1/ Non gli stranieri, bensì prima gli spacciatori italiani. Non un caso isolato, bensì il dramma della droga che opprime l’intero San Lorenzo. Peppone e don Camillo debbono accorrere insieme in aiuto di un quartiere degradato e bellissimo, di Andrea Lonardo 2/ Bisogna tener duro. La tragedia di San Lorenzo e l’omicidio di Desirée: la vera sfida, di Eraldo Affinati 3/ La morte di Desirée. Parsi: cresciuta senza punti di riferimento, li ha cercati nel branco e nella droga. La psicologa: «Modelli sbagliati e nessuna difesa», di Lucia Bellaspiga

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 27 /10 /2018 - 14:56 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati: , , , , , ,
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

1/ Non gli stranieri, ma gli spacciatori italiani. Non un caso isolato, bensì il dramma della droga che opprime l’intero quartiere di San Lorenzo. Peppone e don Camillo debbono accorrere insieme in aiuto di un quartiere degradato e bellissimo, di Andrea Lonardo

Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Droga e dipendenze e Giovani.

Il Centro culturale Gli scritti (28/10/2018)

Ho partecipato ad una veglia di preghiera per Desirée organizzata nel quartiere San Lorenzo. Gli universitari presenti raccontavano al termine che quel quartiere bellissimo è allo stesso tempo un luogo del quale essi, di notte, hanno paura di attraversarne alcune vie. Gli spacciatori sono padroni di alcuni suoi crocicchi nelle ore in cui cala il buio della notte.

E aggiungono subito: “Non gli stranieri, ma gli spacciatori italiani. Anzi alcuni di loro ora soffiano sul fuoco, sperando che vengano allontanati gli spacciatori stranieri, per essere padroni incontrastati del mercato delle droghe”. Altri universitari aggiungono che in realtà gli spacciatori stranieri sono al soldo del racket degli italiani.

Dai commenti degli universitari romani e fuori sede di San Lorenzo appare evidente che il problema non è la presenza straniera, bensì l’assenza abituale dello Stato che da decenni ha abbandonato quel quartiere in mano alla malavita.

La paura degli studenti è che, ancora una volta, si proceda ad una sbrigativa punizione esemplare, senza preoccuparsi di andare alla radice del problema.

Anche dal punto di vista dell’immigrazione, l’uccisione di Desirée nel quartiere di San Lorenzo mostra, per l’ennesima volta e se ancora ce ne fosse bisogno, che non basta preoccuparsi di salvare qualcuno in mare, bensì, ben più profondamene, che l’attenzione deve essere incentrata sugli anni dell’integrazione e dell’inserimento, sull’accrescimento delle possibilità lavorative, senza le quali non c’è altra via, per chi viene da lontano, che l’essere inglobato dall’astuta malavita che è sempre alla porta a carpire vite umane lasciate a sé stesse (cfr. su questo La mancanza di laicità e di progetto politico nelle odierne discussioni sui migranti, di Giovanni Amico).

La presenza di persone senza permesso di soggiorno e, soprattutto, senza lavoro, in quegli stabili, testimonia non della problematicità presunta di chi non è italiano – che anzi quelle persone erano probabilmente ottime prima di giungere in Italia – bensì del perverso meccanismo, ancora mai affrontato dai politici dell’uno e dell’altro schieramento, per il quale chi giunge in Italia diviene talvolta  sbandato e “cattivo” perché l’accoglienza è tutta incentrata sui primi momenti – quelli più redditizi per la stessa mafia – mentre gli anni a venire non prevedono alcun tipo di progettualità.

Una cultura che continua a relativizzare i pericoli delle droghe, poi, illudendo che quelle leggere non siano un problema e che anzi sia opportuno prevederne la liberalizzazione, ha gravi colpe in merito, perché favorisce l’idea che la droga sia moderna e che solo mentalità antiquate possono essere contrarie ad essa che rappresenterebbe, appunto, la libertà e il piacere.

