio di amore che unisce vivi e defunti in Dio. In particolare è problematico nelle modalità che caratterizzano l'Halloween moderno non solo l'aspetto commerciale che viene gonfiato ad arte più ancora delle analoghe spese tanto vituperate che caratterizzano, ad esempio, le feste natalizie - queste ultime hanno almeno il merito di appartenere alla tradizione europea -, ma ancor più la deriva macabra ed occultista che viene volutamente propagandata: si pensi, ad esempio, ai gruppi di adolescenti che si abituano a realtà pericolosissime come le sedute spiritiche.

La commemorazione di tutti i Fedeli defunti

La festa di tutti i Santi ha come un suo completamento nella Commemorazione, il 2 novembre, di tutti i fedeli defunti. Proprio il legame fra le due celebrazioni potrà essere l’occasione per aiutare i bambini a confrontarsi con il mistero della morte e della resurrezione. Certamente la morte, come tutti sappiamo, è il nemico più grande, l'ultimo nemico, la realtà che tutti spaventa. Ma non bisogna cadere nella tentazione di non affrontare con i bambini questo argomento. Sono loro stessi a chiedere chiarimenti, proprio perché fin da piccolissimi, la conoscono. Infatti, tra le domande più comuni dei bambini, ci sono anche questioni come: «Ma dov’è ora il nonno che è morto?», «Ma se Gesù è buono perché mi ha portato via la nonna?», «Mamma, ma quando morirai, potrai amarmi ancora?», o altre simili.

Quando i bambini capiscono dalla commozione dei genitori che una persona cara è morta non avrebbe senso nascondere loro la verità: anzi i piccoli inizieranno a ritrovare la speranza solo partecipando al funerale cristiano di quella persona.

È bene che i sacerdoti ed i catechisti, sempre attenendosi alla realtà della liturgia, non insistano tanto sul fatto che tutti moriremo, poiché ciò è già chiaro ai bambini, quanto piuttosto sulla vita eterna che già vivono le anime di coloro che sono morti.

Se i Santi vivono già la comunione con Dio, coloro che non hanno vissuto pienamente la santità in questa vita sono in Purgatorio. Esso non è un luogo dove vengono puniti: piuttosto essi vivono la sofferenza di chi si accorge di non avere creduto ed amato in pienezza, come era possibile seguendo pienamente il volere di Dio. Ma questa loro sofferenza è già piena di gioia e di speranza, perché sanno che stanno per entrare in Paradiso e che la loro sofferenza avrà presto un termine.

Noi possiamo aiutarli con le nostre preghiere, con le opere buone e con la celebrazione dell'eucarestia offerta per loro: poiché essi sono vivi e ci amano, il bene che noi facciamo loro li aiuta perché è possibile in Dio ed è da Lui benedetto.

Si potrà spiegare ai bambini che l'espressione “in cielo” non vuol dire né il cielo fisicamente inteso, né una condizione di lontananza irraggiungibile. Vuol dire, piuttosto (cfr. su questo il testo di T. Lasconi più sotto) “in Dio”, cioè nella sua altezza che è anche vicinanza di amore. Per questo i nostri morti ci amano e gioiscono dell'amore che abbiamo per loro e della fede con cui rivolgiamo a Dio preghiere per loro, preghiere che Dio ascolta. 

Ovviamente è bene fare riferimento alla Pasqua di resurrezione di Gesù come al motivo dell'esistenza del “cielo” in cui vivono i defunti preparandosi alla resurrezione.

Indicazioni operative

È importante sottolineare come sia possibile pregare per i defunti con la preghiera dell'Eterno riposo (cfr. su questo la scheda n. 13).

Ma è anche importante ricordare ai genitori che è bello e non triste educare i bambini a visitare il cimitero. Triste sarebbe piuttosto dimenticarsi dei nostri morti e non credere che essi siano vivi in Dio. Portare, invece, un fiore sulla tomba di una persona cara, anche solo per un istante, vuol dire riconoscere che quella persona è viva e che la nostra preghiera lo aiuta a sbocciare come un fiore nelle mani di Dio.

Testi per meditare

da Tonino Lasconi
Che «abita nei cieli» nel linguaggio della Bibbia non significa che abita sopra le nuvole, in mezzo alle stelle, ma che è diverso da noi. Abitare sulla terra significa che, se stiamo in un posto, non possiamo stare in un altro, se stiamo nella valle, non possiamo stare sul monte. Abitare sulla terra significa che se vogliamo andare a trovare un amico, dobbiamo spostarci. Significa che il tempo passa, che quando è buio non vediamo più niente; che anche se è giorno, basta un muro, una pianta, una siepe per impedirci di vedere... Abitare nel cielo significa essere come il cielo: sta dappertutto, lo vedi e ti vede dappertutto, è sempre lo stesso. Se vai al Polo Nord, il cielo sta sopra di te, ma se vai al Polo Sud lo vedi e ti vede lo stesso; in montagna lo vedi come dal mare. E lo vedi non solo di giorno ma anche di notte, anzi di notte a volte è anche più bello, perché si riempie di stelle.
Ecco perché la Bibbia dice che Dio abita nei cieli. Ma non solo la Bibbia. Tutti i popoli della terra, per indicare che Dio non è come noi, sottomesso ai monti, alle colline, alle piante distanze, al tempo… quando pensano a Dio alzano gli occhi verso il cielo. Anche noi facciamo così. Se in un momento di difficoltà e di gioia esclamiamo: “Dio mio”, senza accorgercene alziamo gli occhi al cielo. Anche Gesù faceva così quando pregava il Padre, e ha suggerito a noi di fare come lui quando ci ha insegnato a pregare: “Padre nostro che sei nei cieli”. “Che sei nei cieli”, cioè non che sei lassù, lontanissimo, ma che sei come il cielo, che mi vedi sempre e ti vedo sempre, che sei sempre con me e posso stare sempre con te. Non è bellissimo?

da Lasciate che i bambini vengano a me, 130
L’educazione morale dei bambini può trovare nella presentazione delle figure dei santi un valido supporto. E necessario che gli episodi della vita di un santo raccontati ai bambini mostrino sia le virtù proprie di quel personaggio, sia il riferimento che la sua vita ha con Gesù, il Vangelo e la  fede in lui. Inoltre occorrerà legare sempre il racconto, anche occasionale, alla esperienza del bambino: una festa liturgica che ricorda il santo; una specifica circostanza in cui emerge l’interesse del bambino per quel santo; il calendario liturgico, le teste patronali locali, l’onomastico del bambino o di altre persone a lui vicine, la vista di un quadro o di un’immagine...: tante sono le occasioni propizie per parlare dei santi. Il catechismo ha scelto di proporre come modello di questa catechesi quattro figure di santi (san Francesco, santo Stefano, santa Caterina da Siena, santa Marta) collegandole agli atteggiamenti e comportamenti fondamentali di vita cristiana… Si tratta dunque di esempi che dovranno essere opportunamente arricchiti con altri, secondo le esigenze proprie di ciascun bambino.

da Lasciate che i bambini vengano a me, 112
Il ricordo nella preghiera dei defunti permette di mantenere quel rapporto di fede e di amore con le persone care che non sono più tra noi. Le figure dei santi più familiari aprono all’annuncio della gioia nel paradiso e conducono a seguirne gli esempi per sentirsi dire dal Signore: “Venite benedetti del Padre mio”. La scoperta che i bambini fanno del rifiuto di amare e dell’egoismo in chi vedono attorno a loro e anche in se stessi, può far comprendere che questa via sbagliata conduce lontano da Gesù, nella solitudine e nella tristezza senza fine.

Scheda n. 6 (per gli incontri del II anno) L’Epifania

La manifestazione di Cristo nella festa dell’Epifania

Epifania vuol dire “manifestazione”. L'incontro con i bambini ed i loro genitori sull'Epifania sarà rivolto a mostrare loro come Dio si è manifestato nel Bambino Gesù, facendosi uomo. Così come Nel natale anche in questa festa è sempre l'Incarnazione ad essere al centro, ma l'Epifania sottolinea che Dio si è fatto vedere, che è venuto per essere visto ed amato da tutti. Tutti gli uomini, da sempre, hanno il desiderio di vedere il volto di Dio. I bambini vogliono vedere tutto, vogliono vedere con i loro occhi, toccare con le loro mani, vogliono “sperimentare”. Anche noi grandi vogliamo vedere – il nostro occhio non si stanca di vedere, dice la Scrittura - ed il nostro desiderio più grande è quello di vedere Dio, di conoscere la verità, di scoprire il senso di ogni cosa, di “bucare le nubi” per vedere finalmente il volto del Signore. Sappiamo che solo quando avremo visto Lui, tutto il resto si chiarirà e si manifesterà nel suo significato.

I Magi - che non vuol dire Maghi - erano persone che volevano vedere. Il loro cammino non si è arrestato dinanzi a niente: essi volevano vedere sempre più oltre, fin dove era possibile vedere. Osservando le stelle, hanno cercato di carpire i segreti del cielo. Anche genitori e bambini fanno l'esperienza di vedere le stelle insieme, magari in una notte d’estate, cercando di conoscerle, di orientarsi, ma anche di capire che significato ha tanta bellezza e da dove provenga. Anzi un'esperienza del genere deve essere raccomandata alle famiglie: dinanzi alla stelle i bambini è come se scoprissero che tutto è un “mistero”. Imparano a stare in silenzio, a contemplare, a stupirsi, ad ammirare.

Come i Magi anche oggi ci sono persone che studiano l'universo, perché vogliono vedere sempre più oltre. I Magi, che secondo la tradizione si chiamano Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, dovevano essere così. Il Vangelo di Matteo, raccontandoci la nascita di Gesù, ci dice che questi Magi osservarono nel cielo la nascita di una nuova stella. E ci fa intuire che essi interpretarono questo fatto come un segno  che stava nascendo sulla terra qualcosa di veramente nuovo. Si misero in cammino, capendo che dovevano essere spettatori, dovevano essere partecipi, dovevano contemplare questo evento che non erano stati loro a creare, ma che stava per compiersi. Ed, in effetti, quando giunsero a Betlemme videro qualcosa che nessun uomo avrebbe mai potuto nemmeno immaginare: Dio si era fatto Bambino. Si era fatto Bambino per farsi vedere, per farsi toccare, per farsi abbracciare. Dio si era fatto Bambino per essere Lui vicino a noi, per potervi abbracciare e salvare, per essere luce e stella che guida il cammino di ogni uomo.

La vera stella, che faceva impallidire la luce di tutte le stelle, era questo Bambino. Era lui ad illuminare la notte della vita. Era lui la luce che i Magi cercavano, senza averla mai potuta nemmeno immaginare.

Una luce venuta per tutti i popoli

I Magi non erano ebrei, ma venivano da molto lontano. Fino all'arrivo dei Magi nel presepio troviamo solo persone appartenenti al popolo eletto. Ma ecco che il loro arrivo svela al mondo che, nel suo disegno misterioso, Dio si è fatto Bambino non solo per il popolo eletto, ma anche per tutti gli uomini. Infatti nel Credo non diciamo che il Figlio di Dio “si fece ebreo”, ma che “si fece uomo”. Non perché Gesù non sia stato ebreo e non abbia amato Israele, ma perché egli era ancor più semplicemente “uomo”, venuto “per tutti gli uomini”.

Prima dell'Incarnazione Dio si era manifestato in maniera paradossale: si era rivelato come l'Unico Dio, chiedendo ad Israele di professare per la prima volta nella storia il monoteismo ed insegnando tramite i profeti che gli idoli non erano divinità, ma nullità. Ma Dio non aveva ancora chiesto al suo popolo di divenire missionario, di annunziare al mondo intero che c'era un solo Dio e che l'unico Dio si era rivelato al popolo ebraico. Ora, finalmente, l'unico Dio si manifesta come il Dio che tutti possono conoscere per essere da Lui abbracciati e per poterLo abbracciare. Ora finalmente anche ai pagani viene rivelata quella luce di cui avevano bisogno ed essi possono essere finalmente liberati dai loro idoli, per giungere al Dio vero e buono, al Bambino Gesù.

Tra i giochi che i bambini amano tanto c’è n'è uno che si chiama “nascondino”. Quando i bambini sono molto piccoli, come in questa età, chi si nasconde si fa poi trovare. Ed i bambini gioiscono bel vederlo, nel trovarlo. Ecco ciò che fa Dio con i Magi e con noi: finalmente si fa trovare.

Oro, incenso e mirra

Mentre il Vangelo non indica il numero dei Magi, la tradizione ne ha successivamente indicato il numero di tre, poiché tre sono i doni che essi portano: l'oro, l'incenso e la mirra. I maestri spirituali hanno poi spiegato che nel dono dell'oro possiamo vedere il riconoscimento che Gesù è re: in effetti, Egli è il più potente dei re, il suo amore umile è destinato a vincere il male del mondo, Egli è l'onnipotente ed ai re si dona l’oro.

Nel dono dell'incenso possiamo riconoscere che Egli è Dio: infatti, a Dio sale la preghiera come profumo d'incenso.

Nel dono della mirra, possiamo riconoscere che Egli soffrirà e sarà crocifisso: in effetti, con la mirra si ungevano i corpi dei defunti.

Indicazioni operative

Sarebbe meglio fare la presentazione della festa dell’Epifania prima del Natale, se l’anno precedente si è già spiegato il Natale. L’incontro diventa così un modo di contemplare un nuovo aspetto del Natale. Altrimenti può essere fatta alla vigila della festa, sapendo però che molte famiglie in quel giorno saranno ancora in vacanza. È bene, invece, vivere i segni della festa solo nel giorno stesso dell’Epifania.

Baciare la statuina del Bambino Gesù

Innanzitutto, come i Magi, i bambini possono essere invitati a prendere in braccio il bambino Gesù e a baciarlo: il sacerdote, come avviene tradizionalmente in molte chiese, prenderà la statua dal presepe parrocchiale e la offrirà ai bambini ed ai genitori perché tutti la bacino.

Portare a Gesù i propri doni

Inoltre, si potranno invitare tutte le famiglie a portare doni per la mensa dei poveri nel giorno dell'Epifania. A Natale siamo stati noi a ricevere il grande dono del Figlio di Dio e tanti doni a ricordo di quel dono: ora siamo noi ad adorare il “dono dei doni”, la presenza di Dio nel mondo. Sarà meglio, talvolta, far portare i doni alla messa della sera, piuttosto che a quella del mattino, annunciandolo per tempo. Infatti, spesso, le famiglie sono ancora in vacanza nel giorno dell'Epifania ed è più facile per loro partecipare alla sera. Al momento dell'offertorio il sacerdote potrà accogliere insieme ai doni per la preparazione dell'altare, anche il cibo per i poveri che i bambini porteranno in processione.

I Magi nel presepe

I Magi possono essere posti nel presepio fin dall'inizio, ma lontano dalla mangiatoia: solo nella notte o al mattino del giorno dell’Epifania verranno posti vicino al Bambino Gesù. I genitori saranno invitati a compiere questo gesto con i figli, ripresentando ai bambini i Magi per nome (ecco Gaspare, ecco Melchiorre, ecco Baldassarre) e spiegare nuovamente chi sono (persone sagge che vengono da molto lontano), sottolineando ancora una volta che rappresentano gli uomini di tutto il mondo desiderosi di vedere Dio e stupiti di poterlo trovare così vicino a loro, fattosi carne nel Bambino Gesù. Anche in questo caso, come a Natale, sarà opportuno concludere con una preghiera.

I genitori potranno anche far vedere ai bambini dov'è Betlemme su di una cartina geografica (o su un grande mappamondo) e mostrare poi il lontano Oriente dal quale, secondo la tradizione, i Magi partirono per giungere fino al Bambino. Nel raccontare loro l'evento si cercherà ovviamente di usare un linguaggio adatto ai bambini, sottolineando le modalità di un viaggio a quell’epoca (a piedi, con i cammelli, con tanti pericoli di giorno o di notte).

L'Epifania e/o la Befana?

Chiaramente in questo giorno non si può non accennare alla tradizione della Befana. Vale per lei ciò che è già stato detto per Babbo Natale a suo tempo. Non è certamente il caso di privare i bambini di una tradizione così bella e carica di magia che nulla toglie alla fede. Sarà il nostro atteggiamento, e in particolare la preghiera fatta in famiglia, a segnalare al piccolo lo spartiacque tra questi due mondi. L'esperienza insegna che il bambino sarà capace da solo di distinguere la verità della fede e la “finzione” della favola: non è necessario che noi adulti poniamo eccessiva enfasi in questa distinzione.

Per gli adulti sarà invece utile sapere che il nome “Befana” viene proprio da “Epifania”, attraverso lo sviluppo fonetico Epifania-Befania-Befana. E che la Befana è una figura che nasce nella tradizione popolare a significare il tempo che passa e che rende vecchi – infatti, siamo vicini al Capodanno. Il passare del tempo è, da un certo punto di vista, qualcosa di brutto, come è brutta la Befana, ma l'anno trascorso ha portato con sé i suoi doni e non è stato infruttuoso e così è tradizione che per l’Epifania si facciano doni a significare questo. In alcuni luoghi è ancora tradizione bruciare la “vecchia” - cioè la Befana - proprio a simboleggiare che il tempo passa inesorabilmente, ma porta con sé i suoi frutti.

Se si vuole raccontare ai bambini della Befana, si può utilizzare una fiaba che trovate nei Testi per meditare e che è stata scritta da un sacerdote romano: essa unisce in maniera poetica il cammino dei Magi e quello della vecchia Befana.

