La questione esegetica della tipologia nelle storie quattrocentesche della Cappella Sistina (Perugino, Botticelli, Signorelli, Ghirlandaio, Rosselli, Biagio d’Antonio) con gli episodi della vita di Mosè e di Gesù Cristo in “parallelo”: una delle testimonianze – la più, chiara in Roma – del principio che vale per ogni lettura biblica nella Chiesa, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 04 /03 /2024 - 22:52 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo, a commento dell’immagine con le storie quattrocentesche della Sistina raffrontate, preparata per il volume A. Lonardo, Dove si eleggono i papi. Guida ai Musei Vaticani. Cappella Sistina. Stanze di Raffaello. Museo Pio Cristiano, Bologna, EDB, 2015, pp. 30-31. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Arte e fede e Roma e le sue basiliche. Cfr., in particolare, Guida alla visita della Cappella Sistina (Musei Vaticani), di Andrea Lonardo. Sulla tipologia, cfr. in particolare:
-Abramo vide il mio giorno e fu pieno di gioia, di Andrea Lonardo
-«Il fatto che la liturgia abbia fatto sue e conservate lungo i secoli determinate esegesi tipologiche costituisce una specie di "consacrazione" di esse, tanto da poter essere considerate interpretazioni tradizionali e ufficiali della Chiesa». Al cuore della catechesi non c’è solo la Scrittura, ma anche la liturgia: solo la liturgia è in grado di “spiegare” la Scrittura attraverso la lettura tipologia della Bibbia. Tre riflessioni capitali di Sofia Cavalletti
-Perché la Bibbia non è un libro, ma una voce vivente. E perché è il popolo di Dio il vero interprete delle Scritture. Sul rapporto fra Scrittura e Tradizione interrogato dal Sola Scriptura, di Andrea Lonardo
-La Bibbia non è semplicemente narrazione e la teologia non può essere semplicemente narrativa. Breve nota di Andrea Lonardo
-Tipologia biblica e patristica liturgia della Parola, di Mariano Magrassi

Il Centro culturale Gli scritti (4/3/2024)

1/ L’impostazione tipologica del ciclo dei pittori quattrocenteschi della Sistina

Il programma iconografico delle pareti della Cappella Sistina è un’immagine chiarissima di cosa sia la tipologia nella lettura cristiana della Scrittura. Gli affreschi che si fronteggiano a due a due hanno lo stesso tema: quello di sinistra, guardando l’altare, rappresenta il “tipo”, la “pre-figurazione”, l’“immagine”, l’“ombra”, l’“anticipazione” veterotestamentaria, di cui quello a destra è il “compimento”, la “figura piena”, la “pienezza” neotestamentaria.

Tale procedimento è assolutamente abituale ancora oggi nella liturgia: ad esempio, se si celebra la festa del Corpus Domini, si proclama la lettura veterotestamentaria della manna nel deserto a dire che quel “pane che discende dal cielo” anticipa il dono dell’eucarestia, che è il “vero” pane che viene da Dio. O ancora: se si legge la dichiarazione di Gesù che il suo corpo è il vero Tempio distrutto in tre giorni e ricostruito, ecco che la liturgia fa precedere tale annuncio dalla lettura dei racconti dell’edificazione del tempio veterotestamentario.

Su tale esegesi tipologica, nata dall’esperienza della Chiesa, è tornato ad insistere recentemente il Nuovo Direttorio per la catechesiche recita:

«La catechesi e la liturgia, raccogliendo la fede dei Padri della Chiesa, hanno plasmato un modo peculiare di leggere e interpretare le Scritture, che conserva ancora oggi il suo valore illuminante. […] La catechesi e la liturgia non si sono mai limitate a leggere separatamente i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, ma leggendoli insieme hanno mostrato come solo una lettura tipologica della sacra Scrittura consente di cogliere in pienezza il significato degli eventi e dei testi che raccontano l’unica storia della salvezza. Tale lettura indica alla catechesi una via permanente, ancora oggi di grande attualità, che permette a chi cresce nella fede di cogliere che niente dell’antica alleanza viene perduto con Cristo, ma in lui tutto trova compimento»[1].

Insomma, l’Antico Testamento è visto già carico di Cristo: le sue storie anticipano, in maniera nascosta, ciò che è avvenuto poi alla venuta di Cristo[2].

Tale lettura cristologica delle Scritture veterotestamentarie – che appunto le rende “veterotestamentarie” in relazione ad un “nuovo” Testamento – ha senza alcun dubbio origine nelle parole stesse di Cristo che interpreta la propria vita come pieno compimento delle Scritture ebraiche.