È necessaria una nuova cultura che mostri come la droga – anche quella leggera – sia in realtà il rifugio degli “infelici” e che essa diviene un vortice psicologico che risucchia i più deboli, con grave responsabilità anche di chi riuscisse ad evitare per sé lo scivolare verso fasi irreversibili.

A San Lorenzo non si tratta di un caso isolato – anche se ciò che interessava quei giovani era la vita di Desirée – bensì di una svolta culturale che chi ascolta i giovani sente emergere prepotente, come il Sinodo dei giovani non sta mancando di rilevare.

Incredibile è l’ultima preghiera di un universitario, durante le libere invocazioni dei fedeli al termine della veglia che si è celebrata per Desirée nella parrocchia dell’Immacolata e di San Giovanni Berchmans, la parrocchia che è al centro del quartiere di San Lorenzo: “Signore, fa che come l’omicida di Maria Goretti si convertì dopo quella vicenda, aiuta coloro che hanno ucciso Desirée a cambiare vita”.

Questi sono i nostri giovani. Di questi giovani abbiamo bisogno.

Peppone e don Camillo debbono accorrere insieme in aiuto di un quartiere degradato, ma che ha un’anima e una bellezza nascosta che spinge per fiorire.

2/ Bisogna tener duro. La tragedia di San Lorenzo e l’omicidio di Desirée: la vera sfida, di Eraldo Affinati

Riprendiamo da Avvenire del 26/10/2018 un articolo di Eraldo Affinati. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Droga e dipendenze e Giovani.

Il Centro culturale Gli scritti (28/10/2018)

In una tragedia come quella di Desirée Mariottini, stuprata e uccisa da un gruppo di uomini simili a belve in uno stabile abbandonato di San Lorenzo, nella capitale italiana, sono almeno tre le sconfitte da registrare, ognuna delle quali apre una sanguinosa ferita sociale: la crisi familiare che sta all’origine dell’inquietudine di questa ragazza con un padre di cui non portava il cognome e una madre di soli quindici anni più grande di lei; il fallimento delle agenzie educative che avrebbero dovuto proteggere l’adolescente evitando che da Cisterna di Latina prendesse l’autobus e se ne andasse a Roma di sera a cercare la droga; la disgregazione del tessuto istituzionale del nostro Paese, incapace di governare certi spazi urbani lasciandoli al degrado e al disordine, ricettacolo di violenze, brutalità e malaffare.

Ma dietro queste cause immediate, legate a disfunzioni anche amministrative, ce n’è un’altra più profonda che chiama in causa noi stessi: la progressiva scomparsa di adulti credibili coi quali i ragazzi dovrebbero misurarsi; la mancanza di gerarchie di valori in grado di orientare il cammino dei più giovani; la deflagrazione del desiderio che sembra non avere nessun ostacolo; una malintesa concezione della libertà quale superamento di ogni limite; l’idea errata che la conoscenza del mondo non debba passare attraverso l’elaborazione di un’esperienza autentica della realtà; la fungibilità delle relazioni sociali, troppo spesso legate a criteri di mera convenienza economica; la fine della vera sapienza e il trionfo della semplice (e spesso parziale) informazione; lo sfacelo del linguaggio politico che passa senza soluzione di continuità dalla bieca speculazione elettorale al vaniloquio gergale privo di riscontri effettivi.

Via dei Lucani, nel palazzo risultato fatale a Desirée, è a pochi passi dall’istituto Pio X dove, durante la Prima guerra mondiale, si trovava Ignazio Silone, rimasto orfano dopo il terribile terremoto del 1915. A quel tempo il grande scrittore abruzzese aveva sedici anni, l’età della povera vittima. Durante l’ora di ricreazione scappò dal collegio religioso, nei cui pressi è adesso attivo un centro di spaccio a cielo aperto, vagando nelle strade attorno alla Stazione Termini senza sapere cosa fare.

