Recensione del prof. Rocco Pezzimenti al volume di Andrea Lonardo Il potere necessario

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 08 /03 /2015 - 17:35 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Res Publica, rivista della LUMSA edita da Rubbettino, n. 7 – settembre-dicembre 2013, pp. 159-161, una recensione del prof. Rocco Pezzimenti al volume di Andrea Lonardo Il potere necessario. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti e per una presentazione del voume Il potere necessario, cfr. la sotto-sezione L'alto medioevo nella sezione Storia e filosofia.

Il Centro culturale Gli scritti (8/3/2015)

A. Lonardo, Il potere necessario. I vescovi di Roma e 
il potere temporale da Sabiniano a Zaccaria (604-752),
Edizioni Antonianum, Roma, 2012

Capita raramente, sul piano storiografico, di leggere libri realmente innovativi capaci di resistere alle sirene dei luoghi comuni, paradossalmente infondati, ma per lo più accettati come se fossero basati su principi dogmatici. È questo il primo pensiero che mi è venuto in mente dopo aver letto, senza mai annoiarmi, il presente studio di Lonardo.

Anche quando tratta di argomenti legati a una particolare funzione essi appaiono correlati a un contesto ricco e policromo che li fa apparire in un modo diverso. Basterebbe leggere le pagine sull'avvio di una zecca che, per l'autore, ancor prima che il fattore economico, evidenzia quello politico.

L'Urbe non è affatto una città abbandonata a se stessa. Notevoli sono gli interventi di risistemazione. Lavori voluti e diretti da una burocrazia efficiente e presente. Come sostiene Arnaldi, "sotto Gregorio Magno la Chiesa romana era ormai subentrata all'amministrazione imperiale nella gestione dei servizi annonari" (p. 63).

Molta ignoranza vela gli eventi di quel periodo. Infatti, "pochissimi immaginano che ancora nel 663 un imperatore venne a risiedere nel palazzo imperiale al Palatino, come sovrano nella propria casa", segno evidente che questa doveva essere curata anche durante la sua assenza. Per questo c'è chi sostiene che fino all'epoca carolingia l'apparato amministrativo non abbia mai cessato di funzionare.

Semmai, mano a mano che la burocrazia imperiale andava in crisi, i pontefici "divennero progressivamente i referenti e i garanti dell'amministrazione tout court".

Sebbene i papi siano arrivati ad accrescere la loro autorità in campo civile relativamente più tardi degli altri vescovi, la conservarono poi in modo più duraturo.

L'elezione del vescovo di Roma avveniva indipendentemente dalle indicazioni del sovrano, anche se questi doveva ratificarla. Lo testimonia il fatto che, la lunga vacanza che si determinava prima della consacrazione, serviva al potere civile solo per "controllarne la correttezza procedurale". Il fatto che la ratifica imperiale non sia mai stata negata per l'elezione di nessun papa, conferma la "autorevolezza di cui godeva la sede apostolica". La ratifica conferma altresì che, per le fonti romane, l'autorevolezza dell'Impero "non aveva conosciuto alcuna interruzione" (pp. 5-6 e 21-23).

Parallelamente, era proprio la santa Sede che permetteva all'Impero di avere ancora rapporti con i Regni dell'Occidente, fino alla Britannia, continuamente "attraversati dai missionari e dalle loro missive" (p. 33 nota 59). Il che la dice lunga, non solo sull'autorevolezza della Sede Apostolica Romana, ma anche sulle difficoltà di spostamento che interessarono l'Alto Medioevo e che avrebbero reso impossibile il commercio. Argomento sul quale tornerò tra poco.

Gioverà sottolineare che nel 381, nel Concilio Costantinopolitano I, "la sede di
Roma era stata proclamata ufficialmente la prima di tutte le sedi episcopali" e, in seguito, quando sorgevano contrasti di natura teologica, Roma teneva a rimarcare che la condanna riguardava sempre il vescovo di Costantinopoli e in nessun modo l'imperatore (pp. 42-43). Già da allora era ferma la distinzione tra potere temporale e religioso.

Quando alla metà del VII secolo si rese necessaria la convocazione di un Concilio per dirimere la questione del monotelismo, questo fu preparato a Roma nel sinodo Lateranense. Il suo principale ispiratore, e l'estensore dei passaggi più significativi, sarebbe stato Massimo il Confessore. Ciò testimonia, tra l'altro, "la grande capacità della cancelleria romana di lavorare in questa circostanza nelle due lingue greca e latina (...) chiaro indizio della permanenza della capacità di produrre cultura nella Roma della metà del VII secolo". Che la Santa Sede avesse un particolare peso a Costantinopoli è dimostrato dal fatto che, anche in altre materie, la voce della curia romana era particolarmente ascoltata.

Durante il breve pontificato di Giovanni V (685-686), l'imperatore modificò la legislazione in materia fiscale, per renderla meno gravosa, "probabilmente dietro esplicita richiesta pontificia" (pp. 112-113 e 192).

È stato notato da alcuni studiosi che, alla classica formula binaria Senatus Populusque Romanus,si vada sostituendo, a partire dal pontificato di Benedetto II, quella ternaria Clerus Exercitus Populus.Questo indica non solo un risvolto politico, che vedeva la città decisamente schierata a fianco della sede apostolica, come evidenziano le vicende di Martino I, ma anche uno economico. In quel periodo, proprio per ridurre le spese militari dovute ai continui trasferimenti delle truppe e per "rendere più efficace la difesa in loco",si procede a "una crescente localizzazione dell'esercito" (pp. 255 e segg.).

