Il rinnovamento dell’IC nelle nostre Chiese. Punti focali per un’agenda. Relazione di Andrea Lonardo al Convegno catechistico regionale del Lazio

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 24 /06 /2012 - 15:21 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito la relazione tenuta da Andrea Lonardo a Frascati, il 23/6/2012, in occasione del Convegno catechistico regionale del Lazio, incontro appartenente ai Convegni catechistici regionali 2012, Come pietre vive (1 Pt 2,5).

Il Centro culturale Gli scritti (24/6/2012)

Segue il file audio dell’intervento a braccio con il quale Andrea Lonardo ha presentato la relazione stessa, fornendone una chiave di lettura, così come delle risposte alle domande che sono seguite.

Download relazione_frascati_2012.mp3.

Riproducendo "relazione frascati 2012".



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Qui, invece, si può scaricare il file in formato Word: relazione_il_rinnovamento_dell_ic_lonardo_in_word.doc

Il rinnovamento dell’IC nelle nostre Chiese. Punti focali per un’agenda. Relazione di Andrea Lonardo al Convegno catechistico regionale del Lazio

Indice

Cosa è “nuovo”? Cosa significa “rinnovare” l’IC? Non è facile rispondere a queste domande. Mi torna spesso in mente un’affermazione del filosofo francese, Fabrice Hadjadj, che diceva, riflettendo sulle nuove tecnologie e sulla moda[1]: «Avete nelle vostre mani un I-Phone 4 o 5? Ebbene non è nient’altro che un futuro fossile. Invece se avete in mano un crocefisso o una corona del Rosario questo sì che non sarà mai fuori moda, sarà sempre di attualità!». Vedete che non è così immediato individuare in cosa consiste una vera novità.

Punti focali: un plurale e non un singolare

Per approfondire questa “novità” vale la pena innanzitutto sottolineare che il nostro Convegno ha scelto di parlare di “punti focali” al plurale. Non si tratta cioè di un “punto focale”, come se esistesse una ricetta magica, basata su di un solo ingrediente: come se fosse sufficiente far nascere uno “stile catecumenale”, o fosse sufficiente “coinvolgere le famiglie, o ancora valorizzare la “Parola di Dio” e così via. No!

Parlare di “punti focali” vuol dire avere il coraggio di affermare che il cammino non è semplicistico[2]. Proprio la semplicità è un ingrediente essenziale di un vero rinnovamento della catechesi - mi piace affermare subito che ritengo tutto ciò che è arzigogolato e complicato non adatto alla catechesi -, ma la semplicità che cerchiamo non è quella di chi si illude di avere un “nuovo” modello di catechesi o di comunità cristiana riconducibile ad un nuovo elemento che sarebbe da introdurre. La tradizione della Chiesa, infatti, ha sempre saputo che la catechesi lavora su diverse dimensioni che ci proponiamo appunto di esplicitare.

Ritengo che proprio la rielaborazione che l’UCR del Lazio ha fatto del Questionario fornitoci dalla CEI rappresenti un buon punto di partenza per individuare questi “punti focali”. Essa ha raggruppato le domande, alle quali tutti abbiamo risposto, in questo modo (scelgo per ogni punto, per ragioni di chiarezza, solo uno dei titoli che precedevano poi le domande relative):

  1. La proposta della fede: il primo annuncio
  2. L’educazione alla “mentalità della fede”: il valore dell’esperienza e dei contenuti
  3. L’IC come processo (di ascolto, celebrazione, testimonianza...) - che io collego alla quinta domanda: L’ispirazione catecumenale
  4. La pastorale battesimale - è la domanda sesta
  5. La pastorale giovanile e la mistagogia - è la domanda settima
  6. La formazione dei catechisti/ Competenze - è la domanda quarta

Li ritengo, come proverò a spiegare, i 6 “punti focali”[3] a partire dai quali tutto sta o cade, si rinnova o “invecchia”. Merita analizzarli uno per uno, nel loro fascino e nella loro importanza.

1/ La proposta della fede: il primo annuncio. L’IC non solo accompagna la fede, ma è chiamata a proporla e a suscitarla

Il primo “punto focale” su cui si è soffermata la Verifica è quello della “proposta della fede”. Non è mio compito illustrare l’emergere di questa tematica[4], quanto piuttosto porla in risalto come “snodo decisivo”.

L’iniziazione cristiana non deve presupporre la fede, bensì deve proporla. Cosa vuol dire per la catechesi questa affermazione di Benedetto XVI? Proporre oggi la fede vuol dire conquistare i cuori, toccarli, mostrare al cuore la desiderabilità della fede ed alla ragione la verità del cristianesimo. Vuol dire “trafiggerli”, come fece la predicazione di Pietro subito dopo la Pentecoste (At 2, 37).

Non si tratta, cioè, semplicemente di parlare della fede, bensì di fondarla, di farla nascere, di farla desiderare. La fede deve essere annunziata, non solo enunziata. Questo deve essere posto a fondamento della catechesi di iniziazione cristiana. Deve esserne l’origine, il primo passo, poiché non avrebbero significato le tappe successive se l’uomo non avesse iniziato a desiderare la fede.

Si tornerà su questo al secondo “punto focale”, ma già ora vale la pena ricordare che questa “trafittura del cuore” avviene dinanzi a qualcosa che non è opera dell’uomo, eppure tocca il cuore come niente altro al mondo ha mai fatto - queste parole di don Luigi Giussani lo esprimono sinteticamente[5]: «Gesù Cristo, quell’uomo di duemila anni fa [...] L’incontro, l’impatto, è con una umanità diversa, che ci colpisce perché corrisponde alle esigenze strutturali del cuore più di qualsiasi modalità del nostro pensiero o della nostra fantasia: non ce lo aspettavamo, non ce lo saremmo mai sognato, era impossibile, non è reperibile altrove».

Ma in quale situazione avviene questo annunzio? È importante prenderne atto al fine non di generare una reazione di scoraggiamento, bensì di mostrare quanto sia preziosa l’IC se si pensa come vero annunzio della fede.

1.1 Innanzitutto il cristianesimo non è conosciuto

Nonostante il nostro paese dichiari di essere radicato nella fede cristiana - e, probabilmente, lo sia ben più di quanto i media vogliono far credere -, i giovani e gli adulti conoscono spesso del Signore e della chiesa solo ciò che sentono dalla pubblica opinione, solo ciò che percepiscono “per sentito dire”. Possono così “ritenere” che Gesù non è il Figlio di Dio, che la creazione e il peccato originale sono due “idee” superate, che reincarnazione e resurrezione sono più o meno la stessa cosa, perché tutti “pensano questo”. E “ritenere” al contempo che questo non intacca l’essenza del cristianesimo. Solo per offrire anche un esempio della visione di vita che posseggono, molti possono pensare che non è peccato convivere, perché in fondo convivenza e matrimonio sono quasi la stessa cosa - cosa che si manifesta evidente quando tanti si scandalizzano perché gli viene vietato per questo motivo di essere padrini. Dunque, innanzitutto, non conoscono.

1.2 Il cristianesimo è accusato di falsità

Questo diffuso analfabetismo intorno alla fede cristiana è accompagnato da una contestazione a volte esplicita, altre volte più nascosta. Bisogna divenire più consapevoli che la fede cristiana è sottoposta ad una critica che penetra nella mentalità corrente fino a far ritenere che tutto ciò che dice la chiesa è falso e storicamente insostenibile. Molti possono dichiararsi cristiani ed insieme ritenere che Gesù è stato solo un rabbino, che si è sposato con la Maddalena, che non ha voluto fondare la chiesa, che non ha mai voluto che il matrimonio fosse indissolubile. Ogni giorno appare una pseudo-notizia in cui qualche fantomatico ricercatore dichiara di aver finalmente svelato un qualche “mistero” che la chiesa aveva fin lì nascosto, di modo che queste illazioni vanno di pari passo con l’accusa alla chiesa di avere inventato, per ragioni di potere, una diversa versione dei fatti. Insisto su questo non per scandalizzarmi, bensì per affermare che la catechesi non può prescindere dal fatto che ciò che essa afferma è contestato. merita ricordare che questo non riguarda solo gli adulti: ogni catechista serio sa bene che non appena comincia a parlare della creazione si sente rispondere dai bambini delle elementari che tutto ciò che sta dicendo non è vero, perché l’uomo viene dalla scimmia. Se non saprà convincere della dignità del discorso cristiano su Adamo ed Eva, la sua credibilità come educatore sarà intaccata per sempre. Vedete che la consapevolezza del contesto aiuta a non dare per presupposte cose che non lo sono.

1.3 La fede cristiana viene talvolta ritenuta nemica della gioia

Ancora è diffuso un pre-giudizio - talvolta presente anche solo in forma inconsapevole - secondo il quale il cristianesimo non solo è impossibile da vivere, proponendo stili di vita superati dal tempo, ma addirittura sarebbe un ostacolo al bene ed alla gioia di vivere: la proposta del vangelo, con i suoi comandi, con le sue richieste impegnative, in realtà impedirebbe di godersi la vita.

Questo appare evidente quando si afferma che non si può “imporre” la fede ai bambini, dove il verbo utilizzato dice già molto. Nessuno affermerebbe che è sbagliato “imporre” ai bambini il latte od il buon cibo od una buona vacanza. Ne consegue che si può ritenere dannoso annunciare la fede agli altri - e quindi anche ai propri figli - e non invece la condivisione della perla preziosa senza la quale tutto diventa grigio e senza significato.

1.4 Il cristianesimo viene talvolta visto come irrilevante

In linea con quanto fin qui esposto, non si deve dimenticare che taluni possono pensare che il cristianesimo sia irrilevante per la vita. Si può ritenere che sia anche bello essere cristiani, ma che la fede non deve poi entrare a trasformare la vita che di fatto si vive e ciò che si pensa di essa. La grande questione di Verona - che a noi interessa dal punto di vista catechetico - era se la fede aveva qualcosa da dire di assolutamente nuovo sugli affetti, sul lavoro e la festa, sulla fragilità, sull’educazione delle nuove generazioni, sulla cittadinanza. Una pseudo-visione della “laicità” vuole che la fede non abbia niente di indispensabile da dire su queste cose, ma così, a priori, la fede diviene irrilevante per la vita.

1.5 L’uomo è enormemente interessato al cristianesimo ed alle questioni che esso pone

Paradossalmente, però, il nostro tempo è anche straordinariamente interessato al cristianesimo. Innanzitutto, perché esso è oggettivamente la realtà più significativa - ha scritto una volta C.S. Lewis

I cristiani hanno torto,
ma tutti gli altri sono noiosi
[6].

Ma questo è avvertito ancora più oggi perché la cultura che si impone come dominante talvolta tende a mettere in secondo piano le questioni fondamentali che ogni uomo si pone, concentrandosi su punti secondari e di immediata rilevanza pratica e politica. Un giovane scrittore, Alessandro D’Avenia, raccontava che gli avevano proposto di realizzare un film dal suo primo libro, perché lo ritenevano molto trasgressivo. Egli aveva risposto che nel suo romanzo non c’era neanche una scena di sesso e che non capiva dove fosse la trasgressione. Al che gli era stato risposto che il volume era trasgressivo perché poneva domande sulla felicità, sulla morte e su Dio! Un tabù circonda oggi queste grandi questioni che invece stanno sempre a cuore dell’uomo. L’uomo avverte che il vangelo, invece, ha il coraggio di aprirle.

1.6/ I tratti di una IC come proposta: perché il cristianesimo è nuovo ed è differente da ogni altra visione della vita e quale è la sua motivazione?

Il magistero di Benedetto XVI si sta rilevando profetico anche in prospettiva catechetica. Il suo stile particolarissimo si caratterizza proprio per il tentativo di “proporre” sempre di nuovo il cristianesimo, senza mai dare la fede per presupposta. Ogni volta che Benedetto XVI presenta un determinato aspetto della fede cristiana in una catechesi, in un testo scritto o in un’omelia, appare immediatamente evidente all’ascoltatore la “novità” cristiana.

Dire “novità” implica dire ciò che non esisteva “prima”, ciò che non esiste “al di fuori”. E questo dinanzi alle questioni fondamentali dell’esistenza e della fede.

Ma dire “novità” implica anche dire “differenza”. Mai le grandi affermazioni della fede sono evocate dal pontefice senza un riferimento a ciò che l’uomo penserebbe di esse se non esistesse la rivelazione cristiana. Perché l’uomo che si pone in ascolto della chiesa ha un suo punto di partenza che non è la rivelazione. Questo punto deve sempre essere evocato, tenuto presente, esplicitato nella catechesi, soprattutto se essa si vuole caratterizzare come “annunzio”.

Ma esplicitare la “novità” e la “differenza” cristiana implica anche la scoperta della “motivazione” della fede. Essa è l’ipotesi che “seduce”, mentre la vita, senza la prospettiva aperta dal Vangelo, si manifesta più povera. Ed una vera “motivazione” si sofferma ad indicare i “perché” e sa proporre a partire dai “perché” più profondi ed entusiasmanti.

Tali “motivazioni” non possono d’altronde valere se non come “compimento” di un attesa che l’uomo scopre di avere. Non come semplice “rottura” dell’esistente - anche se la fede è certamente indeducibile dall’esistente - ma come realtà che porta a compimento ciò che altrimenti sarebbe solo “promessa” e “attesa”.

Insomma, una catechesi che voglia riscoprire la sua dimensione di “primo annunzio” non può non affrontare le seguenti questioni[7]:

  • che cosa c’è propriamente di nuovo nella fede cristiana?
  • che cosa c’è propriamente di diverso nella fede cristiana?
  • qual è la motivazione di questa novità e di questa diversità?
  • che cosa c’è di bello in questa diversità?
  • perché questa novità “porta a compimento” la vita non cancellando, ma insieme svelando l’inadeguatezza dell’umano?

Si potrebbe dire che la catechesi deve recuperare oggi tutto il patrimonio tipico della “teologia fondamentale”, quella branca della teologia che ha come scopo di motivare perché la fede è credibile ed è importante per l’uomo.

1.7/ Perché la fede è indispensabile? La grande questione!