Ma già gli stessi testi veterotestamentari vivono della dinamica di un annuncio-inveramento, ancor più evidente oggi, quando si collocano in età più tardiva di quanto si pensasse un tempo, le datazioni dei singoli libri – e, conseguentemente, l’evento antico viene letto alla luce del presente in cui venne scritto quel testo.

Solo per offrire due esempi fra i più indicativi, negli stessi testi dell’AT il passaggio del Mare nell’Esodo è anticipo del passaggio del Giordano operato da Giosuè e le due Pasque del Mar Rosso e del Giordano sono chiavi interpretative del ritorno dall’esilio annunciato dal deutero-Isaia[3].

L’esegesi cristologica, compiuta da Gesù stesso che porta a compimento la rilettura dei racconti precedenti già tipica dell’ebraismo, si sviluppa poi in tutta l’esegesi patristica.

Di essa Simonetti[4] ha affermato che, pur nella diversità delle metodologie dei diversi Padri della Chiesa, la chiave interpretativa unitaria è esattamente questa: Cristo è già presente nell’Antico Testamento, anche se nascostamente[5]. Se così non fosse, si dovrebbero presupporre due diverse divinità all’origine delle due alleanze, alla maniera marcionita, e due diverse religioni, senza legame alcuno fra di loro.

Ma è stata soprattutto la liturgia a proporre l’esegesi tipologica e a fissarne le coordinate principali, che si ritrovano nella Sistina stessa.

La liturgia è quel processo in atto operato dalla Tradizione della Chiesa che interpreta la Scrittura: si potrebbe dire che la Liturgia è l’esegesi della Chiesa – perché è vero che esiste un’esegesi della Chiesa e non solo una dogmatica della Chiesa.

Ne ha parlato in maniera chiarissima il Concilio Vaticano II, in particolare la Dei Verbum, invitando a leggere la Scrittura sia a partire dal metodo storico-critico, sia con i criteri dell’unità delle Scritture e della medesima ispirazione dello Spirito Santo per ogni parte di essa, sia con il criterio della esegesi della Tradizione appunto.

Tale duplice sguardo – storico-critico e secondo la tipologia - è possibile e sensato proprio perché già il NT rilegge l’AT in chiave tipologica e tale esegesi non è dunque un’invenzione posteriore della Chiesa: chi legge in maniera storico-critica il NT deve fare spazio alla tipologia che è obbligato a riconoscere con metodo scientifico nei Vangeli e nel resto della Bibbia cristiana, se vuole essere fedele ad essi[6].

Per questo, fra l’altro, non si può comprendere il Concilio Vaticano II, separando un “ritorno” alle fonti scritturistiche da un “ritorno” ai Padri della Chiesa[7]: i padri conciliari li hanno proposti insieme, anche se spesso ciò viene dimenticato.

La novità dello schema definitivo della Dei Verbum, che supera il primitivo basato ancora sull’idea dell’esistenza di due distinte fonti, la Scrittura e la Tradizione, ha mostrato come fosse angusta tale prospettiva: essa si limitava a porre la questione oggettivisticamente quasi che Scrittura e Tradizione fossero due recipienti da cui estrarre contenuti dogmatici e morali.

La riflessione teologica era rinchiusa in questa povera prospettiva dagli anni della Riforma e della risposta ad essa del Concilio di Trento, quasi che la Tradizione andasse invocata esclusivamente per le questiones disputatae (ad esempio, cosa pensare del papato a Roma o della vita religiosa o del celibato del clero, se essi non sono presenti nella Scrittura, ma vengono proclamati dalla Tradizione? La Tradizione è una “prova” che supplisce alla Scrittura?)

Per il Concilio Vaticano II il ruolo della Tradizione - cioè della Chiesa - è originario e radicale e non è da invocare principalmente a partire dalle quaestiones disputatae.

La Tradizione della Chiesa è ciò che interviene ordinariamente - e non esclusivamente nei casi in cui manca un’attestazione scritturistica - a chiarire il senso della Bibbia, cogliendone proprio la presenza cristologica, come fa appunto la Liturgia che sempre collega AT e NT.

Tale procedimento è evidente nelle storie quattrocentesche della Sistina che rappresentano, in Roma, l’esempio più chiaro e più noto di tale lettura biblica tipologica, cioè cristologica.

Nelle storie di Mosè e di Cristo della Sistina, a sinistra sono gli episodi della storia veterotestamentaria di Mosè visti come “figure” di quelle di Cristo, che sono invece a destra.

L’immagine che venne preparata per il volume Dove si eleggono i papi. Guida ai Musei Vaticani[8]- e che è qui ripubblicata - chiarisce visivamente, proprio nella sua dimensione strutturale che è ben più importante dei singoli dettagli di ogni immagine, tale prospettiva tipologica che mantiene in tensione AT e NT.