Tutto ciò sottolinea anche una continuità, e direi un'autonomia, nella gestione economica della regione. L'erogazione degli stipendi per burocrazia e militari, ma non solo, sottintende un sistema fiscale capace di reperire fondi. Più volte, nel Liber Pontificalis,si sottolinea la regolarità nei pagamenti. Il sistema fiscale era inoltre assai diversificato il che evidenzia, da parte imperiale, la piena consapevolezza delle diverse realtà che doveva governare.

Per quanto riguarda la finanza romana va inoltre tenuto conto, e i documenti lo sottolineano spesso, che l'amministrazione non si curava solo di pagare gli stipendi, ma anche della beneficenza che era, come è logico, un elemento decisivo per la Chiesa (pp. 264-265 e 276).

Nelle questioni economiche rientravano anche i costi di edilizia e di manutenzione. "L'elenco imponente delle opere realizzate offre una visione dell'Urbe come di una città che non appare in rovina e allo sbando". Come si è già detto per alcuni materiali di importazione, non si pensava solo al restauro o alla costruzione, ma anche all'abbellimento. Questo aspetto rileva come ormai la città disponesse di fondi e gestione sicuramente autonome (pp. 280 e segg.). Insomma, la vita civile ed economica si sviluppava al pari di quella religiosa.

Che ormai il papato si sentisse autonomo da Costantinopoli lo testimonia anche un altro aspetto economico, quello delle spese di difesa. Sappiamo per certo "che la plurima pars murorum fu risistemata". Si avvertiva, infatti, un triplice pericolo, "quello longobardo, quello arabo e quello bizantino", che poteva venire da più parti. Questo spiega perché, oltre alle mura cittadine, si pensò di restaurare anche quelle di Centumcellae,l'odierna Civitavecchia.

Trovarsi di fronte al nemico longobardo testimonia come la sede romana affrontava, ormai da sola, il confronto con le diverse popolazioni del nord, sulle quali la sua reputazione morale le conferiva un ruolo di primo piano, anche nelle vicende politiche e non solo in quelle religiose e pastorali (pp. 340-342 e 427). Al riguardo merita di essere ricordata la vicenda della restituzione di Sutri da parte del re longobardo. Il tutto "sembra avvenire per la semplice richiesta di Gregorio II che, da vescovo di Roma, si rivolge al re, in quanto fedele della chiesa" (p. 324).

Ciò mostra come, non solo su questioni religiose, "Roma fosse percepita non come legata esclusivamente al mondo latino". Lo dimostra chiaramente l'espressione ricorrente "toto in orbe terrarum",usata più volte dal pontefice Zaccaria, come emerge dalle testimonianze della sua vita.

Del resto, ormai, anche verso il mondo orientale la chiusura della questione monotelita aveva conferito ai papi una superiorità sul piano teologico e spirituale e, l'allentamento dei legami politici, anche una vera autonomia, accresciuta con la crisi dell'esarcato di Ravenna. Lo conferma proprio la consacrazione di papa Zaccaria avvenuta una settimana dopo l'elezione, a riprova che non c'era più bisogno di attendere, come in passato, "nessuna iussio dell'esarca" per conto dell'imperatore o dell'imperatore stesso (pp. 406-410 e 347).

Comunque sia, anche le ricorrenti delegazioni, e i traffici commerciali a esse collegate, testimoniano che i longobardi, e i vari popoli del nord, non impedirono spostamenti e traffici, al pari di quanto avveniva nel Mediterraneo. Certo, come sempre, vi furono periodi più o meno vantaggiosi per gli scambi economici. Ma, anche quando vi fu la "ristrettezza dei tempi", strutture amministrative, militari e commerciali continuarono a funzionare. Tutto ciò, naturalmente, "non concorda con una Roma del VII secolo depressa e composta in larga parte di indigenti". La città era anche piena di lavori di costruzioni, di restauro e di risistemazione e, quindi, anche capace di dare lavoro (pp. 473 e 486). Simili opere continuarono anche nell'VIII secolo quando si effettuarono lavori enormi come quelli per l'ecclesia Sancti Laurenti e soprattutto per la basilica beati Pauli apostoli le cui travi, per il restauro, furono fatte giungere de Calabria (pp. 304 e 306), a testimonianza della vivacità di traffici e di trasporti.

A conclusione gioverà ricordare che Liber Pontificalis,vera fonte di questo pregevole e utilissimo lavoro, è giustamente considerato come un'opera aperta e innovativa, "sempre da completare ad ogni nuova elezione pontificia". Un'opera che non poteva mai dirsi definita, bensì "destinata ad accrescersi ad libitum",all'interno di una successione apostolica che ha un costante riferimento "a Pietro stesso" (p. 501). Su questa fonte si costruisce l'intero studio di Lonardo che tende però a evidenziare come il "potere temporale del vescovo di Roma sorse non a partire da una visione ideologica previa", tentazione assai comune tra quanti sono portati a confondere le ragioni del potere temporale con quello spirituale, ma si sviluppò in "profonda adesione alle contingenze storiche" e "richiese tempi molto lunghi per giungere a maturazione" (p. 540).