Mi permetto di presentarvi un lungo brano di G.K. Chesterton che può aiutare a capire quanto stiamo dicendo[8]:

«[L’immagine delle chiavi consegnate dal Cristo a San Pietro] ha un’esattezza che non è stata forse esattamente notata. Le chiavi hanno avuto una parte cospicua nell’arte e nell’araldica del cristianesimo: ma non tutti hanno  notato la peculiare precisione dell’allegoria. Arrivati a questo punto della nostra storia, bisognerà dire qualche cosa del primo apparire e della attività della Chiesa nell’Impero romano: e per un breve accenno in proposito nulla potrebbe meglio servire di quell’antica metafora. Il cristiano primitivo era né più né meno che una persona con una chiave, o che diceva di avere una chiave. Tutto il movimento cristiano consistette nel proclamare di possedere tale chiave. [...] Esso asseriva in modo assoluto che c’era una chiave e che possedeva tale chiave e che nessun’altra chiave era eguale a quella; era in un certo senso, diciamo pure, ristretto. Soltanto avveniva che quella era la chiave che poteva aprire la prigione del mondo intero, e far vedere la bianca aurora della salvezza. Il credo era come una chiave per tre aspetti che potrebbero convenientemente riunirsi sotto questo simbolo.
Primo, una chiave è anzitutto una cosa che ha una forma
; ed è una cosa che dipende interamente dal conservare la sua forma. Il credo cristiano è soprattutto la filosofia della forma ed è nemico delle cose informi. [...]
Secondo
, la forma della chiave è per se stessa una forma piuttosto fantastica. [...] Una chiave non è materia di astrazioni: nel senso che una chiave non è materia di ragionamento. Essa o è adatta alla serratura, oppure non è. È inutile per gli uomini disputarvi attorno, considerata la cosa in se stessa; o ricostruirla sui puri principi della geometria o dell’arte decorativa. [...]
In terzo luogo, poiché la chiave è necessariamente una cosa fatta secondo un disegno, questa aveva un disegno piuttosto elaborato. Quando la gente si lamenta che la religione si è troppo presto immischiata di teologia e roba simile, dimentica che il mondo non solo era entrato in un cul-de-sac, ma era penetrato addirittura in un labirinto di vie senza uscita. [...]

Quel che fece, noi cercheremo all’ingrosso di descrivere: basti dire qui che nella chiave c’erano senza dubbio molte cose che parevano complicate: c’era soltanto una cosa che era semplice. Apriva la porta
. [...] Io non tento alcuna apologia sul motivo per cui il credo debba essere accettato. Ma in risposta al problema storico del perché fu accettato, ed è accettato, io do per altri milioni di persone questa risposta: perché corrisponde alla serratura; perché è come la vita. È una delle tante storie; con questo di più, che è una storia vera. È una fra le tante filosofie; con questo di più, che è la verità. Noi l’accettiamo; e il terreno è solido sotto i nostri piedi, e la strada è aperta davanti a noi. Esso non c’imprigiona in un sogno fatalistico o nella coscienza di una universale illusione. Esso apre a noi non soltanto incredibili cieli, ma una terra (può sembrare) egualmente incredibile, e la fa credibile. Questa è la verità che è duro spiegare perché è un fatto, ma è un fatto di cui noi siamo testimoni. Siamo cristiani e cattolici non perché adoriamo una chiave, ma perché abbiamo varcato una porta; e abbiamo sentito lo squillo di tromba della libertà passare sopra la terra dei viventi».

Questa è allora la grande questione: la fede cristiana è indispensabile per essere pienamente uomini o se ne può fare a meno?

1.8/ L’annuncio non solo un momento previo

L’analisi che vi propongo vuole anche relativizzare una visione della catechesi che la scandisca rigorosamente in tempi prefissati come “pre-evangelizzazione”, “primo annunzio”, “catechesi”, “mistagogia”.

Se la fede, oggi più che mai, non può essere considerata un dato acquisito, allora essa non precede il cammino stesso dell’iniziazione, ma è esattamente la questione stessa dell’IC: il compito della catechesi è proprio quello di proporre la fede e non di darla per presupposta. Certamente l’essere attratti dal cristianesimo precede la catechesi, poiché una persona chiede di essere accompagnata nell’IC solo dopo che ha almeno intuito la bellezza della proposta cristiana, ma questa “attrazione” non può essere data come avvenuta una volta per tutte.

In questo senso, se esiste un “primo annunzio” che è previo alla catechesi, esiste anche un “primo annunzio” che avviene sempre di nuovo dentro la catechesi di IC e che la deve contraddistinguere.

Giovanni Paolo II ha bene espresso questo in Catechesi tradendae 19, affermando che «la catechesi deve spesso sforzarsi non soltanto di nutrire e di insegnare la fede, ma di suscitarla incessantemente con l’aiuto della grazia, di aprire i cuori, di convertire, di preparare un'adesione globale a Gesù Cristo per coloro che sono ancora alle soglie della fede. Questa preoccupazione ispira [...] il tono, il linguaggio, il metodo della catechesi».

Si pensi al catecumenato, che certamente deve essere preceduto dal precatecumenato che prepara all’adesione di fede: nondimeno è poi la stessa catechesi catecumenale che deve persuadere della fede, mostrandone tutta la ricchezza, lo splendore e la verità.

Ma si pensi anche all’IC delle nuove generazioni, dove la “prima evangelizzazione” non può avvenire solamente all’inizio, quando i bambini cominciano il cammino. Infatti, quando saranno pre-adolescenti, saranno profondamente trasformati e l’annuncio ricevuto da bambini non sarà loro più sufficiente: avranno bisogno di vedere nuovamente, con i loro nuovi occhi di ragazzi, la bellezza della fede. Quando poi, crescendo ancora, entreranno pienamente nell’adolescenza - età che ha fra le sue caratteristiche quella di rimettere in discussione tutto ciò che si è ricevuto - dovranno nuovamente riappropriarsi della fede, quasi come se la incontrassero per la prima volta, altrimenti non si riconosceranno più in ciò che pure avevano amato nelle età precedenti.

1.9/ L’annuncio nelle nuove sperimentazioni e nei catechismi CEI

Il cammino da fare è enorme. Le nuove sperimentazioni segnalano l’esigenza di rinnovare l’IC a partire dalla necessità di “proporre la fede, come appare evidente dalla terminologia utilizzata nei “primi volumi” dei diversi Sussidi proposti.

Essi portano titoli come “Prima evangelizzazione”[9] o “Evangelizzazione”[10] o ancora “Arare” e “Seminare”[11], “Primo annuncio”[12], “Cammino di primo annuncio”[13], “Ti raccontiamo Gesù” e “La scoperta di Gesù”[14]. Anche l’itinerario proposto dall’Ufficio catechistico di Verona, pur non utilizzando la terminologia appena riportata poiché si caratterizza come cammino per l’iniziazione cristiana “con le famiglie”[15], manifesta la stessa esigenza affermando nella Prefazione che «si allarga la convinzione di interpretare l’esigenza del “primo annunzio” come dimensione ordinaria della catechesi»[16].

Se, però, si passa dall’enunciazione teorica al contenuto effettivo, si vede subito la fatica nell’indicare un cammino reale in questa direzione. I contenuti di questi itinerari di “primo annunzio” toccano molto i temi dell’accoglienza, dell’instaurarsi di rapporti familiari fra la parrocchia ed i partecipanti alla catechesi, della creazione di un calore relazionale - elementi che non debbono essere mai trascurati - ma molto meno quelli della “novità” della fede e delle sue motivazioni.

Leggendo i sussidi proposti dalle diverse sperimentazioni la sensazione è che la fede venga ancora una volta presupposta sia nei bambini, sia nei genitori, al punto che non viene mai sollevata la questione perché valga la pena credere. I diversi testi raramente sollecitano i catechisti a prendere atto del fatto che esistono dubbi sulla fede che debbono essere sciolti e che i partecipanti  alla catechesi sono “sulla soglia” e non sanno se vale la pena entrare.

Quasi mai si affronta, solo per fornire qualche esempio, la questione della differenza fra la fede e l’ateismo ed, in specie, dell’ateismo moderno che si propone a partire da una visione scientifica del mondo[17]. Mai si affronta la questione della differenza fra il cristianesimo e le altre religioni, motivando perché vale la pena diventare cristiani, piuttosto che seguire un altro credo.

Anche il fatto che l’uomo è stato creato per Dio e che tutta la sua esistenza lo spinge a cercare la verità e a domandarsi se esista una speranza affidabile è accennato solo tangenzialmente. Sembra quasi un presupposto che Dio esista e che ci ami - quest’ultima affermazione viene ripetuta infinite volte nei diversi progetti come un dato di fatto che si potrebbe evincere o dall’amore che i genitori hanno per i figli o dalla contemplazione del creato.

Anche nei catechismi CEI, talvolta, la fede viene presentata come un’evidenza. Ad esempio, afferma Io sono con voi, p. 8: «Sono le creature che manifestano Dio Padre ai fanciulli; sono le persone di buona volontà e le loro opere. In particolare sono il padre e la madre che, uniti nell’amore, esprimono la bontà di Dio; sono i cristiani [...]. È soprattutto Gesù nella sua Chiesa che rivela il volto del Padre». Il tema del desiderio di Dio presente in ogni uomo antecedentemente al cristianesimo è presentato, invece, all’inizio di Vi ho chiamato amici che, dopo una sommaria descrizione dell’origine delle civiltà, giunge ad affermare: «La storia delle religioni è la storia degli uomini che cercano Dio. Perché un desiderio così profondo di arrivare a lui? [...] E se Dio venisse incontro alle nostre aspirazioni profonde e ci aprisse gli occhi per capire il mistero della vita»[18].

Solo il Catechismo degli adulti La verità vi farà liberi sembra essere, fra tutti i testi fin qui considerati, veramente di stile catecumenale quanto al punto di partenza ed ai primi temi proposti. Esso presenta innanzitutto l’incontro di Gesù con la Samaritana invitando ad approfondire la paradossale condizione dell’uomo in cui tutto «contrasta con quello che sembra essere il nostro anelito più profondo»[19]. Si citano testi che potrebbero condurre a posizioni non cristiane, come Qoèlet e Nietzsche. Si riflette poi sulla sete inesauribile di vita e di amore che ha l’uomo, a partire da Pascal, da Rilke, da Agostino, dal Concilio. Solo dopo essersi soffermati a lungo[20] sull’uomo “capace di Dio” si giunge a presentare il fatto della rivelazione di Dio che viene incontro all’uomo e che raggiunge la sua pienezza in Cristo, mediatore e pienezza della rivelazione[21]. Il cristianesimo viene così presentato dalle sue fondamenta, dal suo centro, e non a partire da punti secondari. E proprio questa via sembra più necessaria se si vuole seguire la via di un primo annunzio della fede cristiana. Partire, invece, da singoli fatti della vita di Gesù ha senso solo se la fede è già salda, se la si può presupporre e la si deve solo corroborare.

Nei testi delle sperimentazioni si preferisce, invece, privilegiare la narrazione di episodi evangelici, soprattutto a partire dal vangelo di Marco[22], senza toccare esplicitamente la questione della credibilità del cristianesimo[23].

La catechesi è chiamata a ripensarsi a partire da questa prospettiva. Essa deve presentare, innanzitutto, cosa è il cristianesimo. Se la fede non può essere presupposta, allora deve essere presentata. Questa sembra essere la prima, grande provocazione, che il Questionario offre alla catechesi dell’Iniziazione cristiana: una provocazione ancora da affrontare. Occorre innanzitutto concentrarsi sulla grande questione da cui dipendono tutte le altre: perché dovrei essere cristiano?

2/ L’educazione alla “mentalità di fede”: il valore dell’esperienza e dei contenuti nell’unico incontro con il Cristo

Il secondo punto focale scelto dalla nostra verifica riguarda la “mentalità di fede”: quale rapporto esiste nella fede cristiana fra ciò che crediamo e la vita che nasce a partire dall'incontro con il vangelo? Il riferimento dell'espressione è ovviamente al Documento di base: la missione della catechesi è «educare al pensiero di Cristo, a vedere la storia come Lui, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo. In una parola, nutrire e guidare la mentalità di fede: questa è la missione fondamentale di chi fa catechesi a nome della Chiesa»[24].

Dinanzi ad una prospettiva così bella e ampia è tempo di superare definitivamente la trita e ritrita opposizione fra contenuti ed esperienze, come se la catechesi potesse trascurare gli uni o le altre. Solo se Dio è Trinità, e quindi ci ha donato il suo Figlio e, quindi, esiste una provvidenza che guida questo mondo ed insieme una speranza di vita eterna, allora è possibile, anzi è la nostra vocazione più alta quella di amare gli uomini, generare bambini, sostenere lo sviluppo di chi è povero e così via. Anzi, proprio perché crediamo in Dio creatore e salvatore non potremo non impegnarci anche dove tutto sembra perduto: è la fede che opera per mezzo della carità (Gal 5, 6).

La fede è appunto una “mentalità” che tutto vede a partire dalla presenza del Figlio di Dio nel mondo. Il superamento dell'opposizione fra contenuti ed esperienze, fra ragionevolezza ed affettività, è uno degli obiettivi che si sono posti con lucidità gli Orientamenti per il decennio CEI sull’educazione. La catechesi deve fare la sua parte in questa prospettiva. Così recita il testo, che cito integralmente nonostante la sua lunghezza, proprio per l’importanza delle affermazioni che vi sono contenute[25]:    

«La formazione integrale è resa particolarmente difficile dalla separazione tra le dimensioni costitutive della persona, in special modo la razionalità e l’affettività, la corporeità e la spiritualità. La mentalità odierna, segnata dalla dissociazione fra il mondo della conoscenza e quello delle emozioni, tende a relegare gli affetti e le relazioni in un orizzonte privo di riferimenti significativi e dominato dall’impulso momentaneo. Si avverte, amplificato dai processi della comunicazione, il peso eccessivo dato alla dimensione emozionale, la sollecitazione continua dei sensi, il prevalere dell’eccitazione sull’esigenza della riflessione e della comprensione. Questa separazione tra le dimensioni della persona ha inevitabili ripercussioni anche sui modelli educativi, per cui educare equivale a fornire informazioni funzionali, abilità tecniche, competenze professionali. Non raramente, si arriva a ridurre l’educazione a un processo di socializzazione che induce a conformarsi agli stereotipi culturali dominanti[26]. Il modello della spontaneità porta ad assolutizzare emozioni e pulsioni: tutto ciò che “piace” e si può ottenere diventa buono. Chi educa rinuncia così a trasmettere valori e a promuovere l’apprendimento delle virtù; ogni proposta direttiva viene considerata autoritaria. Già Paolo VI, indicando alcune linee fondamentali di quella che egli chiamava “l’arte sovrana di educare”, osservava: “Se l’educatore fermasse la sua fatica soltanto ad un paziente, meticoloso, e, se volete, scientifico rilievo dell’ambiente, in cui oggi il ragazzo svolge la sua vita, fa la sua esperienza e plasma la sua personalità, non farebbe opera completa... L’educatore non è un osservatore passivo dei fenomeni della vita giovanile; deve essere un amico, un maestro, un allenatore, un medico, un padre, a cui non tanto interessa notare il comportamento del suo pupillo in determinate circostanze, quanto preservarlo da inutili offese e allenarlo a capire, a volere, a godere, a sublimare la sua esperienza”[27]. Benedetto XVI, a sua volta, spiega che l’educazione non può risolversi in una didattica, in un insieme di tecniche e nemmeno nella trasmissione di principi; il suo scopo è, piuttosto, quello di “formare le nuove generazioni, perché sappiano entrare in rapporto con il mondo, forti di una memoria significativa che non è solo occasionale, ma accresciuta dal linguaggio di Dio che troviamo nella natura e nella Rivelazione, di un patrimonio interiore condiviso, della vera sapienza che, mentre riconosce il fine trascendente della vita, orienta il pensiero, gli affetti e il giudizio”[28]. Una vera relazione educativa richiede l’armonia e la reciproca fecondazione tra sfera razionale e mondo affettivo, intelligenza e sensibilità, mente, cuore e spirito. La persona viene così orientata verso il senso globale di se stessa e della realtà, nonché verso l’esperienza liberante della continua ricerca della verità, dell’adesione al bene e della contemplazione della bellezza».