Testi per meditare

dal Vangelo secondo Matteo (Mt 2,1-12)
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

da Benedetto XVI
Che genere di persone erano [i Magi], e che specie di stella era quella? Essi erano probabilmente dei sapienti che scrutavano il cielo, ma non per cercare di "leggere" negli astri il futuro, eventualmente per ricavarne un guadagno; erano piuttosto uomini "in ricerca" di qualcosa di più, in ricerca della vera luce, che sia in grado di indicare la strada da percorrere nella vita. Erano persone certe che nella creazione esiste quella che potremmo definire la "firma" di Dio, una firma che l’uomo può e deve tentare di scoprire e decifrare. […]
Che tipo di stella era quella che i Magi hanno visto e seguito? Lungo i secoli questa domanda è stata oggetto di discussione tra gli astronomi. Keplero, ad esempio, riteneva che si trattasse di una "nova" o una "supernova", cioè di una di quelle stelle che normalmente emanano una luce debole, ma che possono avere improvvisamente una violenta esplosione interna che produce una luce eccezionale. Certo, cose interessanti, ma che non ci guidano a ciò che è essenziale per capire quella stella. Dobbiamo riandare al fatto che quegli uomini cercavano le tracce di Dio; cercavano di leggere la sua "firma" nella creazione; sapevano che "i cieli narrano la gloria di Dio" (Sal 19,2); erano certi, cioè che Dio può essere intravisto nel creato. Ma, da uomini saggi, sapevano pure che non è con un telescopio qualsiasi, ma con gli occhi profondi della ragione alla ricerca del senso ultimo della realtà e con il desiderio di Dio mosso dalla fede, che è possibile incontrarlo, anzi si rende possibile che Dio si avvicini a noi. L’universo non è il risultato del caso, come alcuni vogliono farci credere. Contemplandolo, siamo invitati a leggervi qualcosa di profondo: la sapienza del Creatore, l’inesauribile fantasia di Dio, il suo infinito amore per noi. […]
Sopra la grande città la stella sparisce, non si vede più. Che cosa significa? Anche in questo caso dobbiamo leggere il segno in profondità [...] a Betlemme, dove incontriamo l’apparente impotenza del suo amore. Ed è là che noi dobbiamo andare, ed è là che ritroviamo la stella di Dio.

La “vera” storia della Befana. Una fiaba di don Giampaolo Perugini
In un villaggio, non molto distante da Betlemme, viveva una giovane donna che si chiamava Befana. Non era brutta, anzi, era molto bella e aveva parecchi pretendenti.. Però aveva un pessimo caratteraccio. Era sempre pronta a criticare e a parlare male del prossimo. Cosicché non si era mai sposata, o perché non le andava bene l’uomo che di volta in volta le chiedeva di diventare sua moglie, o perché l’innamorato – dopo averla conosciuta meglio – si ritirava immediatamente.
Era, infatti, molto egoista e fin da piccola non aveva mai aiutato nessuno. Era, inoltre, come ossessionata dalla pulizia. Aveva sempre in mano la scopa, e la usava così rapidamente che sembrava ci volasse sopra. La sua solitudine, man mano che passavano gli anni, la rendeva sempre più acida e cattiva, tanto che in paese avevano cominciato a soprannominarla “la strega”. Lei si arrabbiava moltissimo e diceva un sacco di parolacce. Nessuno in paese ricordava di averla mai vista sorridere. Quando non puliva la casa con la sua scopa di paglia, si sedeva e faceva la calza. Ne faceva a centinaia. Non per qualcuno, naturalmente! Le faceva per se stessa, per calmare i nervi e passare un po’ di tempo visto che nessuno del villaggio veniva mai a trovarla, né lei sarebbe mai andata a trovare nessuno. Era troppo orgogliosa per ammettere di avere bisogno di un po’ di amore ed era troppo egoista per donare un po’ del suo amore a qualcuno. E poi non si fidava di nessuno. Così passarono gli anni e la nostra Befana, a forza di essere cattiva, divenne anche brutta e sempre più odiata da tutti. Più lei si sentiva odiata da tutti, più diventava cattiva e brutta.
Aveva da poco compiuto settant’anni, quando una carovana giunse nel paese dove abitava. C’erano tanti cammelli e tante persone, più persone di quante ce ne fossero nell’intero villaggio. Curiosa com’era vide subito che c’erano tre uomini vestiti sontuosamente e, origliando, seppe che erano dei re. Re Magi, li chiamavano. Venivano dal lontano oriente, e si erano accampati nel villaggio per far riposare i cammelli e passare la notte prima di riprendere il viaggio verso Betlemme. Era la sera prima del 6 gennaio. Borbottando e brontolando come al solito sulla stupidità della gente che viaggia in mezzo al deserto e disturba invece di starsene a casa sua, si era messa a fare la calza quando sentì bussare alla porta. Lo stomaco si strinse e un brivido le corse lungo la schiena. Chi poteva essere? Nessuno aveva mai bussato alla sua porta. Più per curiosità che per altro andò ad aprire. Si trovò davanti uno di quei re. Era molto bello e le fece un gran sorriso, mentre diceva: “Buonasera signora, posso entrare?”. Befana rimase come paralizzata, sorpresa da questa imprevedibile situazione e, non sapendo cosa fare, le scapparono alcune parole dalla bocca prima ancora che potesse ragionare: “Prego, si accomodi”. Il re le chiese gentilmente di poter dormire in casa sua per quella notte e Befana non ebbe né la forza né il coraggio di dirgli di no. Quell’uomo era così educato e gentile con lei che si dimenticò per un attimo del suo caratteraccio, e perfino si offrì di fargli qualcosa da mangiare. Il re le parlò del motivo per cui si erano messi in viaggio. Andavano a trovare il bambino che avrebbe salvato il mondo dall’egoismo e dalla morte. Gli portavano in dono oro, incenso e mirra. “Vuol venire anche lei con noi?”. “Io?!” rispose Befana.. “No, no, non posso”. In realtà poteva ma non voleva. Non si era mai allontanata da casa.
Tuttavia era contenta che il re glielo avesse chiesto. “Vuole che portiamo al Salvatore un dono anche da parte sua?”. Questa poi… Lei regalare qualcosa a qualcuno, per di più sconosciuto. Però le sembrò di fare troppo brutta figura a dire ancora di no. E durante la notte mise una delle sue calze, una sola, dove dormiva il re magio, con un biglietto: “per Gesù”. La mattina, all’alba, finse di essere ancora addormentata e aspettò che il re magio uscisse per riprendere il suo viaggio.
Era già troppo in imbarazzo per sostenere un’altra, seppur breve, conversazione.
Passarono trent’anni. Befana ne aveva appena compiuti cento. Era sempre sola, ma non più cattiva. Quella visita inaspettata, la sera prima del sei gennaio, l’aveva profondamente cambiata. Anche la gente del villaggio nel frattempo aveva cominciato a bussare alla sua porta. Dapprima per sapere cosa le avesse detto il re, poi pian piano per aiutarla a fare da mangiare e a pulire casa, visto che lei aveva un tale mal di schiena che quasi non si muoveva più. E a ciascuno che veniva, Befana cominciò a regalare una calza. Erano belle le sue calze, erano fatte bene, erano calde. Befana aveva cominciato anche a sorridere quando ne regalava una, e perciò non era più così brutta, era diventata perfino simpatica.
Nel frattempo dalla Galilea giungevano notizie di un certo Gesù di Nazareth, nato a Betlemme trent’anni prima, che compiva ogni genere di miracoli. Dicevano che era lui il Messia, il Salvatore. Befana capì che si trattava di quel bambino che lei non ebbe il coraggio di andare a trovare.
Ogni notte, al ricordo di quella notte, il suo cuore piangeva di vergogna per il misero dono che aveva fatto portare a Gesù dal re magio: una calza vuota... una calza sola, neanche un paio! Piangeva di rimorso e di pentimento, ma questo pianto la rendeva sempre più amabile e buona.
Poi giunse la notizia che Gesù era stato ucciso e che era risorto dopo tre giorni. Befana aveva allora 103 anni. Pregava e piangeva tutte le notti, chiedendo perdono a Gesù. Desiderava più di ogni altra cosa rimediare in qualche modo al suo egoismo e alla sua cattiveria di un tempo. Desiderava tanto un’altra possibilità ma si rendeva conto che ormai era troppo tardi.
Una notte Gesù risorto le apparve in sogno e le disse: “Coraggio Befana! Io ti perdono. Ti darò vita e salute ancora per molti anni. Il regalo che tu non sei venuta a portarmi quando ero bambino ora lo porterai a tutti i bambini da parte mia. Volerai da ogni capo all’altro della terra sulla tua scopa di paglia e porterai una calza piena di caramelle e di regali ad ogni bambino che a Natale avrà fatto il presepio e che, il sei gennaio, avrà messo i re magi nel presepio. Ma mi raccomando! Che il bambino sia stato anche buono, non egoista... altrimenti gli metterai del carbone dentro la calza sperando che l’anno dopo si comporti da bambino generoso”.
E la Befana fece così e così ancora sta facendo per obbedire a Gesù.
Durante tutto l’anno, piena di indicibile gioia, fa le calze per i bambini... ed il sei gennaio gliele porta piene di caramelle e di doni.
È talmente felice che, anche il carbone, quando lo mette, è diventato dolce e buono da mangiare.

Scheda n. 7 (per gli incontri del II anno) La Settimana Santa

Abbiamo più volte sottolineato che il bambino “impara” la fede attraverso l'“esperienza” dell'anno liturgico, vedendo i propri genitori e la comunità cristiana che vivono il tempo della vita scandito dalle feste del Signore. Non c'è via migliore, anzi si potrebbe dire che non c'è altra via che questa. Il tempo della vita, attraverso la liturgia, si salva dalla routine, per divenire il tempo in cui si incontra Gesù e la sua storia.  

Questo nuovo incontro avrà per tema i giorni che preparano la Pasqua. Esso vuole aiutare i bambini ed i loro genitori ad amare ancora di più il Signore Gesù, vivendo insieme la Settimana Santa. Si potrà strutturare secondo le forme già suggerite precedentemente.

La Domenica delle Palme

I vangeli sottolineano che quando Gesù discese il Monte degli Ulivi, per entrare in Gerusalemme, una settimana prima della sua morte, tutti lo acclamarono come il Messia, come l'atteso, come il Salvatore, gridando «Osanna al Figlio di Davide». «Osanna» vuol dire letteralmente «salva dunque» ed è poi divenuta un'acclamazione. Matteo ricorda che quel grido fu anche quello dei bambini, dinanzi a Gesù (Mt 21,15-16), spiegando che così si compiva la Scrittura che dice «Dalla bocca dei bambini e dei lattanti ti sei procurato una lode». È una citazione del Salmo 8: ci fa capire che i bambini sono in grado di comprendere la grandezza di Gesù.

Le palme che si benedicono la Domenica delle Palme significano proprio questo: abbiamo riconosciuto che Gesù è il Salvatore.

Gesù viene riconosciuto dagli abitanti di Gerusalemme come il Salvatore sia perché il profeta Zaccaria aveva annunziato che il Messia sarebbe venuto cavalcando un'asina (Zc 9,9), sia perché Egli era ormai conosciuto perché aveva da poco resuscitato dai morti il suo grande amico Lazzaro e la fama di quel miracolo enorme era giunta a Gerusalemme che era vicinissima a Betania.

Tutti allora stendevano ai piedi di Gesù i loro mantelli ed i rami di palme, rendendogli così omaggio e riconoscendolo come il Salvatore atteso.

Indicazioni operative

Il sacerdote ed i catechisti mostreranno, dopo aver raccontato l'ingresso di Gesù a Gerusalemme, i rami di ulivo ai bambini, facendoli prendere loro in mano. Spiegheranno poi che, come gli abitanti ed i fanciulli di Gerusalemme riconobbero in Gesù il Salvatore, così anche loro ed i loro genitori nella Domenica delle Palme ormai vicina prenderanno quei rami dopo la liturgia e li porranno alla porta delle loro case, perché tutti sappiano che quella famiglia ha riconosciuto Gesù presente nel mondo.

Il giovedì santo

Si potrà poi proseguire spiegando ai bambini cosa è la lavanda dei piedi che essi potranno vedere nella Messa in Coena Domini. Prima di istituire l'Eucarestia - se ci si vuole soffermare già su di essa si può vedere la scheda n. 10 sulla festa del Corpus Domini - Gesù volle lavare i piedi ai suoi discepoli. Egli  si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l 'asciugatoio.

Si sottolineerà che non è solo un gesto di grande umiltà, di servizio e di amore. Infatti, i discepoli capiranno solo dopo la Pasqua che cosa voleva dire quel gesto. La lavanda dei piedi non è solo un bellissimo esempio da imitare. Piuttosto manifesta che se non siamo amati da Gesù, se non siamo da Lui lavati, perdonati e nutriti, non riusciamo ad amare. Alessandro Manzoni, in uno dei suoi Inni Sacri, racconta che il peccato è come una grande pietra che cadendo dall'alto di una montagna rotola sempre più velocemente in basso. Ma è difficilissimo riportarla poi in alto! Gesù si mette ai nostri piedi per riportarci in alto con il suo amore.

Si racconterà poi ai bambini ed ai loro genitori cosa avvenne in quella notte. Come Gesù si recò nell'orto del Getsemani, presso il Monte degli Ulivi, dove andava spesso a pregare, perché sapeva che ormai la sua ora era giunta.

In quella notte pregò con una preghiera altissima di fiducia nel Padre: «Abbà, Padre, tutto è possibile a te. Allontana da me questo calice. Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu». Gesù è venuto per rivelarci il volto di Dio, il Padre. Il suo amore per noi è l'amore di Dio Padre. Conoscendo quell'amore Egli chiede a Lui di non dover attraversare quella prova, ma gli dice ancor più che, poiché ha fiducia totale in Lui e nel Suo amore, se quella prova è necessaria per amare, Egli la affronterà abbandonandosi nelle mani del Padre.

Indicazioni operative

Si spiegherà ai bambini che è per questo che nella notte del Giovedì Santo tutti i cristiani escono dalle loro case e si recano in chiesa per pregare insieme a Gesù.

Si inviteranno i genitori a sostare in adorazione nella notte con i loro bambini anche solo per pochi istanti. I bambini, vedendo i cristiani pregare in silenzio, saranno aiutati in quella notte a scoprire come possono loro stessi pregare nel silenzio del cuore, senza dire parole con la bocca.

Potranno dire con Gesù «Abbà, Padre. Io ti prego, ma aiutami a capire la tua volontà di bene».

Come abbiamo detto più volte, la dimensione del raccoglimento e della preghiera è quella che allarga il cuore dei bambini più che nessun'altra cosa al mondo. Li apre alla speranza, li abitua all'interiorità, a vedere le cose con gli occhi d'amore di Dio. Porta nel loro cuore la pace.

Ma essi, per comprendere questo, hanno bisogno di vedere che gli adulti pregano. Per questo, oltre che spiegare ai bambini cosa avviene la notte del Giovedì Santo, sarà importante che i genitori semplicemente preghino in quella notte. Che entrando in chiesa, si inginocchino e preghino loro per primi, dicendo solo con lo sguardo e non con le parole ai loro figli amati che, almeno per un istante, sono loro, come grandi, ad avere bisogno di dire con Gesù la loro preghiera a Dio. E si alzeranno trasformati, almeno un po', mentre i loro figli li guarderanno stupiti e con ammirazione!

Il venerdì santo

Il Venerdì santo è il giorno della morte del Signore Gesù. Abbiamo già detto che è inutile nascondere ai bambini il morire, tanto essi già lo conoscono (vedi la scheda sulla Pasqua). Ciò che invece è essenziale è mostrare ai bambini che la croce non è semplicemente la sofferenza, ma è la sofferenza riempita dell'amore, dell'amore stesso di Dio. Questo fatto è già una vittoria sul male, prima ancora della resurrezione. Si potrà spiegare ai bambini che la crocifissione passò come pena capitale per i reati più gravi dai fenici ai romani. E che, come nel caso della rivolta di Spartaco, ci sono testimonianze del dolore, delle imprecazioni, delle maledizioni, con cui essa venne accolta.

In Gesù, invece, per la prima volta essa divenne “dolcezza”. Egli riempì la croce del suo amore, dell'amore stesso di Dio. Egli pregò per i suoi nemici, amandoli, e rimise la sua vita, anche il suo ultimo soffio, nelle mani del Padre. Non è la sofferenza che salva il mondo, ma l'amore che riempie la sofferenza! Da quel momento niente può più essere ormai lontano da Dio, perché Dio ha preso con sé anche il punto più basso della storia umana. Ora la storia è stata salvata, perché Dio vi è entrato fin nel più profondo.

Indicazioni operative

Sarà importante che i genitori spieghino ai figli che digiuneranno il venerdì santo. Essi potranno dir loro che il digiuno li fa partecipare alla fatica compiuta da Gesù, ma che proprio per questo li apre a riscoprire il suo amore. E li aiuta ad avere fame di Dio e dell'amore per il prossimo. Potranno anche spiegare che con ciò che hanno risparmiato digiunando aiuteranno poi i poveri.

Man mano che i figli cresceranno sarà bello coinvolgere anche loro nel Venerdì Santo in qualche rinuncia, anche se piccola. La capacità di rinunciare per amore è una dimensione importantissima della vita umana.

Sarà bello introdurli per gradi anche nella liturgia del Venerdì Santo. Il gesto di baciare con semplicità la croce nella Liturgia della Passione del Signore è assolutamente alla loro portata. Così come partecipare a qualche stazione della Via Crucis, avendo spiegato loro che la Chiesa ripercorre tutte le tappe del suo dono d'amore.

Il Sabato santo

Il Sabato Santo è il giorno del grande silenzio. Gesù ha ormai compiuto la sua fatica d'amore. Ora può scendere a liberare tutti coloro che erano morti prima di lui! Gesù entra in ogni pertugio, niente gli resiste! Tutte le porte si aprono dinanzi a Lui. Per mostrare questo ai bambini si può utilizzare un'icona della Discesa agli Inferi del Signore. Lì si vedono le porte degli inferi ormai rovesciate. Tutte le chiavi giacciono disperse, perché ormai tutte le porte sono state aperte. Ed il maligno è calpestato, perché Cristo è il più forte e niente può sconfiggerlo. Ecco perché la pace del Sabato Santo è già preludio della resurrezione.

