La nascita della Civiltà Cattolica: a difesa del papa ma non della monarchia e, soprattutto, già nel 1850, scritta per tutta l’Italia, di Giovanni Sale

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 04 /12 /2016 - 22:23 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un estratto dall’articolo di Giovanni Sale S.J., La Civiltà Cattolica nei suoi primi anni di vita, in La Civiltà Cattolica, anno 150°, volume I, quaderno 3570, pp. 544–557. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti. cfr. la sotto-sezione L'ottocento e il Risorgimento nella sezione Storia e filosofia.

Il Centro culturale Gli scritti (4/12/2016)

La data di nascita della Civiltà Cattolica può essere convenzionalmente fissata il giorno 9 gennaio 1850, quando Pio IX, che a quel tempo risiedeva a Portici presso Napoli, ordinò d’autorità (durante un’udienza privata concessa al generale della Compagnia di Gesù, p. Johan Roothaan) che si desse inizio da parte dei gesuiti italiani alla pubblicazione di una rivista o di un «giornale popolare» scritto in lingua italiana, che combattesse gli errori moderni e allo stesso tempo difendesse dagli attacchi dei liberali e dei razionalisti la dottrina cattolica e gli interessi della Santa Sede. I gesuiti decisero immediatamente di dare pronta esecuzione all’ordine papale, troncando così ogni ulteriore discussione, che si protraeva da anni all’interno della Compagnia, sull’opportunità o meno di intraprendere un impegno così gravoso e delicato. Il padre Generale Roothaan, che all’inizio si era dimostrato eccessivamente prudente – per non dire timoroso nell’accogliere le proposte che gli erano state fatte da alcuni dotti gesuiti italiani – dopo l’ordine di Pio IX divenne «il più efficace patrono dell’impresa voluta dal papa e prese a sostenerla contro tutti gli oppositori».

Il primo gruppo di scrittori della nuova rivista era costituito da valenti studiosi gesuiti, che si erano distinti nel campo delle scienze teologiche, filosofiche e letterarie, e avevano dato prova di essere buoni scrittori. Vi comparivano i due maggiori pensatori gesuiti di quel tempo: il p. Luigi Taparelli d’Azeglio, conosciuto per il suo Saggio teoretico di dritto naturale appoggiato sul fatto e per aver sostenuto a Palermo nel 1848 i moti rivoluzionari, e il p. Matteo Liberatore, studioso di filosofia tomista e autore delle Institutiones Philosophiae. Facevano parte del gruppo dei «fondatori» anche il p. Antonio Bresciani, famoso a quel tempo come scrittore di romanzi e racconti edificanti, il p. Giovanni Battista Pianciani, studioso di scienze positive e autore di un noto testo adottato in quegli anni nei principali licei d’Italia, intitolato Istituzioni fisico-matematiche, e inoltre il p. Carlo Piccirillo, il p. Giuseppe Oreglia di Santo Stefano (a quel tempo ancora scolastico), e infine il p. Carlo Maria Curci (autore di importanti opere apologetiche contro Gioberti), che divenne direttore e responsabile della nuova rivista. Infatti fu lui a portare il peso maggiore delle successive battaglie che ben presto la nuova rivista dei gesuiti – fedele al papa e rispettosa di tutte le forme di Governo legittimamente costituite – dovette combattere contro la polizia borbonica, di spirito ancora tanucciano, sospettosa di ogni voce che non si levasse a difesa aperta dell’assolutismo monarchico e delle prerogative regie.

La raccolta completa della rivista

Il primo fascicolo della Civiltà Cattolica fu stampato a Napoli il 6 aprile 1850. Il fatto però che essa venisse pubblicata in uno Stato retto da un regime assoluto gettava ombra sull’effettiva libertà dell’impresa appena iniziata. E in effetti la nuova rivista fu immediatamente sottoposta non solo alla censura preventiva del Ministro dell’istruzione, ma perfino a quella della polizia, che utilizzava tutti i suoi poteri per bloccarne la diffusione. Vi era perciò il rischio che la rivista nell’opinione dei più venisse considerata asservita agli interessi della monarchia assoluta e perciò nemica dei governi costituzionali e «rappresentativi», come appunto sostenevano i denigratori di questa impresa: i liberali, i massoni, i radicali, tutti ugualmente anticlericali e nemici della Chiesa. I padri però, soprattutto Taparelli e Curci, non volevano essere considerati i «puntellattori» di quel regime, oramai destinato alla rovina. Ciò risultava chiaramente già dal testo programmatico della rivista, che i padri avevano fatto circolare nel mese di marzo, in circa 120 mila copie, in tutti gli Stati italiani. Da esso risultava chiaramente che la Civiltà Cattolica non intendeva attaccarsi al carro dell’assolutismo dispotico e legittimista, ma che cercava invece soltanto nel papato e nella dottrina cattolica il sicuro punto di riferimento del suo programma, per un’azione culturale che si sperava essere universale e civilizzatrice in senso cristiano. 