L'IC deve porre allora in risalto come non vi è alcuna opposizione fra la ricerca di verità tipica dell'uomo e la necessità di sperimentare l'amore. L'uomo ha sempre cercato di “bucare” le nubi, di sapere se c'è un Dio che veglia su di noi, di sapere se la vita ha un significato oppure se intorno a  sé c'è solo il nulla ed il caso che lo avvolge. Quella verità si è rivelata a noi, perché la fede cristiana è incontro con la “persona” di Gesù, in cui è il Dio vivente che è entrato nel mondo: ecco perché essa è una relazione di amore, ma, allo stesso tempo, rapporto con “quella precisa” persona che è Dio e uomo e che deve essere conosciuta per essere amata. È la stessa esperienza umana a mostrare che non si può stabilire a priori se un cammino di fede nasca dall’ascolto di una parola che affascina o dall’incontro di un gesto che conquista. La grazia di Dio può scegliere l’uno o l’altro punto di partenza, ma è certamente compito della catechesi fare sintesi dei due aspetti.

Il magistero di Benedetto XVI è tornato più volte ad insistere, in piena continuità con quello dei suoi predecessori, sull’unità dell’atto di fede. Esso è umano, proprio perché tocca insieme la mente ed il cuore, perché l’uomo si convince della verità della fede ed, insieme, si abbandona all’amore di Dio.

La fede come assenso alla rivelazione di Dio in Cristo e la fede come fiducia che si affida a lui sono due aspetti inscindibili nel cristianesimo e rimandano a Dio stesso che è insieme Logos e Agape, sapienza ed amore, saggezza amante ed amore vero[29].

Un esempio straordinario di questa corrispondenza fra verità della fede ed esperienza d'amore lo forniva ancora una volta Benedetto XVI, quando ha mostrato recentemente che senza il Battesimo sarebbe un atto azzardato quello di generare alla vita nuovi figli. Proprio la realtà del Battesimo illumina di significato la generazione della vita[30]:

«Alla fine rimane la questione [...] del Battesimo dei bambini. È giusto farlo, o sarebbe più necessario fare prima il cammino catecumenale per arrivare ad un Battesimo veramente realizzato? E l’altra questione che si pone sempre è: “Ma possiamo noi imporre ad un bambino quale religione vuole vivere o no? Non dobbiamo lasciare a quel bambino la scelta?”. Queste domande mostrano che non vediamo più nella fede cristiana la vita nuova, la vera vita, ma vediamo una scelta tra altre, anche un peso che non si dovrebbe imporre senza aver avuto l’assenso del soggetto. La realtà è diversa. La vita stessa ci viene data senza che noi possiamo scegliere se vogliamo vivere o no […] E, in realtà, la vera domanda è: “È giusto donare vita in questo mondo senza avere avuto il consenso - vuoi vivere o no? Si può realmente anticipare la vita, dare la vita senza che il soggetto abbia avuto la possibilità di decidere?”. Io direi: è possibile ed è giusto soltanto se, con la vita, possiamo dare anche la garanzia che la vita, con tutti i problemi del mondo, sia buona, che sia bene vivere, che ci sia una garanzia che questa vita sia buona, sia protetta da Dio e che sia un vero dono. Solo l’anticipazione del senso giustifica l’anticipazione della vita. […] Solo la vita che è nelle mani di Dio, nelle mani di Cristo, immersa nel nome del Dio trinitario, è certamente un bene che si può dare senza scrupoli. E così siamo grati a Dio che ci ha donato questo dono, che ci ha donato se stesso».

A me appare evidente - lo offro come oggetto di discussione - che la catechesi pecca oggi non tanto per un eccesso di dottrina, come talvolta si afferma, quanto, all’opposto, per una dimenticanza della teologia propria della fede: talvolta è proprio per la povertà di contenuti che gli adolescenti, non appena superata la fanciullezza, non ne percepiscono più il valore, mentre apprezzano la scuola o altre agenzie culturali dalle quali sentono di imparare qualcosa di importante. Lo stesso discorso vale per gli adulti.

Ma non si deve dimenticare che già i bambini sono pieni di domande che una grande catecheta, Sofia Cavalletti, chiamava “domande metafisiche”. Il bambino è interessato a tutto, ma soprattutto alle grandi questioni, quella dell'origine e quella della fine, quella del male e quella della felicità, quella della verità e quella di Dio. Guai ad infantilizzare la catechesi, trattando da bambocci i nostri bambini[31].

Per comprendere cosa voglio dire, pensate solo all'imbarazzo che regna quando si tratta di  presentare la creazione in catechesi: non sarebbe ora di imparare nuovamente a parlate di Gen 1-3, restituendo ai nostri catechisti la capacità di mostrare che di quei testi non ci si deve vergognare e che sono invece fra i testi più straordinari che siano mai stati scritti? Ma bisogna saperli “far cantare”, bisogna ridare attenzione a quei contenuti. Siamo in grado oggi nella catechesi di parlare in modo affascinante della differenza fra l'uomo e l'animale, del Dio creatore, del serpente/Satana, della natura spirituale dell'uomo e della sua anima, del peccato originale? Se abbiamo difficoltà è segno che i contenuti sono un problema e che vale la pena rimettersi al lavoro su di essi! Non si tratta pertanto di contrapporre contenuto ed esperienza, Logos ed Agape, quanto piuttosto di esaltarli insieme.

I Excursus L’importanza della “sintesi” in catechesi

I bambini hanno bisogno di visioni sintetiche che mettono ordine nel mondo - non bisogna dimenticare che questo è necessario anche per gli adulti. Per questo i bambini gradiscono tutto ciò che li aiuta a riassumere in maniera comprensibile quanto viene detto.

La catechesi ha sempre sentito la necessità di sintesi capaci di illuminare (si pensi solo al Credo, ai Comandamenti, ai sette Sacramenti, ai vizi ed alle virtù, alle preghiere, e così via). Così scriveva l’allora cardinale J. Ratzinger[32]:

«I Simboli di fede non sono la spiegazione che viene dall’esterno [della Scrittura] ed è riferita ai punti oscuri. Loro compito è, invece, rimandare alla figura che brilla di luce propria, dar risalto a quella figura, in modo da far risplendere la chiarezza intrinseca della Scrittura».

Il contesto in cui viviamo accentua ancora più questa necessità di una sintesi chiara, proprio perché oggi il cristianesimo non è conosciuto o è conosciuto male. Nell'IC si può certamente arrivare a parlare del cuore della fede al termine di un lungo itinerario, procedendo come a gradini successivi, dalla vita pubblica di Gesù, alla sua Pasqua, alla sua identità, fino alla Trinità. Ma, forse, proprio il contesto odierno, oltre che la tradizione stessa della catechesi, richiede un approccio diverso.

Le persone, infatti, hanno bisogno di riscoprire qual è il cuore del cristianesimo. La catechesi deve perciò mostrare subito, all'inizio di ogni itinerario, come questo nucleo sia insieme cristologico, trinitario ed antropologico. Un teologo contemporaneo lo ha espresso con semplicità[33]:

«La divinizzazione della persona non è possibile che tramite l’Incarnazione, e l’Incarnazione non è possibile se Dio non è Trinità. Tutto il resto, in un modo o nell’altro, deve ricondursi a questo. Dunque che si parli di peccato o di virtù cristiane, che si commenti questa o quella scena dell’Evangelo, questo essenziale è sempre sullo sfondo» (F. Varillon).

3/ L’IC come processo e l’ispirazione catecumenale

3.1/ L'importanza delle quattro dimensioni della catechesi maturate a partire dal catecumenato della Chiesa antica

Ma come recuperare questa unità di contenuti ed esperienze che tanto ci interessa? Come manifestare la bellezza della fede che unisce in sé Logos e Agape in maniera indissolubile, perché l'uomo la percepisca e l'accolga come un dono? Dobbiamo ripartire ex novo, o esiste già una tradizione che ci può illuminare nel cammino?

Lo schema che la tradizione ci consegna in merito è la quadripartizione che è stata elaborata dalla Chiesa nel corso dei secoli, senza una decisione presa a tavolino, al punto che non è facile individuare le tappe del suo sorgere e del suo diffondersi. Certamente, però, la quadripartizione che oggi ritroviamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ci deriva dal catecumenato della Chiesa antica che iniziò a celebrare la traditio e la redditio del Simbolo e del Padre nostro, a verificare la conversione dei catecumeni ed a celebrare la liturgia con loro, prima condividendo la Liturgia della Parola, poi introducendoli definitivamente nei “sacri misteri”.

Se la guardiamo con simpatia ci accorgiamo che è straordinariamente semplice. Chi diviene credente impara a creder ciò che crede la Chiesa (il Credo), riceve nella liturgia la grazia di essere figlio di Dio (i Sacramenti), vive la vita nuova del Vangelo (i Comandamenti), prega Dio, perché è abilitato al dialogo con Lui (il Pater).

Dal punto di vista della formazione del credente si tratta di giungere a professare il Credo nel quale è contenuto l’essenziale di ciò che la Parola annunzia. Si tratta di vivere i sette sacramenti e l’intera liturgia per avere comunione con il “mistero pasquale”. Si tratta di vivere in Cristo, vivendo nella carità tutto lo spettro dei comandamenti perché la fede informi di sé il desiderio, la fedeltà della parola data, la vita familiare e così via. Si tratta di imparare a pregare, anche quando si è soli - senza lo schema quadripartito, la preghiera diviene quasi una Cenerentola negli itinerari di catechesi. Si sottolinea con questa quarta dimensione che l’uomo è abilitato a parlare con Dio, evidenziando la novità enorme che è il Padre nostro.

In questo senso, nella quadripartizione non è questione semplicemente dei contenuti fondamentali della fede, ma insieme ed in modo indissolubile con essi, delle dimensioni dell’esistenza cristiana e, quindi, delle strutture portanti dell’esperienza della catechesi stessa. La catechesi conduce alla fede, alla celebrazione, alla conversione, alla preghiera personale e, conseguentemente, si sostanzia di momenti formativi, di momenti celebrativi, di condivisione esistenziale, di maturazione spirituale. La struttura quadripartita emerge con evidenza poi, a livello liturgico, nel momento del battesimo degli adulti: viene battezzato chi professa il Credo, chi ha convertito la sua vita, chi prega con il Padre nostro.

Vale la pena sottolineare che questa quadripartizione non nasce da una teoria, bensì dall’esperienza della Chiesa. È una decisione “esperienziale”, non codificatasi a partire da visioni teologiche particolari. La Chiesa, nell’esperienza secolare della catechesi, l’ha maturata pian piano, di modo che, al tempo della Riforma, quando sono stati scritti i primi catechismi, è stata adottata in maniera similare nei Catechismi di Lutero e di Calvino, in quelli dei missionari spagnoli in America latina, infine in quelli nati a ridosso del Concilio di Trento[34].

Ritengo importantissimo affermare, ad un passo dal ventesimo anniversario della promulgazione del Catechismo della Chiesa cattolica, che anche questa quadripartizione è preziosa. Che è intelligente e che ci è utile. Che ci è utile nella catechesi degli adulti, come in quella dei bambini!

Ricordo sempre, divertito, un incontro dei referenti del catecumenato europeo a Firenze nel quale un pastore valdese era stato invitato a presentare gli itinerari di catechesi nella sua comunità: egli aveva spiegato che questi si strutturavano con lo studio della Bibbia, la spiegazione del Credo, il commento dei Comandamenti, la presentazione del Padre nostro - ovviamente presso i valdesi i sacramenti hanno una valenza differente! Subito alcuni dei partecipanti all’incontro lo interrogarono incuriositi: «Ma come, voi valdesi non leggete la sola Scriptura ed utilizzate per la catechesi il Credo, i Comandamenti, il Padre nostro?» Lui rispose seraficamente e splendidamente: «Scusate, ma il Credo non è la sintesi della Scrittura? Ed i Comandamenti ed il Padre nostro non sono due dei testi più importanti della Scrittura?».

Fare propria senza remore la strutturazione quadripartita della catechesi non vuol dire ovviamente che si deve usare il CCC come testo di base per dettare le singole tappe né di una catechesi di stile catecumenale, né della catechesi con gli adulti in genere. Il CCC è un catechismus maior che ha bisogno di mediazioni e questo non deve mai essere dimenticato.

3.2/ Cosa si deve intendere per ispirazione catecumenale?

Voglio sottolineare che queste considerazioni hanno delle conseguenze anche in vista di una adeguata comprensione del catecumenato e di uno “stile catecumenale” della catechesi giustamente invocato oggi. Il Simbolo di fede appartiene al catecumenato solo come rito di una consegna liturgica o ben più profondamente, in quanto elemento strutturante la catechesi stessa? Io credo che sia vera la seconda opzione. Una catechesi di stile catecumenale dovrà sostare per mesi sul Credo, proprio per essere fedele all’esperienza della Chiesa che ha individuato nel Simbolo di fede uno dei luoghi determinanti della maturazione di una fede adulta.