Le chiavi di lettura tipologiche sono incise al di sopra degli affreschi stessi a chiare lettere, nella cornice in pietra, con il rimando che è indicato ogni volta dall’AT al NT con l’utilizzo di un medesimo termine.

La prima coppia superstite degli affreschi ha per tema i sacramenti della rigenerazione (regeneratio): la circoncisione per l’AT e il battesimo per il NT.

La seconda coppia ha per tema la tentazione (temptatio) cui furono sottoposti Mosè e Cristo ai quali, invece, bisognava ubbidire come inviati di Dio.

La terza coppia ha per tema la convocazione (congregatio) del popolo dell’Antica e della Nuova alleanza.

La quarta ha per tema la promulgazione (promulgatio) della legge mosaica e poi della legge della nuova alleanza nel discorso della montagna.

La quinta tratta dell’opposizione (conturbatio) agli inviati di Dio.

La sesta del rinnovamento (replicatio) della promulgazione dell’alleanza dopo il superamento delle opposizioni contro Mosè e contro il Cristo.

2/ Breve excursus sui diversi pittori del ciclo

Le coppie di affreschi furono realizzate da pittori diversi, ma secondo un preciso progetto, di modo che ognuno realizzasse nella sua propria parte ciò che l’intera sequenza, basato appunto sulla tipologia, prevedeva.

Fu Sisto IV ad affidare la realizzazione dell’intero ciclo a diversi artisti del suo tempo, poiché una così ampia affrescatura ebbe bisogno del coinvolgimento di tanti pittori con le loro botteghe – i lavori furono compiuti in un arco di tempo abbastanza circoscritto, dal 1481 al 1483[9].

Il Perugino realizzò i due primi affreschi con Mosè salvato dalle acque e con la Nascita di Gesù - ora scomparsi, perché coperti dal Giudizio universale di Michelangelo. Realizzò anche i due successivi con La circoncisione nell’Esodo e Il Battesimo di Gesù e, più oltre, la Consegna delle chiavi a Pietro.

Sandro Botticelli realizzò i due affreschi successivi a quelli del Perugino, le Prove di Mosè e le Tentazioni di Cristo, oltre all’affresco con la Rivolta di Core, Datan e Abiram che è dinanzi alla Consegna delle chiavi del Perugino.

Biagio d’Antonio realizzò il Passaggio del Mar Rosso, mentre Cosimo Rosselli dipinse la Consegna della Legge a Mosè e il Sermone della montagna.

L’Ultima cena è di Cosimo Rosselli e Biagio d’Antonio.

Il Ghirlandaio realizzò la Vocazione dei primi apostoli e la Resurrezione, ora perduta.

Luca Signorelli realizzò il Testamento di Mosé e la Disputa per la salma di Mosè, ora perduta.

3/ Gli affreschi quattrocenteschi della Sistina a coppie

3.0/ La prima coppia, oggi scomparsa

Nonostante le diverse mani, le iscrizioni che sono in alto sul marmo e i soggetti rappresentati mostrano chiaramente l’intento tipologico.

Manca la prima coppia di dipinti e la prima coppia di iscrizioni – distrutti dal Giudizio universale di Michelangelo – ma è chiaro che il tema era quello della nascita, con Mosé salvato dalle acque e con la Natività di Gesù, l’una scena a fianco dell’altra.

3.1/ La rigenerazione attraverso la Circoncisione e il Battesimo

La seconda coppia di affreschi – che è oggi la prima – è accompagnata dalle iscrizioni Observatio antique regenerationis a Moise per circoncisione e Institutio novae regenerationis a Christo in baptismo.

È evidente che si vuole sottolineare la rinascita dell’uomo in Dio, con la circoncisione che è “tipo” e “figura” del Battesimo: la circoncisione è vista come pre-figurazione dell’evento che si compie nel Battesimo, la piena rigenerazione dell’uomo che diviene figlio di Dio.

Perugino[10] dipinse a destra l’episodio mosaico della regeneratio tramite circoncisione. Si vede al centro, Mosè che saluta Ietro, prima di tornare con la sua nuova famiglia in Egitto. A sinistra l’angelo del Signore rimprovera Mosè perché non ha circonciso il figlio e, bloccandone la marcia, lo minaccia. A destra, Zippora, moglie di Mosè, circoncide il figlio, obbedendo al comando di Dio.

Nell’episodio neotestamentario speculare della regeneratio, invece, si vede in alto a sinistra il Battista che predica, al centro si vede il battesimo di Gesù e, a destra, l’inizio della predicazione pubblica del Cristo.

