La bellezza suona il rock. La musica rock e l’educazione dei giovani, di Walter Gatti

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 19 /10 /2014 - 14:10 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito la trascrizione, curata da Giulia Balzerani, della relazione tenuta da Walter Gatti il 26 maggio 2014, nel corso di un seminario di studi organizzato dall’Ufficio catechistico, dall’Ufficio di pastorale scolastica e dalla redazione di Romasette della diocesi di Roma. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (19/10/2014)

Sono un giornalista e ho tutti i difetti dei giornalisti, sono curioso e mi piace parlare. Io sognavo di fare il giornalista fin da quando ero piccolo. Quando avevo sei anni a casa mia avevo creato il “Gatti della Sera”, perché vedevo in giro il Corriere della Sera e lo avevo adattato al mio cognome. Negli anni ho messo insieme questa passione con l’altra mia passione, quella per la musica rock e ho fatto diventare questo binomio il mio lavoro. Ho messo insieme una passione professionale e una passione umana e poi ho capito che questo mi portava ad una domanda: “Perché mi piace quello che mi piace?”.

Io questa sera voglio mostrarvi le cose che piacciono a me o che in qualche modo capisco che, oltre che a piacere a me, potrebbero intercettare anche il vostro interesse. Vorrei stimolarvi ad acquisire un certo tipo di metodo che io voglio proporvi attraverso cose concrete. Potete provare ad applicare la stessa cosa usando gli esempi che preferite. Non vi propongo un percorso obbligato, io vi farò ascoltare David Bowie, ma liberi di applicarlo con Baglioni o chi volete voi, va bene per tutto. Un metodo che poggia su quella domanda: “Perché mi piace, quello che mi piace?”.

La seconda domanda è: “Cosa mi muove in ciò che mi emoziona?”, e ancora: “Queste cose possono essere comunicate in qualche modo a ragazzi di 14-15 anni?”. Dipende, se noi andiamo da un ragazzo di 15-18 anni e gli parliamo di Jovanotti è dura, non dice loro niente o quasi, bisogna fare altri esempi musicali, che sono quelli che vanno per la maggiore, o cantanti rap o magari quelli che vedono a X-Factor.

Io vi farò vedere delle cose, tenete alcuni spunti e soprattutto provate a usare questo metodo con quello che piace a voi, ai vostri figli, ai ragazzi, ai vostri mariti o alle vostre mogli. Mia moglie che è  un’appassionata di musica classica di solito non ama quello che ascolto io, però poche sere fa l’ho portata a sentire per la prima volta Giovanni Lindo Ferretti e lei è stata piacevolmente colpita. Tutto  è possibile all’interno di un discorso artistico, quello che conta, credo, sia capire qual è la domanda iniziale e questa domanda io ve la racconto con un fatto della mia vita.

Quando io avevo 14 anni, sono nato nel 1959, nel 1973 quindi, non c’era la tv a colori, c’erano solo due programmi per chi amava la musica americana. Il primo si chiamava Per voi giovani e andava in onda alle 17.00, ma, la sera, alle 20.30, c’era Supersonic, un programma di circa un’ora e mezza di musica rock. Il giorno dopo si parlava tra amici di quello che avevamo ascoltato. Una sera, ascoltando questo programma, mi sono imbattuto in una canzone pazzesca, Janis Joplin, una cantante bianca che cantava A piece of my heart, Un pezzo del mio cuore, e c’era qualcosa di così emozionante per me quattordicenne, nell’ascoltare quel brano, e capii che la musica non era solo ascoltare qualcuno che cantava o suonava la chitarra, ma che attraverso la musica passava qualcosa di diverso, non era soltanto l’effetto sonoro.

Da allora un po’ la mia vita professionale e personale, umana girano intorno al voler capire cosa passa e cosa mi muove, cosa mi affascina e perché mi affascina, cosa ha da dire uno che mi può affascinare così tanto con parole magari banali, ma nelle quali mette qualcosa “che è un’altra cosa”. Quando uno vede Joe Cocker che nel festival di Woodstock, canta With A Little Help From My Friends, un pezzo dei Beatles che nella versione originale è un brano pop, che diventa completamente diverso, non può fare a meno di chiedersi da dove venga quella cosa che chiamiamo canzone.

