Nel primo giorno del mondo, di Giuseppe Frangi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 23 /12 /2012 - 14:00 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da “Tracce” 35 (2012), pp. 98-103 un articolo di Giuseppe Frangi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti sulla volta della Sistina vedi su questo stesso sito Guida alla visita della Cappella Sistina, di Andrea Lonardo, oltre alla sezione Roma e le sue basiliche.

Il Centro culturale Gli scritti (23/12/2012)

L’ultima pennellata fu per la figura gigantesca del profeta Giona. Sovrasta la zona dell'altare e attrae lo sguardo di chiunque, dall'altro lato, mette piede nella Cappella Sistina. Era l'ottobre del 1512. Michelangelo dopo quattro anni di lavoro accanito e di drammatica dedizione all'impresa, aveva portato a termine il più grande affresco della storia dell'uomo: oltre 1000 metri quadrati a 20 metri d'altezza, sulla volta della cappella che papa Sisto IV aveva voluto come Cappella pontificia ricalcando le dimensioni del Tempio di Salomone. Il 31 ottobre papa Giulio II, in solenne e fastosa processione, aveva portato i Cardinali ad assistere alla messa sotto quella volta stupefacente. Dietro l'altare non c'era ancora il Giudizio Universale che un altro papa, Paolo III Farnese, avrebbe commissionato a Michelangelo trent'anni più tardi. Ma sopra l'altare c'era quella figura di Giona che è un po' il sigillo all'intero capolavoro. Se ne sta tutto riverso all'indietro, in una posa potentemente acrobatica e clamorosamente sconveniente con quelle gambe divaricate e sospese nel vuoto che aprono una vista panoramica sui mutandoni.

Michelangelo che approda a Giona è un Michelangelo molto diverso da quello che aveva cominciato l'impresa affrescando la scena dell'Ebrezza di Noé quattro anni prima. Ormai ha possesso assoluto non solo della tecnica - lui che pure non era pittore - e soprattutto governa in modo magistrale lo spazio. È una progressione impressionante di audacia a cui si assiste, seguendo Michelangelo nel percorso che inizia nella fetta della volta sopra l'ingresso, dove ancora non si è liberato da una griglia quattrocentesca, e approda appunto a Giona che invece è già spalancato, con un secolo d'anticipo, sul barocco. Giona lassù è un gigante scomposto, ma dalle proporzioni perfette; i muscoli sono contratti nella concitazione di quella posa avventurosa, ma il senso finale è di un equilibrio che riempie di meraviglia («una bellezza integrale», l'ha definita Benedetto XVI). Per Michelangelo il corpo non può che essere realtà in azione, è potenza che straborda e irrompe negli spazi, rovesciando ogni gerarchia: la balena di Giona è poco più che una miniatura rispetto alla creatura colossale che lo aveva inghiottito e tenuto in pancia per tre giorni. Quei giorni che annunciano i giorni della morte del Signore e che lui sta contando sulle dita, mentre dialoga con Dio, impegnato nella separazione della luce dalle tenebre sul colmo della volta.

Il volto di Giona richiama immediatamente il volto più celebre della Sistina, quello di Adamo nella scena della creazione, venti metri più in là. Probabile che Michelangelo avesse usato lo stesso modello o fosse approdato a un esito di bellezza figurata a cui si teneva legato.

Maestà infinita. La scena di Adamo è centrale anche perché come disse Paolo VI nell'omelia per il quinto centenario della nascita di Michelangelo (il 29 febbraio 1976), il tema fondamentale della Sistina è che «Dio e l'uomo stanno continuamente di fronte». In questo riquadro l'uomo è davvero di fronte a Dio, nel momento in cui gli viene infusa l'anima «con mano potente e braccio disteso» (Deuteronomio V, 15).

È interessante notare come di fronte a Michelangelo la critica si trovi sempre un po' in affanno, come se mancassero le categorie per affrontare pienamente la sua grandezza. Prevale in genere la retorica, l'enfasi, l'ossessione nello scovare i significati di ogni scelta iconografica. Ed è altrettanto interessante scoprire come le cose più profonde e utili alla comprensione della Sistina le si trovino nelle parole dei Papi. Non è affatto un caso: la Sistina esiste per la volontà tanto autorevole quanto autoritaria di un Papa, Giulio II, che si assunse gli oneri e i rischi (non solo economici) di un'impresa senza paragoni. Accettò ad esempio che venisse clamorosamente rappresentato Dio in figura, proprio alla vigilia dell'esplosione protestante con tutta la violenza iconoclasta che ne derivò.