Ma la questione è ben più profonda: l’indicazione chiara del CCC è che ciò che è centrale nel recupero dell’esperienza della Chiesa antica non è tanto la scansione temporale del catecumenato stesso, quanto l’armonicità con cui esso ha coniugato le quattro dimensioni che lo hanno caratterizzato. Recuperare la prospettiva del catecumenato antico vuol dire allora divenire più consapevoli che la maturazione nella fede, la celebrazione dei “misteri” liturgici, la conversione della vita e la vita spirituale non sono quattro tappe successive, quanto piuttosto quattro dimensioni della catechesi che si intrecciano in un tutto indissolubile[35].

Non appena si passa dalla teoria alla concreta esperienza catechistica appaiono evidenti le contraddizioni in cui si cade se si pretende di erigere un presunto “modello catecumenale” per la catechesi dell'IC dei bambini e dei ragazzi già battezzati - diverso è accogliere, invece, gli stimoli di una più generale ispirazione catecumenale che appunto deve essere precisata.

Si pensi, ad esempio, all'introduzione alla preghiera. Nel catecumenato degli adulti la consegna del Padre nostro segue quella del Credo. Talvolta le sperimentazioni che si richiamano al catecumenato prevedono un'analoga successione: prima il Credo e poi il Pater - ad esempio a distanza di un anno - anche per i bambini, così come avviene per gli adulti.

Ma questo è contro tutta la logica dell'IC dei bambini ed è contro la loro naturale disposizione a rivolgersi nella preghiera a Dio! La catechesi di bambini già battezzati deve proporre subito la preghiera del Padre nostro così come le altre preghiere cristiane, mentre l'esplicita riflessione sul Credo può essere rimandata.

È un esempio - a mio avviso estremamente significativo - che segna una differenza che non può essere trascurata e che fa capire come non si possa assolutamente utilizzare il catecumenato come un “modello”.

II Excursus La Chiesa “metodo” della catechesi e dell’IC

Queste quattro “colonne” sono però abbracciate da un unico fondamento che è la Chiesa. La catechesi introdurrà sì al Credo, alla liturgia, alla vita in Cristo, alla preghiera personale, ma lo farà introducendo alla vita ecclesiale.

Certamente una nuova attenzione metodologica è necessaria in un contesto culturale enormemente diverso rispetto al passato anche recente - solo per fare un esempio, si pensi ai nuovi bambini e ragazzi, detti digital natives, per la loro connaturalità con la comunicazione informatica acquisita fin dalla nascita.

Tutto questo non deve però far dimenticare che il vero ambiente nel quale si diventa cristiani è la comunità dei credenti. Nella comunione di vita con altri cristiani consiste il “metodo” insostituibile che fa nascere alla fede nuovi cristiani.

Questa è la via maestra che il Signore ha consegnato agli uomini per diventare cristiani. Tutte le concrete metodologie messe in atto non possono prescindere da questo. La catechesi sarà per forza di cose debole se non avrà la forza che le conferisce la testimonianza viva di adulti e giovani cui si possa guardare come compagni di cammino coloro che vivono l’iniziazione cristiana.
Non si deve mai pensare, ad esempio, che l’applicazione di una dinamica di gruppo possa sostituire la concreta familiarità che si crea nella chiesa, condividendo la catechesi, le relazioni, la liturgia, il servizio, lo studio, il lavoro e la festa, la salute e la malattia, ecc.

Due elementi concreti mostrano quanto questa prospettiva sia tutt’altro che teorica: l’eucarestia domenicale e l’esperienza di momenti di vita comune.

A/ L’eucarestia innanzitutto. La teologia e l'esperienza mostrano che proprio la celebrazione domenicale dell’eucarestia è il vero punto di forza dell’IC. Dove l’eucarestia è celebrata in tutta la sua bellezza, le persone che vi partecipano scoprono un tesoro che le affascina. Paradossalmente oggi, a differenza dal passato, la stessa celebrazione è divenuta un momento di primo annunzio: quante volte la partecipazione all’eucarestia viene prima dell’inserimento in uno specifico gruppo! Se, però, la celebrazione è povera - pur essendo ugualmente ricca di tutta la grazia invisibile di Cristo - ecco che la catechesi si impoverisce e non riesce pienamente a far “sperimentare” Cristo, proprio perché l’“esperienza” liturgica è costitutiva nella vita cristiana.

B/ L’altro elemento che la tradizione italiana ci ha consegnato è quello di esperienze estive prolungate - si pensi ai campi estivi, alle routes, ai campi scuola, alle convivenze, ai Grest, agli oratori estivi, ai pellegrinaggi, ecc. - o comunque di momenti forti di vita comune nel corso dell’anno.

L’iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi ha assolutamente bisogno - ma l’esperienza mostra che anche i giovani e gli adulti ne sentono la necessità - di momenti simili nei quali il cammino formativo compiuto durante l’anno viene come sintetizzato ed esistenzialmente vissuto in esperienze ricche di rapporti umani, di vita comune, di preghiera, di momenti formativi. Qualcuno le ha chiamate “esperienze-simbolo”, senza le quali l’iniziazione cristiana diviene più debole.
In questo senso, la Chiesa è il vero “laboratorio” esperienziale della fede, dove non vengono artificialmente create delle specifiche dinamiche di gruppo, ma la relazione fraterna è concretamente vissuta nell’eucarestia domenicale ed in alcuni momenti più intensi di vita che segnano poi la quotidianità della vita.

La bellezza della vita ordinaria della Chiesa permette così di comprendere perché, nella realtà dei fatti, funzionino proposte che hanno metodi molti differenti fra di loro, ma che concordano sull’essenziale (si pensi a frutti similari che nascono da cammini pur così diversi come l’iniziazione cristiana nelle parrocchie, l’Azione Cattolica, lo scoutismo, il cammino neocatecumenale, la catechesi in oratorio, ecc.).

Non si deve dimenticare, inoltre, che se sono sempre necessari gruppi di credenti particolarmente convinti, la loro fecondità deriva, però, dal loro essere a servizio dell’intero popolo di Dio e non in conflitto con esso. Infatti, per essere cristiani non è di per sé necessario appartenere ad un gruppo determinato.

Questa prospettiva permette ad ogni comunità di far maturare la fede di gruppi più coinvolti nel servizio dell’iniziazione cristiana - il gruppo dei catechisti, così come gruppi di ragazzi, giovani, adulti - facendo loro scoprire, però, di essere pienamente inseriti nell’unico popolo di Dio, composto da tutti i battezzati, anche quelli più restii a coinvolgersi. Recentemente è stato il Convegno di Verona, su questa linea, ad insistere sull’importanza per la chiesa italiana di continuare ad essere “chiesa di popolo”, rifuggendo dal rischio di identificarsi con alcune élites di persone più mature e convinte.

In questa prospettiva ecclesiale è decisiva nella proposta di una iniziazione cristiana rinnovata  anche la riscoperta della dimensione “diacronica” della Chiesa, cioè la consapevolezza che il “noi” della Chiesa non comprende solo le persone di questa generazione, ma anche i credenti di tutte le generazioni che ci hanno preceduto e ci hanno trasmesso la fede.

Un catechista curerà con grande attenzione la riunione ed i suoi contenuti, ma sarà anche l’animatore di questa vita ecclesiale. Non sarà - come si dice a torto - l’amico di tutti, ma avrà cura del nascere di una relazione di vera fraternità fra tutti coloro che scoprono la fede. Un cammino di iniziazione cristiana che si affidi alla sola riunione non potrà esprimere tutta la ricchezza della vita cristiana.

Ritengo importante sottolineare un aspetto concreto di questa iniziazione alla vita ecclesiale, perché viene continuamente dibattuto. Nelle parrocchie, ci domandiamo come fare ad andare incontro alle persone che bussano alla parrocchia, ma in realtà non sono molto interessate, che battezzano un bambino e non sanno neanche perché, che accompagnano il figlio a messa durante gli anni del catechismo e lo vanno a riprendere senza fermarsi a celebrare con lui. Dinanzi a loro vediamo che c’è un numero molto più piccolo di persone, che però appaiono più convinte. E ci domandiamo, allora, se non siano da curare ancora di più queste ultime, se non siano da privilegiare, perché sono poi quelle su cui si può contare.

C’è una chiesa di popolo, grande, numerosa, ma a volte timida e ci sono persone che sanno pregare, sanno studiare, credono profondamente, vivono la carità. La tentazione, dinanzi a tutto questo, è di mettere queste due realtà in contrapposizione. Alcuni affermeranno allora che i veri cristiani sono quelli convinti, presenti. E allora in parrocchia si daranno tutte le energie ai catechisti, ai componenti dei vari gruppi, e la parrocchia si incentrerà completamente su quelle persone che sono quelle che veramente la tengono in mano. In questa situazione chi arriverà per la prima volta si sentirà fuori posto. Nascerà il rischio che vengano trascurati tutti quelli che hanno una fede povera.

All’opposto esistono situazioni nelle quali si aprono le braccia a tutti, ma non si cura un gruppo giovanile, un gruppo di famiglie, non si seguono i catechisti, non c’è un oratorio con dei veri animatori. Qui la pastorale sarà per tutti, ma non ci sarà mai qualcuno che ne diventi protagonista ed educatore.

La via per un rinnovamento non dovrebbe essere piuttosto quella di un superamento di questa antitesi? La Chiesa ci dice che questa antitesi deve essere superata, che noi dobbiamo mantenere una relazione viva, forte, bella tra il gruppo di coloro che sono molto convinti e quella chiesa di popolo più numerosa e silenziosa.

Benedetto XVI ha scritto che sempre queste due facce della Chiesa hanno convissuto insieme e si sono fecondate a vicenda, senza mai elidersi, senza poter mai essere poste l’una senza l’altra, a meno di non distruggere il vangelo. La forza della fede di chi è profondamente convinto si manifesta proprio nel fatto che questa fede è donata perché porti luce agli altri. Queste persone - che l’allora cardinale J. Ratzinger chiamò una volta le “minoranze creative”[36] - sono veramente cristiane se sentono cristiani anche quelli che hanno poca fede, e li accolgono, e sono felici che ci siano, e non li fanno sentire estranei; anzi la loro creatività ha senso proprio perché vivifica anche la debolezza degli altri. Se essi si sentissero, invece, gli unici cristiani, distruggerebbero il dono che hanno ricevuto, perché non lo metterebbero più a disposizione di tutti. I gruppi servono, anzi sono necessari, ma devono essere dei gruppi aperti, che guardano sempre lontano.

Questo equilibrio che dobbiamo trovare non è una esigenza solo del tempo presente, ma sempre, nella sua storia, la Chiesa ha cercato di mostrare come si debbano accogliere tutti ed, insieme, come si debba proporre seriamente la fede. Sant’Agostino, ad esempio, dinanzi alla crisi donatista nella quale i seguaci di Donato non ritenevano più cristiani quelli che avevano tradito la fede dinanzi alle persecuzioni, si opponeva a loro dicendo che erano come rane che gracidavano ai bordi di uno stagno, dicendo di essere i soli cristiani, mentre Dio aveva annunciato che il suo regno avrebbe abbracciato il cielo e la terra. Ed aggiungeva che il cristiano ha tre compiti: diventare santo, convivere con i peccatori, aiutarli a diventare santi!

Mi piace qui ricordare una lettera di don Andrea Santoro, un sacerdote romano martirizzato in Turchia, come ben sapete. Quando lasciò la parrocchia dei SS. Fabiano e Venanzio per partire missionario per la Turchia scrisse una lettera di ringraziamento rivolta a tutti quelli che avevano lavorato con lui in parrocchia: preti, collaboratori, suore, laici. Ma il suo ringraziamento non si fermò lì. Alla fine disse[37]:

«Ringrazio quanti non ho conosciuto perché mi hanno concesso di vivere accanto a loro e di amarli anche se a distanza. Sempre ho pregato per loro e sempre li ho pensati a me vicini, soprattutto la sera quando guardavo le finestre illuminate delle case e a messa quando, alzando il calice del sangue di Cristo dicevo: “questo è il calice del mio sangue, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”. In quel “tutti” comprendevo proprio tutti, nessuno escluso. Nel mio cuore, andando via, porterò ogni persona conosciuta e non conosciuta della parrocchia: sono le pecorelle, i figli, i “pesciolini” affidati alla mia pesca e destinati alla rete del Regno di Dio».

Sono le parole di un parroco, ma penso che ognuno di voi ci si possa ritrovare come catechista.

III Excursus. La liturgia come “esperienza” di Dio. Non esiste “fede” senza “rito”

Il riferimento alle quattro dimensioni del catecumenato antico permette anche di chiarificare alcuni aspetti del concetto di “esperienza” così essenziale per una catechesi rinnovata. La liturgia è l’unico luogo dove Cristo è pienamente presente e conseguentemente essa non è solo “culmine” della catechesi, bensì ne è anche la “fonte”, perché permette una reale “esperienza” di Dio. La fede stessa, così, se da un lato è condizione di accesso al culto cristiano, d’altro lato nasce solo dopo la liturgia ed a motivo di essa, poiché solo nei sacramenti si riceve il dono della grazia che salva.

Scrive, in proposito, il CCC: «“La liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù”[38]. Essa è quindi il luogo privilegiato della catechesi del popolo di Dio. “La catechesi è intrinsecamente collegata con tutta l’azione liturgica e sacramentale, perché è nei sacramenti, e soprattutto nell’Eucaristia, che Gesù Cristo agisce in pienezza per la trasformazione degli uomini”[39]»[40].

Questa comprensione della liturgia permette che essa sia valorizzata non semplicemente come realtà che necessita della catechesi - con il rischio di un’invasione catechetica che la snaturi - bensì proprio come “catechesi in atto”. Permette, in questa prospettiva, di evidenziare che «l’anno liturgico è tra le più originali e preziose creazioni della Chiesa, “un poema - come diceva il cardinale Ildefonso Schuster di tutta la liturgia - al quale veramente hanno posto mano e cielo e terra”. Esso è la trama dei misteri di Gesù nell'ordito del tempo»[41].

Chi vive l’anno liturgico, apprende Cristo e vive in comunione con Lui e la viva esperienza di Cristo che si ha celebrando con la Chiesa le feste liturgiche vale per la formazione della propria fede molto più di tutte le riunioni che la catechesi può proporre. La liturgia plasma così la vita dell’adulto, permettendogli anche di trasmettere la fede ai figli proprio introducendoli di domenica in domenica nel “mistero” di Cristo dispiegato nel tempo.