Ho lavorato per anni intorno a queste due-tre piccole domande banalissime, ogni volta che ho potuto ho scavato dentro questa vicenda, per capire cosa mi affascina, per trovare una ferita che probabilmente c’è in questo musicista e, a volte, tutto questo portava dentro a storie di un fascino umano impressionante, non sempre immediatamente apparente e, a volte, con storie di incontri e di scontri con la divinità e con Gesù Cristo. Secondo me anche la bestemmia, come insegnava Giovanni Testori, è un modo per rapportarsi a Dio, di non ignorarlo, ma rapportarcisi, magari con odio.

Io vi farò vedere dei video con dei brani, non vi racconterò una teoria.  Non vi farò vedere Janis Joplin perché non esiste un solo video live nel quale si possa apprezzare A piece of my heart. Il punto di partenza sarà un altro questa sera, un pezzo di una grande banalità, alcuni minuti di musica country che risulterà familiare a chi si ricorda Furore di John Ernst Steinbeck, una delle canzoni più umane della storia della musica rock, scritta da Kris Kristofferson, cantautore di musica country, anche attore, ha recitato in Pat Garrett & Billy the Kid e in È nata una stella (con Barbra Streisand). La canzone si chiama Here Come That Rainbow Again

The scene was a small roadside cafe, 
The waitress was sweeping the floor.
Two truck drivers drinking their coffee.
And two Okie kids by the door.

"How much are them candies?" they asked her.
"How much have you got?" she replied.
"We've only a penny between us."
"Them's two for a penny," she lied.

And the daylight grew heavy with thunder,
With the smell of the rain on the wind.
Ain't it just like a human.
Here comes that rainbow again.

One truck driver called to the waitress,
After the kids went outside.
"Them candies ain't two for a penny."
"So what's it to you?" she replied.

In silence they finished their coffee,
And got up and nodded goodbye.
She called: "Hey, you left too much money!"
"So what's it to you?" they replied.

And the daylight was heavy with thunder,
With the smell of the rain on the wind.
Ain't it just like a human.
Here comes that rainbow again.

Questa la traduzione della canzone:

La scena si apre su un piccolo caffè sulla strada, la cameriera sta pulendo il pavimento, due camionisti stanno bevendo il caffè e sulla porta ci sono due ragazzini sfollati dell'Oklahoma. "Quanto costano quelle caramelle?" le chiedono. "Quanto avete in tasca?" risponde. "Abbiamo un penny in due." "Allora sono due caramelle con un penny." La luce del giorno diventava pesante di tuoni, c'era odore di pioggia nell'aria, e non c'è niente come l'uomo, ed ecco che arriva di nuovo l'arcobaleno. Un camionista chiamò la cameriera non appena i ragazzini uscirono. "Quelle caramelle non costano solo un penny." "Non è affar tuo" risponde lei. In silenzio finirono il loro caffè e uscirono salutando con un cenno. Lei urlò: "Hey, avete lasciato troppi soldi!" "Non è affar tuo!" risposero. La luce del giorno era pesante di tuoni, e c'era odore di pioggia nell'aria, ma non c'è niente come l'uomo, ed ecco che arriva di nuovo l'arcobaleno.

La canzone è cantata da una band straordinaria, The Highwaymen, composta da Johnny Cash, definito alla sua morte su una copertina di The Times il più grande musicista americano del ‘900, uno degli iniziatori del country, poi del folk, del rock and roll, uomo di spiritualità profonda, girava con la Bibbia insieme alla chitarra. Prima di morire ha inciso una canzone dal titolo Spiritual in cui ripete: Gesù, o Gesù io non voglio morire da solo.