Michelangelo si muove in un orizzonte di universalità e insieme anche di solitudine che solo nell'idea del Papato trova un suo corrispettivo adeguato. Così, per tornare a quella scena tanto celebre della Sistina, è la parola dei Papi a fornirci chiavi di lettura all'altezza del capolavoro.

È ad esempio Giovanni Paolo II, nella bellissima omelia pronunciata nel 1994, all'indomani dello storico restauro che aveva restituito la Sistinaal suo splendore e soprattutto ai suoi colori, ad affrontare il tema dell"'arditezza" di Michelangelo che al Dio invisibile impose «la visibilità propria dell'uomo». Ma spiega Wojtyla, «è difficile non riconoscere nel visibile ed umanizzato Creatore il Dio rivestito di maestà infinita. Anzi, per quanto l'immagine con i suoi intrinseci limiti consente, qui si è detto tutto ciò che era dicibile». Per fare questo ci voleva coraggio, spiegava Giovanni Paolo II, non solo quello di portare a termine un'impresa così titanica, ma un coraggio più complessivo: quello «di ammirare con i propri occhi questo Padre nel momento in cui proferisce il Fiat creatore e chiama all'esistenza il primo uomo».

Oltre alla visibilità di Dio, la volta della Sistina s'impone come glorificazione del corpo, proprio a partire da quello del primo uomo. Anche a livello di scelte compositive il corpo esce dal paesaggio della natura e si fa «struttura assoluta», occupa tutto. Dal punto di vista esecutivo Michelangelo ricorre a una tecnica incredibile, fatta di fittissime pennellate a tratteggio incrociate, quasi si trattasse di un disegno su piccola scala e non di un affresco che sarebbe stato visto a venti metri di distanza, usando per i colori pigmenti purissimi. L'effetto finale è quella entusiasmante lucentezza dei corpi che ricolma di fascino dopo 500 anni il nostro sguardo. Corpi «abitati da luce» li ha infatti definiti con una stupenda formulazione di valore anche critico Benedetto XVI. Sono corpi svelati nell'attimo della creazione. Uno svelamento che ha anche una data precisa: 31 ottobre 1512, vigilia di Ognissanti. Chi c'era ebbe la sensazione di assistere allo spettacolo del primo giorno del mondo.

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Paolo VI, 29 febbraio 1976 
«Ci piace immaginare l'artista aggirarsi negli spazi architettonici solenni, che lo videro per lunghi anni, in periodi diversi della sua vita e in momenti successivi dell'attività artistica, sui ponti di lavoro, in compagnia del suo vasto poema pittorico, a cui collaborarono, come per il poema di Dante, cielo e terra. Chi guarda quelle sequenze pittoriche, si chiede che rapporto possa avere con noi quella popolazione di figure vigorose: noi veniamo alcuni secoli dopo, e tanto la società come il mondo cristiano hanno problemi ben diversi da allora. Eppure la Sistina ci dà come il resoconto di una lotta e di una conquista, quasi un mondo in fieri, dove i figli della luce, per il carattere sacramentale che è il loro, coraggiosamente combattono, senza stancarsi, per il trionfo della verità».

Giovanni Paolo II, 8 aprile 1994
«La Sistinaè proprio – se così si può dire – il santuario della teologia del corpo umano. Nel rendere testimonianza alla bellezza dell’uomo creato da Dio come maschio e femmina, essa esprime anche la speranza di un mondo trasfigurato, il mondo inaugurato dal Cristo risorto».

Benedetto XVI, 21 ottobre 2012
«Non si tratta solo di luce che viene dal sapiente uso del colore ricco di contrasti, o dal movimento che anima il capolavoro michelangiolesco, ma dall’idea che percorre la grande volta: è la luce di Dio quella che illumina questi affreschi e l’intera Cappella Papale. Quella luce che con la sua potenza vince il caos e l’oscurità per donare vita: nella creazione e nella redenzione. E la Cappella Sistina narra questa storia di luce, di liberazione, di salvezza, parla del rapporto di Dio con l’umanità».