In quel momento Silone era soltanto un fanciullo abbandonato, senza arte né parte. Dopo tre giorni venne ripreso dai carabinieri e trasferito in un altro collegio a Sanremo. Durante il viaggio in treno verso la Liguria, come in seguito rievocò in uno dei brani narrativi più intensi di Uscita di sicurezza (1965), conobbe don Luigi Orione [N.B. de Gli scritti: qui la testimonianza di Silone al processo di beatificazione di don Luigi Orione. «La sera, nel momento in cui don Orione dovette ripartire, udii che egli incaricava qualcuno di cercarmi, perché voleva salutarmi, ma io mi nascosi. Non volli che egli mi vedesse piangere»], che aveva visto fra le macerie del terremoto chiedere al Re una macchina per mettere al sicuro i bambini rimasti senza famiglia. Fu un incontro folgorante che gli cambiò la vita.

Già diverso tempo fa, perlustrando i luoghi di Ignazio Silone, restai colpito dalla simmetria fra la sua drammatica giovinezza e quella di tanti ragazzi che oggi, sotto gli occhi di tutti, comprano la loro dose di artificiale felicità chimica nei pressi dell’edificio da cui lui fuggì. Sbaglieremmo se li considerassimo tarati e lontani da noi. Sarebbe un errore grave, simile a quello di chi volesse oscurare o alleggerire le colpe dei carnefici di Desirée, i quali andranno assicurati alla giustizia.

Fra i giovani sbandati e i bravi ragazzi, così come fra i mostri e le persone ordinarie, qualsiasi sia il colore della loro pelle, la differenza è sempre piuttosto sottile: basterebbe un niente per passare da una schiera all’altra e sprofondare nell’abisso. Anche coloro che sembrano stare al sicuro, con i genitori a posto e le frequentazioni giuste, rischiano tantissimo.

Non dobbiamo perdere la fiducia. Per fortuna esistono ancora famiglie che tengono duro. E anche i don Orione continuano a operare e spesso ottengono grandi vittorie senza titoli sui giornali. Fare l’educatore oggi è più difficile che in passato. Ti sembra di essere da solo a remare controcorrente. Ma è questa la ragione per cui non devi mollare.

3/ La morte di Desirée. Parsi: cresciuta senza punti di riferimento, li ha cercati nel branco e nella droga. La psicologa: «Modelli sbagliati e nessuna difesa», di Lucia Bellaspiga

Riprendiamo da Avvenire del 26/10/2018 un articolo di Lucia Bellaspiga. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Droga e dipendenze e Giovani.

Il Centro culturale Gli scritti (28/10/2018)

Bisogna ripensare a Desirée 16 anni fa, quando è venuta al mondo. La sua vita era ancora tutta da scrivere, doveva sfociare in un futuro in cui potersi giocare le proprie carte, far valere i talenti, cogliere le occasioni date dal destino... «Invece quella creatura appare già come un germoglio con il futuro segnato. Desirée è morta perché aveva quella famiglia, è morta perché era in quella scuola, è morta perché frequentava quel quartiere e quegli 'amici', è morta perché nessuna di queste quattro realtà l’ha difesa». Maria Rita Parsi, psicoterapeuta nota al grande pubblico anche televisivo, autrice da 40 anni di saggi sui bambini e sull’adolescenza difficile, oscilla tra rabbia e pietà.