Il dialogo con i nonni per valorizzare la memoria della tradizione

Sarà importante suggerire ai bambini, tramite i genitori, di interrogare i nonni su come vivevano la Settimana Santa quando erano giovani. Questo non solo aiuterà le diverse generazioni a trovare il coraggio di raccontarsi la bellezza di una vita vissuta, ma permetterà anche ai bambini di percepire che la Pasqua è la grande celebrazione che unisce tutte le generazioni, perché la resurrezione di Gesù ha portato in ogni età la gioia che tutti attendevano.

Antologia di testi

Da papa Francesco
Perché la Croce? Perché Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, di tutti noi, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con l’amore di Dio. Guardiamoci intorno: quante ferite il male infligge all’umanità! Guerre, violenze, conflitti economici che colpiscono chi è più debole, sete di denaro, che poi nessuno può portare con sé, deve lasciarlo.ù
Mia nonna diceva a noi bambini: il sudario non ha tasche. Amore al denaro, potere, corruzione, divisioni, crimini contro la vita umana e contro il creato! E anche - ciascuno di noi lo sa e lo conosce - E i nostri peccati personali: le mancanze di amore e di rispetto verso Dio, verso il prossimo e verso l’intera creazione. E Gesù sulla croce sente tutto il peso del male e con la forza dell’amore di Dio lo vince, lo sconfigge nella sua risurrezione. Questo è il bene che Gesù fa a tutti noi sul trono della Croce. La croce di Cristo abbracciata con amore non mai porta alla tristezza, ma alla gioia, alla gioia di essere salvati e di fare un pochettino quello che ha fatto Lui quel giorno della sua morte.

da don Umberto Neri
Ora come fa il Cristo a prenderli con sé? Come fa? Allora ecco, dice cosa fa. Si alza da cena - e qui ogni formula è meravigliosa, ogni formula è un incanto. Dalla grande cena, della quale quella era un segno, dal banchetto eterno della beatitudine di Dio, si alza da cena, depone le vesti. Che meraviglia questo “depone le vesti”! Egli che era nella forma di Dio non considerò come una rapina essere presso Dio, ma “depose la forma”, si svuotò della forma, per assumere la forma dello schiavo. Depone le vesti, qui l’interpretazione patristica è perfetta. Non è fantasia. È mancanza di fantasia quella dei moderni che eventualmente non si accorgono di questo significato che c’è intenzionalmente nel testo: depone le vesti, depone l’abito della gloria e si riveste dell’abito dello schiavo.
Depone le vesti, poi versa dell’acqua in un catino e comincia a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con il lenzuolo: è il compito dello schiavo. Ma versa l’acqua, l’acqua che sgorgherà dal suo costato, dal lato destro del tempio, l’acqua della purificazione suprema, l’acqua che trasforma in nuova creatura, l’acqua che rigenera coloro che in essa sono immersi. “Versa l’acqua”. È Gesù che nella forma di schiavo versa quest’acqua e la pone a nostra disposizione. E il significato di questo lavare i piedi sarebbe - e questo è uno dei rischi più gravi dell’interpretazione, di un’interpretazione un po’ superficiale - quello che fa di questo testo un gesto soltanto di umiltà: ecco lava i piedi, guardate come si abbassa, rende un servizio? Sì, rende un servizio. Ma bisogna intenderlo in senso forte: rende il servizio. Quale servizio? Lo dice dopo.
Quando reagisce in modo così severo a Pietro che gli dice: “Tu non mi laverai i piedi in eterno, tu lavi i piedi a me?” E Gesù dice “se non ti laverò non avrai parte con me”. Allora che cos’è questo lavare i piedi? È rendere partecipe del frutto, del mistero, della sua immolazione, della sua immolazione redentrice, della purificazione dei peccati che il Cristo compie, “compiuta la purificazione dei peccati”. Per cui chi rifiuta di farsi lavare i piedi non è soltanto un orgoglioso che dice: “Ma insomma, perché? Io non voglio fare questa figura, non sta bene”. Non è soltanto uno che non capisce. “Lo capirai dopo”. È il grande mistero che si capisce dopo, solo con il dono dello Spirito. Solo con la rivelazione compiuta del mistero del Cristo si capisce cosa vuol dire questo lavare i piedi. Fosse stato soltanto un gesto di umiltà, un gesto di estrema condiscendenza, non ci sarebbe stato bisogno di quel “dopo”. Quando Gesù dice: “Non lo capisci adesso, lo capirai dopo”, vuol dire che è un mistero supremo celato nel cuore di Dio. Ecco cosa vuol dire lavare i piedi: se non ti lavo non avrai parte con me, se io non ti purifico, se non ti lavo con il mio sangue, se il mio svuotarmi non riempie, se l’acqua che sgorga dal lato destro del tempio, del mio costato trafitto, non ti lava, tu non hai parte con me! 

dal cardinale Angelo Comastri
Fu crocifisso per noi! Gesù, morendo, si è immerso nell’esperienza drammatica della morte così come è stata costruita dai nostri peccati; ma, morendo, Gesù ha riempito di Amore il morire e quindi l’ha riempito di presenza di Dio: con la morte di Cristo, allora, la morte è vinta, perché Cristo ha riempito la morte esattamente della forza opposta al peccato che l’ha generata: Gesù l’ha riempita di Amore! 

da Karol Wojtyla
Nella croce c’è la misura suprema delle questioni umane, una misura così grande che supera la misura dell’uomo.
È la conseguenza della nostra grandezza originaria. È la conseguenza del fatto che siamo creati a immagine e somiglianza di Dio e che la nostra vita, i nostri atti vengono misurati secondo una misura non solo umana, ma anche divina. Siccome noi uomini, soprattutto dopo il peccato – tutti siamo dopo il peccato –, non riusciamo a portare questa misura, allora occorreva la croce, sulla quale fu appeso il Figlio di Dio affinché a noi uomini venisse ripristinata la misura di Dio nella vita e negli atti.
Il Crocifisso aiuta sempre ciascuno di noi a ritrovare questa misura. Ci insegna come è grande la responsabilità dell’uomo per l’uomo, per l’umanità, per la dignità umana. E quando l’uomo sente che non riesce ad assumere questa responsabilità, lo aiuta. Il mistero della croce passa nel profondo delle nostre anime.
Sentiamo dentro di noi queste dimensioni di Dio, le sentiamo in modo più intenso quando cadiamo nel peccato: allora è necessaria la coscienza umana, per purificarci, per rialzarci. Ma la necessità della coscienza umana è nello stesso tempo umana e divina.
L’uomo desidera fortemente recuperare questa originaria misura divina, con la quale Dio l’ha misurato e alla quale Dio non rinuncia mai. Miei cari fratelli e sorelle, so di essere audace, ma questa audacia è dovuta al desiderio di toccare le questioni di Dio, i misteri di Dio, che umanamente sono impronunciabili. Ma oggi perdonatemi questa audacia e accettate; se nelle mie parole c’è una luce, accettatele.

Scheda n. 8 (per gli incontri del III anno) L'anno liturgico

«L'anno liturgico è tra le più originali e preziose creazioni della Chiesa» ha scritto un teologo. Forse più delle cattedrali, più delle opere di Michelangelo o di Caravaggio, più della musica sacra. La Chiesa ha costruito nei secoli l'anno liturgico come un'opera d'arte. In fondo, chi vive l'anno liturgico pienamente è già cristiano e non ha quasi bisogno d'altro.

Quando qualcuno afferma che gli anni della catechesi vissuti da bambino sono stati inutili, perché non ricorda quasi nulla di essi, basterebbe rispondergli che invece egli ha imparato e sperimentato l'anno liturgico e che quel segno è ormai indelebile in lui: egli conosce ormai il Natale, la Pasqua, l'Avvento, la Quaresima, le feste dei Santi, cioè conosce Cristo! L'anno liturgico ripercorre tutta la vita di Cristo e della sua Chiesa in cammino verso l'eternità: chi lo vive, vive di Cristo, chi lo conosce, conosce Cristo!

Ecco perché è decisivo introdurre pian piano i bambini con le loro famiglie nell'anno liturgico. La liturgia è il luogo decisivo perché la catechesi diventi “esperienziale”. Noi non possiamo fare pienamente “esperienza” di Dio, se non nella liturgia perché solo in essa Egli si dona pienamente a noi. Nella celebrazione eucaristica Cristo ci offre il suo corpo ed il suo sangue, La lettura dell'intera Bibbia, pur essendo la Parola di Dio importantissima ed addirittura necessaria per trovare Dio, non potrà mai darci il corpo ed il sangue di Cristo.

Indicazioni operative

Il sacerdote ed i catechisti presenteranno innanzitutto i due centri dell’anno liturgico, che corrispondono ai due più grandi eventi della vita del Signore Gesù: all'Incarnazione di Dio che si fa uomo corrisponde il Natale, alla Resurrezione di Cristo corrisponde la Pasqua. È per questo che la Chiesa fa vestire in quelle due feste i sacerdoti di bianco, perché il bianco è il colore della luce, della festa, della gioia. Si potranno mostrare le casule bianche e permettere ai bambini di vederle da vicino e di toccarle.

Le due grandi feste debbono essere preparate, perché l'Incarnazione è stata preceduta dalle promesse di Dio e la Pasqua dalla richiesta di Cristo di convertirsi, di cambiare vita: l'Avvento e la Quaresima simbolizzano questi due tempi. Per questo il sacerdote nell'Avvento e nella Quaresima indossa il colore viola che è il colore della preparazione: il viola è un colore scuro, ma non totalmente, perché richiama alla notte che già si sta aprendo alla luce.

Le due grandi feste di Natale e di Pasqua non solo vengono preparate, ma hanno anche un periodo che le segue, prolungando la gioia di quell'evento e permettendo di parteciparvi sempre più. La festa di Natale si prolunga fino all'Epifania, quando il Dio fattosi carne, il Bambino Gesù, si manifesta come luce per il mondo intero. Anche questa festa utilizza il colore bianco.

La festa di Pasqua si prolunga invece fino alla Pentecoste. Gesù risorto, pur ascendendo in cielo per vivere con il Padre e portare in Dio l'umanità, non si allontana da noi, bensì ci dona il suo Spirito che continua la sua presenza in mezzo a noi. Nella festa di Pentecoste la Chiesa utilizza il colore rosso, ad indicare che il fuoco ed il calore dello Spirito di Cristo ci sono donati e sono sempre presenti nella Chiesa.

Ma la vita di Gesù non è composta solo dai grandi eventi che vengono celebrati con le grandi feste cristiane. Il Cristo ha anche vissuto, proprio perché con l'Incarnazione ha assunto tutta la vita umana, i momenti ordinari dell'esistenza. Tutti i fatti della sua vita vengono ricordati nel Tempo ordinario che è posto fra il Tempo di Natale e quello di Pasqua e dopo il tempo di Pasqua. Nelle domeniche di questo tempo la Chiesa utilizza il colore verde che indica proprio la quotidianità della vita.  

Testi per la meditazione

da Inos Biffi
L'anno liturgico è tra le più originali e preziose creazioni della Chiesa, "un poema - come diceva il cardinale Ildefonso Schuster di tutta la liturgia - al quale veramente hanno posto mano e cielo e terra". Esso è la trama dei misteri di Gesù nell'ordito del tempo. Così, lungo il corso di ogni anno, la Chiesa rievoca gli eventi della sua nascita, della sua morte e della sua risurrezione, così che il susseguirsi dei giorni sia tutto improntato e sostenuto dalla memoria di lui. Una memoria d'altronde che, se fa volgere lo sguardo a quando quegli eventi si sono compiuti, subito fa tendere lo sguardo sul Presente, cioè sul Cristo vivente, che sovrasta e include in se stesso tutta la storia.

da Sacrosanctum Concilium, 106
Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dallo stesso giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente "giorno del Signore" o "domenica". In questo giorno infatti i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare all'Eucaristia, e così far memoria della passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù e rendere grazie a Dio che li "ha rigenerati nella speranza viva della risurrezione di Gesù Cristo dai morti" (1 Pt 1, 3). La domenica è dunque la festa primordiale che dev'essere proposta e inculcata alla pietà dei fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia e di riposo dal lavoro. Non le vengano anteposte altre celebrazioni, a meno che siano di grandissima importanza, perché la domenica è il fondamento e il nucleo di tutto l'anno liturgico.

Scheda n. 9 (per gli incontri del III anno) L'Avvento

L'Avvento è il tempo dell'attesa di Cristo. In particolare il sacerdote con i catechisti potrà spiegare ai bambini ed ai loro genitori che le quattro settimane di Avvento ci fanno partecipare all'attesa di Israele e di ogni uomo. Il popolo ebraico aveva ricevuto l'annunzio che sarebbe giunto il Messia, il Cristo. Letteralmente Messia in ebraico e Cristo in greco vogliono dire il “consacrato con l'unzione”. Ma, più profondamente, questi termini ci dicono che c'è Qualcuno che è atteso nella nostra vita e nella storia degli uomini. La vita è incompleta non perché è fatta male, ma perché deve ancora giungere Qualcuno. Essa è come protesa verso Dio che deve arrivare e solo con la sua venuta, tutto diventerà “pieno”, completo, e comprenderemo il significato di tutto.

Ma l'Avvento ci fa rivivere anche il tempo prossimo dell'attesa della nascita di Gesù, quando Maria si preparava alla nascita di questo Bambino Messia ormai giunto.

Ai bambini sarà così presentato il Dio della promessa. Egli ha promesso di venire e la sua promessa si compirà. Anche ciò che manca alla nostra vita di oggi deve essere visto in prospettiva non come fallimento, ma come attesa di un compimento - perché è evidente che alla nostra vita manca qualcosa senza Dio!

L'Avvento aiuta anche ad insegnare la pazienza, i tempi lunghi che sono necessari per le cose veramente belle ed importanti. Dio è paziente ed ha preparato nei secoli il suo popolo per la venuta del suo Figlio. Noi sappiamo che tutto ciò che brucia le tappe è in realtà illusorio e che non esiste una felicità a poco prezzo.

Rivivere l'avvento vuol dire anche imparare a sentire il valore del tempo e della pazienza che esso chiede perché possiamo giungere a vedere il bene.

Indicazioni operative

Il calendario dell’Avvento

Una prima tradizione bella che può essere presentata nell'incontro per essere poi vissuta in famiglia è quella del calendario dell'Avvento. Come è noto, con esso i bambini aprono ogni giorno una finestrella dal primo giorno dell'avvento fino al 25 dicembre. È molto adatto ai bambini per la ripetitività giornaliera del gesto, per il messaggio che c’è dietro ogni finestrella, per la sua capacità di far vivere l’attesa di un evento importante che pian piano si avvicina. Il calendario crea un’intesa profonda tra bambino e genitori, entrambi coinvolti in questo piccolo e affettuoso rito familiare.

Purtroppo non è facile oggi trovare calendari dell’Avvento ben fatti. Talvolta le immagini non hanno nulla a che vedere con il racconto dei vangeli. Occorre perciò cercare con attenzione tra le offerte che si trovano in giro. Ottimo, ad esempio, è il calendario dell'Avvento edito dalla Jaca Book Aspettando il Natale e l’Epifania.

La corona dell’Avvento

Il sacerdote ed i catechisti possono presentare poi la corona dell'Avvento: È una particolare forma di ghirlanda in cui è simbolicamente presente il richiamo alla vittoria sulla morte, rappresentato dalle foglie di alberi sempreverdi. Al suo interno sono fissate quattro candele, una per ogni settimana dell’Avvento. Costituisce un appuntamento settimanale intorno alla tavola della famiglia (eventualmente allargata a parenti o amici; a pranzo oppure a cena), nelle quattro domeniche che precedono il Natale. Stare insieme a tavola è sempre un momento importante: segno di condivisione, di rapporti forti, di intenso scambio.

La piccola celebrazione prima del pasto diventa allora un rito che dà un valore religioso a tutti quegli aspetti, orientandoli all’attesa del Salvatore. Si condivide insieme il simbolismo della luce che cresce man mano che si avvicina la Notte Santa. Il modo semplice e intenso con cui questo momento viene vissuto è affascinante per i bambini. L’accensione della candela, il ripetersi puntuale (ogni domenica) del piccolo evento, la breve preghiera in comune, sono tutti elementi che li coinvolgono emotivamente e affettivamente, trasmettendo loro un senso di gioia e di sicurezza di cui sono alla ricerca. Quando è in grado di farlo, potrà essere il bambino stesso ad accendere e poi a spegnere le candela.

Nel corso dell'incontro si può anche costruire insieme la corona dell'Avvento e poi portarla in casa.

L'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria

All'interno del cammino dell'Avvento potrà essere presentata la solennità dell’Immacolata. È una grande occasione offerta dalla liturgia per avvicinare i bambini a Maria, scoprendola come la persona più bella che Dio ha voluto, la donna più bella di tutta la storia umana.

È bene evitare di usare diminutivi che rischiano di banalizzare il rapporto con Maria: termini come “Madonnina” o “preghierina” possono sminuire l’importanza di una relazione vera, nella preghiera, con Maria, Madre di Dio e madre nostra.

Maria - si spiegherà ancora i bambini - è la madre di Gesù, la madre del Signore, colei che ha reso possibile con il suo “sì” l'Incarnazione. È madre come ogni mamma. Eppure è ancora più bella di ogni madre, proprio perché Dio l’ha scelta da sempre per essere la mamma di Gesù. Ed è per questo che l’ha voluta “immacolata”.

Ogni volta che ci regalano un vestitino nuovo è sempre pulitissimo, ben lavato e stirato. ma, subito dopo averlo indossato, il vestito si comincia a macchiare: quando mangiamo, quando giochiamo, quando andiamo per strada. Anche il nostro cuore si macchia, ogni volta che facciamo qualcosa di sbagliato: un capriccio, una bugia, un dispetto. Il nostro cuore si imbruttisce quando noi pecchiamo.