Ma l’apprezzamento dell’esperienza liturgica non trova fondamento solo nella sua comprensione teologica: è l'uomo, infatti, che ha bisogno di esprimersi attraverso riti e preghiere, dimensione che lo differenzia dagli animali. La liturgia cristiana pertanto non disprezza questa modalità di esprimersi tipica dell’uomo, bensì la accoglie e la purifica, cosciente che solo il rito ha la capacità di manifestare e di donare, per la grazia sacramentale, la comunione con il Dio vivente.

In questa maniera, è indicata anche la via per superare il rischio di un annullamento del valore della bellezza rituale, che è invece caratteristica peculiare del cristianesimo. Questo pericolo era emerso a partire dagli anni ’60, quando un utilizzo della distinzione barthiana fra “fede” e “religione” era divenuto quasi una parola d’ordine nella riflessione catechetica. Invece, come giustamente ha sottolineato l’allora cardinale Ratzinger:

«Karl Barth ha operato una distinzione nel cristianesimo tra religione e fede. Ha avuto torto a voler separare del tutto queste due realtà, considerando positivamente la fede e negativamente la religione. La fede senza la religione è irreale, essa implica la religione, e la fede cristiana deve, per sua natura, vivere come religione. Ma ha avuto ragione ad affermare che anche fra i cristiani la religione può corrompersi e trasformarsi in superstizione, ad affermare, cioè, che la religione concreta, in cui la fede viene vissuta, deve essere continuamente purificata a partire dalla verità che si manifesta nella fede e che, d’altra parte, nel dialogo fa nuovamente riconoscere il proprio mistero e la propria infinitezza»[42].

IV Excursus L’ordine dei sacramenti: tornare alla prassi antica? Oppure le vere questioni sono altre: Cosa vuol dire essere cresimati in ordine all’eucarestia? Quale posto deve avere la celebrazione domenicale nel cammino dei bambini e dei ragazzi?

Sembra a molti che una questione nodale per rinnovare l’iniziazione cristiana sia quella di tornare all’ordine antico dei sacramenti anticipando la cresima rispetto all’eucarestia.

Si potrebbe rispondere immediatamente che se ci si dovesse rifare alla prassi primitiva, non ci sarebbe che un'unica soluzione, quella di conferire tutti i sacramenti insieme, quindi donando la cresima e l'eucarestia a tutti i neonati battezzati. È evidente, infatti, che fin dalla generazione neotestamentaria, la chiesa ha conferito i sacramenti ai figli dei battezzati, non appena essi nascevano[43].

Si deve pertanto ammettere che è lecito alla chiesa modificare una prassi antica. L’antichità non è, quindi, criterio unico per decidere della legittimità di una prassi pastorale. Infatti, è proprio la tradizione a mostrare che la chiesa ritenne opportuna un'evoluzione rispetto alla prassi dei primi secoli, conferendo maggiore individualità alla Confermazione e distaccando comunque, almeno in occidente, l’Eucarestia dal battesimo[44]. Riportare la Cresima prima dell’Eucarestia non riporterebbe comunque all’ordine originario. L’ordine originario è comunque da modificare.

Non si dimentichi, fra l’altro, che l’espressione “iniziazione cristiana” non è mai esistita nella chiesa primitiva, ma è stata coniata alla fine dell’ottocento da Louis Duchesne[45]. Se si dovesse essere semplicemente fedeli all’antico bisognerebbe far scomparire dal nostro linguaggio dunque lo stesso termine di “iniziazione cristiana”!

Ma la questione più importante è un’altra ed è di ordine teologico e pastorale. L’Esortazione apostolica Sacramentum caritatis ha ricordato recentemente «che veniamo battezzati e cresimati in ordine all'Eucaristia» (Sacramentum caritatis 17). Come interpretare correttamente questo?

La stessa questione può essere espressa da un punto di vista complementare, sottolineando l’unità dell’Iniziazione cristiana. L’Esortazione pontificia afferma in proposito: «dobbiamo chiederci se nelle nostre comunità cristiane sia sufficientemente percepito lo stretto legame tra Battesimo, Confermazione ed Eucaristia» (Sacramentum caritatis 17).

Ora alcuni ritengono che la posticipazione dell’eucarestia alla cresima sia decisiva proprio per questa doppia questione: solo l’eucarestia ricevuta dopo la confermazione potrebbe garantire la continuità del cammino mistagogico e poi formativo poiché si verrebbe confermati per accedere poi permanentemente alla comunione eucaristica.

Alcuni sussidi addirittura prevedono qualcosa come una “Consegna del giorno della domenica” dopo il battesimo (anche se ovviamente l’espressione non è testuale). Così ad esempio la Guida per l’itinerario catecumenale dei ragazzi, promossa dal Servizio Nazionale per il catecumenato, che propone al celebrante di dire ai ragazzi[46]: «Carissimi, avete ricevuti i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Ora la Chiesa, fedele a quanto ha ricevuto dagli apostoli, vi indica un giorno in cui Gesù ci aspetta. È la domenica, giorno in cui tutti i cristiani non mancano di riunirsi per fare festa, ascoltare il vangelo, offrirsi al Signore e accogliere il pane di vita».

Un invito come questo è palesemente un assurdo teologico e pastorale. Proporlo nella domenica in albis dopo la Pasqua, subito dopo aver celebrato l’iniziazione cristiana, vuol dire ammettere che il cammino precedente non ha aiutato i ragazzi a comprendere ed a vivere la centralità del giorno del Signore e dell’eucarestia.

In una maniera solo apparentemente dissimile ragiona su questo punto particolare - questa nostra nota non vuole essere un giudizio generale su quell’esperienza in sé - il metodo “a quattro tempi” proposto nella diocesi di Verona. I sussidi di quel metodo propongono una serie di quattro incontri settimanali in forma ciclica, il primo dei quali è un incontro dei genitori, il secondo è una catechesi fatta dai genitori stessi in famiglia, il III incontro è una riunione di catechesi dei bambini insieme ai catechisti e solo il IV prevede la centralità della domenica con un incontro in parallelo e poi insieme di genitori e bambini intorno all’eucarestia[47].

Ora il paradosso di questa proposta è che, mentre invita ad uscire dalla logica della riunione settimanale rivolta ai soli bambini, d’altro canto dimentica la centralità dell’incontro eucaristico domenicale che è il vero pilastro portante di una catechesi che sia veramente ecclesiale ed esperienziale.

Proprio l’esperienza pastorale - oltre che la riflessione teologica e pastorale - sta invece insegnando alla chiesa che esiste un’altra via per tornare a conferire centralità all’eucarestia nel processo di iniziazione cristiana.

Questa via consiste semplicemente nel porre la celebrazione domenicale non al termine dell’iniziazione cristiana, bensì al suo centro - al centro ovviamente non nel senso di porla semplicemente in un presunto mezzo cronologico fra gli altri due sacramenti, bensì piuttosto di riscoprirla come pilastro centrale e settimanale di ogni vera iniziazione cristiana.

Non si dimentichi, a questo proposito, che i catecumeni antichi partecipavano già tutte le domeniche all’anno liturgico, anche se non ricevevano l’eucarestia. Tutte le domeniche partecipavano in chiesa, con gli altri che erano già fedeli, alla Liturgia della Parola, tutti cantavano ogni domenica nella liturgia, tutti vivevano i tempi del digiuno e della festa, e così via.

La loro catechesi non avveniva tanto in settimana, quanto proprio in contemporanea alla Liturgia eucaristica dei fedeli. I catecumeni si allontanavano dopo la Liturgia della Parola non per tornarsene a casa, bensì piuttosto per un breve momento di catechesi mentre i fedeli ricevevano l’eucarestia, per poi incontrare di nuovo i già battezzati al termine della liturgia.

Per questo non ha alcun senso porre l’eucarestia al termine del cammino! Semmai si può ipotizzare la ricezione del sacramento al termine del cammino, ma non la celebrazione stessa e la partecipazione al giorno del Signore – ma si deve fare salva la straordinaria modernità dell’insegnamento di Pio X in merito quando ha mostrato quanto sia decisivo per i bambini ricevere il corpo di Cristo fin “dall’età di ragione”.

Paolo Tomatis ha detto recentemente qualcosa che aiuta a porre in maniera corretta la questione[48]:

«Per iniziare alla fede eucaristica, occorre una effettiva comunità eucaristica: la cosa non appare affatto scontata. [...] L’invito ad una proposta più coraggiosa relativa all’ordine dei sacramenti deve pertanto accompagnarsi ad una progressiva riscoperta dell’identità eucaristica della comunità cristiana, senza la quale il perfezionamento iniziatico domenicale scade a buona abitudine, la prima comunione rimane irrimediabilmente l’ultima, e la confessione una questione privata».

Affermare che siamo battezzati e cresimati in ordine all’eucarestia vuol dire mostrare che è la celebrazione domenicale che ci rende cristiani, prima ancora che ne partecipiamo totalmente.

Ovviamente ciò vale a maggior ragione nel caso dei battezzati che hanno già ricevuto la prima comunione. Non ha alcun senso ipotizzare un cammino di preparazione alla cresima che non veda la partecipazione all’eucarestia domenicale come pilastro. Se un ragazzo non scopre la bellezza della domenica nel corso del cammino, è evidente che non andrà a messa nella domenica successiva alla cresima: non ci andava nemmeno prima con gioia, perché dovrebbe cominciare poi a trovare questa gioia?

Anche l’esperienza del cammino neocatecumenale è preziosa in questa direzione. Esso si struttura non intorno alla sola riunione, al solo ascolto della Parola, bensì pone la celebrazione come asse portante dell’itinerario. Addirittura i catecumeni adulti non ancora battezzati assistono, nel cammino neocatecumenale, alla seconda parte della celebrazione eucaristica, senza esserne allontanati.

4/ La pastorale battesimale ed il ruolo della famiglia

Un quarto punto focale chiama in causa l'importanza del Battesimo ed il ruolo della famiglia[49].

Innanzitutto riflettere sull'IC come processo unitario vuol dire sottolineare che l'IC comincia con il battesimo, anzi che esso è, per certi aspetti, il sacramento più importante: l'IC non comincia, pertanto con i 7 o gli 8 anni! A tutti è evidente quale rivoluzione copernicana implichi anche questo snodo.

4.1/ Il valore del Battesimo dei bambini

La liturgia afferma l'inestimabile ricchezza del Battesimo, proprio perché in esso è data, come un dono, la salvezza. Quale cura ha la pastorale battesimale e la stessa celebrazione nelle nostre parrocchie? Quanti catechisti se ne preoccupano?

Il magistero ha recentemente insistito su due punti che è bene comunque avere presenti per ogni ulteriore riflessione:

«È molto importante richiamare innanzitutto che il battesimo dei bambini deve essere considerato come una grave missione. Le questioni che essa pone ai curatori di anime non possono essere risolte se non tenendo fedelmente presenti la dottrina e la prassi costante della Chiesa. Concretamente, la pastorale del battesimo dei bambini dovrà ispirarsi a due grandi principi, di cui il secondo è subordinato al primo: 1) il battesimo, necessario alla salvezza, è il segno e lo strumento dell’amore preveniente di Dio che libera dal peccato e comunica la partecipazione alla vita divina: per sé, il dono di questi beni non deve essere differito ai bambini. 2) Devono essere prese della garanzie perché tale dono possa svilupparsi mediante una vera educazione alla fede e nella vita cristiana, sicché il sacramento possa raggiungere pienamente la sua realtà»[50].

Come già si diceva, il Battesimo dei bambini non è una prassi recente e nemmeno è un'usanza post-costantiniana. Risale invece ai tempi apostolici. Il Nuovo Testamento ricorda che ci si battezzava “con la propria casa”, cioè insieme ai propri figli (1 Cor 1,16, la “casa” di Stefana; At 16,15, Lidia e la sua “casa”; At 16,33, il guardiano della prigione di Filippi con la sua “casa”; At 18,8, Crispo, capo della sinagoga, con la sua “casa”).

Inoltre i Padri della Chiesa, ben prima di Costantino, attestano che battezzare i piccoli era una tradizione ricevuta dagli apostoli. Espliciti riferimenti si trovano in Ireneo di Lione, in Origene e in Agostino. Origene scrive, ad esempio: «Il Battesimo della Chiesa è amministrato, secondo il costume della Chiesa, anche ai bambini». Ed Ireneo afferma: «Gesù è venuto a salvare tutti gli uomini: tutti quelli che per mezzo di lui sono rinati in Dio, neonati, bambini, giovani e persone anziane»[51].

Ma, certamente, il battesimo dei bambini implica, ancor più che il catecumenato degli adulti con la sua mistagogia, un cammino successivo. È per questo che il CCC afferma poi[52]:

«Per sua stessa natura il Battesimo dei bambini richiede un catecumenato post-battesimale. Non si tratta soltanto della necessità di una istruzione posteriore al Battesimo, ma del necessario sviluppo della grazia battesimale nella crescita della persona».

4.2/ Il ruolo della famiglia

Bisogna allora sostenere le famiglie nell’educazione cristiana dei loro figli a partire dal battesimo. Non possiamo restare indifferenti dinanzi al fatto che, una volta conferito il battesimo, di fatto cessa in molte famiglie un’esplicita educazione cristiana dei bambini fino al momento in cui questi vengono accompagnati in parrocchia per la “preparazione” al sacramento dell’eucarestia.

Gli anni che vanno dalla nascita ai 7 anni sono anni decisivi nella crescita dei bambini, così come sono decisivi per la vita dell’intera famiglia e dei coniugi in particolare. I bambini in quegli anni respirano dai gesti, dalle parole, dal clima familiare uno sguardo sulla vita stessa che influenzerà il loro futuro.

D’altro canto, i genitori trascurano oggi il loro compito spesso non per cattiveria o per ignavia, bensì perché ignari della loro stessa responsabilità e perché imbevuti da un clima culturale che li invita al silenzio sulle grandi questioni della vita.

Per questo appartiene al compito della comunità cristiana trovare le vie per farsi vicina alle giovani famiglie e riscoprire insieme a loro la grande responsabilità che come adulti è loro affidata. Contemporaneamente, la comunità non deve semplicemente responsabilizzare le famiglie, ma anche svolgere il compito che le è proprio nei confronti dei bambini che sono veri figli della chiesa e, quindi, affidati alle sue cure di madre, dal momento del battesimo.