3.2/ Le tentazioni di Mosé, “prefigurazioni” di quelle ormai vinte da Cristo

La seconda coppia – in origine la terza – è del Botticelli. Qui vengono messe in parallelo le tentazioni subite da Mosè e le tre a cui il diavolo sottopone a Cristo. L’iscrizione reca i titoli Temptatio Moisi scriptae legis latoris e Temptatio Iesu Christi latoris evangelicae legis.

A sinistra sta una complessa scena con diversi episodi che raccontano la storia di Mosè con le peripezie precedenti l’esodo.

La sequenza di azioni comincia a destra con Mosè che uccide l’egiziano che perseguitava gli ebrei, prosegue poi verso sinistra con Mosè che fugge nel deserto, poi con l’episodio del pozzo di Madian, presso il quale Mosè scaccia i pastori per proteggere le figlie di Ietro e abbeverare i loro greggi. In alto si vede Mosè che si scalza dinanzi al roveto ardente e Dio che gli appare, mentre il roveto brucia ma non si consuma. Infine, in basso a sinistra, è Mosè che torna in Egitto con la moglie ed i figli.

Nell’affresco corrispettivo neotestamentario sono rappresentate le tre tentazioni di Gesù nel deserto: in alto a sinistra, il diavolo lo invita a domandare a Dio che le pietre diventino pane, a destra gli mostra tutti i regni di questa terra con la loro gloria, al centro, al di sopra del tempio, lo invita infine a gettarsi giù, perché certo Dio lo soccorrerà.

Ma, proprio perché era necessario dipingere il Tempio – realtà decisiva nell’Antica Alleanza –, ecco che Botticelli, dovendo porre nella stessa immagine la “figura” e la sua piena realizzazione, dipinge un episodio solo apparentemente incongruente al centro.

Infatti, dinanzi al Tempio, si vede – pensato in maniera geniale – l’incontro di due figure, il Sommo sacerdote e un giovane in vesti bianche.

Ovviamente il Sommo sacerdote è colui che compie l’antico rito sacrificale (si vede l’altare acceso subito dietro, per l’immolazione degli animali) e purifica (si vede il bacile con il purificatorio).

Il giovane, invece, riceve il bacile della purificazione ed è in vesti bianche, di uno splendore diverso e maggiore di quelle splendide, perché rituali, del Sacerdote.

Più che identificarlo con una qualche figura specifica[11], ad esempio il lebbroso purificato ad indicare un concreto episodio dei Vangeli, ciò che l’affresco suggerisce è proprio il passaggio da una purificazione ad un’altra, piena e definitiva. Si vede proprio il Sommo sacerdote che pone nelle mani del giovane il bacile, quasi a consegnarglielo: non è lui a purificarlo, ma affida a lui la purificazione che verrà.

Quel giovane in vesti bianche è una nuova figura “luminosa” nella quale Botticelli rappresenta la nuova “alleanza” che cede il passo all’Antica, la prima più anziana e la seconda giovane, con la prima che “passa”, che “consegna”, che “affida” la purificazione alla seconda.

I battezzati vincono, in maniera ben più decisiva dell’antica purificazione, il male, grazie alla vittoria di Cristo sul Maligno. La liberazione dal male non avviene più grazie ai riti veterotestamentari, che sono come l’ombra degli eventi della vita del Cristo, ma in maniera diversa e più definitiva per la presenza di Cristo.

3.3/ La nascita del popolo dell’Antica Alleanza, convocato da Dio, e il nuovo Popolo di Dio

Nella terza coppia di affreschi vengono messe in parallelo la nascita dell’antico e del nuovo popolo: il popolo di Israele prefigura la Chiesa. L’iscrizione reca a sinistra l’espressione Congregatio populi a Moise legem scriptam accepturi, mentre a destra è scritto Congregatio populi legem evangelicam accepturi.

Nell’affresco mosaico è rappresentato il passaggio del Mar Rosso, all’origine della storia del popolo di Dio. In fondo a destra si vede, subito fuori di una città che rappresenta l’Egitto, il faraone seduto in trono, segno del suo potere malvagio. La città è investita dalle dieci piaghe per lasciar uscire i figli di Israele. Al centro si vede il mare - con la colonna di luce e ombra che protegge il popolo - che si richiude facendo annegare gli egiziani. Sulla riva, a sinistra, emerge la figura di Mosè, al cui fianco sta Miriam che suona il canto della vittoria; dietro di loro il popolo già si incammina verso il deserto.

Nell’affresco neotestamentario si vede a sinistra, sullo sfondo, Gesù che cammina presso il lago di Tiberiade. A destra, invece, egli chiama a seguirlo gli apostoli che sono in barca a pescare con il loro padre. Al centro, gli apostoli, udito l’invito alla sequela, si inginocchiano dinanzi al maestro, accettando la sua chiamata a divenire “pescatori di uomini”, chiamati a convocare l’intero popolo di Dio.