L’unica persona al mondo che non si è mai macchiata il cuore è Maria. Ha avuto questo privilegio da parte di Dio per essere la madre di Gesù e la madre nostra. Per questo viene chiamata “Immacolata” che significa “senza macchia”, “senza peccato”.

Alla mamma di Gesù, che è anche la madre nostra, possiamo dire le cose che ci stanno più a cuore. Possiamo pregarla perché ci aiuti sempre nella vita di ogni giorno. Le possiamo dire cose semplici: “Ti voglio bene. Stammi vicino. Aiuta la mia famiglia. Grazie per tutti i doni che Dio ci fa”.

Indicazioni operative

Per esprimerle il nostro affetto a Maria possiamo portarle dei fiori ed offrirle le nostre preghiere. I fiori infatti sono segno di amore, sono un dono che sta ad indicare la bellezza e la gioia. Offrendo dei fiori a qualcuno, noi vogliamo dire tutto il nostro affetto.

È molto bello invitare i bambini con i loro genitori ad una delle Messe dell'Immacolata - potrebbe risultare più adatta quella della sera, perché spesso le famiglie quel giorno escono dalla città per un giorno di riposo – invitando i bambini a portare un fiore ed una preghiera che, dettata da loro, i genitori potranno scrivere su di un piccolo foglio di carta. Al termine della liturgia i bambini si recheranno in processione presso la statua della Madonna e deporranno i loro fiori in vasi appositamente preparati, mentre le loro preghiere saranno arse su di un braciere profumato con incenso.

Testi per meditare

Raccontare la storia di Bernardette
Quasi duecento anni fa in un piccolo paesino della Francia chiamato Lourdes nasce una bambina chiamata Bernardette. La sua famiglia è poverissima. I genitori non hanno soldi per mangiare né per mandare i figli a scuola e la piccola Bernardette non sa né leggere né scrivere.
Bernardette deve badare alle pecore del papà. Le porta a pascolare tutti i giorni. La sera la mamma cerca di insegnarle qualcosa, ma Bernadette è sempre molto stanca.
Una mattina d’inverno la bambina va, con la sorella Antonia e con un’amica, a raccogliere la legna che serviva per riscaldare la loro casetta. Insieme vanno verso un piccolo fiume. Dall’altra parte del fiume c’è una grotta.
Mentre Bernadette si toglie le calze per entrare nel fiume, sente un fortissimo vento che fa muovere i cespugli vicino alla grotta.
Bernadette vede poi una luce che illumina la grotta e una signora, vestita di bianco, bellissima.
La bambina si inginocchia e inizia a pregare. La signora le fa un bel sorriso e poi scompare.
Le altre bambine non hanno visto nulla. Bernadette racconta quello che è successo. La sorella lo dice alla mamma e dopo poco tempo tutto il paese sa quello che è accaduto alla grotta. Nei giorni seguenti di nuovo la bambina vede quella bella signora alla grotta, senza sapere chi sia. Finalmente ha il coraggio di chiederle il nome e la signora risponde con una parola che Bernadette non capisce: “Io sono l’Immacolata Concezione”.
Bernadette lo dice al sacerdote della sua parrocchia, don Domenico, che rimane molto colpito. “Immacolata” le spiega il parroco “significa ‘senza macchia’. Solo la Madonna, Maria, la mamma di Gesù è immacolata”.
Bernadette capisce allora che è proprio Maria che le è apparsa. La Madonna fa poi un miracolo, facendo sgorgare dalla roccia una sorgente d’acqua che guarisce alcuni malati.
Da allora il paese di Lourdes è uno dei posti più visitati al mondo. Da tutte le parti vengono da Maria per chiedere aiuto e forza, come si fa con le nostre mamme.

Scheda n. 10 (per gli incontri del III anno) Santissimo Corpo e Sangue del Signore

Quando si celebra il Corpus Domini, siamo alla fine di un anno (tra maggio e giugno). La festa del Corpo e Sangue di Cristo è importantissima, perché non basterebbe la nascita di Gesù Cristo 2000 anni fa, se noi non potessimo poi incontrarlo oggi nella nostra vita.

La fede si basa su due eventi entrambi assolutamente necessari: l'Incarnazione del Figlio di Dio e la sua presenza nella celebrazione dei Sacramenti. Se Egli non fosse venuto, la fede sarebbe falsa. Ma la fede sarebbe altrettanto vuota di significato se Egli non venisse oggi in mezzo a noi. Invece, Egli si è fatto vicino a noi una volta per sempre, per restare sempre a noi vicino nell'Eucarestia.

Per questo Gesù volle lasciarci il suo Corpo ed il suo Sangue: perché ogni generazione potesse incontrarlo. Noi non lo vediamo, così come non si vede l'amore di una persona. Ma Egli è presente sotto l'apparenza del pane consacrato.

Il Tabernacolo

Il sacerdote ed i catechisti presenteranno ai bambini, prima di entrare in chiesa, il Tabernacolo, perché essi possano distinguerlo e capirne almeno in germe l'importanza. Il piccolo non può immediatamente capire da solo la presenza reale del Signore. Quando gli si chiede “Dov’è Gesù?” la sua attenzione si dirige  verso un’immagine, un crocifisso, una statua.

Si può spiegare loro che l’immagine ci richiama alla persona, come succede con le nostre foto, ma non è la persona. Possiamo dire che in un affresco che lo ritrae Gesù si vede, ma non c’è. Esiste invece un luogo - il Tabernacolo - dove Gesù non si vede, ma c’è. Il segno di una candela sempre accesa sta ad indicare che lì c’è proprio Lui, come un amico che ci attende. Questo amico ha scelto di rivestirsi dell'apparenza del pane.

Gesù, il pane eucaristico

Il pane è l’elemento semplice che tutti i bambini conoscono. Il pane piace a tutti e lo troviamo tutti i giorni sopra le nostre tavole. Anche nel vangelo si parla spesso di pane. Si racconta, ad esempio, che Gesù un giorno si è trovato davanti a tantissima gente che aveva fame e lui aveva solo cinque pani. Com’era possibile sfamare una folla con così poco cibo? Gesù spezzò i pani e li distribuì a tutti e quel pane fu sufficiente per tutti. Quando poi la gente lo cercò a motivo del miracolo che aveva compiuto, Egli disse: «Sono io il Pane vivo». Cosa significa questo?

Per rispondere possiamo domandarci: da dove viene il pane? Prima di essere pane, c’era un seme, apparentemente secco, che un giorno venne messo nella terra e la terra era brulla e nuda. Ma la terra annaffiata cominciò a dare vita a quel seme, mentre il sole e la pioggia dall’alto lo vivificavano. Attraverso un lavorio lungo e nascosto, il seme divenne filo d’erba e poi, quando il sole era ormai caldo, spiga matura. Uomini e donne fecero il raccolto e lo lavorarono. Il seme divenne farina e infine pane, pronto ad essere portato sulle nostre tavole. Da piccolo seme, a filo d’erba, a spiga, a farina, a pane, fino alle nostre case. Eppure il pane può essere trasformato ancora: una trasformazione che non può più venire dall’uomo, ma solo da Dio. Durante la Messa lo Spirito di Dio trasforma quel pane nel corpo di Cristo, come è avvenuto duemila anni fa, quando, la sera prima di morire sulla croce, Gesù donò da mangiare il pane ai suoi amici dicendo: «Questo è il mio corpo!»

Di solito per parlare di una persona con un cuore grande, piena di amore, si dice: è buona come il pane.  Ora Gesù stesso, infinitamente buono, si fa Pane per noi.

Indicazioni operative

Dopo aver spiegato ai bambini la festa del Corpo e Sangue di Cristo, ci si potrà recare in chiesa per un breve momento di adorazione. Si chiederà ai bambini di entrare in raccoglimento in chiesa, proprio perché siamo dinanzi ad un mistero grande.

Si spiegherà loro che davanti al Tabernacolo si compie un gesto molto bello che è quello dell'inginocchiarsi, cioè del piegare le ginocchia, “facendoci un po’ più piccoli”. Perché quando si sta davanti ad un re ci si inginocchia!

Si può anche esporre per un breve momento l'Eucarestia, chiedendo a tutti di restare in ginocchio. Il sacerdote, indossati i paramenti, spiegherà che non siamo solo noi a contemplare Gesù, ma che anche Lui ci guarda, amandoci. Nell'adorazione non siamo, infatti, tanto noi a fare qualcosa per Gesù, quanto piuttosto ci mettiamo dinanzi a Lui per essere come abbracciati dalla sua presenza.

La preghiera dinanzi al Santissimo sarà breve, ma è importante che essa sia un vero momento di silenzio e di adorazione. Si potrà spiegare ai bambini, prima di stare con loro in silenzio, che potranno semplicemente dire nel segreto del loro cuore il loro grazie a Gesù che ci guarda, amandoci. 

Al termine si potrà tornare ancora sul gesto dell'inginocchiarsi. Si ripeterà che sempre i cristiani compiono quel gesto ogni volta che entrano in Chiesa rivolgendosi al Tabernacolo, proprio per venerare la presenza di Gesù in mezzo a noi. Si insisterà ancora sul fatto che il gesto dell'inginocchiarsi è quello che si compie al momento della Consacrazione, perché Gesù in quel momento si offre e viene ad abitare in mezzo a noi.

Testi per meditare

dal dialogo di Papa Benedetto XVI con i bambini della prima Comunione (15 ottobre 2005)
La mia catechista, preparandomi al giorno della mia Prima Comunione, mi ha detto che Gesù è presente nell'Eucaristia. Ma come? Io non lo vedo!
Sì, non lo vediamo, ma ci sono tante cose che non vediamo e che esistono e sono essenziali. Per esempio, non vediamo la nostra ragione, tuttavia abbiamo la ragione. Non vediamo la nostra intelligenza e l'abbiamo. Non vediamo, in una parola, la nostra anima e tuttavia esiste e ne vediamo gli effetti, perché possiamo parlare, pensare, decidere ecc... Così pure non vediamo, per esempio, la corrente elettrica, e tuttavia vediamo che esiste, vediamo questo microfono come funziona; vediamo le luci. In una parola, proprio le cose più profonde, che sostengono realmente la vita e il mondo, non le vediamo, ma possiamo vedere, sentire gli effetti. L'elettricità, la corrente non le vediamo, ma la luce la vediamo. E così via. E così anche il Signore risorto non lo vediamo con i nostri occhi, ma vediamo che dove è Gesù, gli uomini cambiano, diventano migliori. Si crea una maggiore capacità di pace, di riconciliazione, ecc... Quindi, non vediamo il Signore stesso, ma vediamo gli effetti: così possiamo capire che Gesù è presente. Come ho detto, proprio le cose invisibili sono le più profonde e importanti. Andiamo dunque incontro a questo Signore invisibile, ma forte, che ci aiuta a vivere bene.

dal dialogo di Papa Benedetto XVI con i bambini della prima Comunione (15 ottobre 2005)
Anna: «Caro Papa, ci puoi spiegare cosa voleva dire Gesù quando ha detto alla gente che lo seguiva: "Io sono il pane della vita"»?

Allora dobbiamo forse innanzitutto chiarire che cos'è il pane. Noi abbiamo oggi una cucina raffinata e ricca di diversissimi cibi, ma nelle situazioni più semplici il pane è il fondamento della nutrizione e se Gesù si chiama il pane della vita, il pane è, diciamo, la sigla, un'abbreviazione per tutto il nutrimento. E come abbiamo bisogno di nutrirci corporalmente per vivere, così anche lo spirito, l'anima in noi, la volontà, ha bisogno di nutrirsi. Noi, come persone umane, non abbiamo solo un corpo, ma anche un'anima; siamo persone pensanti con una volontà, un’intelligenza, e dobbiamo nutrire anche lo spirito, l'anima, perché possa maturare, perché possa realmente arrivare alla sua pienezza. E, quindi, se Gesù dice io sono il pane della vita, vuol dire che Gesù stesso è questo nutrimento della nostra anima, dell'uomo interiore del quale abbiamo bisogno, perché anche l'anima deve nutrirsi. E non bastano le cose tecniche, pur tanto importanti. Abbiamo bisogno proprio di questa amicizia di Dio, che ci aiuta a prendere le decisioni giuste. Abbiamo bisogno di maturare umanamente. Con altre parole, Gesù ci nutre così che diventiamo realmente persone mature e la nostra vita diventa buona.

Dalle storie dei santi
Un giorno in una chiesa quasi deserta, un ragazzino di sette anni pregava tutto solo in un banco. A un certo punto si sposta e va vicino alla balaustra. Dopo un po' va sui gradini dell'altare, poi prende uno sgabello e sale sulla mensa... Una signora che stava in chiesa, lo richiama. «Vieni giù, che fai li? Scendi!». Il bambino, indicando Gesù nel Tabernacolo, con aria innocente risponde: «Ma io gli voglio bene!». Quel bambino era il futuro San Pietro Chanel.

da una lettera di mons. Tonino Bello
Carissimi catechisti,
è autentica. Ieri sera stavo amministrando l'eucarestia, durante la messa solenne, quando si è presentato un papà con la figlioletta in braccio. Il Corpo di Cristo. Amen. E gli ho fatto la comunione. La bambina allora, che osservava con occhi colmi di stupore, si è rivolta a suo padre e gli ha chiesto: «È buona?». Sono rimasto letteralmente bruciato da quell'interrogativo. A tal punto, che mi son dovuto fermare. Poi, con la pisside in mano, mi son fatto largo fra la gente, ho raggiunto quel signore che si era già allontanato, e ho sentito il bisogno di dare un bacio alla sua bambina. Quella domanda mi è parsa splendida. E siccome nell'omelia avevo detto che in fatto di fede possiamo trasmettere agli altri solo ciò che sperimentiamo noi stessi, ho pensato che il Signore, con la battuta ingenua di una bambina e nel linguaggio spontaneo dei semplici, avesse voluto restituirmi la sintesi del mio lungo discorso. In effetti, ciò che rende credibili sulle nostre labbra di annunciatori la trasmissione del messaggio di Gesù è soltanto l'esperienza che noi per primi facciamo della sua verità. Una verità che non passa, se chi la trasmette non ne pregusta un assaggio e non se ne nutre in abbondanza.
La domanda di quella bambina, perciò, ci stringe d'assedio, perché chiama in causa non tanto il nostro sapere religioso, quanto lo spessore del nostro vissuto concreto. «È buona?». Perché, se la mensa di cui tu parli ti riempie di forze, desidero sedermi anch'io alla tua tavola. Spezzane un po' anche per me di quel pane che tu gusti avidamente. Fammi bere alla stessa brocca, se è vero che quell'acqua toglie la sete e ti placa l'arsura dell'anima.
«È buona?». Perché se l'hai già provato tu che la legge del Signore è perfetta e rinfranca l'anima, come dicono i salmi, o che gli ordini del Signore fanno gioire il cuore, e le sue parole sono più dolci del miele e di un favo stillante... fa' assaporare pure a me queste delizie del palato e non escludermi da condivisioni di così squisita bontà.
Carissimi catechisti, io non so bene cosa ieri sera, a messa, avesse voluto da me il Signore, il quale per dirla ancora con le Scritture, si esprime spesso con la bocca dei bimbi e dei lattanti. Ha voluto provocarmi a uscire dall'assuefazione ad un cibo troppo distrattamente consumato? Ha inteso rimproverarmi la sistematica assenza di gratitudine per il Suo Pane disceso dal cielo? Ha voluto farmi prendere coscienza con quanto poco stupore accolgo la ricchezza dei suoi doni? Non lo so. Certo è che, se quella bambina avesse potuto capirmi e io mi fossi sentito meno indegno di accreditarmi certi meriti, avrei risposto per conto del suo papà, rimasto muto, e avrei voluto dirle: «Sì che è buona l'eucarestia. Così come è buona la sua Parola. Così come è buona la sua amicizia. Così come è buona la sua croce. Te lo dico io che non posso più resistere senza quell'ostia. Che non so più fare a meno della sua Parola di vita eterna. Che sperimento la sua amicizia, sia nel gaudio di quando Lui mi è accanto, come nella nostalgia quando mi manca. Te lo dico io che ho una croce leggera sul petto, e una pesante sulle spalle. Quest'ultima, però, da quando ho capito che è una scheggia di quella portata da Lui, da simbolo delle mie sconfitte, si è tramutata in fontana di speranza. Per me e per gli altri. Parola di uomo!».

Scheda n. 11 (Lettera ai genitori) Le grandi preghiere cristiane. «Quando pregate dite: “Padre nostro...”»

Carissimi genitori,

bussiamo ancora alla porta della vostra casa per parlarvi della più grande preghiera che esista al mondo: il Padre nostro. È la preghiera che Gesù ha voluto insegnarci per farci scoprire che siamo figli amati dal Padre. Vogliamo parlarvene se non siete abituati ancora a pregare con essa ogni giorno, così come se è per voi la preghiera più cara che sempre recitate, perché possiate insegnarla ai vostri figli come un tesoro preziosissimo.

I bambini ci guardano, i bambini ci imitano

Nel 2006 è stato pubblicato un video australiano intitolato “Children see, children do” (I bambini ci guardano, i bambini ci imitano), che vi invitiamo a vedere su Youtube.

Questo cortometraggio mostra quanto i bambini come spugne assorbano, quanto essi replichino i comportamenti ed i gesti dei loro genitori. Nel bene e nel male.

Invitandovi ad insegnare ai vostri figli il Padre nostro, vogliamo innanzitutto dire a voi genitori che ciò che è decisivo, nel trasmettere questa preghiera, è la venerazione che noi abbiamo per queste parole di Gesù. Noi vogliamo trasmettere ai bambini la solennità, la maestosità, la profondità di queste parole che sono molto, molto più di una formula.

La preghiera che ci ha insegnato Gesù

Quando i discepoli videro pregare Gesù sentirono il desiderio di imparare da Lui.

Era evidentemente molto bello quello che avevano visto.

E allora glielo chiesero: «Insegnaci a pregare!».

Il Padre Nostro fu la risposta al loro desiderio.