Le giovani famiglie, anche se non hanno una fede matura, sono profondamente attratte dalla verità del Battesimo e disponibili all'annunzio evangelico, perché avvertono misteriosamente che la loro creatura appartiene ad un orizzonte più ampio della sola materia. Sono in una situazione particolarmente favorevole per accogliere sia il messaggio di una maggiore generosità verso la vita e il concepimento di altri “fratellini e sorelline” del loro bambino sia il messaggio della speranza piena che Cristo è venuto a portare per le loro famiglie.

Nonostante molti di loro non hanno situazioni familiari regolari, proprio la nuova nascita rimette in moto una possibile evoluzione del loro rapporto, facendo percepire che il loro amore non è un gioco a tempo e che i figli, crescendo, trarrebbero giovamento dal saperli sposati con il sacramento del matrimonio.

Inoltre, l'assenza di punti di riferimento in campo educativo rende i genitori molto fragili, talvolta incapaci di comunicare proposte e punti di riferimento positivi e negativi chiari ai figli, fin dalla più tenera età - si pensi a quanto le giovani coppie spesso abbiano difficoltà anche solo ad insegnare la regolarità di un orario della giornata ai piccoli.

Ma, nuovamente, proprio per questa fragilità le giovani famiglie sono estremamente interessate quando avvertono che qualcuno le può aiutare in questo. Una diffusa mentalità vorrebbe presentare l'educazione come una questione demandata a specialisti, mentre i giovani genitori accolgono con grande apertura chiunque li aiuti a capire che l'educazione è opera dei padri e delle madri, che non hanno specializzazione in merito, ma sentono la responsabilità dei loro figli.

Da alcuni decenni è quasi completamente scomparsa l'educazione religiosa in famiglia che prima si trasmetteva da una generazione all'altra con l'importante mediazione dei nonni. Se, fino a qualche decennio fa, era normale che qualcuno in famiglia insegnasse al bambino le preghiere del mattino e della sera, le diverse feste liturgiche e così via, oggi le giovani famiglie sembrano sentirsi in diritto di trasmettere ai loro bambini solo il principio della tolleranza religiosa. La mentalità contemporanea tende scioccamente a far sentire in colpa un genitore che trasmette la fede, quasi volesse imporsi prematuramente al figlio: è una questione che bisogna avere lucidamente presente. 

4.3/ Alcuni principi importanti

4.3.1/ L’educazione non è opera di specialisti, ma di chi dona la vita

Mi sembra innanzitutto importantissimo partire dal punto forse più importante. L’educazione e la trasmissione della fede non sono un compito degli specialisti, dei teologi, dei catecheti, degli psicologici, dei sociologi. No! Sono il compito insieme semplice e difficile, bellissimo e faticoso di chi dona la vita. Dei genitori innanzitutto, dei papà e delle mamme!

I bambini si fidano di loro, non perché i loro genitori sono specialisti dell’educazione, ma molto più semplicemente perché sono loro che gli hanno dato la vita! E solo loro continuano a “perdere la vita”, a morire come il chicco di grano, perché i figli possano vivere. Si fa vivere, perdendo la propria vita: non c’è altra strada!

La carta vincente di un genitore è l’amore che nutre per i suoi figli. A tanti genitori scoraggiati, che sono tentati di sentirsi inadatti al loro compito, è importante dire: siete i migliori papà e le migliori mamme che i vostri figli possano avere. Perché solo voi siete i genitori dei vostri figli. Nessuno potrà sostituirvi in questo.

Non ci sarà nessuna crescita educativa senza la riscoperta personale della responsabilità che compete ad ognuno e che compete per il semplicissimo fatto di aver donato la vita. Ma questa responsabilità nasce a sua volta dall’amore: perché amiamo le nuove generazioni ci assumiamo la responsabilità di educarle.

Essere responsabili vuol dire uscire dalla lamentela continua nei confronti di ciò che gli altri non fanno e cominciare ad assumersi la responsabilità di fare bene ciò che si è chiamati a fare. In uno splendido libro che si intitola Le lettere di Berlicche, C.S. Lewis racconta che il diavolo tenta l’uomo cercando di fargli dimenticare i suoi doveri più elementari, per farlo pensare ad altro. Gli dice: «Tienigli la mente lontano dai doveri più elementari... Aggrava quella caratteristica umana che è utilissima [a chi vuole il male]: l’orrore e la negligenza delle cose ovvie»[53]. Un tempo si chiamavano i “doveri del proprio stato di vita”. Cioè curare gli affetti, preoccuparsi della crescita morale ed intellettuale dei figli, amare gli anziani, preoccuparsi insieme della carità, crescere nella fede, gestire bene la casa in cui si vive, fare le vacanze insieme, e così via.

4.3.2/ Educare le nuove generazioni è il grande compito dell’adulto

Adulto è colui che non vive più per se stesso, ma vive per gli altri. L’essere adulto non è una questione semplicemente di età, bensì, più profondamente, di maturità. Preoccuparsi della trasmissione della fede fin dal Battesimo è il compito tipico degli adulti che sono preoccupati non solo di non perdere la propria fede, ma molto più radicalmente di trasmetterla. Tutte le generazioni precedenti hanno fatto sì che noi ricevessimo la vita, la cultura, la fede: ora siamo noi ad essere adulti perché il testimone è passato nelle nostre mani e siamo noi a dover generare la vita ed annunziare la fede.

Per questo la decisione di riflettere sul Battesimo dei bambini e sulla loro educazione non è assolutamente una scelta di ripiegamento su ciò che è infantile. Piuttosto, solo ritenendo la vita delle nuove generazioni più importante della propria si diventa veramente adulti. Solo scoprendo il servizio che ci è chiesto nei confronti di chi viene dopo di noi si diventa veramente adulti.

L’esperienza ci conferma in questo; proprio chi diventa genitore torna ad interrogarsi sempre di nuovo sul “mistero “ della vita. Torna a domandarsi sempre più insistentemente se esiste una speranza affidabile per i propri figli, torna a chiedersi in cosa consista la felicità, per aiutare i figli a trovarla.

4.3.3/ Il marito e la moglie educano insieme

Noi adulti educhiamo sempre, anche quando non parliamo ai nostri figli! È sbagliatissimo pensare che si possa restringere l’educazione ai momenti diretti di rapporto con i nostri bambini. Se ci pensiamo, è invece evidente che i nostri figli imparano ad essere sereni, perché c’é serenità in casa, imparano a perdonare perché vedono il papà e la mamma che si perdonano, imparano che un programma televisivo è stupido o intelligente perché vedono i genitori che ne discutono tra loro e ne danno un giudizio, imparano la carità e la speranza perché dinanzi ad un evento tragico del telegiornale avvertono che i genitori si impegneranno a rendere migliore il mondo.

I figli ci guardano sempre! Imparano a vedere la vita come noi adulti la vediamo! Questo è vero sopratutto del rapporto tra il marito e la moglie. Un bambino impara ad amare perché vede il papà che ama la mamma. E la ama non solo perché è madre, ma perché è la sua sposa, è colei che ama, che rispetta, con cui è felice di costruire la vita!

Si potrebbe dire che il bambino respira l’amore che i suoi genitori si scambiano. Quell’amore è il loro amore, ma per lui è benefico. Egli impara che si è felici amando, perché vede i suoi genitori che sono nella gioia, impara la speranza, perché vede che i suoi genitori si perdonano, impara a dire la verità, perché vede come i genitori comunicano fra di loro. Impara anche la preghiera, perché vede i genitori che pregano insieme.

Il matrimonio è per questo educativamente fecondo di per sé. Ce lo insegna la fede da sempre, ma oggi anche la psicologia lo conferma: l’amore dell’uomo è della donna è sorgente di una buona educazione.

4.3.4/ L’educazione si preoccupa del cuore più che delle abilità tecniche

L’educazione alla fede è decisiva nella maturazione delle nuove generazioni perché ogni uomo ha un bisogno profondissimo più ancora della salute fisica di un orientamento interiore. Nel vangelo leggiamo che Gesù «vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36)[54].

Non è forse questa un’immagine che parla in maniera straordinaria anche al nostro tempo. Non è il dramma del nostro tempo proprio la confusione, il non sapere cosa sia bene o male, il non sapere quale è la via per trovare la felicità, in fondo il non sapere come giungere a trovare la comunione con Dio?

L’uomo non può vivere solo di ipotesi. Non può vivere alla giornata, senza sapere per cosa vale la pena spendere la vita. Ed i bambini, a volte senza esplicitarla, proprio questa domanda rivolgono ai genitori: avete trovate la via della felicità? Gesù si presenta come il pastore, come il “bel pastore”, che conosce la via per raggiungere l’acqua della vita, il bene, la speranza, il senso delle cose, il significato della vita stessa.

L’educazione ha allora bisogno certamente di tante competenze tecniche. Comprende anche tanti aspetti parziali come l’educazione motoria, quella logica, quella scientifica, quella musicale, quella tecnologica e così via. Ma è soprattutto educazione del cuore e della mente. La vera educazione educa alla virtù, educa a saper riconoscere il bene per poterlo seguire, educa ad essere appassionati cercatori della verità, educa a vivere nella comunione con Dio!

4.3.5/ L’educazione propone la verità con autorità perché solo la verità rende liberi

Gesù ha detto in maniera meravigliosa: «La verità vi renderà liberi» (Gv 8,32). Non si nasce liberi, ma lo si diventa conoscendo la verità. Prima che Gesù venisse al mondo, tutti erano liberi, ma nessuno è mai diventato cristiano: è solo la sua venuta che ha reso liberi gli uomini di diventare cristiani. Gesù, mostrandoci l’amore di Dio che prende su di sé il peccato del mondo, ha reso possibile la nostra fede. Per questo la Chiesa invita a proporre il Vangelo alle nuove generazioni: solo l’incontro con il Vangelo renderà loro possibile scoprirne la sua verità e la sua bellezza.

L’educazione fin dalla più tenera età è importantissima, perché i bambini non trovano il bene da soli. Non basta lasciare libero qualcuno, perché trovi il bene da solo.

I genitori portano i figli sui sentieri di montagna perché i bambini possano pian piano apprezzare le meraviglie del creato. Non salirebbero da soli, se i genitori non li guidassero. I bambini imparano ad amare la bellezza dell’arte e della musica, perché i loro genitori guardano cose belle ed ascoltano l’armonia musicale. Imparano a fuggire dalle cose brutte, perché i genitori mostrano loro ciò che è deplorevole e squallido.

Non corrisponde assolutamente alla vita il dire: io non ti propongo niente per paura di influenzarti! Se io non ti propongo niente, qualcun altro ti influenzerà. Educare vuol dire invece presentare con passione tutto il bene che si conosce. Senza alcuna paura di mostrare il fascino di ciò che è vero e bello, anche perché sappiamo che verrà poi l’adolescenza - quell’età critica in cui tutto ciò che si è ricevuto sarà messo in discussione.

Come sapete i romani si dividono in due tifoserie, i romanisti ed i laziali. Pensate che sarebbe intelligente dire ad un romanista: lascia libero tuo figlio di diventare laziale? Certo quel padre dovrà poi voler bene al suo bambino anche se dovesse passare alla tifoseria opposta, ma il genitore cerca di entusiasmare il proprio figlio a ciò che è certo essere vero e bello.

Questo vale in maniera incomparabilmente più vera per la fede. Un genitore credente non dice al figlio che è la stessa cosa credere o diventare ateo. Se Dio non si fosse rivelato in Gesù, non ci sarebbe alcuna speranza per gli uomini, perché la morte regnerebbe sul mondo e quel figlio amato sarebbe destinato ai vermi. Il genitore credente presenta con gioia la sua fede che dona speranza, gioia, forza, capacità di amore ai suoi figli. Certo, continuerà ad amare poi suo figlio se, da adolescente, abbandonerà la fede, ma questa ipotesi non è un ostacolo a presentargli intanto la bellezza della fede.

4.3.6/ L’educazione al bene per imparare ad amare

Educare alla fede vuol dire aiutare i bambini a seguire la via del bene. Il rispetto dell’altro, la capacità di riconoscere le esigenze dell’altro, la disponibilità a condividere le cose, sia pur faticosamente, debbono iniziare a maturare fin da piccolissimi. L’educazione morale non è un’aggiunta esteriore alla maturazione dei figli, bensì ne è costitutiva, proprio perché il rapporto con gli altri ci appartiene, è il nostro essere. Seguire il bene vuol dire semplicemente essere uomini!

Diceva una mamma che insegnava alla figlia che Biancaneve era bella perché era buona! Ed invitava così la figlia ad essere generosa con i fratelli e con tutti.

Questa educazione comincia fin da piccolissimi[55]. I genitori debbono sostenere i “no” che propongono, perché i figli non divengano viziati. Ma debbono pian piano aprire ai “sì” che danno significato ai divieti che insegnano. Si può pensare, ad esempio, ai primi gesti di carità con cui si insegna ai piccoli a dividere qualcosa di proprio con gli altri ed, in particolare, con i più poveri. Ancor prima, i figli vedranno nella vita dei genitori la carità con cui circondano di cure i loro anziani, ma anche il loro servizio nella società e nella parrocchia ed anche la carità esplicita verso i più poveri.

5/ La pastorale giovanile e la mistagogia

La cura degli adolescenti e dei giovani non deve, però, essere dimenticata, per un vero rinnovamento dell’iniziazione cristiana. È questo un ulteriore punto focale che il Questionario ha voluto evidenziare con coraggio. Non si tratta semplicemente di un tema esterno all’IC, quasi di una sua appendice: è, piuttosto, uno dei punti più trascurati quando si discute dell’iniziazione e della sua continuità nella mistagogia.

Spesso si ragiona, così, quasi come un matematico che ritiene di essere riuscito a dimostrare un teorema saldissimo: l’abbandono dei ragazzi dopo la cresima prova con evidenza che l’impianto dell’IC è errato[56].

Questo modo di ragionare è errato, profondamente errato, perché dimentica appunto di riflettere sulla pastorale giovanile e sulle caratteristiche peculiari della pre-adolescenza e dell’adolescenza. Per grazia di Dio, quando un bambino cresce e cessa di essere tale comincia a mettere in discussione tutto ciò che ha ricevuto con gioia quando era più piccolo. Anche bambini che sono stati felicissimi dei primi anni di catechesi abbandonano il cammino nell’adolescenza perché, divenuti più grandi, non trovano più una proposta adeguata alla loro nuova età.