Altro componente è Willie Nelson, ancora vivo, per tanto tempo uno dei musicisti più vicini a Elvis Presley. Abbiamo poi Kris Kristofferson e Waylon Jennings. Il titolo della canzone che abbiamo ascoltato, in italiano è tradotto con Qui arriva di nuovo l’arcobaleno. Il testo sembra un piccolissimo film. La scena è un piccolo, triste caffè lungo l’autostrada, ci sono due autisti di camion che stanno mangiando e la cameriera che sta pulendo il pavimento. Entrano due bambini dell’Oklahoma, che sarebbe come dire da noi due bambini della Basilicata degli anni ’50, un luogo considerato sperduto e arretrato. I bambini chiedono il prezzo di due dolcetti, la cameriera chiede loro quanti soldi hanno, i bambini hanno un penny e la cameriera risponde: i due dolcetti costano un penny. I bambini escono, uno dei due camionisti dice alla cameriera: “Quei  due dolci costavano di più!” e lei risponde: “E a te cosa te ne frega?”. Segue il ritornello:

La luce del giorno diventava pesante di tuoni, c'era odore di pioggia nell'aria, e non c'è niente come l'uomo, ed ecco che arriva di nuovo l'arcobaleno.

Inizia la seconda strofa, i due camionisti finiscono di bere il loro caffè, pagano e fanno per uscire. La cameriera grida: “Ma avete lasciato troppo denaro!”, e uno di loro: “ E a te cosa te ne frega?”

C’è rumore di tuoni e odore di tempesta, non c’è niente come un gesto umano, e qui viene di nuovo l’arcobaleno.

Una canzone banalissima sull’immensità di un gesto umano. Una canzone senza sovrastrutture, dura 2’40’’, non c’è un assolo di chitarra, non c’è un violino. Su Youtube si trovano video di poco tempo fa, con Kris Kristofferson che canta questa canzone, solo accompagnandosi con la chitarra ed è una cosa di una enorme potenza. Mi è capitato di tenere incontri nelle scuole e quando ho raccontato questa canzone ho visto le espressioni dei ragazzi cambiare, come a dire: “Ma le canzoni possono anche raccontare cose di questo genere?”.

La situazione raccontata forse è lontana da noi e dalla nostra quotidianità, ma vi faccio ascoltare un pezzo che passa la stessa comunicazione/emozione del brano precedente. Passiamo da Kris Kristofferson degli anni ’70 a Jovanotti di pochi anni fa che, allo stesso modo, con una stessa forza umana, racconta lo stesso concetto in Fango

la tele dice che le strade son pericolose 
ma l'unico pericolo che sento veramente 
è quello di non riuscire più a sentire niente 
il profumo dei fiori l'odore della città 
il suono dei motorini il sapore della pizza 
le lacrime di una mamma le idee di uno studente 
gli incroci possibili in una piazza 
di stare con le antenne alzate verso il cielo 
io lo so che non sono solo 
io lo so che non sono solo 
anche quando sono solo 
io lo so che non sono solo 
e rido e piango e mi fondo con il cielo e con il fango 

… l'unico pericolo che senti veramente 
è quello di non riuscire più a sentire niente 
di non riuscire più a sentire niente 
il battito di un cuore dentro al petto 
la passione che fa crescere un progetto 
l'appetito la sete l'evoluzione in atto 
l'energia che si scatena in un contatto

Non stiamo parlando di grandi intuizioni filosofiche, però credo che la possibilità oggi, di condividere ancora un approccio autentico, forte, ricco, con la vita e con le altre persone, passi anche attraverso queste dichiarazioni estremamente semplici. Jovanotti non ha pretese di genialità, vive in modo molto istintivo e ha una grande capacità, non tanto di musicare e di cantare, perché non è lui autore delle musiche, ma di comunicare in modo semplice

Questo è il Jovanotti di alcuni anni fa. Voglio ora passare a Niccolò Fabi, romano, in una delle sue canzoni più belle e interessanti, dal titolo È non è,  lui dice

Non è una sfida 
Non è una rivalsa 
Non è la finzione di essere meglio 
Non è la vittoria, l'applauso del mondo 
di ciò che succede il senso profondo 

E' il filo di un aquilone 
un equilibrio sottile 
non è cosa ma è come 
E' una questione di stile 
non è di molti ne' pochi 
ma solo di alcuni 

E' una conquista una necessità 
Non è per missione 
ma nemmeno per gioco 
Non è "che t'importa"
Non è "tanto è uguale" 
Non è invecchiare cambiando canale 
Non è un dovere dovere invecchiare 