La preghiera del Padre nostro è perfettissima. Nella preghiera del Signore non solo vengono domandate tutte le cose che possiamo rettamente desiderare, ma anche nell’ordine in cui devono essere desiderate: cosicché questa preghiera non solo insegna a chiedere, ma plasma anche tutti i nostri affetti (San Tommaso d’Aquino).

È proprio il Vangelo allora a far crescere in noi ed in voi genitori la consapevolezza della serietà, della decisività, della completezza di queste parole che Gesù ci invita a rivolgere senza stancarci al Padre.

Pensate che un quarto del Catechismo della Chiesa Cattolica è dedicato alla preghiera. Non pregare e non trasmettere la preghiera è come perdere un quarto della fede!

Il Padre Nostro ci è presentato come la preghiera fondamentale, la sintesi di tutto il Vangelo: infatti, il Catechismo cita una bellissima espressione di Tertulliano, uno dei padri della Chiesa latina:

L’orazione del Signore (il Padre nostro) è veramente la sintesi di tutto il Vangelo (Tertulliano).

Uno dei primi padri della Chiesa ha scritto in proposito:

Gesù ha voluto riassumere ogni preghiera possibile nel «Padre nostro» per fare con la preghiera ciò che aveva già fatto con le prescrizioni della legge quando «sintetizzò tutti i suoi comandamenti» nel precetto della carità. Ciò che preme al Signore è permettere che tutti, dotti ed ignoranti, uomini e donne, grandi e piccoli, possano ascoltare e ricevere la parola che salva (San Cipriano).

Pregare con il Padre nostro insieme ai bambini

Se per spiegare il Padre nostro ai bambini si può aspettare che abbiano qualche anno, fin da subito invece si può far amare loro questa preghiera.

Si può generare così in loro con tante piccole attenzioni un senso di venerazione per queste parole che sono di una profondità smisurata. E si può trasfondere nei bambini il senso di Mistero che avvolge questa preghiera. Come in tutti gli ambiti della crescita dei nostri bambini, essi imparano ripetendo, osservando, stupendosi e solo dopo riusciranno a razionalizzare ciò che hanno compreso con il cuore.

Bisogna, perciò, evitare, ogni banalizzazione della preghiera, ogni infantilismo sul padre nostro. Davanti a loro noi pregheremo sempre questa preghiera da “adulti” senza cantilene, senza vocine, senza paternalismo. Con dolcezza, con calma, con profondità. I bambini dovrebbero vedere che per noi è un onore pregare questa preghiera. Non useremo mai l'espressione “preghierina”, perché sarebbe già svilire la grandezza del Padre nostro.

Durante la Messa le espressioni con cui il sacerdote introduce il Padre nostro ci aiutano a capire quanto sia fondamentale: «Obbedienti… divino insegnamento… osiamo dire… guidati dallo Spirito di Gesù… il Signore ci ha donato il Ssuo Spirito... con la libertà dei figli…».

Queste espressioni aiutano noi stessi insieme ai bambini ad entrare in un atteggiamento carico di stima e di gratitudine. In questo modo saremo aiutati a non banalizzare queste parole decisive del Figlio di Dio.

È commovente ricordare a noi stessi ed ai nostri figli come per tre volte al giorno su tutta la terra la Chiesa, che è il Corpo vivente di Gesù, preghi pubblicamente il Padre Nostro: nelle Lodi al mattino, nella Santa Messa e nei Vespri alla sera.

Un altro Padre della Chiesa ha scritto:

Il Signore ci insegna a pregare insieme per tutti i nostri fratelli. Infatti egli non dice Padre "mio" che sei nei cieli, ma Padre "nostro", affinché la nostra preghiera salga, da un cuore solo, per tutto il Corpo della Chiesa (San Giovanni Crisostomo).

Il Padre nostro, essendo tutto Parola di Dio e non parola umana (Lc 11,1-4), è una preghiera profondissima, un abisso, e non ci basterà tutta la vita per pregarla bene. Vi riusciremo pienamente solo in Paradiso, quando saremo uniti completamente a Gesù. I santi sono tanto più grandi quanto più l’hanno pregata in verità.

Il Padre nostro, preghiera dei battezzati

I bambini possono pregare con il Padre nostro innanzitutto perché sono dei battezzati.

Possiamo aiutare anche loro a comprendere la grandezza e l’immensità del Battesimo che già hanno ricevuto, utilizzando immagini tratte dalla Parola di Dio, come quella della vite e dei tralci (Gv 15,1-17).

Mostrando ai bambini una pianta grande e maestosa è sufficiente dire loro: «Ecco questa pianta con questo tronco gigante è Cristo e tu con il Battesimo sei diventato uno di quei piccoli ramoscelli lassù in alto teneri e fragili, ma preziosissimi. Dentro di te scorre la stessa linfa del tronco. La linfa che porta acqua e nutrimento è lo Spirito Santo».

Oppure possiamo utilizzare l’immagine del corpo, presa da San Paolo. «Vedi il mio corpo? Il corpo del tuo papà (della tua mamma) è formato da miliardi di cellule. Dentro ogni cellula c’è un filino sottile a forma di elica uguale in tutte le mie cellule che contiene tutto quello che sarò e diventerò. Potremmo chiamarle anche le “istruzioni” per la crescita del corpo - i grandi le chiamano il DNA. Ecco con il Battesimo siamo diventati tu ed io cellule viventi del Corpo di Gesù. E come le cellule sono nutrite e dissetate dal sangue così noi come cellule del Corpo di Gesù siamo nutriti dal suo Spirito Santo».

Queste spiegazione che uniscono anche qualche dato scientifico o di osservazione della natura sono graditissime anche dai bambini più piccoli, che sono appassionati di conoscenze scientifiche.

Le sette richieste del Padre nostro

Quando i bambini, crescendo, porranno delle domande sulle 7 richieste del Padre Nostro, si potranno dare risposte brevi e semplici.

Padre nostro che sei nei cieli

Con il Battesimo siamo diventati figli nel Figlio, tralci di un’unica Vite, in noi prega lo Spirito di Gesù che grida in noi Abbà - è bene spiegare che esattamente questa è stata la parla detta da Gesù in aramaico e che significa padre carissimo. Noi uniti a Gesù entriamo nella preghiera eterna del Figlio al Padre.

Padre nostro non è Padre mio. Questa preghiera, anche quando è pregata nel segreto della nostra camera, è sempre aperta e comunitaria, perché non ci possiamo mai separare dai fratelli che fanno parte con noi dell’unico corpo di Cristo.

L’espressione che sei nei cieli significa che Dio è più grande di noi. Dio coinvolge nel suo Mistero delle creature fragili e povere come noi per puro Dono di Grazia. Senza questo suo Amore smisurato noi non potremmo colmare l’abisso che separa la creatura dal Creatore. Le parole che sei nei cieli non ci dicono quindi che Dio è lontanissimo, ma ci ricordano la sua Maestà.

Così spiegava San Francesco d’Assisi, da cui ci faremo aiutare per ognuna delle 7 richieste del Padre nostro:

O santissimo Padre nostro: creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro.

Che sei nei cieli: negli angeli e nei santi, illuminandoli alla conoscenza, perché tu, Signore, sei luce, infiammandoli all'amore, perché tu, Signore, sei amore, ponendo la tua dimora in loro e riempiendoli di beatitudine, perché tu, Signore, sei il sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene.

Sia santificato il tuo nome

Il Padre , se noi vogliamo (perché ci vuole sempre la nostra libertà), può essere santificato dentro di noi. Gesù ha fatto una promessa: «Il Padre mio darà lo Spirito Santo a coloro che lo chiedono». Chiedendo lo Spirito Santo senza stancarci possiamo diventare figli come è stato Figlio Gesù. Santi come Lui è santo. Non si diventa quindi santi con le nostra forze, ma se santificati dall’alto.

Così spiegava San Francesco d’Assisi:

Sia santificato il tuo nome: si faccia luminosa in noi la conoscenza di te, affinché possiamo conoscere l'ampiezza dei tuoi benefici, l'estensione delle tue promesse, la sublimità della tua maestà e la profondità dei tuoi giudizi.

Venga il tuo regno

Occorre sempre ricordare ai bambini che Dio è re. Gesù è Re e vuole essere fino in fondo nostro Re. Ma questo non avviene magicamente: ci vuole il nostro desiderio, la nostra libertà, la nostra richiesta. Noi preghiamo perché Gesù diventi veramente in ogni angolo della nostra vita il vero Signore. Lo Spirito Santo, quando lo chiediamo, realizza questo: ci fa diventare fino in fondo, suo Regno.

Così spiegava San Francesco d’Assisi:

Venga il tuo regno: perché tu regni in noi per mezzo della grazia e ci faccia giungere nel tuo regno, ove la visione di te è senza veli, l'amore di te è perfetto, la comunione di te è beata,

il godimento di te senza fine.

Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra

In ogni uomo (se lo vogliamo liberamente) si può compiere la volontà del Padre. Come Gesù non si è preoccupato di altro che della volontà del Padre Suo, così noi, unendoci sempre di più a Lui. Lo Spirito Santo ci fa volere le cose che voleva Gesù, pensare le cose che Lui pensava, desiderare i suoi stessi Desideri.

E la volontà di Gesù è la volontà del Padre, i desideri e i pensieri di Gesù sono quelli del Padre. Uniti a Lui possiamo trovare la forza per dire: «Sia fatta non la mia, ma la Tua Volontà, o Padre!»

Così spiegava San Francesco d’Assisi:

Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra: affinché ti amiamo con tutto il cuore, sempre pensando a te; con tutta l'anima, sempre desiderando te; con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre intenzioni e in ogni cosa cercando il tuo onore; e con tutte le nostre forze, spendendo tutte le nostre energie e sensibilità dell'anima e del corpo a servizio del tuo amore e non per altro; e affinché possiamo amare i nostri prossimi come noi stessi, trascinando tutti con ogni nostro potere al tuo amore, godendo dei beni altrui come dei nostri e nei mali soffrendo insieme con loro e non recando nessuna offesa a nessuno.

Ed una grande santa diceva:

Ora, ti do liberamente la mia volontà, anche se in un momento in cui questo dono non è meramente disinteressato, poiché una lunga esperienza mi ha fatto conoscere i vantaggi di tale abbandono (Santa Teresa d’Avila).

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Gesù con questa richiesta ci mostra che è giusto chiedere al Padre anche quelle cose concrete che ci servono per vivere ogni giorno. Ed è giusto ricordare in questo momento che ci sono nostri veri fratelli, anche bambini, che oggi stanno pregando come noi il Padre Nostro e che non hanno questo pane.

Questo pane è il cibo di cui abbiamo bisogno per il nostro corpo. Ma è anche la fede e la speranza di cui ha bisogno il nostro cuore per amare la vita. E, per questo, il pane quotidiano è soprattutto il pane eucaristico che ci dona Gesù in ogni giorno della nostra vita.

Così spiegava San Francesco d’Assisi:

Il nostro pane quotidiano: il tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, dà a noi oggi: in memoria, comprensione e reverenza dell'amore che egli ebbe per noi e di tutto quello che per noi disse, fece e patì.

Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori

L’unico muro di gomma con il quale possiamo ostacolare il Perdono smisurato di Dio è quello di non perdonare i nostri fratelli. Gesù stesso riconosce che i nostri fratelli possono essere nostri debitori. Ci devono qualche cosa. Ma il debito nostro nei confronti del Padre è smisurato anche se non ce ne accorgiamo. Non possiamo chiedere un perdono che è smisurato e incalcolabile se non siamo disposti a lasciar cadere un debito che comunque è finito e limitato.

Così spiegava San Francesco d’Assisi:

E rimetti a noi i nostri debiti: per la tua ineffabile misericordia, per la potenza della passione del tuo Figlio diletto e per i meriti e l'intercessione della beatissima Vergine e di tutti i tuoi eletti. Come noi li rimettiamo ai nostri debitori: e quello che non sappiamo pienamente perdonare, tu, Signore, fà che pienamente perdoniamo sì che, per amor tuo, amiamo veramente i nemici e devotamente intercediamo presso di te, non rendendo a nessuno male per male e impegnandoci in te ad essere di giovamento a tutti

Non ci indurre in tentazione, liberaci dal male

È il Padre a sostenerci nelle tentazioni del demonio e a liberarci dal male. Gesù in tutto il Vangelo non è mai in difficoltà davanti al maligno. Noi uniti a Lui possiamo vincere ogni tentazione, trovare la forza per non soccombere. Occorre evitare due eccessi: spaventare i bambini parlando loro del demonio come se ci fosse una battaglia in cui Bene e Male si equivalgono oppure cadere nell’eccesso opposto, oggi molto frequente, di non parlare mai loro del male. Gilbert Keith Chesterton scriveva: «Le favole non dicono ai bambini che esistono i draghi. I bambini già sanno che esistono. Le favole insegnano ai bambini che esiste San Giorgio che vince il drago».

Allo stesso modo noi non insegniamo che il demonio esiste perché i bambini lo sanno già, noi insegniamo loro che uniti a Cristo lo possiamo vincere. Il demonio c’è, ma Gesù Cristo è infinitamente più forte. Lo ha vinto e lo continua a vincere. Noi stringendoci nella preghiera a Gesù vinciamo unti a Lui e non abbiamo nulla da temere.

Così spiegava San Francesco d’Assisi:

E non ci indurre in tentazione: nascosta o manifesta, improvvisa o insistente.

Ma liberaci dal male: passato, presente e futuro.

In una straordinaria e semplicissima meditazione Charles de Foucauld così rifletteva sulle parole di Gesù: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46):

Padre mio, mi abbandono a Te, fa di me ciò che Ti piace.
Qualunque cosa Tu faccia di me Ti ringrazio. Sono pronto a tutto. Accetto tutto.
Purché la Tua volontà si compia in me e in tutte le Tue creature, non desidero altro, mio Dio.
Rimetto la mia anima nelle tue mani.
Te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore,
perché Ti amo ed è per me un’esigenza d’amore il donarmi,
il rimettermi nelle Tue mani senza misura, con una fiducia infinita perché Tu sei il Padre mio.

Scheda n. 12 (Lettera ai genitori) Le grandi preghiere cristiane. Benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù.  L’Ave Maria

Carissimi genitori, vogliamo oggi parlarvi dell’Ave Maria e, con essa, della bellezza della provvidenza di Dio che vuole condurre tutti alla salvezza.

Al cuore dell’Ave Maria c’è l’avvenimento più decisivo della storia dell’umanità: l’incarnazione

Parlando dell’Ave Maria vogliamo ripetere innanzitutto quanto già detto per il Padre Nostro. Anche questa preghiera è molto di più una semplice formula.

È intrisa di Parola di Dio. Pregando con essa, ripetiamo le parole stesse del Vangelo.

Le prime parole di questa preghiera dal suo inizio fino a Il Signore è con te sono le parole dell’angelo Gabriele a Maria, come ricorda il vangelo di Luca (Lc 1,26-28):

«Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te”».

Le parole da Benedetta tu fra le donne fino a il frutto del tuo grembo, Gesù sono le parole rivolte a Maria da sua cugina Elisabetta (Lc 1,41-42):

«Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!”».

L’Ave Maria è una preghiera che nel flusso dei secoli ha formato, confortato, nutrito miliardi di cristiani. È una preghiera umile che chiunque può pregare. L’hanno pregata santi immensi, santi pieni di sapienza e di cultura, così come tanti santi e sante semplici. È la preghiera dei nostri nonni. La preghiera che si recitava nelle campagne, la preghiera che si recitava nelle città. La preghiera che recitano i contadini. La preghiera che recitano intellettuali e filosofi.

Decisiva quindi, nel trasmettere questa preghiera, è la venerazione che noi abbiamo per queste parole del Vangelo stesso.

Al cuore dell’Ave Maria c’è il Vangelo dell’Annunciazione che a ogni istante ci riconduce all’avvenimento più decisivo della storia dell’umanità e della nostra storia personale: l’Incarnazione, il momento in cui Dio si è fatto uomo. Dire con l’angelo Gabriele Ave Maria significa radicarsi nel punto in cui Dio si fa uomo e l’uomo diviene Dio: significa radicarci nel nostro Battesimo.

Queste riflessioni sono importanti per tutti noi. Sono importanti per voi genitori, perché possiate trasmettere ai bambini un senso di profondo rispetto e stima per la preghiera dell’Ave Maria.

L’Ave Maria parola per parola

Ave vuol dire rallegrati! Gioisci! Rallegrati!

Maria è chiamata piena di Grazia e santa perché è stata santificata completamente, in un modo unico e irripetibile, dallo Spirito Santo. Gesù (il frutto del tuo seno) è germogliato dentro al suo corpo ed è entrato nella storia dell’umanità attraverso la sua libertà.

È bello far notare ai bambini come la venerazione per Maria dura da secoli e che tutte le generazioni continueranno a venerarla perché così ha voluto Dio.

Mostrare ai bambini quanti quadri, quante statue la raffigurano. Quante chiese hanno il suo nome. Ecco in che senso ancora oggi è benedetta fra tutte le donne.

Gesù è il Figlio di Dio donato a noi dal Padre e così Egli si è definito in mezzo agli uomini, vero uomo e vero Dio: per questo motivo Maria è detta Madre di Dio.

Prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte. I cristiani, da subito, hanno sentito che Maria è sempre vicina, in particolare nel passaggio della morte.

Il Rosario

Se si facesse il giro del mondo della preghiera ci si convincerebbe senza dubbio che ci sono più persone a pregare il Rosario (e sovente quotidianamente) che a recitare qualsiasi altra preghiera. In Europa o in Asia, in Africa o in America, in casa o in chiesa, nel metrò o al volante, di giorno e di notte, malati o sani, i “fan” del Rosario sono a milioni a intessere di continuo una rete di preghiera che ricopre il nostro pianeta come uno schermo protettivo. Ma che cos’è il Rosario? Chi l’ha inventato? E come pregare bene oggi il Rosario?