L’itinerario di un adolescente ha esigenze molto diverse da quello di un bambino. Certamente tale cammino non potrà che essere è in continuità con il percorso già fatto, ma l’adolescenza ha bisogno di una discontinuità rispetto alla catechesi dell’infanzia.

In particolare, i ragazzi sentono forte la necessità di incontrare come testimoni di fede non solo degli adulti, ma anche dei giovani più grandi di loro, che mostrino loro come sia possibile e significativo vivere da cristiani l’età giovanile. Dove manca una cura per la pastorale giovanile gli adolescenti non possono venire in contatto con ragazzi più grandi che li accompagnano e, quindi, spesso interrompono il loro cammino di fede.

L’esperienza mostra che nelle parrocchie e nelle comunità cristiane dove è maturata una presenza vivace di gruppi giovanili che vivono seriamente il loro cammino cristiano - e che i ragazzi più piccoli incontrano nella vita parrocchiale, nell’animazione liturgica, nel servizio, nell’animazione dell’oratorio, ecc. - la continuità del cammino dopo l’IC è possibile ed estremamente feconda. All’opposto, dove l’iniziazione cristiana non è inserita in un contesto di una realtà giovanile cristiana viva, anche l’accompagnamento delle famiglie si rivela debole per la continuazione del cammino[57].

Si potrebbe così riformulare il precedente teorema: i ragazzi si allontanano dalla chiesa dopo la cresima perché non trovano un ambiente che sappia accompagnarli nella fede ora che hanno delle esigenze peculiari che sono quelle dell’adolescenza.

Vale la pena ricordare che gli adolescenti ed i giovani sentono ancor più che i bambini il desiderio di essere accompagnati nella fede in un’esperienza che unisca in modo peculiare il Logos e l’Agape, proprio per l’importanza del momento formativo che stanno vivendo[58].

Apprezzano una catechesi che si dimostri all’altezza delle esigenze culturali che stanno maturando nel confronto con l’esperienza scolastica ed, insieme, desiderano fare esperienza di vita ecclesiale con i loro pari, accompagnati da sacerdoti, da adulti e da giovani più grandi in cui si riconoscono.
Per tutte queste ragioni sembra allora di poter affermare che un vero rinnovamento dell’IC non può limitarsi a guardare solamente alle problematiche delle famiglie e dei bambini, dimenticando la pastorale giovanile. Piuttosto si deve unum facere et aliud non omittere: guardare con amore e con intelligenza a ciascuna delle fasce di età - bambini, giovani ed adulti - pena l’incompletezza del rinnovamento dell’IC.

6/ La formazione dei catechisti

Un sesto punto focale per il rinnovamento dell’IC è, infine, certamente quello della formazione dei catechisti e della maturazione della loro passione.

I preti, per primi, sono chiamati ad essere testimoni della centralità di una nuova formazione al servizio dell’iniziazione cristiana, coinvolgendosi con passione e competenza in essa, superando ogni tentazione a delegare, quasi non fosse una delle loro principali responsabilità. La catechesi sembra peccare oggi non per un’eccessiva presenza clericale, bensì, talvolta, per un non pieno coinvolgimento delle energie migliori del clero in essa.

L’appassionato impegno dei parroci - e dei preti in genere - nella catechesi non è in conflitto con la corresponsabilità di tutti nell’annunzio del vangelo, bensì è un servizio decisivo per sostenere i laici nella riscoperta della loro insostituibile vocazione di catechisti. I catechisti sono, infatti, “collaboratori di Dio stesso”[59], corresponsabili a motivo del loro battesimo, nell’annunzio della fede.

Decisiva è, quindi, la formazione dei catechisti stessi, tanto più oggi: essi debbono, infatti, svolgere - come si è già detto - un ministero di vera e propria “nuova evangelizzazione”, non potendosi limitare semplicemente a costruire su basi già date, ma dovendo porre essi stessi le fondamenta della vita cristiana.

L’attenzione alla formazione di chi è già catechista non deve far dimenticare, poi, che la chiesa ha il compito di chiamare sempre nuovi catechisti a servizio del vangelo, perché “la messe è molta e gli operai sono pochi”. Proprio l’iniziazione cristiana chiede, come si è visto, che anche i giovani e le giovani famiglie si coinvolgano nella catechesi, poiché le nuove generazioni hanno bisogno della loro testimonianza.

Non si deve dimenticare che se è importante la comunità, niente sostituirà mai l'incontro personale da cuore a cuore. Chi si avvicina alla Chiesa si accorge dall'accoglienza e dalle parole del suo parroco e del catechista che incontra di quanto sia bella la fede. Niente ci potrà sostituire.

Per concludere[60]

Come potete vedere, è “tanta la carne al fuoco” - come si usa dire. Ma, in fondo, la vera difficoltà è rimanere semplici e lavorare a partire dall’essenziale. È evidente che non sarà possibile fare tutto subito.

Gli snodi proposti, in fondo, non sono nuovi, perché sono eterni, sono antichi quanto la Chiesa.  Tutto, in fondo, ruota intorno al primato di Dio, alla valorizzazione della famiglia, del giorno del Signore, del sacerdote, dei catechisti, della scuola, della comunità cristiana, dei segni con i quali la Chiesa nei secoli ha trasmesso la fede, ecc. La catechesi, infatti, non può essere inventata a tavolino, ma si rinnova radicandosi sempre più nell’esperienza della Chiesa.

Mi piace concludere allora con le parole piene di sapienza semplice che un comico cristiano, Giacomo Poretti (di Aldo, Giovanni e Giacomo), ha scritto recentemente ragionando dell’avventura educativa[61]:

Se i figli moderni chiedono: «Papà, cosa preferisci: la pasta o il riso?», loro rispondono: dipende... Papà, ma tu voti a destra o a sinistra? Dipende...
Se i figli domandano se bisogna sempre dire la verità, i papà moderni rispondono: dipende...
Ma papà bisogna fermarsi per far passare i pedoni sulle strisce? Dipende...
Ma papi, è vero che fa male farsi uno spinello? Dipende...
Papà, ma a te piacciono le donne vero? Dipende...
Mio papà, a cui è sempre piaciuto il risotto, mi ha insegnato cose meravigliose: a fare il presepe, a tifare per l’Inter, a fare il nodo della cravatta, a fare la barba con la lametta, ad andare in bicicletta, a bere un bicchiere di vino tutto d’un fiato, a vestirsi bene la domenica, a essere bravo nel lavoro, a cercare di avere sempre un amico, a portare un mazzo di fiori ogni tanto a tua moglie, a ricordarsi dei nonni e dei nostri morti, perché noi senza di loro non ci saremmo, perché Giacomo è figlio di Albino il fresatore, che era figlio di Domenico il mezzadro, figlio di Adriano il ciabattino che era figlio di Giuseppe il falegname figlio di Giosuè lo stalliere...

Si può discutere dell’Inter, ma tutto il resto è detto splendidamente!

Note al testo

[1] Cfr. L’inevitabile certezza: riflessione sulla modernità. L’intervento di Fabrice Hadjadj al meeting di Rimini 2011. Appunti, di Andrea Lonardo su www.gliscritti.it.

[2] Basti un esempio per chiarire subito questo: il recupero di un’ispirazione catecumenale della catechesi e l’affermazione dell’importanza della dimensione educativa dell’IC dei bambini sono due elementi assolutamente differenti, entrambi necessari, ma da non confondere. Il catecumenato riguarda l’adulto singolo, se non è sposato, e non coinvolge necessariamente la sua famiglia di origine, che può essere addirittura ostile. L’IC di bambini e ragazzi coinvolge, invece, i genitori. Si tratta allora di chiarificare in che senso è bene rifarsi al catecumenato, dove la famiglia è assente, ed in che senso è bene coinvolgere i genitori, avendo ben chiaro che il cammino di fede dei genitori nulla ha a che fare, di per sé, con un’ispirazione catecumenale!

[3] È significativa la consonanza esistente fra questi 6 punti ed i 6 “snodi essenziali” individuati da C. Sciuto, Catechesi: la frontiera della fede, in «Il Regno Attualità» 55 (2010), pp. 488-499, che così li classifica:

  1. proporre la fede e non darla per presupposta,
  2. valorizzazione del rapporto fra verità e amore,
  3. la catechesi come opera dell’intera comunità ecclesiale,
  4. l’attenzione alle diverse età di vita coinvolte nel processo educativo,
  5. il recupero della dimensione catecumenale,
  6. la formazione dei catechisti. Il sottoscritto aveva individuato 6 criteri analoghi in A. Lonardo, Quali orientamenti per il rinnovamento dell'iniziazione cristiana? Un primo tentativo di sintesi, disponibile on-line su www.gliscritti e riproposto in versione aggiornata su «Catechesi», 80 (2010-2011) 6, pp. 64-77. C. Cacciato Insilla, L’iniziazione cristiana in Italia dal Concilio Vaticano II ad oggi. Prospettiva pedagogico-catechetica, pp. 268-271, propone invece 5 criteri generali più 3 specificamente rivolti all’Iniziazione cristiana di bambini e ragazzi come emergenti dall’esperienza post-conciliare.

[4] Il magistero papale vi insiste da tempo - si pensi solo all’espressione spesso citata di Benedetto XVI: «[ricordo] alcune parole che mi aveva scritto in una piccola lettera Hans Urs von Balthasar: “La fede non deve essere presupposta ma proposta”. È proprio così. La fede non si conserva di per se stessa nel mondo, non si trasmette automaticamente nel cuore dell’uomo, ma deve essere sempre annunciata» (Benedetto XVI, Discorso al Convegno della diocesi di Roma, 13/6/2011). Dal canto suo la CEI lo sottolinea con altrettanta forza - si pensi solo alle Premesse del 1978 del RICA che veniva allora presentato in Italia che affermano «il necessario primato dell’evangelizzazione», laddove il testo recita espressamente: «l’“Ordo” fa emergere pertanto l’esigenza di un’azione pastorale che conduca alla riscoperta o alla consapevolezza progressiva e personale della propria fede» (Premesse della CEI alla traduzione italiana del RICA, 1). Ma ovviamente il pensiero va prima ancora al Documento di Base che scrive: «L’esperienza pastorale attesta, infatti, che non si può sempre supporre la fede in chi ascolta. Occorre ridestarla in coloro nei quali è spenta, rinvigorirla in coloro che vivono nell’indifferenza, farla scoprire con impegno personale alle nuove generazioni e continuamente rinnovarla in quelli che la professano senza sufficiente convinzione o la espongono a grave pericolo» (Il rinnovamento della catechesi, n. 25). Il tema viene ripreso dalle tre Note sul catecumenato, così come da molti altri documenti, si pensi solo alla Nota pastorale sul primo annuncio del Vangelo Questa è la nostra fede (2005) ed alla Lettera ai cercatori di Dio (2009), entrambe della Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi. Il tema è stato oggetto di particolare attenzione proprio nella nostra regione con il documento Linee per un progetto di Primo Annuncio, 2002. Sul tema ritornano anche tutti gli studi di catechesi contemporanea, cfr. fra gli altri Fra gli altri, cfr. C. Bissoli, Il 1° annuncio. Una traccia per una comprensione migliore, in “Catechesi” 79 (2009-2010) 4, pp. 68-77, C. Cacciato (a cura di), Il primo annuncio tra “kerigma” e catechesi, LDC, Leumann, 2010, E. Biemmi, Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, EDB, Bologna, 2011.

[5] Citato sulla copertina di «Tracce», dicembre 2008.

[6] C.S. Lewis, Sorpreso dalla gioia. I primi anni della mia vita, Jaca Book, Milano, 2002, pp. 155-157.

[7] Si pensi, solo per richiamare alcune espressioni bibliche che aiutano in maniera evocativa a meditare le domande appena esplicitate, a testi come «Non abbiamo mai visto nulla di simile», «Ed erano stupefatti», «Dio nessuno lo ha mai visto, ma...», «Tu solo hai parole di vita eterna», «In questi tempi che sono gli ultimi, Dio ha parlato...».

[8] G.K. Chesterton, L’uomo eterno, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008, pp. 265-266; 307.

[9] Così, ad esempio, il Progetto Emmaus di A. Fontana - M. Cusino, LDC, Leumann, 2006, l’itinerario Buona notizia di P. Sartor - A. Ciucci, EDB, Bologna, 2009 e l’Iniziazione cristiana dei ragazzi. Itinerario di tipo catecumenale della diocesi di Cremona, Queriniana, Brescia, 2006.

[10] Così l’itinerario proposto dalla parrocchia di Mattarello in diocesi di Trento, Figli della resurrezione, LDC, Leumann, 2009.

[11] Così l’itinerario Lo racconterete ai vostri figli dell’Ufficio catechistico della diocesi di Trento, EDB, Bologna, 2003.

[12] Nel volume Abbiamo trovato un tesoro. Un primo annunzio della Buona notizia ai ragazzi, di A. M. Monaco - V. Spicacci, Centro Ambrosiano, Milano, 2010.

[13] Così l’itinerario di M. Zagara – G. Calabrese, Sì ci sto!, Paoline, Milano, 2005.

[14] Così l’itinerario a cura degli Uffici catechistici di Brescia, Genova, Venezia, La via, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2011.

[15] A. Scattolini (a cura di), Mi racconti di Gesù? Itinerario per l’iniziazione cristiana con le famiglie, EDB, Bologna, 2007. Come è noto, si caratterizza non tanto per i contenuti proposti, quanto per il tentativo di recuperare, attraverso la proposta di quattro tempi (quattro tipologie diverse di vivere gli incontri che si ripetono ciclicamente), una maggiore condivisione di vita con i bambini e le loro famiglie (I tempo: incontro con i genitori, II tempo, incontro dei genitori con i figli in famiglia, III tempo, incontro di catechesi con i bambini in un tempo più disteso, IV tempo, domenica con le famiglie).

[16] Mi racconti di Gesù. Guida I anno, p. 10.

[17] Lo fa l’itinerario La via, ma solo con i genitori, nel IV volume, Gerusalemme, pp. 33-36, dove si affrontano esplicitamente le posizioni scientiste che si oppongono risolutamente all’idea di creazione.

[18] Vi ho chiamato amici, p. 19. Per quanto questo tema sia qui appena accennato e per di più solamente al IV volume del Catechismo dei fanciulli e dei ragazzi CEI, è comunque paradossalmente più sviluppato che negli itinerari di stile catecumenale successivi (Vi ho chiamato amici, pp. 6-36). 