3.4/ La consegna dei Dieci Comandamenti a Mosè e del duplice comandamento dell’amore in Cristo

Nella quarta coppia è raffigurata la promulgazione della Legge. Come Israele ricevette i dieci comandamenti, così ora, in pienezza, la comunità cristiana riceve la legge dell’amore. La duplice iscrizione recita: Promulgatio legis scripte per Moise e Promulgatio evangelicae legis per Christum.

Nell’affresco mosaico si vede, a destra del monte, il popolo che adora il vitello d’oro, mentre Mosè è in alto a ricevere la Legge da Dio. Sulla sinistra del vitello d’oro, si vede Mosè che, appena disceso, distrugge le tavole che ha appena ricevuto dal Signore e, sulla destra, la punizione che i leviti comminarono agli ebrei. Infine, ancora più a sinistra, è Mosè che ridiscende con le tavole della Legge scritte da Dio una seconda volta, mentre, sullo sfondo, si vede l’accampamento di Israele.

Nell’affresco neotestamentario, è rappresentato Gesù sul monte che annuncia la legge della nuova alleanza: a destra è raffigurato, invece, mentre guarisce un lebbroso, perché la sua Parola dà vita.

3.5/ La contestazione dell’autorità di Mosè e di quella di Cristo

Nella quinta coppia la legge appena promulgata è contestata. L’iscrizione a sinistra recita Conturbatio Moisi legis scriptae latoris, mentre quella a destra dice Conturbatio Iesu Christi legislatoris.

Questa coppia è la più caratteristica degli affreschi quattrocenteschi della Sistina perché vuole affermare che non si deve contestare l’autorità voluta da Dio. Come Dio difese Mosè dalla protesta degli Israeliti, così ha protetto nel Nuovo Testamento la rivolta contro il suo Figlio, e così difenderà la Chiesa, con le sue autorità, quando qualcuno si leverà per distruggerle.

Nell’affresco del Botticelli si vede, a destra, la rivolta di Core, Datan e Abiram che nel testo biblico insorgono al grido “Tutti sono santi, perché vi innalzate sopra l’assemblea del Signore?”, contestando il primato di Mosè - si vede il tentativo di lapidarlo.

A sinistra la terra si apre per intervento divino, per inghiottire i ribelli all’autorità di Mosè. Infine, al centro, Mosè purifica con l’incenso l’altare per arrestare il flagello che, per punizione divina, stava colpendo il popolo. L’arco retrostante reca l’iscrizione Nemo sibi assumat honorem nisi vocatus a Deo tanquam Aron (Nessuno pretenda per sé l’autorità/onore, se non chiamato a ciò da Dio, come Aronne).

Nell’affresco neotestamentario del Perugino, forse il più famoso della serie, al centro si vede Gesù che affida a Pietro le due chiavi simbolo del suo mandato, per aprire e chiudere, per sciogliere e legare, mentre sullo sfondo a sinistra si vede Gesù che paga il tributo del Tempio, ma dichiara di esserne esente. A destra il tentativo dei giudei di lapidare Gesù, raccontato da Giovanni.

Il quinto personaggio da destra, vestito di nero, è un autoritratto del Perugino stesso. I due archi sullo sfondo recano due scritte che ricordano il re Salomone a sinistra e papa Sisto IV a destra – anch’essi sono posti in parallelo!

3.6/ La riproposizione, dopo la contestazione, delle due alleanze, con la prima che prefigura nuovamente la seconda

Nella sesta e ultima coppia è raffigurato il rinnovamento dell’antica e della nuova alleanza.

Nell’affresco di Luca Signorelli (Replicatio legis scriptae a Moise) si vede in alto a sinistra la morte di Aronne. In basso a sinistra è Mosè che investe Giosuè della propria autorità. A destra è Mosè che parla al popolo prima di morire, proclamando tutto ciò che è riferito nel Deuteronomio e, infine, l’angelo che mostra a Mosè dal monte Nebo la terra promessa e poi, più in basso, lo accompagna fino al momento della morte, senza che nessuno dei presenti assista all’evento.

Nell’affresco neotestamentario (Replicatio legis evangelicae a Christo) si vede l’ultima cena di Gesù e, attraverso l’apertura delle tre finestre, le scene della preghiera di Gesù nell’orto, della sua cattura e della sua crocifissione

L’iconografia dell’ultima cena è ancora quella tradizionale, con Giuda dipinto, unico fra gli apostoli, dall’altra parte del tavolo. Solo pochi anni più tardi Leonardo da Vinci innoverà profondamente questa rappresentazione ponendo Giuda vicino a Pietro e Giovanni, dalla stessa parte del tavolo dove sono seduti tutti gli altri, conferendo una ben diversa drammaticità alla scena[12], ben più fedele al dettato evangelico originario.