Cos’è la corona? La parola designa la catenella sulla quale cinque serie da dieci grani, separate da un grano più grosso, permettono di contare le Ave Maria che saranno recitate una dopo l’altra. Quanto al grano più grosso esso invita a cominciare ciascuna decina con un Padre Nostro e a concluderla con un Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Per comodità o discrezione, talvolta la corona si riduce a una semplice decina della forma di un anello o di una coroncina con solo dieci grani (a volte fatta di nodi).

Cos’è il Rosario? Il Rosario è quella preghiera che usa la corona.

Perché i nomi di corona e Rosario? L’oggetto di pietà che noi chiamiamo corona ha come lontano antenato una semplice cordicella con dei nodi che si teneva in mano e che già nel Medio Evo serviva a ritmare la preghiera. Il nome corona deriva dall’uso di incoronare le statue della Vergine con corone di fiori. Le rose, vero orgoglio dei giardinieri medioevali, ornavano le corone più belle. Un antico testo tedesco racconta di Maria che raccoglie ad una ad una le Ave Maria che le sono rivolte come le rose che vanno a comporre la sua corona.

Per molti aspetti, la preghiera del Rosario è insostituibile ed è per questo che la Chiesa ci invita a diffonderla. La sua importanza e la sua popolarità derivano dal suo carattere completo. Il rosario nutre tutto di noi: il nostro pensiero, il nostro sentire e l’agire che ne consegue. Ci dona di pensare, sentire e agire come Maria, perché ci aiuta a stare con Maria e dunque con Gesù.

Indicazioni concrete

Per dire l’intero rosario con calma ci vogliono dai quindici ai venti minuti. Se pensate che siano troppi provate a dirvi che da domani lavorerete solo per venti minuti al giorno!

Si potrà iniziare a pregare un Ave Maria alla sera con i bambini, se ancora non l’avete fatto. Sopratutto nel mese di maggio potete cominciare a dire una decina del Rosario con i vostri bambini, spiegando loro che, proprio perché è il mese delle rose, è stato dedicato dall’amore dei cristiani in particolare alla Madonna. È il mese che si chiude sempre con la festa della Visitazione della Vergine ad Elisabetta e ci aiuta anche per questo a ricordare la bellezza dell’Ave Maria.

I bambini imparano la fede tramite i riti ed i segni. questo appuntamento diverrà per loro pian piano un evento abituale. Potrete chiedere loro di offrire la preghiera della decina di quel giorno per un’intenzione particolare che hanno a cuore. Oppure potrete essere voi a proporla.

Sarà ovviamente importante avere un rosario semplice, di legno o di corda, e mostrarlo ai bambini, insegnando loro come è fatto. Sarà addirittura possibile fabbricarlo insieme in famiglia.

In particolare nel mese di maggio, ma anche in Avvento, sarà possibile presentare ai bambini un’immagine della Madonna ed utilizzarla poi per tutto il mese, spiegandone giorno dopo giorno i particolari. Dinanzi a quell’immagine si potrà dire poi l’Ave Maria o la decina del Rosario.

Scheda n. 13 (Lettera ai genitori) Le grandi preghiere cristiane. L’Angelo di Dio, il Gloria al Padre e l’Eterno riposo 

Carissimi genitori, vi scriviamo per parlarvi di tre semplici preghiere. In particolare, quella rivolta all’Angelo custode è una preghiera che i bambini amano molto, perché li aiuta a scoprire il senso della provvidenza di Dio che veglia su di loro, come sui loro genitori.  

L'Angelo di Dio

L'Angelo di Dio è una preghiera molto bella ed importante. Ci ricorda che non siamo mai
soli e che la provvidenza di Dio sempre ci guida, anche attraverso la presenza degli angeli che lo servono. La preghiera dell'Angelo di Dio aiuta anche i bambini a crescere nella fiducia che Dio mai ci abbandonerà.  

Gli angeli sono creature puramente spirituali, puri spiriti dotati di volontà e di intelligenza. Sono sempre al servizio della Volontà di Dio e vivono nella sua adorazione. Sono raffigurati con le ali proprio per indicare questa loro natura di puri spiriti.

Non dobbiamo banalizzare queste creature purissime presentandole ai bambini con parole come “angioletti”. Anzi dobbiamo far crescere in loro un senso di gratitudine ed aiutarli ad onore gli angeli. Il rischio sempre presente è quello di trasformarli in personaggi da fiaba. La nostra serietà nel presentarli a partire dalla nostra Fede personale testimonia ai bambini della loro esistenza e della bontà con la quale gli angeli ci accompagnano.

Possiamo ricordare loro che nella camera dove ognuno di noi dorme siamo sempre almeno il doppio di quello che i nostri soli occhi vedono. Vicinissimo a ciascuno di noi, infatti, c’è il nostro angelo custode. È Gesù stesso che ci insegna la sua esistenza. In particolare nel Vangelo ci ricorda il ruolo degli angeli custodi nei confronti dei bambini. Ascoltiamo le sue parole:

In quel tempo i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli (Mt 18,1-5.10).

Quindi sono la bontà e la generosità di Dio che ci hanno affidati alla protezione e custodia particolari di uno di questi spiriti. Il nostro angelo custode vuole per noi solo la Volontà del Padre e ci aiuta, ci sostiene e ci protegge perché noi possiamo dire “Si!” alla Volontà del Padre, come Gesù ha detto “Sì!”.

La preghiera dell'Angelo di Dio ci invita a chiedere che egli ci illumini, ci custodisca, ci regga e ci governi.

È importante sottolineare il valore dell’illuminazione. L’angelo custode ci ispira pensieri luminosi secondo la Volontà del Padre: ci ispira pensieri da veri figli e non da ribelli. L’angelo di Dio, oltre ad illuminarci, ci custodisce, ci protegge dal male, ci aiuta a ricorrere alla Grazia di Dio per vincere le tentazioni. L’angelo custode ci sostiene, ci sorregge nella nostra debolezza.

L’angelo custode ci governa, ci indica la strada per uscire da quei vicoli ciechi che ci allontanano da Dio.

La preghiera del Gloria al Padre

Questa breve preghiera è importantissima perché è una preghiera di lode, di ringraziamento, di adorazione. In questa preghiera non “chiediamo” nulla: ringraziamo, invece, e lodiamo Dio per la Sua Bontà, per la Sua Bellezza. Il Gloria al Padre è una preghiera gratuita, disinteressata, rivolta a Dio che è Padre e Figlio e Spirito Santo.

Sarebbe bello arrivare a cantare questa preghiera con i bambini – se non conosciamo la melodia, possiamo chiedere ai nostri sacerdoti di insegnarcene una.

Ma la preghiera del Gloria al Padre ci aiuta anche a riscoprire chi noi siamo: possiamo elevare a Dio dalla nostra casa una lode innocente perché siamo adulti e bambini battezzati, amati profondamente dal Padre.

Tutti i salmi si concludono con questa breve preghiera. Essa viene pregata dai  sacerdoti e da tutti coloro che pregano la liturgia delle ore nel mondo almeno 15 volte ogni giorno.

L'Eterno Riposo

L'Eterno riposo ricorda a noi ed ai bambini che la morte non è l'ultima parola sulla vita. La morte è un nemico duro, anzi è il grande nemico dell'uomo: ma è l'ultimo che Cristo ha sconfitto. Per questo noi preghiamo per i morti, sapendo che essi sono vivi e che proprio pregando per loro li amiamo, sapendo che essi ci amano e pregano per noi.

Non dobbiamo mai dimenticare che i bambini sanno benissimo che esiste la morte e ne sono giustamente spaventati. Non li rassicuriamo fingendo che non esista quel nemico che essi conoscono benissimo, bensì insegnando loro che Gesù è più forte della morte e che il suo amore è capace di ridare la vita: l'ultima parola spetta al suo amore.

È stato Gesù, infatti, a dirci: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27).

Con l’Eterno Riposo preghiamo innanzitutto per le persone a cui vogliamo bene che sono morte nell’amicizia con Gesù. Ma possiamo e dobbiamo pregare con questa preghiera anche per coloro che non conosciamo.

L'Eterno riposo ci ricorda che coloro che sono morti senza aver vissuto una vita pienamente santa hanno bisogno di una purificazione per entrare fino in fondo nella Pace di Gesù. La Pace piena della vita eterna è, infatti, certamente un Dono. Ma essa ci raggiunge purificandoci dal male che abbiamo fatto durante la vita o anche dal bene che avremmo potuto fare ed abbiamo omesso di fare.

La preghiera dell'Eterno riposo aiuta i nostri morti ad essere uniti fino in fondo a Gesù Cristo che è la Luce, quella luce che preghiamo risplenda loro. È Gesù Cristo, infatti, la Luce Perpetua. È lui la Luce Radiosa, l’Eterno splendore del Padre. Egli stesso lo ripete nel vangelo tante volte:

Di nuovo Gesù parlò loro e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12).

Un bel canto solenne, maestoso, carico di Mistero che si può insegnare

Ai bambini piace molto sentire gli adulti cantare con dolcezza, sommessamente. Si può insegnare loro, perché comprendano meglio che Cristo è la vera luce, il canto O luce radiosa:

O luce radiosa, eterno splendore del Padre, Cristo, Signore immortale!
Sei Tu che rischiari. Sei Tu che riscaldi.
Sei Tu che purifichi. Sei Tu che consoli.
Sei Tu che dai vita. Sei Tu che risusciti.

Scheda n. 14 (Lettera ai genitori) Da un comico ai papà

N.B. L'articolo è tratto da La stampa del 18/3/2011 che ne detiene il Copyright.

È più facile fare il premier che fare il papà, di Giacomo Poretti (di Aldo , Giovanni e Giacomo)

Carissimi genitori, questa volta vogliamo condividere con voi un articolo che è stato scritto da un papà che è anche un comico. Ve lo offriamo perché lo possiate leggere e discutere insieme come genitori. Noi sacerdoti della parrocchia saremo ben lieti di parlarne con voi insieme, se pensate che questo vi possa aiutare. Speriamo che le righe che leggerete vi aiutino ad amare ancora di più il vostro difficile ruolo di genitori, facendovi capire però quando è bello e insostituibile.
Vi ricordiamo nella preghiera con grande affetto
i vostri sacerdoti

Fare il papà non è facile, ci si sente strani, in imbarazzo. E poi i figli fanno domande difficili. È più facile fare lo zio e il nonno. È più facile fare il premier che fare il papà. Anche l’astronauta è più facile da fare, arrivo persino a dire che è più facile fare l’amico che fare il papà!

I papà moderni e quelli di una volta sono molto diversi tra di loro, ma in una cosa si assomigliano: nel non voler togliere spazio al ruolo delle madri, consapevoli che certe cose, quali sostituzione di pannolini, preparazioni di pappe, tattiche e procedure per arginare le colichette, siano meglio svolte dalle mamme; loro, i papà, si mettono umilmente da parte. Quando nasce un figlio, in genere, per i primi anni di vita il papà non si fa molto vedere, non è molto coinvolto nel processo di crescita e di educazione dei pargoli; nei primi due anni di vita o forse anche tre, i papà si dedicano al loro lavoro dalle 7 del mattino fino alle 21-21,30. Quando rientrano vanno a dormire fino alle 6,58 del giorno dopo.

Alcuni padri vedono il loro figlio per la prima volta quando lo portano a scuola il primo giorno delle elementari.

Io ho avuto un papà di una volta, di quelli antichi.

Io ho avuto un solo papà, ai figli moderni ne possono capitare anche 2 o 3.

I papà di adesso sono diversi da quelli di una volta, intanto quelli moderni giocano a tennis, sanno sciare, vanno in mountain bike, di mestiere fanno l’interior designer, collezionano Rolex degli Anni 50, fingono di sapere come investire il loro patrimonio, alla domenica portano la famiglia al ristorante 2 stelle Michelin dove lo chef cucina le lasagne molecolari; il pasto finisce con la nonna che si lamenta e dice che sono più buone le sue.

I papà di una volta giocavano a briscola, quasi tutti lavoravano in fabbrica, dove andavano con bicicletta, e se per caso si bucava una ruota la aggiustavano loro; di soldi non ne avevano, così non sbagliavano investimenti, la domenica si mangiavano le lasagne cucinate dalla mamma e la nonna si lamentava sotto voce dicendo che le sue erano più buone.

I papà moderni ti portano in vacanza due settimane in Patagonia e due settimane in barca ai Caraibi, perché ai bambini bisogna fargli fare un po’ di mare e un po’ di montagna.

I papà moderni devono lavorare 12-14 ore al giorno per 11 mesi l’anno perché devono pagare lo skipper del catamarano e le tute anti-assideramento usate in Patagonia, perché loro, i papà moderni, in Patagonia ti portano in bassa stagione per risparmiare, solo che lì è inverno polare.

I papà di una volta il mare lo vedevano solo quando andavano a trovare i figli alla colonia marina di Pietra Ligure: due domeniche al mese; la nonna si lamentava sempre e diceva che secondo lei il mare di Pinarella di Cervia, che aveva visto in cartolina, era più bello.

Il mio papà il resto della vacanza lo usava per imbiancare la casa, riparare le tapparelle e giocare a carte alla bocciofila Combattenti e Reduci; la nonna diceva che il nonno era più bravo del papà a giocare a briscola.

I papà moderni lavorano tanto e regalano ai figli l’iPhone. Se i figli dei papà moderni non telefonano quattro volte al giorno, non mandano una mail, non inviano un filmato della lezione di judo e non twittano al papi prima e dopo i pasti, i papà moderni si preoccupano e vanno dallo psicologo perché non riescono ad avere un buon rapporto con i loro figli.

I papà di una volta, se arrivava il vicino a dirgli che era arrivata una telefonata per loro, chiedevano preoccupati se era morta la nonna. Ai papà di una volta se gli arrivavano due telefonate in un anno erano autorizzati a vantarsi un pochino, e in mensa gli facevano un brindisi. Alla terza telefonata la nonna si lamentava e diceva che si era persa la virtù del silenzio.

Quando i papà moderni accompagnano i figli alla partita di calcio del sabato pomeriggio, riescono a litigare con l’arbitro, con l’allenatore e con i papà della squadra avversaria; i sabati che il figlio perde litigano anche con il magazziniere, con il posteggiatore, con il figlio stesso e con la moglie e la nonna poi a casa.

Un sabato la mia squadra ha perso il derby contro il Busto Garolfo, mio papà è stato zitto fino a casa, poi ha trangugiato un Fernet Branca, ha acceso una nazionale senza filtro e mi ha detto: «Allenati a palleggiare e a tirare le punizioni, storia e matematica li farai la settimana prossima».

I papà moderni quando un figlio torna da scuola con un 4, denunciano il professore per mobbing.

I papà di una volta, se tornavi a casa con una nota da firmare, loro scrivevano sul diario «bravo prof, raddrizzi la schiena a questi invertebrati».

I papà moderni portano i figli a fare magic jumping buttandosi dai ponti dell’autostrada per 250 metri, ma se devono fare le condoglianze alla vicina a cui è morto il marito si cagano sotto.

I papà moderni ti spiegano come si usano le applicazioni su iPhone tipo Shazam o iTorcia, ma non sanno che differenza c’è tra un uovo per fare la carbonara e uno da cui nasce un pulcino.

I papà moderni ti spiegano la differenza tra musica lounge, tecno e ambient, ma non sanno cantarti «Che gelida manina se la lasci riscaldar...» della Bohème . Mio papà, quando andava alla cena dei coscritti, tornava alticcio, come tutti i coscritti, apriva la porta di casa e attaccava l’aria del tenore. La mamma, trattenendo il riso, fingeva di essere la Mimì dell’opera e lasciava paziente che il suo Rodolfo si smarrisse tra le ottave e gli accordi irraggiungibili e si addormentasse vestito. Io e mia sorella eravamo convinti che nostro papà fosse più bravo di Mario Del Monaco.

Quando poi un figlio moderno compie 16 anni, i loro papà li accompagnano in discoteca alle 23 e li vanno a prendere alle 4 del mattino con il Suv.

I papà di una volta piuttosto che mandarti in discoteca si mettevano a studiare con te i verbi irregolari e il genitivo sassone.

Fare i compiti insieme al papà moderno è molto istruttivo: è probabile che ti aiuti a comprendere le equazioni, che sappia i fiumi, i monti e la capitale delle Maldive, e che conosca la differenza tra Valentino e Dolce & Gabbana.

Se facevi i compiti con i papà di una volta eri bocciato di sicuro.

I papà moderni vogliono vestirsi come i loro figli, parlare come loro e vogliono diventare loro amici su Facebook.

I papà moderni sono contenti quando i loro figli accettano di essergli amici su Facebook. Ho sentito la nonna borbottare e diceva che o si fa il papà o si fa l’amico.

Se i figli moderni chiedono: «Papà, cosa preferisci: la pasta o il riso?», loro rispondono: dipende..

Papà, ma tu voti a destra o a sinistra? Dipende...

Se i figli domandano se bisogna sempre dire la verità, i papà moderni rispondono: dipende...

Ma papà bisogna fermarsi per far passare i pedoni sulle strisce? Dipende...

Ma papi, è vero che fa male farsi uno spinello? Dipende...

Papà, ma a te piacciono le donne vero? Dipende...

Mio papà, a cui è sempre piaciuto il risotto, mi ha insegnato cose meravigliose: a fare il presepe, a tifare per l’Inter, a fare il nodo della cravatta, a fare la barba con la lametta, ad andare in bicicletta, a bere un bicchiere di vino tutto d’un fiato, a vestirsi bene la domenica, a essere bravo nel lavoro, a cercare di avere sempre un amico, a portare un mazzo di fiori ogni tanto a tua moglie, a ricordarsi dei nonni e dei nostri morti, perché noi senza di loro non ci saremmo, perché Giacomo è figlio di Albino il fresatore, che era figlio di Domenico il mezzadro, figlio di Adriano il ciabattino che era figlio di Giuseppe il falegname figlio di Giosuè lo stalliere...