Sentire e fare attenzione 
ubriacarsi d'amore 
è una fissazione 
è il mestiere che vivo 
e l'inchiostro aggrappato 
a questo foglio di carta 
di esserne degno 
è il mio tentativo

Credo che chiunque potrebbe trovarci dentro delle connessioni, nemmeno troppo velate, con Cesare Pavese, ma riuscire a metterle in un modo semplice e convincente all’interno di una metrica e di una melodia è il trucco del musicista. In caso contrario tutti i cantanti dovrebbero essere giudicati come letterati, cosa che ci porterebbe fuori strada, il musicista non è né un poeta, né uno scrittore.

È chiaro che il tema dell’immensità della domanda umana, della necessità di avere un senso, di amare e soffrire con un senso, è un tema che compare da Erodoto fino ad oggi. Questi cantanti non sono fuori dal mondo, fanno parte dello stesso percorso di esperienza umana che ha dato Dante, Manzoni, ma anche Hitchcock, ognuno chiaramente con il suo livello di grandezza, di tecnica e di percezione umana delle cose. Queste cose le troviamo in Niccolò Fabi e in Jovanotti, e ho scelto loro perché sono più vicini a noi e sono di Roma, ma le troviamo in Guccini, Paolo Conte, Vasco Rossi, Francesco De Gregori, in tanti di loro c’è una immensa tensione umana.

È sufficiente prestare attenzione e, fra tante cose da buttare, trovi una cosa bella. Ogni tanto ci si imbatte in qualcosa di strano e bizzarro e, per chi come  me, ascolta tanta musica, è più facile che accada. Alcuni anni fa un personaggio molto particolare, un ragazzo torinese, con il suo gruppo ha inciso un disco che si chiamava  Deian e Lorsoglabro. A lui piace lavorare sulla fonetica, sulla complessità, una persona divertentissima. La prima volta che l’ho incontrato non sapevo chi mi sarei trovato davanti e mi sono visto arrivare questo ragazzo con la chitarra, un fiasco di vino in mano e una barba lunghissima. Vi faccio ascoltare una sua canzone che è uno squarcio sul cielo. Lui è torinese, lavora in un negozio che vende pizza al taglio, scrive benissimo e ha fatto questa canzone in cui il protagonista cammina per le strade di Torino e di colpo si accorge che c’è la luna. La canzone è una sorta di funky campionato, un po’ di jazz, lui e il suo gruppo vestiti da astronauti, e nonostante “questi cazzo di lampioni, c’è la luna!”. La vita di colpo cambia, si vede la luna!

(il video online è privato)

Parola nuova non c’è, una frase nuova non c’è, per dire che la luna è così bella. Un ragazzo di 26 anni. Il video è pieno di citazioni, ma il tema è la misteriosità che si infila nella vita quotidiana di un ragazzo che è abituato, probabilmente, ad andare a preparare le pizze in un quartiere periferico di Torino e scopre che, nonostante tutte le brutture e gli orrori edilizi, la luna è là, definitivamente bella. Ci sono canzoni che ti tirano dentro questo grado di mistero. Due anni fa alla festa degli studenti universitari di Messina, ho proiettato alla fine questo video e mille persone sono rimaste in assoluto silenzio a osservare una luna enorme, anche dopo la fine del pezzo. Era evidente che non era più solo un brano da ascoltare, ma una provocazione che portava da un’altra parte.

Ma dove? Il collegamento che mi viene in mente è con i Pink Floyd che, nel momento di massimo successo hanno inciso un disco che si intitolava Wish you were here. I Pink Floyd erano quattro studenti di architettura e arti applicate, i due capi sono il bassista, Roger Waters e il chitarrista, Syd Barrett. Syd Barrett, già schizofrenico, si droga pesantemente con conseguenze devastanti che lo portano ad uscire di scena già alla fine degli anni ’60. Roger Waters, vera anima dei Pink Floyd, anni dopo costruisce tutto questo disco intorno all’amico che manca. La canzone è immensa:

So, so you think you can tell
heaven from hell?
Blue skies from pain?
Can you tell a green field
from a cold steel rail?
A smile from a veil?
Do you think you can tell?
And did they get you to trade
your heroes for ghosts?
Hot ashes for trees?
Hot air for a cool breeze?
Cold comfort for change?
Did you exchange a walk on part in the war
for a lead role in cage?
How I wish, how I wish you were here
We're just two lost souls
swimming in a fish bowl
Year after year,
running over the same old ground
What have we found?
The same old fears. 
Wish you were here.

