Più storia e filosofia nelle scuole. Che non sia solo una questione di ore, di Davide Rondoni

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 06 /05 /2019 - 00:33 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Panorama della prima settimana di maggio 2019 un articolo di Davide Rondoni. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Scuola e cultura e Storia e filosofia.

Il Centro culturale Gli scritti (5/5/2019)

Gli umanisti alla riscossa? Vedendo il fiorire di manifesti che chiedono al Ministro dell'Istruzione più spazio per la Storia, poi per la Filosofia, lanciati e firmati da un sacco di professori e persone per bene, verrebbe da dire di sì, e si tratta certo di iniziative mosse da sincero interesse per il valore di discipline dal grande passato e dal grande futuro. Ma per dare maggior vigore e senza nessun intento polemico mi permetto di fare qualche domanda perché la vicenda trovi più coraggio e punti più in alto.

Il problema infatti non è riservare qualche ora alla Filosofia o alla storia, il problema è rifare l'impianto educativo del Paese. A questo invito a puntare. Occorre avere capacità di analisi e capacità di visione. Non si tratta di pietire un po' di attenzione entro un impianto talmente fradicio e errato nelle sue premesse filosofiche e metodologiche che non poteva che arrivare all'impazzimento attuale. Nonostante la buona volontà e la buona preparazione di un sacco di insegnanti, la scuola sta diventando un luogo "surreale".

Burocrazia asfissiante, libertà dai programmi ma esami e verifiche poi vincolanti, inclusione di varie attività disparate, basso stipendio dei docenti (e nessuno mai licenziato), nervosismi di ragazzi del 2000 tenuti in aula cinque/ sette ore come i ragazzi del 1880, birignao di circolari e di adempimenti, comunità docente spesso costretta a riti tra la psicanalisi di gruppo e la formazione para-accademica, burocratese imperante. L'impianto di natura illuminista (la cultura è una enciclopedia e dunque lo Stato coi suoi funzionari ne passa porzioni più o meno maltagliate ai giovani cittadini) non tiene più e mostra la sua crisi, non a caso mentre altri grandi statuti culturali e civili nati con l'Illuminismo (il mito della informazione, della politica, della potenza tecnologica) conoscono le proprie convulse crisi. Occorre un cambio di paradigma, non un cambio di orario.

Come spiegare infatti - se non per un difetto di impianto di fondo - che i ragazzi italiani (e sottolineo abitanti in Italia patria dell'arte) in larga maggioranza non incontrano né l'arte né la musica a scuola? come spiegare che Arte, Letteratura, Filosofia, sono pensate come storia di discipline e con come esercizio (apprendimento) delle stesse? E come spiegare che giocando proprio sulla idea di "enciclopedia" e dunque sull'allargamento di programmi, facoltà etc, gli umanisti si sono visti scippare ampi spazi di formazione da chi (ad esempio un "delinquente culturale" come U. Eco) ha creato "Facoltà di scienze della comunicazione" - giocando con le parole "scienza" e "comunicazione" come se non fosse roba da umanisti- per poi asserragliarsi in ultracostose Alte Scuole Umanistiche, salvo lamentarsi dopo aver propagato per trent’anni il Verbo della Comunicazione che "anche i cretini comunicano"? Dov'erano questi ora insorgenti umanisti?

L'aver schiacciato il sapere umanistico su parole come "storia di, o scienza di" è stato il modo con cui un sapere di per sé scomodo, perché educa il gusto, connette con il sacro e fa pensare, fosse ridotto a scienza minore nell’arco delle scienze oggi necessarie secondo il mantra illuministico-tecnologico. Salvo che i capi delle aziende - come mostra tra l'altro un bel libro di G. Monteduro - oggi desidererebbero ragazzi capaci di pensare, non robottini abili a un sapere spesso già desueto.

Ma dove erano gli attuali insorgenti umanisti quando otto anni fa, un mio libretto che metteva in questione i metodi di insegnamento della letteratura (e dell'arte) nelle scuole superiori fu addirittura ritirato dal commercio dall'editore (Il Saggiatore) che lo aveva pubblicato per le polemiche che suscitò? Ora edito da Bompiani ("Contro la letteratura") fa ancora discutere. Quel libro solleva però una questione di metodo, non di orario o di passione o, come taluni dicono oggi ottenendo facile consenso ma non mettendo in discussione nulla, di "seduzione". I richiami alla passione e alla seduzione sono vacui e un po' narcisi, se non si interviene sull'impianto metodologico errato, chiamando a una ricapitolazione la idea stessa di scuola, di formazione degli insegnanti (dunque la università), una idea stessa di cultura, di talento, di educazione, e dunque i metodi conseguenti.

Benvenute le raccolte di firme, spero ne raccolgano miliardi. Ma occorre più coraggio, più dignità, più a-fondo storico e filosofico. Chiedere da sudditi di un metodo sbagliato più attenzione è come chiedere al boia di ungere la lama con cui in tutti questi anni si è avvicinato al tuo collo. Spero che Bussetti si tolga il cappuccio da boia.

Occorre rovesciare la ghigliottina, e questo dà più fastidio che pietire attenzione. Occorrono due doti: la libertà e la visione. Roba da umanisti, insomma.

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