Dalla prima elementare alle terza media si fa di tutto per assomigliare e imitare il papà, dai 15 anni ai 22 non lo puoi vedere, fino ai 36 ti è abbastanza indifferente, verso i 40 ti fa incazzare da morire perché nel frattempo lui ha superato i settanta e se in gioventù aveva il suo bel carattere adesso è ostinato come tutti gli anziani, dai 42 in avanti riesci a capire quanto sforzo abbia fatto a studiare l’inglese con te e ne provi una tenerezza struggente.

Ho cercato tutta la vita di non assomigliare a mio papà e ora invece mi accorgo di essere uguale: me ne sono accorto quando mio figlio l’altro giorno mi ha chiesto come si dice centravanti in inglese.

Scheda n. 15 (Lettera ai genitori) Educare i bambini al senso morale

Carissimi genitori, vogliamo oggi parlare con voi dell’educazione al senso morale dei vostri figli.

L’età che va dai 3 ai 6 anni è quella in cui si sviluppa più decisamente il senso morale. Gli studi moderni riconoscono inadeguata la prospettiva degli psicologi della precedente generazione che ritenevano “premorale” il bambino fino ai 5 anni: già nei primi 18 mesi, infatti, il bambino sviluppa un senso morale ed ha aspettative legate al bene ed al male. Soprattutto dai 3 anni emerge in lui il bisogno di una prima chiarezza intorno a questi temi[3]. È il bambino stesso che vuole sapere cosa è bene e cosa è male.

Il senso morale matura innanzitutto in famiglia. È in casa, infatti, che si impara a condividere con i fratelli. È in casa che si impara ad avere rispetto dei genitori e dei nonni. È in casa che si impara ad attendere i tempi degli altri, a sacrificarsi, a donare.

Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male

Già dai 6 mesi di età i primi “no” che la mamma dice – relativi innanzitutto all’alimentazione – aiutano il bambino a scoprire l’alterità, a rendersi conto che non è lui il centro di tutto, ma che anzi è oggetto di cura e di attenzione da parte dei genitori che non è lui a creare. 

Dai tre ai sei anni questo processo si intensifica: il bambino comincia a socializzare, si rompe la diade mamma-bambino, entrano in modo più significativo altre persone nella sua vita. Soprattutto è l'età in cui dovrebbe rinsaldarsi sempre più il legame con il padre. Il padre per il bambino deve rappresentare la realtà: se questo è un muro, e non è una porta, è al padre che spetta dirlo al figlio. È lui che deve cominciare a spezzare il legame tutto affetto, gratificazione, soddisfazione con la madre, e deve mettere limiti, regole, divieti.

Oggi i padri faticano particolarmente a rivestire questo ruolo che fino a qualche anno fa era svolto con naturalezza. In generale, comunque, capita spesso di vedere genitori, padri e madri, che abdicano al ruolo regolatore, incapaci di dare la pur minima frustrazione al figlio.

È importante all'inizio, con calma, spiegare poche semplici regole al bambino, altrimenti non lo si può poi sgridare perché ha disobbedito: nel momento emotivamente forte di un rimprovero magari i genitori non si accorgono di non avere mai esposto bene e chiaramente, una volta, al bambino cosa avrebbe dovuto fare.

Assolutamente sbagliato, sbagliatissimo, è invece chiedere al bambino cosa vuole fare in merito alle decisioni del genitore. Si può chiedere di esprimere un gusto, un desiderio, ma non quando andare a dormire, a mangiare, a lavarsi, a casa, quando tornare dal parco.

Si dice che se un genitore sapesse cosa avviene in un bambino tra i tre e i sei anni di età gli si gelerebbe il sangue nelle vene, tanta è l'importanza dei processi che si stanno svolgendo, e che avranno conseguenze permanenti sulla sua mente per tutta la vita. È bene non angosciarsi, dunque, ma essere consapevoli della cura, della dedizione, dell'impegno che bisognerà mettere nell'educazione. Nessuno sbaglio – tutti i genitori, anche i migliori, ne fanno, più e più volte al giorno – è irrimediabile, comunque, se si mantiene l'attenzione alta, se ci si interroga e ci si confronta. Se si tiene, soprattutto, ben chiara la meta alla quale desideriamo portare i nostri bambini, cioè la conoscenza e l'amore di Dio. L'ascesi, lo svuotamento di sé a cui ogni cristiano deve arrivare si deve cominciare a insegnare, con gradualità, dolcezza, misura, molto amore, sin da piccoli, per comunicare ai bambini il messaggio che tutto ciò che loro sono è positivo, ma non tutto ciò che provano o desiderano va assecondato e seguito.

DORMIRE In questa fase i bambini dovrebbero avere ormai imparato da tempo a riposare da soli nel proprio lettino. Più che mai allora è urgente che i genitori siano costanti in questo: orario di spegnimento delle luci, autonomia durante la notte. Non bisogna lasciarsi spaventare da un capriccio, a meno che non ci sia una occasionale situazione problematica (un trauma, un episodio molto negativo vissuto durante la giornata). Quando il bambino cercherà di restare sveglio, richiamando l’attenzione dei genitori, ci sarà da “lottare” con lui, con dolcezza, ma anche con fermezza e risolutezza. Sarà importante spiegare il perché dell’orario nel quale si fa a dormire, invitandolo, se non riesce ad addormentarsi, a restare comunque a letto, a pensare, a guardare qualche libro, a “contare le pecore”, ma nella sua stanza ed in silenzio. Una fermezza dolce da parte dei genitori lo aiuterà a continuare nel rispetto della costanza dell’orario in cui si deve addormentare, costanza che avrà già imparato negli anni precedenti.

MANGIARE I gusti personali si sviluppano chiaramente in questa fase. Sia pure con una certa elasticità, bisogna mantenere pochi punti fermi. Innanzitutto si mangia alle ore del pasto. La caramella o il gelato possono venire dopo che si è mangiato, non sostituire il pasto.

IL GIOCO In questa fase di prima socializzazione i bambini devono imparare a rispettare i giochi degli altri, a interiorizzare così dei limiti. Non è possibile prendere tutto quello che si vuole. I genitori devono aiutare il bambino a fare questo percorso, e non devono proteggerlo sempre dagli altri bambini come spesso si vede fare. Bambini prepotenti e sregolati di solito hanno genitori che non insegnano loro alcune semplici regole: allo scivolo si fa la fila, non si rubano i giochi degli altri, non si picchia (ovviamente succede, ma il compito del genitore è di dire che non si fa), non si dicono segreti per escludere gli altri, non si fanno fronti comuni contro qualcuno: queste dinamiche si innescano molto presto nei bambini, già in questa fase.

IL POSSESSO I genitori dovrebbero insegnare una certa sobrietà nel possesso dei giochi. La grande disponibilità di giochi a poco prezzo, regalini in omaggio con il pranzo, bustine con sorpresa all'edicola, inducono gli adulti ad assecondare le richieste dei bambini con poca spesa, magari per conquistarsi l'obbedienza per qualche minuto, o per risarcirli di qualche piccola frustrazione, o semplicemente per farli contenti. Così però i bambini si abituano a essere continuamente soddisfatti, e non apprezzano più niente di quello che hanno, né fanno in tempo ad affezionarsi a nulla. Inoltre una tale abbondanza di giochi e oggetti rende molto difficile da gestire anche per loro la situazione. Quasi tutti i bambini di oggi sono molto disordinati.

LA TECNOLOGIA La grande abbondanza dell'offerta di film, videogiochi, portatili e non, va gestita con molta cura. I bambini sono bombardati di stimoli, stimoli che li rendono molto brillanti ma poco inclini a concentrarsi, a interiorizzare e ordinare le conoscenze sul mondo che in questa fase cominciano ad accumulare. Spesso si vedono bambini a cui i genitori non chiedono neppure di fare una fila, di tollerare un'attesa, un periodo di noia, senza l'aiuto della tecnologia. Demonizzarla non ha senso, ma regolarla sì. Si devono stabilire orari di utilizzo di televisione e videogiochi, ai quali i bambini saranno costretti ad attenersi, anche se questo costerà degli sforzi ai genitori, privati della baby sitter tecnologica.

Testi per meditare

Da Papa Francesco
Il figlio ha fiducia che tutto quanto gli viene insegnato sarà per il suo bene perché sa di essere amato. Inoltre, la buona madre sa riconoscere tutto ciò che Dio ha seminato in suo figlio, ascolta le sue preoccupazioni e apprende da lui […. ] La predica cristiana, pertanto, trova nel cuore della cultura del popolo una fonte d’acqua viva, sia per saper che cosa deve dire, sia per trovare il modo appropriato di dirlo. Come a tutti noi piace che ci si parli nella nostra lingua materna, così anche nella fede, ci piace che ci si parli in chiave di “cultura materna”, in chiave di dialetto materno (cfr 2 Mac 7,21.27), e il cuore si dispone ad ascoltare meglio. Questa lingua è una tonalità che trasmette coraggio, respiro, forza, impulso.

Dalle parole di papa Francesco riportate da Eugenio Scalfari su Repubblica del 13 luglio 2014
La famiglia dovrebbe essere il sacrario dove il bambino e poi il ragazzo e l'adolescente vengono amorevolmente educati al bene, incoraggiati nella crescita stimolata a costruire la propria personalità e a incontrarsi con quella degli altri suoi coetanei. Giocare insieme, studiare insieme, conoscere il mondo e la vita insieme. Questo con i coetanei, ma con i parenti che li hanno messi al mondo o visti entrare nel mondo il rapporto è come quello di coltivare un fiore, un'aiuola di fiori, custodendola dal maltempo, disinfestandola dai parassiti, raccontandogli le favole della vita e, mentre il tempo passa, la sua realtà. Questa è o dovrebbe essere l'educazione che la scuola completa e la religione colloca sul piano più alto del pensare e del credere al sentimento divino che si affaccia alle nostre anime. Spesso si trasforma in fede, ma comunque lascia un seme che in qualche modo feconda quell'anima e la rivolge verso il bene. [...] purtroppo non è così. L'educazione come noi l'intendiamo sembra quasi aver disertato le famiglie. Ciascuno è preso dalle proprie personali incombenze, spesso per assicurare alla famiglia un tenore di vita sopportabile, talvolta per perseguire un proprio personale successo, altre volte per amicizie e amori alternativi. L'educazione come compito principale verso i figli sembra fuggito via dalle case. Questo fenomeno è una gravissima omissione.

Da Franco Nembrini
Un pomeriggio me ne stavo tranquillamente in casa con il mio primo figlio Stefano, che poteva avere 4 o 5 anni, correggendo i temi come ogni insegnante di italiano ed ero talmente assorto nel mio lavoro che non avevo notato che Stefano si era avvicinato al mio tavolo e in silenzio mi stava guardando. Non chiedeva nulla di particolare, non aveva bisogno di nulla, solo osservava suo padre al lavoro. Ricordo che quel giorno, nell’incrociare lo sguardo di mio figlio, mi folgorò questa impressione: che lo sguardo di mio figlio contenesse una domanda assolutamente radicale, inevitabile, cui non potevo non rispondere. Era come se guardandomi chiedesse: papà assicurami che valeva la pena venire al mondo.
Questa, mi sono detto, è la domanda dell’educazione e da quel momento non ho più potuto neanche entrare in classe e incrociare lo sguardo dei miei alunni e non sentirmi rivolta questa domanda: quale speranza ti sostiene? Perché di questo io ho bisogno per dare credito ai tuoi suggerimenti, al tuo insegnamento, persino alle cose che mi dici di studiare. Ti posso dare credito solo per una grande speranza presente.

Scheda n. 16 (Lettera ai genitori) Educare i bambini alla carità ed alla condivisione

Carissimi genitori, si è più beati nel dare che nel ricevere, afferma la Sacra Scrittura! Vogliamo, per questo, parlare oggi con voi dell’importanza di far scoprire ai vostri figli, fin da piccoli, la bellezza della carità e della condivisione.

Il cuore di un bambino cresce dilatandosi nella carità

Il cuore di un bambino è la sua ricchezza più grande. Fin da piccolo egli impara, pian piano, ad essere egoista o altruista, capriccioso o attento agli altri, indifferente o sensibile. Fin da piccolo è in grado di sperimentare qualcosa delle parole di Gesù « Si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35).

Per questo l’educazione non è mai una questione tecnica, bensì è affare del cuore. Se crescessero tutte le competenze e le abilità del piccolo, ma non maturassero il suo cuore e la sua coscienza, tutto sarebbe inutile. Come dice ancora Gesù: «Quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?» (Lc 9,25).

Già il Battesimo è un evento che rompe l’isolamento, allargando il cuore. Il bambino, infatti, viene immerso nell’amore di Dio, ma anche abbracciato dall’amore della Chiesa. Ed anche i genitori, chiedendo il Battesimo per il loro bambino, escono dall’isolamento per confrontarsi nella comunità cristiana con la proposta di un cammino di fede del quale farsi responsabili, primi educatori e testimoni per il figlio. Contemporaneamente è la comunità stessa a rompere l’isolamento accogliendo l’esperienza e la volontà di bene dei genitori e proponendosi come compagnia affidabile nell’educazione dei figli.

Ma questo inizio deve approfondirsi nell’educazione, di modo che con il Battesimo si inaugura o si rinnova una duplice responsabilità: educare ed accompagnare la nuova creatura all’incontro con Gesù ed insieme trasmettere la sua proposta di vita.

Gli atteggiamenti maturano fin da quando si è piccoli

Se è vero che le scelte importanti si fanno quando si è grandi, è altrettanto vero che l’identità personale si costruisce nel tempo, attraverso le esperienze e le relazioni che si vivono. Pertanto, quando pensiamo ai nostri figli non dobbiamo mai dimenticare che gli adulti che saranno dipenderà da ciò che avranno imparato fin da piccoli. Anche nell’educazione del cuore è profondamente sbagliato trattare i bambini in maniera troppo infantile: infatti, i bambini nella fascia di età tra i 3 e i 6 anni possono apprendere anche contenuti “adulti” quali atteggiamenti e valori e soprattutto la relazione viva carica d’amore con i fratelli.

Certo li apprenderanno a modo loro, soprattutto percependo i sentimenti che accompagnano le azioni degli adulti e le emozioni che provano vicino a loro in determinate situazioni.

È sopratutto osservando gli adulti che i bambini interiorizzano il giusto rapporto con la realtà e con le altre persone. I bambini, infatti, sono degli osservatori molto attenti perché sono in grado di percepire anche la minima emozione dei genitori di cui si fidano, vedendo come essi interagiscono con gli altri.

Vedono come i genitori si amano e dialogano fra di loro, come trattano gli anziani della famiglia, come valutano gli eventi del telegiornale, come rispettano il lavoro degli altri, come aiutano i poveri. Anche nella disponibilità ad accogliere nuovi figli sanno leggere la passione per la vita dei loro genitori, così come nel modo con cui poi aiutano i fratellini ad andare d’accordo.

Respirare la carità dei genitori educa i bambini

È decisivo allora che i bambini “respirino” che la loro famiglia è aperta ai bisogni degli altri. Verso le persone sole, ma anche verso altre famiglie. I bambini, vedendo i propri genitori che non si preoccupano solo di loro, ma anche di tante situazione difficili, osservando i genitori che sacrificano il loro tempo ed il loro denaro perché altri possano vivere più dignitosamente, vedendo, soprattutto, che i “grandi” portano nel cuore tante situazioni, imparano a vincere l’egoismo, imparano che non si vive solo per se stessi.

Anche la partecipazione alla vita parrocchiale ed alla rete di aiuto che in esse si crea permette di mostrare agli occhi dei bambini l’apertura del cuore, la condivisione del tempo e dei doni ricevuti. Può così orientare le scelte di vita, di consumo, di gestione del tempo e delle risorse, in maniera da portare il Vangelo dentro la vita quotidiana. Genera così anche nei figli un benefico senso critico nei confronti di scelte opposte, egoistiche e chiuse alla maturazione di una vera comunione.

Tutto questo aiuta i figli a comprendere che ciò che veramente vale non si acquista né si vende: piuttosto può solo essere donato da una persona all’altra, da una generazione all’altra, contribuendo a costruire quel futuro migliore che Dio ha affidato anche alle nostre mani.

Il ruolo della parrocchia nell’animazione della carità nei confronti delle famiglie bisognose: in ascolto della Commissione Caritas parrocchiale

Su questa strada la parrocchia offre alle famiglie il suo compito di comunità che mette in relazione tante persone e tante situazioni differenti di forza e di debolezza, di gioia e di difficoltà. Essa offre la possibilità di fare comunione mettendo in relazione ciò che si è, proponendo ai genitori esperienze comunitarie dove divenire più consapevoli della vita e del Vangelo, così come degli atteggiamenti e delle scelte ne scaturiscono – non abbiate paura di chiedere un parrocchia per informarvi su questo!

Ogni famiglia può partecipare alla responsabilità che tutta la comunità ha nei confronti dei poveri. Anzi è invitata a farlo attraverso forme di aiuto che, pur rispettando i ritmi familiari, superino però gli spontaneismi e l’occasionalità, proprio perché è l’intera comunità a garantire la continuità dell’aiuto.

Le nostre parrocchie, particolarmente in questo momento di difficoltà economica, si stanno aprendo ai bisogni di altre famiglie, conosciute e seguite spesso attraverso il Centro di ascolto della Caritas parrocchiale, ponendo loro a disposizione del tempo, delle risorse personali e professionali, dei contributi in denaro che stabilmente vengono versati per sostenerle. Questi progetti rispondono a necessità determinate, come fornire cure mediche, sostenere economicamente le famiglie, provvedere a bisogni giuridici, aiutare nel dopo-scuola, fare visita agli anziani soli, fornire beni importanti per l’educazione dei bambini, accompagnarli a scuola, ecc.

La famiglia che partecipa a proposte di questo tipo entra di fatto in una rete di condivisione e solidarietà che la tiene legata alla comunità anche attraverso queste esperienze.