In tutto il testo si ripete “se tu fossi qui”, è come se Roger Waters ponesse davanti all’amico tutte le domande che si sono fatti e chiedesse all’amico di interagire, ma le domande vanno al di là dell’amico, il tu al quale ci si rivolge è sì l’amico, ma forse anche un altro Amico. Non a caso nell’ultimo album, non molto bello, della gloriosa storia dei Pink Floyd, che si chiamava The final cut, la prima canzone, The post war dream, le prime strofe dicono

Dimmi la verità, 
Dimmi, perché
 
Gesù fu crocifisso?
 
È per lo stesso motivo che papà è morto?
 
Era per te? Per me?
 
Ho guardato troppa televisione?
 
C'è un'ombra d'accusa nei tuoi occhi?
 

Roger Waters è uno che ha posto domande immense. Ecco, ogni volta che incontriamo canzoni che ci introducono al mistero, quello che possiamo fare è cercare di conoscere la storia dalla quale vengono, perché le canzoni non nascono per caso, ma hanno dietro la storia di una persona, dei fatti. Quando i Beatles incidono The long and winding road, l’ultima in assoluto della loro produzione, Paul McCartney nel testo si rivolge a John Lennon, ormai i  Beatles erano morti, non c’erano più dicendo:

La strada lunga e tortuosa 
Che conduce alla tua porta 
Non scomparirà mai 
Ho già visto quella strada prima d'ora 
Mi ha sempre condotto qui 
Mi conduce alla tua porta 

La notte ventosa e tempestosa 
Che la pioggia ha lavato via 
Ha lasciato una piscina di lacrime 
Piangendo per il giorno 
Perché mi hai lasciato qui 
Fammi conoscere la strada 

Tante volte sono stato solo 
E tante volte ho pianto 
Ad ogni modo tu non saprai mai 
Tutte le volte in cui ci ho provato ma 
Comunque tutto mi riporta ancora indietro 
Alla strada lunga e tortuosa 
Dove tu mi hai lasciato 
Molto, molto tempo fa 
Non lasciarmi qui ad aspettare 
Conducimi alla tua porta 

Ma mi riportano ancora indietro 
Alla strada lunga e tortuosa 
Dove tu mi hai lasciato 
Molto, molto tempo fa 
Non lasciarmi qui ad aspettare 
Conducimi alla tua porta 

Tante volte sono stato solo 
E tante volte ho pianto 
Ad ogni modo tu non saprai mai 
Tutte le volte in cui ci ho provato ma 
Comunque tutto mi riporta ancora indietro 
Alla strada lunga e tortuosa 
Dove tu mi hai lasciato 

Molto, molto tempo fa 
Non lasciarmi qui ad aspettare, non farmi aspettare 
Conducimi alla tua porta, sì, sì, sì, sì 

Paul McCartney dice al suo amico: io faccio una strada lunga e tortuosa per arrivare a te, ma tu fatti trovare! E non è una domanda geografica.

Sicuramente la grande musica, una grande canzone, non è tanto quella di interpreti noti, ma quella che ha la capacità di evocare qualcosa che esiste dentro di me. Se io devo trasmettervi un metodo che possa essere applicato, magari a scuola, o al catechismo, credo che il primo punto sia il fatto che voi, come me, come chiunque sia disposto a essere ricettivo nei confronti di quello che si ascolta.

Perché uno tira fuori grandi cose da film, o da libri che ad altri non dicono nulla? Perché a un certo punto si sono accorti che Cormac McCarthy è il Dostoevskij dei nostri tempi? Perché si è capito che La strada è un libro apocalittico, ma che porta risposte positive nei confronti dell’Apocalisse? Perché qualcuno lo ha letto cominciando a chiedersi cosa c’era di profondamente umano che attraeva in quelle storie.