Interessantissima è la presentazione dell’ambiente in prospettiva come di un’aula ottagonale, che, se risponde all’amore dell’Umanesimo e del Rinascimento per gli edifici a pianta centrale, sottolinea ancor più l’ottavo giorno, quello della Resurrezione del Cristo che porta a compimento quanto iniziato nella creazione antica veterotestamentaria.

3.7/ La resurrezione di Cristo, mistero culminante

Se i due riquadri della facciata d’altare sono andati perduti per la realizzazione del Giudizio universale di Michelangelo, i due della parete di fondo andarono distrutti quando l’architrave della parete crollò nel 1522 immediatamente dopo il passaggio di papa Adriano VI, uccidendo alcuni uomini del seguito. Vennero rifatti, con identico soggetto, nel 1571-1572 con La Contesa sul corpo di Mosè da Matteo da Lecce e la Resurrezione da Hendrik van den Broeck.

Anche qui, nuovamente, la tipologia pone la morte di Mosè a fianco della Resurrezione del Cristo: Mosè è l’amico di Dio che non entra nella terra Promessa, ma muore sul monte Nebo, come segno che non era quella la terra in cui doveva entrare, mentre Cristo risorge e va al Padre, entrando così nella vera Terra Promessa, che è offerta a tutti gli uomini.

4/ La peculiarità degli affreschi quattrocenteschi della Sistina: nei “misteri”, che vengono ripresi dalla tradizione, è aggiunta la sottolineatura del ruolo della mediazione prima mosaica e poi ecclesiale

Il ciclo degli episodi del Cristo riprende la sequenza dei “misteri” elaborati dalla liturgia (cioè dalla Tradizione)[13] con una particolare sottolineatura degli eventi della “vita pubblica” del Cristo e questa lettura della vita del Signore è offerta nella sua luce di compimento della vicenda dell’alleanza con Israele attraverso Mosè.

Ma la peculiarità del ciclo della Sistina è quello di sottolineare volutamente la mediazione prima mosaica e poi ecclesiale della rivelazione e della guida divina.

Ciò porta all’inserimento nel ciclo dei “misteri” di episodi altre volte messi in secondo piano, come la Consegna delle Chiavi a Pietro e la contestazione dell’autorità.

Ma anche nei “misteri” abitualmente raffigurati viene sottolineata la mediazione umano/divina: chi veniva e viene a pregare in Sistina è invitato dagli affreschi quattrocenteschi a comprendere che la fede in Cristo è mediata dalla testimonianza ecclesiale e, in particolare, degli apostoli e dei loro successori e soprattutto di Pietro e dei suoi successori.

L’iconografia sottolinea come la storia della salvezza si compia non in astratto, bensì attraverso persone da Dio designate, opere da loro compiute, sacramenti istituiti, precise parole offerte agli uomini. La fede in Dio è così evidentemente fede nei suoi profeti e, infine, fede in Cristo stesso.

Già un versetto dell’Esodo sintetizzava in maniera straordinaria questa dimensione costitutiva della fede già veterotestamentaria, che non è solo fiducia in Dio, ma anche nella sua azione attraverso coloro che egli ha designato: «Israele credette in Dio e nel suo servo Mosè» (Es 14,31). Gesù, portando a pienezza la rivelazione, afferma spingendosi ben più in là del dettato veterotestamentario: «Se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio» (Gv 8,19).

Ancora di più la verità veterotestamentaria, che già annunciava la presenza di Dio nei suo segni, risplende così nel Nuovo Testamento, dove la fede nel Padre è accoglienza del Figlio, nella sua Parola, nei suoi sacramenti e nella sua chiesa.

Sisto IV, evidentemente, voleva che l’intera sequenza degli affreschi ricordasse come la salvezza divina passa precisamente attraverso il dono di Cristo e la sua presenza viva nella vita della chiesa.

La fede non è immediata, da Cristo all’uomo, bensì mediata dalla Tradizione della Chiesa con le sue figure investite, per un dono, di un’autorità che sola consente loro di offrire la grazia e permette a tutti di incontrare Cristo nella sua presenza ecclesiale e sacramentale.

Questo porta, conseguentemente, a porre in rilievo nel ciclo quattrocentesco della Sistina il pericolo della contestazione di tale mediazione, sia nella vicenda mosaica, sia in quella di Cristo, mentre solo l’obbedienza, la fiducia e la mediazione di quella Chiesa che Cristo ha voluto in terra sono garanzia piena, secondo gli affreschi, di un cammino in comunione con la volontà di Dio.



