La “Gestazione per Altri” è una barbarie, di Giampaolo Nicolais

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 05 /03 /2017 - 21:46 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati:
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo dal blog https://giampaolonicolais.wordpress.com/ un articolo del prof. Giampaolo Nicolais, psicologo dell’età evolutiva, pubblicato  l’1/3/2017. I neretti sono nostri ed hanno l’unica finalità di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi le sezioni Psicoanalisi e psicologia e Famiglia, affettività e sessualità

Il Centro culturale Gli scritti (5/3/2017)

La Gestazione per Altri (GPA), o maternità surrogata, è una barbarie. Ci fa regredire ad una condizione di arretratezza dove la violenza regola la vita e l’interazione tra esseri umani. Il fatto stesso che poche e flebili voci si levino contro la GPA, è prova schiacciante del nostro imbarbarimento.

Come docente di psicologia dello sviluppo, mi appare profondamente barbarico l’orientamento di una scienza che fa suo il principio mercantile quale prevalente (unico?) compasso etico nel quale tutti tendiamo a muoverci, agendo irriflessivamente e regressivamente.

Come si muove, infatti, la psicologia di fronte alla GPA?

Da un lato, ribadendo che le madri surrogate non sembrano sviluppare particolari disturbi psichici dopo avere consegnato il bambino alla coppia ordinante. Come in questo studio, che mostra risultati di follow-up a 10 anni relativi alla salute mentale delle madri surrogate le quali presentano livelli di autostima, depressione  e soddisfazione coniugale in linea con quelli della popolazione normale.

Dall’altro, accreditando normali traiettorie di sviluppo nei bambini nati da GPA. Come in questo studio longitudinale sullo sviluppo e sulla qualità del rapporto con la propria madre di bambini dalla nascita ai 7 anni di vita, confrontando tra loro tre diversi campioni: bambini nati da concepimento naturale, da maternità surrogata e da donazione di ovuli. Le valutazioni dei bambini e del loro rapporto con la madre ad 1, 2 e 3 anni indicano positive traiettorie di sviluppo in tutti e tre i gruppi, con livelli di calore e qualità dell’interazione percepita superiori nei casi di bambini nati da madri surrogate.

Poco importa che molti di questi studi abbiano importanti limiti metodologici, come ribadito in questo recente lavoro che li descrive nel dettaglio, sottolineando peraltro la mancanza di studi sullo sviluppo di bambini nati da madri surrogate e che crescono con padri gay. Né importa che lo studio longitudinale sui tre gruppi di bambini abbia mostrato come, nel follow-up a 7 anni,  i dati non confermino il trend osservato precedentemente.

In particolare, il dato più sorprendente riguarda la qualità dell’interazione madre-bambino, che in questo follow-up è stata videoregistrata e valutata da osservatori indipendenti (laddove, nelle valutazioni precedenti, il dato era riferito alla sola autovalutazione delle madri, e perciò meno oggettivo). Sorprendentemente, il livello di reciprocità nell’interazione madre-bambino – in altre parole la misura di elementi nucleari di una ottimale relazione di accudimento quali la responsività, la reciprocità e la cooperazione diadiche – è risultato essere significativamente maggiore nelle diadi con bambini nati da concepimento naturale tanto rispetto a quelli nati da madri surrogate quanto a quelli nati da donazione di ovuli.

Commentando questo dato inatteso, gli stessi autori ipotizzano che “…la mancanza di differenze tra le famiglie formate da surrogazione in cui le madri non hanno partorito il loro bambino e le famiglie formate da donazione di ovuli in cui le madri hanno partorito il loro bambino, induce a ritenere che la mancanza del legame genetico, e non di quello gestazionale, potrebbe essere associata con quelle interazioni madre-bambino meno positive (…) l’assenza di una relazione genetica eserciterebbe un impatto maggiore sull’interazione meno positiva madre-bambino rispetto a fattori associati con la mancanza di un legame gestazionale” (traduzione mia). Pur non avendo ancora chiarito i motivi per i quali ciò accadrebbe, la scienza pare quindi confermare attraverso l’osservazione controllata e indipendente della qualità del rapporto tra una madre e il suo bambino ciò che ciascuno di noi sa istintivamente: la natura privilegiata e superiore del legame tra il bambino e la propria madre genetica rispetto a legami madre-bambino di natura diversa.

Ma questi e altri dati sembrano essere accolti al più come incidenti di percorso. L’importante è dimostrare che, nella GPA, i “criteri di produzione” non comportano lo sfruttamento dei lavoratori (le madri surrogate), e che il “prodotto” è buono e non si guasta con l’uso (il bambino).

In questo modo, è ancora possibile fare finta che l’elefante nella stanza non esista. Omettere sistematicamente qualcosa di enorme che la psicologia dello sviluppo ha dimostrato da quasi 50 anni. E cioè che esiste un legame straordinariamente complesso e tenace tra la madre gestante e il suo bambino che si forma durante i 9 mesi della gravidanza. E che questo legame è funzionale allo sviluppo del bambino: non è qualcosa di accidentale, ma ha un ruolo decisivo per la crescita.

Aprendo un qualsiasi manuale di psicologia dello sviluppo edito a partire dagli anni ’70, chiunque può apprendere facilmente che, a pochi giorni dal parto, il neonato riconosce e preferisce selettivamente la voce della madre rispetto a quella di altre madri; riconosce e preferisce l’odore del suo latte rispetto a quello di altre madri; attraverso la sua capacità di percezione transmodale, riconosce e preferisce il “timbro” comportamentale della propria madre, un codice unico che il bambino solo conosce e che lo sintonizza con “quella” persona che lo allatta, gli parla, lo abbraccia, lo calma – “quel” ritmo e non altri, per quanto amorevoli e attenti possano essere.

La teoria dell’attaccamento, d’altro canto, ci ha spiegato come ciascuno di noi nasca preprogrammato biologicamente a ricercare fin da subito una figura “adulta e saggia” in modo tale da ottenerne protezione e conforto nello stress, nella paura e nella difficoltà. Diverse persone – i caregivers, nel lessico della psicologia dello sviluppo – forniranno nel tempo questa base sicura. Ma in questa pluralità esiste una gerarchia, e la madre biologica ne costituisce il vertice. Proprio a motivo di quei 9 mesi, della preparazione alla vita che rappresentano attraverso l’acquisizione del codice di corrispondenza unico e irripetibile, e perciò non riproducibile nella relazione con altri caregivers.

Questi fenomeni riguardano ogni bambino ed ogni madre, nessuna esclusa.

La psicologia dello sviluppo sa tutto questo. Ma tace. Perché il ruolo decisivo del legame biologico tra madre e bambino deve lasciare spazio e primato al ruolo delle “funzioni genitoriali” – tutti possiamo amare, ergo tutti possiamo essere genitori, ergo nessuno è più decisivo di nessun altro nella crescita di un bambino. I nostri tempi vogliono che nature sia sostituito da nurture. Così dev’essere, nel sonno del politicamente corretto e dell’affermazione del diritto di un adulto a vivere senza limiti, fossero anche quelli della propria biologia.

Per ciò che mi riguarda, è tempo di agire. Stay tuned.