Il programma della rivista non piacque però ai regalisti borbonici; il re Ferdinando II se ne lamentò con il p. Roothaan, che fece chiamare appositamente da Roma per esprimergli il suo disappunto. Esso fu tacciato di «indifferentismo» e di non sostenere apertamente i diritti divini e imprescrittibili dei monarchi. Infatti, secondo i «regalisti», il programma della rivista non si poteva sostenere dove questo affermava esplicitamente di «sostenere i principii della autorità senza darsi carico speciale di una forma di governo più che di un’altra». Era dunque chiaro che la rivista non poteva sottostare al giogo del dispotismo borbonico, conservando la sua libertà di pensiero e di espressione, né poteva essere credibile agli occhi degli uomini liberi, quando i suoi articoli venivano censurati dalla sospettosa polizia borbonica, a quei tempi invisa all’opinione pubblica italiana.

Fu allora, dopo alcuni incidenti intercorsi tra la rivista dei gesuiti e le autorità regie di polizia e dietro insistenza del p. Liberatore, che il padre Generale il 21 settembre 1850 impartì agli scrittori l’ordine di lasciare Napoli per Roma, che divenne la sede definitiva della rivista. La comunità si trasferì nella casa di noviziato in via del Quirinale (l’amministrazione fu però fissata in via S. Romualdo), dove nel cortile fu impiantata anche la tipografia. Il 1° novembre 1850 uscì il primo fascicolo romano della Civiltà Cattolica. Il papa stimava la rivista e i suoi scrittori, ma essa era guardata con sospetto dagli uomini che lo circondavano (interessati a perpetuare vecchi privilegi e sorpassate consuetudini) per le idee politiche che essa diffondeva tra la gente di cultura. La rivista già dai tempi di Napoli aveva messo in piedi un sistema efficiente e moderno di distribuzione dei fascicoli, basato su una rete locale di distribuzione che faceva capo ad un agente fiduciario responsabile chiamato «gerente» (spesso era un gesuita), che a sua volta si incaricava di organizzare in loco la diffusione capillare della rivista.

Ricordiamo che a quei tempi risultava difficilissimo, a motivo della divisione del territorio italiano in tanti piccoli Stati sovrani, far arrivare ovunque la rivista in tempi ragionevoli, poiché essa doveva passare attraverso molte dogane e quindi essere sottoposta a diverse censure e controlli. Il sistema nel giro di poco tempo riuscì però a funzionare perfettamente, tanto che nel giro di pochi mesi si arrivò a stampare più di 8.000 esemplari per numero: cifra record per quei tempi.

La rivista in questo modo constatava «praticamente» i vantaggi di un’Italia riunificata (così tanto conclamata a quei tempi dai liberali), che però doveva condannare sul piano ideologico con tutte le sue forze, al fine di difendere il potere temporale dei papi. Paradossalmente i gesuiti pensarono fin dall’inizio alla loro rivista in termini «italiani» prima ancora che esistesse politicamente l’Italia. Per tutta la durata della prima serie (1850-1853), essi fecero apporre nella copertina della Civiltà Cattolica la didascalia «rivista per tutta l’Italia, affinché essa «venisse riguardata come indigena da Susa in sino a Malta e da Nizza insino a Trieste»; in questo essi furono de facto antesignani del movimento di riunificazione, che essi, sebbene negli scritti lo condannassero, di fatto avevano già realizzato.

La seconda serie della Civiltà Cattolica iniziò nel 1853. Il suo programma fu stampato in 160 mila copie e diffuso in ogni parte d’Italia e anche altrove. Con esso la rivista si impegnava a restaurare la filosofia tomista e a porla alla base della sua attività intellettuale, «per condurla nella sustanza, quanto è da noi, a quel che era per i nostri maggiori e segnatamente per S. Tommaso». Questo programma negli anni successivi fu coraggiosamente attuato dalla rivista romana, che contava tra i suoi scrittori tomisti convinti e di valore quali il p. Liberatore, il p. Taparelli, il p. Calvetti e altri. Questi pensavano di combattere il razionalismo ateo moderno con un metodo altrettanto razionale, ma che poneva Dio al suo centro. La «svolta» tomista della Civiltà Cattolica precedette e in qualche modo preparò quella che Leone XIII attuò successivamente nel 1879 con l’enciclica Aeterni Patris. La rivista anche a Roma continuò a difendere in materia politica il principio che essa, come la Chiesa, non intende parteggiare per nessuna forma di governo in particolare, ma «li rispetta tutti purché siano legittimi (altrimenti li tollera)».

L’istituzione del «collegio degli scrittori» della Civiltà Cattolica non avvenne subito, sebbene esistesse già dall’inizio un gruppo fisso di redattori preposti a questo fine: fu il p. Calvetti, negli anni dell’esilio bolognese del p. Curci, che riuscì a ottenere il consenso del papa alla costituzione di una comunità autonoma di scrittori, sottoposta, attraverso la mediazione dei superiori della Compagnia, al Romano Pontefice. Le linee fondamentali di questo nuovo istituto furono fissate dallo stesso p. Curci che suggeriva al Calvetti: «La Santità del Sommo Pontefice, potrebbe con autorità Apostolica costituire una casa di scrittori della Compagnia di Gesù al servizio della Chiesa pel fine suddetto alla disposizione dei Romani Pontefici e sotto l’immediata dipendenza del Preposito Generale della stessa Compagnia, secondo tutte le norme del collegio di questa». Il breve pontificio Gravissimum supremi di Pio IX che il 12 febbraio 1866 eresse e costituì «perpetuamente» il collegio degli scrittori, di fatto accolse pienamente i suggerimenti del p. Curci”.