Io credo di aver letto tutto Cormac McCarthy e non c’è nessun altro autore così tremendamente violento come lui, penso a Meridiani di sangue, ma anche a La strada, dove c’è un brano in cui il papà fa distogliere lo sguardo al figlio perché poco distante un gruppo di persone sta cuocendo una persona allo spiedo. La grandezza di Cormac McCarthy non è nel fatto che sconfina nel pulp, ma nel fatto che non indulge a effetti truculenti, ma ti porta dentro le domande importanti. La grandezza di certi musicisti sta nel fatto che attraverso le loro magie artistiche, ti portano dentro alle domande ultime della vita, commisurate alle varie età degli ascoltatori.

Vi faccio ascoltare ora due cose che possono far riflettere su come l’amore, la morte, la preghiera, sono i grandi attori non solo della storia, ma anche di chi si occupa di canzoni. Abbiamo visto un po’ d’amore, un po’ di morte, rimane quella cosa che è l’atteggiamento di preghiera che ognuno di noi ha nei confronti del mondo.

La prima riguarda Freddie Mercury, il cantante dei Queen. Dopo la sua morte per AIDS ci fu un grande concerto al Wembley di Londra, il Freddie Mercury Tribute e, durante questo spettacolo, si è verificato uno dei momenti più sconvolgenti e affascinanti della storia della musica rock, l’esibizione di un altro famosissimo cantante, David Bowie.

Freddie Mercury muore, si fa questo concerto, David Bowie va in scena suonando con altri artisti e alla fine lui chiede al pubblico di ricordare tutti gli amici morti per AIDS, per overdose, facendo con lui l’unica cosa che si può fare, si inginocchia e recita il Padre Nostro di fronte a un miliardo di persone che seguivano l’evento in tv da tutto il mondo.

Vi ancora una canzone che è immediatamente successiva a questa, scritta da Eric Clapton, uomo con una storia particolare. Clapton nasce da una notte di sesso tra un marinaio americano che non ha mai conosciuto e sua madre che, appena partorito, lo lascia alla nonna. Vive dei periodi difficili, un musicista suo amico si suicida e lui in pochi giorni scrive questa canzone, Holy mother

Santa Madre, dove sei?
Stanotte mi sento spezzato in due
Ho visto le stelle cadere dal cielo
Santa Madre, non riesco a smettere di piangere

Ho bisogno del tuo aiuto in questo momento
Fammi superare questa notte solitaria
Ti prego dimmi quale strada prendere
Per ritrovare me stesso.

Ultima cosa, Tom Russel, cantautore texano, alterna questa attività a quella di criminologo, abita a El Paso, la città più violenta d’America, al confine con il Messico e lui, spesso e volentieri è coinvolto in casi di persone che finiscono nel braccio della morte. Lui mi raccontava che a furia di vedere questi messicani, che magari hanno ucciso diciotto persone, e che devono morire per iniezione letale, con il tatuaggio che raffigurava la Madonna di Guadalupe si è chiesto come mai anche il peggior criminale si tiene questa immagine. Lui è un laico, per niente religioso, alcuni anni fa è andato a Città del Messico e arriva per la celebrazione della notte di Natale al santuario della Madonna di Guadalupe. Tom Russel scrive una canzone sulla Madonna in cui dice

«Quando le montagne risplendono come il vino della missione
E diventano grigie come certi purosangue spagnoli
Diecimila occhi si fermeranno a pregare
Si volteranno, andando verso casa
Lei mi protende le sue braccia stanotte
Signore, la mia povertà è vera
La mia preghiera è che piovano rose su di me
Da Guadalupe sulla sua collina
Ma chi sono io per dubitare di questi misteri
Tirati su in secoli di sangue e fumo di candele».

«Sono l’ultimo dei tuoi pellegrini qui
Sono quello che ha più bisogno di speranza».

L’abbandono di un uomo assolutamente senza fede, che neanche si pone il problema, ma che, nell’intervista, che gli ho fatto ha detto: io non posso mettere in dubbio che lì ci sia la presenza della Madonna e di suo Figlio, non che questo mi cambi la vita, ma è indubitabile!

Spero di avervi dato qualche idea!