[1] Nuovo Direttorio per la catechesi del 2020, n. 170. Questo l’intero numero 170: «La catechesi e la liturgia, raccogliendo la fede dei Padri della Chiesa, hanno plasmato un modo peculiare di leggere e interpretare le Scritture, che conserva ancora oggi il suo valore illuminante. Esso si caratterizza per una presentazione unitaria della persona di Gesù attraverso i suoi misteri, cioè secondo i principali eventi della sua vita compresi nel loro perenne senso teologico e spirituale. Questi misteri sono celebrati nelle diverse feste dell’anno liturgico e sono rappresentati nei cicli iconografici che adornano molte chiese. In questa presentazione della persona di Gesù si uniscono il dato biblico e la Tradizione della Chiesa: tale modo di leggere la sacra Scrittura è particolarmente prezioso nella catechesi. La catechesi e la liturgia non si sono mai limitate a leggere separatamente i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, ma leggendoli insieme hanno mostrato come solo una lettura tipologica della sacra Scrittura consente di cogliere in pienezza il significato degli eventi e dei testi che raccontano l’unica storia della salvezza. Tale lettura indica alla catechesi una via permanente, ancora oggi di grande attualità, che permette a chi cresce nella fede di cogliere che niente dell’antica alleanza viene perduto con Cristo, ma in lui tutto trova compimento».

[2] Sulla questione, cfr. in dettaglio lo studio A. Lonardo, La Parola si è fatta carne, non libro. I “misteri” della vita di Gesù tra Scrittura, liturgia e arte, Cinisello Balsamo, 2019, San Paolo, (insieme a L. Mugavero), pp. 67-93. Per una riflessione su tale procedimento all’interno della Sacra Scrittura, cfr. 1/ Nel solco di Paul Beauchamp - Deuterosi, tipologia, e compimento – ovvero: la riscrittura biblica come poetica della Parola di Dio, di Roberto Vignolo 2/ Profili. Paul Beauchamp, 1924-2001, di Y. Simoens e Abramo vide il mio giorno e fu pieno di gioia, di Andrea Lonardo e Perché la Bibbia non è un libro, ma una voce vivente. E perché è il popolo di Dio il vero interprete delle Scritture. Sul rapporto fra Scrittura e Tradizione interrogato dal Sola Scriptura, di Andrea Lonardo. Sul ruolo della liturgia e della Tradizione nell’elaborazione concreta della tipologia, cfr. Tipologia biblica e patristica liturgia della Parola, di Mariano Magrassi. Per una riflessione sulla rilevanza di tale processo in catechesi, cfr. Solo una presentazione della Bibbia in chiave tipologica – dove ogni episodio veterotestamentario è figura della vita di Gesù e della vita del cristiano – permette di rendere conto della storia della salvezza (da Sofia Cavalletti e Gianna Gobbi) e «Il fatto che la liturgia abbia fatto sue e conservate lungo i secoli determinate esegesi tipologiche costituisce una specie di "consacrazione" di esse, tanto da poter essere considerate interpretazioni tradizionali e ufficiali della Chiesa». Al cuore della catechesi non c’è solo la Scrittura, ma anche la liturgia: solo la liturgia è in grado di “spiegare” la Scrittura attraverso la lettura tipologia della Bibbia. Tre riflessioni capitali di Sofia Cavalletti.

[3] Cfr. su questo, L. Alonso Schökel – J.L. Sicre Diaz, I profeti, Rom, Borla, 1984, pp. 296-302.

[4] Cfr. su questo l’immensa produzione di Manlio Simonetti e, in particolare, i due lavori sintetici M. Simonetti, Lettera e/o allegoria. Un contributo alla storia dell’esegesi patristica (Studia Ephemeridis Augustinianum 23), Roma, Augustinianum, 1985 e M. Simonetti, Profilo storico dell’esegesi patristica, Roma, Augustinianum, 1981. In forma abbreviata, cfr. La lettura cristologica e tipologica dell’Antico Testamento nel Nuovo Testamento (da Manlio Simonetti).

[5] La tipologia permette anche di dare senso a brani altrimenti incomprensibili delle Scritture stesse; cfr. su questo Nella Scrittura ci sono brani senza padrone fino alla venuta di Gesù, di Andrea Lonardo.

[8] A. Lonardo, Dove si eleggono i papi. Guida ai Musei Vaticani. Cappella Sistina. Stanze di Raffaello. Museo Pio Cristiano, Bologna, EDB, 2015, pp. 30-31.

[9] Per una visione di insieme degli artisti quattrocenteschi che lavorarono a Roma, vedi l’articolo Il quattrocento a Roma e la grande rinascita culturale nella città dei papi, di Antonio Paolucci.