[19] La verità vi farà liberi, p. 18.

[20] La verità vi farà liberi, pp. 17-34.

[21] La verità vi farà liberi, pp. 35-58.

[22] Detto en passant non si dovrebbe dimenticare che il vangelo propriamente catecumenale è, per la tradizione, quello di Giovanni, come dimostra la Quaresima che precede il Battesimo. Nei testi evangelici della III, IV e V domenica di Quaresima si pongono le tre grandi questioni dell’uomo che vengono illuminate dal Cristo: nell’episodio della Samaritana la questione sulla sete inestinguibile dell’uomo, nell’episodio del cieco nato quella sulla verità che l’uomo vuole contemplare, nell’episodio della resurrezione di Lazzaro quella sulla possibilità di vivere in pienezza una vita che non finisca.

[23] L’unico testo che riprende in qualche modo nel I anno lo schema quaresimale è l’itinerario di P. Sartor - A. Cucci, Buona notizia 1, che, dopo una tappa dedicata all’accoglienza, presenta tre brani evangelici (Zaccheo, la tempesta sedata ed il cieco di Gerico), per mostrare Gesù che si avvicina, che vince le paure e che illumina la vita, cui seguono due ulteriori tappe dedicate alla morte in croce per amore ed alla resurrezione.

[24] Documento di base, 38.

[25] Educare alla vita buona del Vangelo 13.

[26] Cfr Comitato per il progetto culturale, La sfida educativa. Rapporto-proposta sull’educazione, Laterza, Bari-Roma 2009, pp. 8-10.

[27] Paolo VI, Discorso per il 40° anniversario del Movimento Aspiranti della GIAC, 21 marzo 1964.

[28] Discorso alla 61a Assemblea Generale della CEI, 27 maggio 2010.

[29] Il papa ha sottolineato che questa unità di Logos e Agape è antica quanto il cristianesimo, caratterizzando l’evangelizzazione e la catechesi fin dalle origini. Così egli ha affermato, ad esempio, nel suo discorso al convegno di Verona: «La forte unità che si è realizzata nella Chiesa dei primi secoli tra una fede amica dell'intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall'amore reciproco e dall'attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti ha reso possibile la prima grande espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico-romano. Così è avvenuto anche in seguito, in diversi contesti culturali e situazioni storiche. Questa rimane la strada maestra per l'evangelizzazione: il Signore ci guidi a vivere questa unità tra verità e amore nelle condizioni proprie del nostro tempo, per l'evangelizzazione dell'Italia e del mondo di oggi» (dal discorso di Benedetto XVI del 19 ottobre 2006, ai partecipanti al Convegno di Verona).

[30] Dalla lectio tenuta da Benedetto XVI in apertura del Convegno ecclesiale della diocesi di Roma «Andate e fate discepoli, battezzando e insegnando» (Mt 28, 19-20). Riscopriamo la bellezza del Battesimo, l’11/6/2012 nella basilica di San Giovanni in Laterano.

[31] Si pensi solo ad una saga come quella di Harry Potter, che inizia con Harry che ha 11 anni, e che prevede che bambini/ragazzi di quell'età leggano migliaia di pagine.

[32] J. Ratzinger, Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia, 1974, p. 26.

[33] F. Varillon, Beauté du monde et souffrance des hommes: entretiens avec Charles Ehlinger, Le Centurion, Paris 1980, p. 115. Per un tentativo di applicazione di questa prospettiva in catechesi, cfr. on-line “libertà dell’uomo” e “Libertà di Dio”. L’importanza della “sintesi” in catechesi. Video di Maurizio Botta e Andrea Lonardo (accompagnato dalla Nota di metodo: la necessità di uno schema sintetico per presentare la fede ai bambini a partire dal cuore della fede cristiana).

[34] «Il Catechismo non procede [...] in maniera semplicemente deduttiva, perché la storia della fede è una realtà di questo mondo e ha creato la propria esperienza. Il Catechismo parte da essa e quindi ascolta il Signore e la sua Chiesa» (J. Ratzinger, Il Catechismo della Chiesa Cattolica e l’ottimismo dei redenti, in J. Ratzinger - Ch. Schönborn, Breve introduzione al Catechismo della Chiesa Cattolica, Città Nuova, Roma 1994, p. 20).

[35] Le quattro dimensioni portanti della catechesi stanno emergendo pian piano sia in documenti ufficiali sia in riflessioni e proposte di catecheti. Si veda, ad esempio, la Lettera ai catechisti ed agli animatori. Il lievito e il buon pane, di A. B. Mazzocato, arcivescovo di Udine (21 novembre 2010), n. 15, il Sussidio per la verifica pastorale 2011-2012 della diocesi di Roma «Si sentirono trafiggere il cuore» (At 2, 37). La gioia di generare alla fede nella Chiesa di Roma, I, 2 ed il volume di E. Biemmi, Il secondo annunzio, EDB, Bologna 2011, pp. 74-76; 80-85. Gli Orientamenti CEI per il decennio sull’educazione registrano in merito un’interessante cambiamento terminologico in merito al problema di definire in cosa consista precisamente il riferimento catecumenale della catechesi: Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, 40, parla, infatti, di “ispirazione” catecumenale e non più di “modello” catecumenale per l’iniziazione cristiana.

[36] J. Ratzinger, Lettera a Marcello Pera di Joseph Ratzinger, in M. Pera - J. Ratzinger, Senza radici, Mondadori, Milano, 2004, pp. 110-113.

[37] Lettera di saluto di don Andrea Santoro a tutte le famiglie del quartiere nel lasciare la parrocchia dei SS. Fabiano e Venanzio per partire missionario per la Turchia nell’anno 2000.

[38] Sacrosanctum Concilium 10.

[39] Catechesi Tradendae 23.

[40] CCC 1074.

[41] I. Biffi, Per l'inizio dell'anno liturgico. La corona che plasma il tempo, in «L’Osservatore Romano», 24/11/2010.

[42] J. Ratzinger, Il dialogo delle religioni ed il rapporto tra ebrei e cristiani, in J. Ratzinger, La Chiesa, Israele e le religioni del mondo, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2000, pp. 72-73. Similmente si era espresso Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 47: «Non si insisterà mai abbastanza sul fatto che l'evangelizzazione non si esaurisce nella predicazione e nell'insegnamento di una dottrina. Essa deve raggiungere la vita: la vita naturale alla quale dà un senso nuovo, grazie alle prospettive evangeliche che le apre; e la vita soprannaturale, che non è la negazione, ma la purificazione e la elevazione della vita naturale. Questa vita soprannaturale trova la sua espressione vivente nei sette Sacramenti e nella loro mirabile irradiazione di grazia e di santità. L'evangelizzazione dispiega così tutta la sua ricchezza quando realizza il legame più intimo e, meglio ancora, una intercomunicazione ininterrotta, tra la Parola e i Sacramenti. In un certo senso, è un equivoco l'opporre, come si fa talvolta, l'evangelizzazione e la sacramentalizzazione. È vero che un certo modo di conferire i Sacramenti, senza un solido sostegno della catechesi circa questi medesimi Sacramenti e di una catechesi globale, finirebbe per privarli in gran parte della loro efficacia. Il compito dell'evangelizzazione è precisamente quello di educare nella fede in modo tale che essa conduca ciascun cristiano a vivere i Sacramenti come veri Sacramenti della fede, e non a riceverli passivamente, o a subirli».

[43] Cfr. su questo Il battesimo dei bambini nella chiesa delle origini. Appunti su di un volume di Joachim Jeremias, di Andrea Lonardo (su www.gliscritti.it ).

[44] Cfr. su questo Louis-Marie Chauvet fa il punto sulla confermazione. Appunti di Andrea Lonardo. (su www.gliscritti.it).

[45] Cfr. su questo gli studi di P. Caspani, in particolare P. Caspani, La pertinenza teologica della nozione di iniziazione cristiana, Glossa, Milano, 1999, pp. 143-162.

[46] Guida per l’itinerario catecumenale dei ragazzi, promossa dal Servizio Nazionale per il catecumenato, LDC, Leumann, 2005, p.182.

[47] A. Scattolini (a cura di ), Mi racconti di Gesù? Guida I Anno, EDB, Bologna, 2007, pp. 15-16.

[48] Dall’intervento Alla ricerca dell’iniziazione perduta, tenuto nel corso del Seminario di studi sul catecumenato A 10 anni dalla seconda nota sull'Iniziazione Cristiana, organizzato dall’Ufficio catechistico nazionale in Roma, Villa Aurelia, 7-8 settembre 2009.

[49] Diversi passaggi di questo punto quarto riprendono, a volte anche testualmente, la relazione del cardinale vicario di Roma Agostino Vallini, dal titolo «Andate e fate discepoli, battezzando e insegnando» (Mt 28, 19-20) Riscopriamo la bellezza del Battesimo, tenuta il 13/6/2012 nel corso del Convegno ecclesiale diocesano.

[50] Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede Pastoralis actio sul Battesimo dei bambini (1980), n. 28.

[51] Cfr. su questo, Il battesimo dei bambini nella chiesa delle origini. Appunti su di un volume di Joachim Jeremias, di Andrea Lonardo.

[52] CCC 1231.

[53] C.S. Lewis, Le lettere di Berlicche, Jaca, Milano, 1990, p. 13.

[54] Cfr. su questo A. Bagnasco, Gesù educatore della fede.

[55] Le moderne ricerche psicologiche smentiscono le tesi di Piaget che riteneva “pre-morale” il bambino, prima dei 5 anni; cfr. su questo Giampaolo Nicolais, Alcune considerazioni in merito allo sviluppo delle virtù nei bambini.

[56] Merita ricordare che affermazioni come queste non sono, fra l’altro, rispondenti alla realtà: sono sempre più i bambini che si allontanano dalle parrocchie senza aver ricevuto la Confermazione. L’abbandono dei ragazzi avviene oggi, forse nel 50% dei casi, dopo aver celebrato la Prima Comunione e non dopo essere stati cresimati.

[57] È interessante in proposito rilevare che, anche dove si stanno sviluppando in Italia le diverse sperimentazioni di IC, il punto debole sembra rimanere quello della “mistagogia”: terminata l’IC anche lì i ragazzi sembrano interrompere il cammino e non rimanere in parrocchia con numeri percentualmente più significativi che nelle parrocchie dove il cammino segue i Catechismi CEI: anche lì, la percentuale dei ragazzi che continua il cammino dopo aver ricevuto i sacramenti non si modifica.

[58] Benedetto XVI ha più volte affrontato l’argomento, affermando: «Sappiamo che la gioventù deve essere realmente una priorità del nostro lavoro pastorale, perché essa vive in un mondo lontano da Dio. Ed è molto difficile trovare in questo nostro contesto culturale l'incontro con Cristo, la vita cristiana, la vita della fede. [...] Mi ricordo di un elemento autobiografico negli scritti di san Cipriano. Io ho vissuto in questo nostro mondo - egli dice - totalmente lontano da Dio, perché le divinità erano morte e Dio non era visibile. E vedendo i cristiani ho pensato: è una vita impossibile, questo non si può realizzare nel nostro mondo! Ma poi, incontrandone alcuni, entrando nella loro compagnia, lasciandomi guidare nel catecumenato, in questo cammino di conversione verso Dio, man mano ho capito: è possibile!» (dalle risposte di papa Benedetto XVI nell’incontro con il clero di Roma, del 22 febbraio 2007). Ed ancora: «Man mano che i ragazzi crescono aumenta naturalmente in loro il desiderio di autonomia personale, che diventa facilmente, soprattutto nell’adolescenza, presa di distanza critica dalla propria famiglia. Si rivela allora particolarmente importante quella vicinanza che può essere assicurata dal sacerdote, dalla religiosa, dal catechista o da altri educatori capaci di rendere concreto per il giovane il volto amico della Chiesa e l’amore di Cristo. Per generare effetti positivi che durino nel tempo, la nostra vicinanza deve essere consapevole che il rapporto educativo è un incontro di libertà e che la stessa educazione cristiana è formazione all’autentica libertà. Non c’è infatti vera proposta educativa che non stimoli a una decisione, per quanto rispettosamente e amorevolmente, e proprio la proposta cristiana interpella a fondo la libertà, chiamandola alla fede e alla conversione. Come ho detto al Convegno ecclesiale di Verona, “un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l’amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà” (Discorso del 19 ottobre 2006). Quando avvertono di essere rispettati e presi sul serio nella loro libertà, gli adolescenti e i giovani, pur con la loro incostanza e fragilità, non sono affatto indisponibili a lasciarsi interpellare da proposte esigenti: anzi, si sentono attratti e spesso affascinati da esse. Vogliono anche mostrare la loro generosità nella dedizione ai grandi valori che sono perenni e costituiscono il fondamento della vita. L’educatore autentico prende ugualmente sul serio la curiosità intellettuale che esiste già nei fanciulli e con il passare degli anni assume forme più consapevoli. Sollecitato e spesso confuso dalla molteplicità di informazioni e dal contrasto delle idee e delle interpretazioni che gli vengono continuamente proposte, il giovane di oggi conserva tuttavia dentro di sé un grande bisogno di verità: è aperto quindi a Gesù Cristo che, come ci ricorda Tertulliano (De virginibus velandis, I,1), “ha affermato di essere la verità, non la consuetudine”. È nostro compito cercare di rispondere alla domanda di verità ponendo senza timori la proposta della fede a confronto con la ragione del nostro tempo. Aiuteremo così i giovani ad allargare gli orizzonti della loro intelligenza, aprendosi al mistero di Dio, nel quale si trova il senso e la direzione dell’esistenza, e superando i condizionamenti di una razionalità che si fida soltanto di ciò che può essere oggetto di esperimento e di calcolo. È quindi molto importante sviluppare quella che già lo scorso anno abbiamo chiamato “pastorale dell’intelligenza”» (dal discorso di Benedetto XVI al Convegno della diocesi di Roma del giugno 2007).

[59] Cfr. sul termine paolino "collaboratori di Dio", che preferiamo ad "operatori" ed "animatori", Collaboratori di Paolo. E di Dio, di Andrea Lonardo.

[60] Come per l'inizio di questa relazione, riprendo qui la conclusione della mia relazione al Convegno della diocesi di Roma del 12 giugno.

[61] Giacomo Poretti, È più facile fare il premier che fare il papà, La stampa, 18/3/2012.