Una ragazza può essere drogata, poi stuprata in gruppo, infine uccisa, senza che nessuno senta nulla. E non nel deserto libico ma nel cuore di Roma. Cosa non funziona nella nostra società?
San Lorenzo non è un quartiere qualsiasi, è un luogo magico e maledetto insieme, simbolico di tanto se non addirittura di tutto: già porta il nome di un santo martire molto venerato, e questo è un particolare sul quale riflettere, ma poi è lì che Roma subì il primo bombardamento nel ’43, Pio XII si recò di persona nella devastazione. È un rione che ha sempre avuto una storia forte, di lotte operaie e conquiste sociali, anche di scontro tra ideologie, tra Feste dell’Unità e oggi Casa Pound, tutti in modo diverso schierati contro spaccio e delinquenza... Per questo il degrado in cui è stato lasciato è inaccettabile, si sapeva benissimo dov’era lo spaccio e cosa avveniva in quelle topaie, era noto a tutti e nessuno ha fatto niente. È questo che non funziona.

Prima che avvengano fatti tanto drammatici, i segnali di allarme esistono.
E sono numerosi, ma da noi si corre ai ripari quando la tragedia è avvenuta. È come per il ponte di Genova, l’intervento è dopo il crollo, quando agire costa infinitamente di più e soprattutto ormai devi contare i morti. Per questo Desirée non c’è più.

L’incontro con il branco di spacciatori che ne ha fatto carne da macello sembra essere un destino annunciato. Erano queste le persone che frequentava, nella sua disperata adolescenza.
Il padre, di cui non portava il cognome, era uno spacciatore, pure accusato di stalking nei confronti della madre, che l’aveva avuta a 15 anni. Questo era il suo riferimento, il modello dalla nascita, e allora con gli spacciatori ci dialoghi, anche se magari quello stesso padre cerca di tenerteli lontani. Desirée, poverina, è andata in bocca all’orco, ha reiterato l’esempio che aveva avuto.

La famiglia, dunque. Ma non solo...
E la scuola. È lì che si possono preventivamente cogliere i segnali del disagio familiare attraverso gli sportelli di ascolto e le équipe di psicologi, ma anche i progetti creativi, culturali, il teatro. Invece la scuola spesso si limita a bocciare o segnalare ai servizi sociali. Desirée era seguita dai servizi sociali eppure è finita così: vuol dire che non è bastato, che si doveva fare altro. Se nella famiglia ci fosse stato un ambiente diverso, se nella scuola avesse trovato un riferimento forte, se nel quartiere avesse avuto giuste amicizie, Desirée avrebbe ancora la sua vita da affrontare, non sarebbe morta di violenza a 16 anni in un palazzo sventrato nel cuore di una capitale.

Anche una lieve disabilità che la faceva zoppicare pare abbia influito sulla sua ribellione alla vita che le era toccata.
Gli aguzzini che l’hanno usata e poi gettata hanno 'giustiziato' la persona fragile e diversa, in lei hanno colpito tre cose: prima di tutto l’essere una donna. Poi il suo handicap, che non è tanto quello fisico ma soprattutto la totale mancanza di protezioni che aveva alle spalle. Terzo, le conoscenze e gli 'amici' che aveva e che non hanno mai fatto nulla per lei: se una ragazza frequenta il branco un motivo c’è, vi cerca quella forza che altrove non trova ma paradossalmente ne cade vittima. E per una come lei non c’è nessuno a difenderla.

Eppure, dicono in paese, il padre spacciatore non ammetteva che a sua figlia si vendesse la droga a Cisterna di Latina. Soprattutto la madre aveva cercato di tenere Desirée lontana dalle cattive compagnie ma lei era ribelle, scappava. E i genitori oggi chiedono giustizia.
Chiediamoci: è questo l’'aiuto' che una figlia chiedeva? Inutile vietare a lei ciò che si vende ai suoi coetanei. Se hai in casa un modello legato alla droga, se manca una famiglia unita, con legami saldi ed esempi sani, lo spacciatore diventa la persona più normale da frequentare e la droga il tuo pane quotidiano. Sono certa che abbiano cercato di 'aiutarla', a un certo punto, ma non con ciò di cui quella bimba di 16 anni fa avrebbe avuto bisogno per crescere i suoi sogni e provare a realizzarli. Anziché andarli a spegnere sul pavimento gelido di un mattatoio.