Il ruolo della parrocchia nell’animazione della carità nei confronti delle famiglie bisognose: in ascolto del gruppo missionario parrocchiale

I bambini sono molto sensibili anche alle sofferenze che tante persone vivono in ogni parte del mondo. Anzi, quando cominciano a rendersi conto che c'è chi manca del cibo, delle medicine e di ogni altra cosa necessaria, si interrogano se il mondo sia semplicemente ingiusto o se esista una speranza affidabile. Sono inoltre capaci di comprendere immediatamente che non basta avere ciò che è necessario materialmente, ma che solo la speranza in Dio sostiene chi è povero.

I genitori hanno anche in questo un ruolo importantissimo. Essi, come tutti i laici, sono missionari in forza del Battesimo. La loro apertura alla missione della Chiesa in tutto il mondo diviene perciò immediatamente una testimonianza anche per il loro bambino. Egli comprende, vedendo i suoi genitori appassionati della missione, che si può vincere la paura e contribuire all'evangelizzazione ed alla giustizia nel mondo.

Per questo possono aiutare il bambino a comprendere che la sua famiglia non è indifferente, ma anzi è appassionata dei problemi del mondo

Tutto questo può divenire concreto prendendo contatto con il gruppo missionario della vostra parrocchia. Vi aiuterà innanzitutto a conoscere i missionari che la vostra comunità segue ed aiuta, perché voi possiate pregare per loro insieme ai bambini. Vi aiuterà anche, se vorrete, ad individuare forme concrete per fornire un aiuto, condividendolo con i vostri figli. Quando questi cresceranno, potrete addirittura partire voi stessi un giorno per avere conoscenza diretta della missione che avrete aiutato.

Il ruolo della parrocchia nell’animazione della carità nei confronti delle famiglie bisognose: in ascolto delle famiglie di nuova immigrazione 

Nella comunità parrocchiale, ma anche nella scuola materna, i bambini vengono a contatto con tanti bambini immigrati che vivono a Roma con le loro famiglie. Anche questa sarà un’occasione da vivere bene in famiglia, perché il cuore dei figli si apra all’incontro con le storie di tante persone. A volte sarà il cuore già aperto dei bambini che mostrerà ai genitori che la fraternità è possibile e non è solo un ideale od un sogno irrealizzabile.

La presenza di tanti immigrati stimola ad una riflessione più seria sull’educazione alla fede delle future generazioni. Le statistiche ci dicono che la maggioranza di essi sono cristiani (ad esempio, spesso sono cristiani gli immigrati dall’America Latina e dall’est Europa). La presenza di questi bimbi si rivela, fra l’altro, una grande opportunità per le loro famiglia per accrescere ed intensificare le relazioni con il nostro paese e con la comunità cristiana (si pensi solo alla scuola materna, al parco giochi, al consultorio, all’incontro con altri genitori, alla celebrazione dei Sacramenti, alla celebrazione domenicale, all’oratorio parrocchiale e così via) in quanto spingono i genitori migranti ad interagire maggiormente con persone e strutture al di fuori del loro ambiente etnico-culturale di origine.

Proprio la presenza di tanti immigrati ci ricorda che chi proviene da culture diverse da quella occidentale non è mai scandalizzato dalla presenza di simboli religiosi, da riti o dalla fede cristiana che si esprime in preghiera: è piuttosto scandalizzato se non esiste un rispetto per Dio e se vengono messi in cima ai propri valori solo il denaro ed il piacere personale.

Perché l’incontro con bambini immigrati e le loro famiglie divenga anche per i nostri figli occasione di un cammino educativo, si può chiedere l’intervento di qualche sacerdote o catechista della comunità etnica di appartenenza delle famiglie immigrate perché racconti ai bambini come si vive la fede in quel popolo. Si possono, per questo, progettare incontri in parrocchia tra le famiglie migranti residenti nel territorio e le famiglie italiane con figli coetanei. Tali incontri possono essere tematici, affrontare ad esempio il tema dell’educazione alla fede. È interessante, ad esempio, scoprire come le comunità etniche preparano le Feste cristiane e quali sono le modalità particolari con le quali coinvolgono attivamente i bambini.

Molte famiglie di immigranti hanno acquisito l’abitudine della preghiera in famiglia nei loro Paesi di origine: può essere utile uno scambio con le famiglie italiane anche su questo argomento, sia per “contagiare” le famiglie italiane, sia per incoraggiare e sostenere le famiglie migranti a continuare su questa linea e a contestualizzare la preghiera in famiglia con le esigenze delle nuove generazioni ed il nuovo ambiente di vita.

Testi per meditare

Da Papa Francesco
Le rivoluzioni della storia hanno cambiato i sistemi politici, economici, ma nessuna di esse ha veramente modificato il cuore dell’uomo.  

Da Papa Francesco
EG 198. Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro «la sua prima misericordia». Questa preferenza divina ha delle conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere «gli stessi sentimenti di Gesù» (Fil 2,5). Ispirata da essa, la Chiesa ha fatto una opzione per i poveri intesa come una «forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradizione della Chiesa». Questa opzione – insegnava Benedetto XVI – «è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà». Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro. 

Da Janusz Korczak (Varsavia, 22 luglio 1878 – Treblinka, 6 agosto 1942)
Dite: è faticoso frequentare i bambini.
Avete ragione.
Poi aggiungete: perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inchinarsi, curvarsi, farsi piccoli.
Ora avete torto.
Non è questo che più stanca.
È piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi.
Per non ferirli.

Scheda n. 17 Le domande grandi dei bambini: un sussidio per i genitori

Le domande dei bambini sono grandi

La raccolta delle domande dei bambini (i video con le domande e le risposte sono on-line sul sito www.catechistiroma.it) è stata realizzata per mostrare che essi hanno domande grandi. Come spiegava Sofia Cavalletti, grande catecheta romana, «nell’aiutare la vita religiosa del bambino, lungi dall’imporgli qualcosa che gli è estraneo, rispondiamo a una sua silenziosa richiesta». Perché il bambino – afferma – è un “metafisico”, come provano le sue domande: «Chi è Dio? Dove stavo prima di nascere? Con chi stava Dio prima della creazione? Dove sta la nonna che è morta? A te piace la vita?». Per questo affermava: «la catechesi, che deve essere rivolta all'apertura al mistero. Il limitato non è attraente, è l'immenso; il mistero che attrae. È nota la necessità che il bambino manifesta di andare toccando gli elementi che trova intorno a sé, per conoscerli e imparare a vivere nell’ambiente. Ma “il bambino metafisico” non si limita a questo bisogno; c'è in lui un’inespressa domanda globale: “Che cos’è la Vita?”. Per percepire la domanda del bambino non dobbiamo aspettare che venga formulata in parole, la dobbiamo cogliere dalla intensità della reazione con cui viene accolta la risposta quando viene offerta. Non è certo una domanda accademica, ma il modo con cui la risposta viene recepita ci dice quanto sia importante per lui».

L’esperienza concreta lo prova

La raccolta delle domande nasce anche da un’esperienza concreta di catechesi. Presso la Chiesa Nuova in Roma è tradizione che i bambini che si preparano a ricevere la Comunione abbiano nella stanza delle riunioni una piccola cassetta nella quale possono inserire le loro domande. Il sacerdote che li accompagna, p. Maurizio botta, dedica alcuni minuti di ogni incontro a queste domande, estraendone alcune a caso e rispondendo ad esse. Le riunioni hanno così non solo un filo tematico – che viene sviluppato nella prima parte dell’incontro – ma anche una parte ogni volta diversa, che viene determinata dai temi proposti dai bambini.

Una parte delle domande seguenti sono così state scritte nel corso di questi incontri di catechesi. Altre sono state raccolte, una volta lanciata l’idea della serie dei Minivideo con le risposte a tali domande, da genitori amici o da blog amici.

Purtroppo non si è pensato fin dall’inizio a raccoglierle con le indicazioni dell’età dei bambini – le domande, comunque, sono state formulate da bambini e ragazzi dai 3 anni fino ai 12 anni.
Le presentiamo per favorire la riflessione dei genitori sull’importanza delle domande dei piccoli, spesso manifestazioni di interessi ben più alti di quelli che abitualmente si attribuiscono loro.

I genitori sono chiamati a rispondere ai figli e così possono loro per primi crescere nella fede

Le domande grandi dei bambini vogliono così essere un invito ai genitori perché, ascoltando le domande vere dei loro figli, possano riscoprire la fede e la sua bellezza ed essere “responsabili” (termine che deriva dal latino respondeo), cioè capaci di rispondere loro in prima persona.

Nessun genitore deve avere paura di fare ciò, proprio perché i bambini si fidano di lui: l’educazione, infatti, non è compito degli specialisti, bensì di chi genera la vita, di chi è padre e madre. E non si deve avere paura di sbagliare. L’educazione è sempre stata e sempre sarà un rischio, proprio perché non è un affare quantificabile, bensì appartiene al genere della testimonianza. Il genitore, rispondendo con gesti e parole al figlio, gli mostra cosa è per lui la vita.

Inoltre proprio la fede aiuta a non avere paura, perché noi saremo sempre padri e madri non perfetti, ma annunziamo ai figli che esiste un Padre nei cieli, più grande di noi, di cui tutti abbiamo bisogno. Questo è assolutamente normale per i bambini che, infatti, pregano io per i loro genitori.
Come diceva ancora Sofia Cavalletti: «A me pare che fare dell'amore dei genitori o comunque di chi è più vicino al bambino il canale necessario dell'amore di Dio è estremamente limitante; si limita l'amore di Dio alla dimensione umana, lo si considera secondario rispetto alle condizioni in cui il bambino vive. Ma a me sembra - parlando sempre in base a quello che ho potuto osservare - che l'amore di Dio sia primario nell'esperienza umana del bambino piccolo. Certo è bello poter dire ad un bambino: "Papà e mamma ti vogliono bene"; però si tratta sempre di un amore umano e quindi limitato. E quando questo non succede? Un bambino rifiutato dai genitori è forse una creatura perduta per Dio? No, Dio prende le sue creature anche al di fuori dell'amore umano: l'ho visto in tanti bambini non accettati in famiglia che invece all'annuncio del Pastore che "li chiama per nome" si aprivano ad un immenso godimento».

Alcune delle tante domande raccolte

Ecco alcune delle tante domande raccolte, che vogliamo qui offrire solo per mostrare quale sia l’animo dei bambini. Si sono volutamente conservati anche alcuni degli errori dei bambini nel formulare le domande che salivano loro dal cuore.

Maaammaaa! Io ho paura che Dio non esiste! Ma siamo sicuri che la nostra religione è quella vera?

I miracoli esistono solo nella nostra religione?

Se penso una cosa brutta, o se mi viene in mente una parolaccia, o anche una bestemmia, faccio peccato?

Se quello è il corpo di Gesù, perché non esce il sangue quando si spezza?

Dio sa il mio nome?

Perché a scuola le maestre parlano sempre delle cose brutte che fanno i papi?

Se non ci fosse Dio non sarebbe meglio? Non ci dovremmo preoccupare dell’Inferno...

È vero che io ero una scimmia, un tempo? Ma l’uomo non lo ha creato Dio?

Mamma, io guardo in giro e vedo il mare, vedo la terra e vedo te. Dio dal cielo vede il mare, vede la terra e ci vede. Perché non vedo Dio?

Mamma, lo sai quando Gesù dice che bisogna amare il prossimo come te stesso?. Sì certo! E se uno non si ama?

Se l’uomo è stato creato da Dio, e io, mamma, ci credo davvero, perché c’è stato anche l’australopiteco?

In Paradiso c’è il mare? C’è l’altalena? Si mangia il gelato? Siamo vestiti o siamo in mutande come Gesù?

Se un giorni ci sarà il Big crash, o l’annientamento nucleare, allora vorrebbe dire che Dio ha scherzato con l’umanità? (6 anni)

Ma quando andremo in cielo saremo giovani o vecchi? (7 anni)

Perché Gesù vuole che Lo mangiamo?

In Paradiso quindi non si litiga più? Posso dare il latte con il biberon ai leoncini?

Mamma, come facciamo ad andare in Paradiso?

Perché Gesù vuole portarci tutti in Paradiso? Io ho paura!

Ma che andate a fare a tutti questi incontri per le famiglie se poi litigate?

Se Dio è buono perché non ha dato un’altra possibilità a tutti quelli del diluvio universale? (3 anni)

Dopo il giudizio universale è vero che i nostri corpi saranno come quello di Gesù dopo la resurrezione e potremo spostarci dove vorremo in pochi secondi e passare dalle porte chiuse? (6 anni)

Mamma ma secondo me i preti e le suore quando muoiono e vanno in cielo si accorgono che Gesù non è esistito veramente e le storie su di lui venivano dal mondo della fantasia mentre esiste solo Dio?

Ma i preti come fanno a far venire Gesù nell’ostia? Sono un po’ dei maghi?

Quando si muore la nostra anima va in cielo, ma cos’è l’anima?

Ma Gesù come fa a sentirmi quando gli parlo se il cielo è lontanissimo?

Che cos’è l’infinito?

Dov’ero quando tu eri piccola?

Mamma cos’è il Paradiso? E quando ci andiamo non torniamo più qui a casa? A me piace di più la mia casa perché ci sono tutti i miei giochi, lì ci sono i giochi?

Se uno non crede in Dio ma è buono buono, non va in Paradiso? (7 anni)

Ora che mi ha visto crescere la pancia in maniera smisurata è visibilmente preoccupato per la mia gravidanza, non fa che parlare col fratello che nascerà e qualche giorno fa mi ha chiesto: mamma ma quando nella tua pancia c’ero io, Giovannino dov’era? Io gli ho risposto: nella mente di Dio. E lui: e la mente cos’è?

Perché Dio ha scelto proprio Maria?

Perché Giuda ha voluto tradire Gesù?

Perché la gente muore e Gesù non la salva?

Secondo te sul mondo potrà trionfare la pace?

Quale sensazione provi quando diventi padre?

Come è nato Dio?

Se Gesù è resuscitato, come e quando è morto per la seconda volta?

Perché Dio ha scelto un popolo?

Perché i preti e le suore non si sposano?

Qualcuno ha mai visto Dio?

Quando c’erano le guerre perché Gesù non ha fatto niente?

Ma Gesù come fa ad amare chi lo tratta male?

Io sto continuando a pregare perché mia sorella mi tratta male però non funziona, come faccio?

Perché esiste l’odio?

Perché una barbona che ho soprannominato Cercocasa mi dice parole tipo: “bambolina” oppure quando sto con il mio cane dice: “bau bau”? Io non so come fare, ho paura!!!

Gesù come faceva a sapere di essere il figlio di Dio?

Perché anche quando sono felice mi sento triste?

Ma perché Dio ha scelto il vino come simbolo del suo sangue?

Non riesco ancora a capire come il Paradiso duri tutta la vita. Quanto tempo è tutta la vita?

Perché Dio ha scelto proprio Maria?

Perché anno crucifisato Gesù in croce e non con altre cose?

Perché esiste la tristezza e l’odio?

Perché lo spirito santo è rappresentato come una colomba?

Perché si deve andare a Messa?

Perché mia sorella quando non c’è nessuno fa la buona con me e quando ci sono le mie o le sue amiche mi prende in giro?

Io spesso sono triste, ma perché esiste la tristezza? Io quando sono triste mi chiedo se è una punizione per qualcosa che ho fatto di male, è per questo secondo te?

Perché Gesù fin da piccolo parlava come Dio?

Se ho degli amici che bestemmiano e non riesco ad aiutarli è bene che li frequento ancora?

Ma è vero che l’uomo da solo morirebbe di solitudine?

Ma Gesù rideva?

Come fai a rispondere a tutte queste domande?

Io sono figlia unica e mi sento molto sola e vorrei avere qualcuno con cui giocare. Come faccio?

Come mai Gesù ha perdonato i nostri peccati morendo? Come ha fatto?

Perché in questo periodo sto soffrendo per i miei genitori separati? Perché Chiara se ne è andata?

Una mia amica parla male di me alle spalle. Cosa faccio? Sto cercando di rimediare ma non cambia niente!

Io ho un problema: ho tante amiche e se gioco con una, l’altra si offende. Come faccio a non farle offendere?

Ma Gesù pregava? Faceva le stesse preghiere nostre?

Certo, bel popolo eletto, quello di Israele! Perché si chiama “eletto” se poi è stato sterminato con il nazismo e adesso c’è la guerra a Gerusalemme?

Chi sono i santi?

Note al testo

[1] Cfr. su questo l’articolo Alcune considerazioni in merito allo sviluppo delle virtù nei bambini, di G. Nicolais (on-line su www.gliscritti.it), a partire dagli studi di H.K. Buchsbaum - R.N. Emde (1990), Play Narratives in 36-Month-Old Children, in «Psychoanalityc Study of the Child», 45 (1990), 129-155.

[2] Per approfondimenti su questo, vedi l'articolo La notte di Halloween e la festa cristiana dei santi: opposizione o continuità? Appunti in chiave educativa per la scuola e la catechesi in forma di recensione a La notte delle zucche. Halloween: storia di una festa di P. Gulisano e B. O’Neill, di Andrea Lonardo su www.gliscritti.it. Una diversa tesi che vede addirittura come totalmente cristiana l’origine di Halloween, senza nessun apporto pagano, è espressa in Cari cattolici, Halloween l’abbiamo inventata noi. Non lasciamocela scippare da streghette e satanisti, di Giovanna Jacob che, lo stesso, mette invece in guardia dalle derive sviluppatesi solo negli ultimi 30 anni (l'articolo, tratto dalla rivista Tempi, è ora anche su www.gliscritti.it).

[3] Cfr. su questo l’articolo Alcune considerazioni in merito allo sviluppo delle virtù nei bambini, di G. Nicolais (on-line su www.gliscritti.it), a partire dagli studi di H.K. Buchsbaum - R.N. Emde (1990), Play Narratives in 36-Month-Old Children, in «Psychoanalityc Study of the Child», 45 (1990), 129-155.