[10] L’iscrizione, in alto, reca, unica fra tutte, la menzione dell’autore: opus Petri Perusini Castro plebis.

[11] C’è chi vi ha voluto vedere il giovane lebbroso già guarito – apparirà un lebbroso negli affreschi successivi –, ma Botticelli non indugia a precisare figurativamente chi sia il giovane in questione, perché con esso si allude alla definitiva purificazione: è l’Antica Alleanza che è importante e vera, ma che ormai cede il passo alla Nuova. Ancora meno convincente è la tesi di Pfeiffer che vi vede qui riferimenti politici alla storia dei Medici e in particolare alla Congiura dei Pazzi, cfr. in H.W. Pfeiffer, La Sistina svelata. Iconografia di un capolavoro, Milano, Jaca, 2007, pp. 38-42.

[12] L’affresco di Leonardo è del 1495-1498, questo della Sistina, invece, fra il 1481 ed il 1483. Sul Cenacolo di Leonardo in S. Maria delle Grazie a Milano, vedi Dal Codice da Vinci di Dan Brown ad una più rispettosa lettura iconografica del Cenacolo di Leonardo nel Refettorio di S. Maria delle Grazie a Milano, di Andrea Lonardo. Su Leonardo a servizio del pontefice e più in generale sulla sua vita e le sue opere, cfr.
-Al tempo di Leonardo da Vinci non era vietata in Italia e in Roma la dissezione di cadaveri a scopo scientifico. Gli studi di Laurenza sulla questione e l’ipotesi che Giovanni degli specchi abbia cercato di utilizzare alcune posizioni filosofiche di Leonardo sull’anima per screditarlo senza successo presso la chiesa, mentre era stato proprio il papa, unitamente a Giuliano de Medici, a volerlo a Roma, perché collaborasse con lo Stato pontificio, invito che Leonardo era stato ben contento di accettare, di Andrea Lonardo
-Vita di Leonardo da Vinci, di Guido Cornini
-Il cattolicissimo Testamento di Leonardo da Vinci: «Primeramente el racomanda l’anima sua ad nostro Signore Messer Domine Dio, alla gloriosa Virgine Maria, a Monsignore Sancto Michele, e a tutti li beati Angeli Santi e Sante del Paradiso»
-Giovanni Battista il testimone: un dito per indicare. Il Giovanni Battista di Leonardo da Vinci dal Louvre a Roma per la mostra Il potere e la grazia, di Andrea Lonardo
-Cos’è il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci. Non c’entra nulla col thriller di Dan Brown
-L’uomo “vitruviano” di Leonardo da Vinci non è esoterico!, di Andrea Lonardo
-Leonardo genio universale: un mito costruito dal fascismo. L'immagine di Leonardo da Vinci genio capace di intuire ogni sorta di invenzione fu modellata dalla propaganda fascista per accreditare il primato della scienza italica, di Alessandro Beltrami 
-La Luna vista da Leonardo. Pochi hanno messo in connessione i 50 anni dell’Apollo 11 con i 500 anni del genio da Vinci che tra i primi studiò e disegnò il fenomeno della 'luce cinerea', di Flavia Marcacci
-Il Codice da Vinci: un “vero apocrifo”: divertissement, di Andrea Lonardo.

[13] I “misteri” di Cristo sono quegli eventi che la Tradizione individua, attraverso la costruzione progressiva ed esperienziale del ciclo delle feste liturgiche, come basilari nella trasmissione della Parola di Dio, come del primo alfabeto della fede, e nella celebrazione di essa. Sulla rilevanza dei “misteri” come “cristologia della Chiesa” e come chiave per la lettura della Scrittura in catechesi, cfr. il commento a Catechismo della Chiesa Cattolica 512 ss. e la riflessione teologica e pastorale in A. Lonardo, La Parola si è fatta carne, non libro. I “misteri” della vita di Gesù tra Scrittura, liturgia e arte, Cinisello Balsamo, 2019, San Paolo, (insieme a L. Mugavero), pp. 119-188 e, per la loro visualizzazione nei cicli figurativi, pp. 191-232. È il CCC a tornare a dichiarare che la sequenza dei “misteri” è fondante la presentazione della vita di Cristo nella catechesi. È stato Schönborn, in Principi direttivi nell’elaborazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, di Christoph Schönborn, a ricordare come «Ratzinger, in particolare, ha insistito molto sul fatto che i Vangeli andassero presentati nella catechesi secondo la dottrina classica dei mysteria vitae Christi. D’altro canto doveva essere evidente che lo scopo è quello di mettere in comunione con Gesù». Cfr. anche I “misteri”, in Il Catechismo della Chiesa Cattolica per imparare “la forza e la bellezza della fede”, di Andrea Lonardo.