Il Rinascimento e Roma: un’introduzione. Appunti per il Corso di formazione per guide Roma al cuore del Rinascimento

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 16 /11 /2021 - 15:28 pm | Permalink | Homepage
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Il Rinascimento e Roma. Un’introduzione (I incontro)

A/ Perché non siamo consapevoli che il Rinascimento è romano?

Che è italiano, proprio italiano

E che è romano?

1/ Questione delle mode culturali successive, il barocco in particolare, che ha cancellato il passato

2 mostre

- 1981, Maurizio Calvesi, con la mostra «Il Quattrocento a Roma e nel Lazio»

- 2008, Strinati-Bussagli, Il ‘400 a Roma. La Rinascita delle Arti da Donatello a Perugino

I manuali di storia dell’arte hanno abituato ad individuare in città come Firenze, Ferrara, Mantova, i luoghi della civiltà umanistica e rinascimentale in Italia.

Già la rilevanza del quattrocento non è sempre evidente in Roma, perché Raffaello e Michelangelo e poi ancora il barocco del Bernini e del Borromini o gli interventi successivi hanno cancellato per sempre alcune delle precedenti realizzazioni artistiche

- ciclo perduto di affreschi con le storie di S. Giovanni Battista realizzato da Gentile da Fabriano per S. Giovanni in Laterano a partire dal 1427

- perduto Ciclo degli Uomini illustri di Masolino a Palazzo Orsini di Montegiordano, degli anni 1430-32, da considerare insieme alla Cappella Branda Castiglione in S. Clemente affrescata insieme a Masaccio che proprio a Roma morirà
cfr. anche Castiglione Olona, veduta di Roma

- lavori perduti di Pisanello che completò negli anni 1431-1432 il ciclo di Gentile da Fabriano in S. Giovanni in Laterano

- opere del Beato Angelico del quale resta superstite solo il ciclo della Cappella Nicolina mentre è perduta, per i successivi lavori di Paolo III, la decorazione dalla Cappella del Sacramento sempre nei Palazzi Vaticani dipinta fra il 1447 ed il 1455

- primo progetto per l’ampliamento del coro della basilica di San Pietro di Bernardo Rossellino, che poté realizzare verso il 1452 solo un primo alzato di circa sette metri, senza mettere mano ancora alla demolizione dell’abside costantiniana come invece aveva progettato

- stanze affrescate da Piero della Francesca in Vaticano negli anni 1458-1459, perdute per i successivi interventi raffaelleschi o, più probabilmente, per un incendio

- affreschi perduti dell’Ascensione di Cristo dipinti da Melozzo da Forlì intorno al 1474 nell’abside della basilica dei SS. Apostoli, dei quali restano solo alcuni angeli ed apostoli oltre alla figura intera del Cristo ora al Palazzo del Quirinale

- affreschi perduti di Andrea Mantegna, degli anni 1488-1489 nella Cappella di San Giovanni nel Palazzo del Belvedere in Vaticano

- Leonardo da Vinci a Roma 1514-1516, abitò nella palazzina del Belvedere, per costruire fortificazioni per il papa (poi ad Amboise dove morì), a Roma il san Giovanni Battista

Superstiti

- Donatello, tomba di Giovanni Crivelli, rovinatissima all’Arca Coeli 1433

- Donatello, Tabernacolo 1433

- Porta del Filarete 1445

- Botticelli chiamato nel 1480 a lavorare alla Sistina con Perugino, con Cosimo Rosselli, con Domenico Ghirlandaio

- Filippino Lippi alla Minerva 1489-1492

- tomba di Sisto IV della Rovere di Antonio del Pollaiolo 1484-1493

Monumento a Innocenzo VIII 1497 sempre del Pollaiolo

Poi la loro tomba in San Pietro in Vincoli

- Mino da Fiesole, monumento funerario Della Rovere (+1477) nella basilica di Santa Maria del Popolo e altri

2/ Una vera "ignoranza", perché sappiamo della grandezza e della bellezza di tanti, ma è come se li vedessimo de-geolocalizzati

- a Roma giunse Pico della Mirandola nel 1486 per discutere le sue tesi e pronunciare l’orazione De hominis dignitate)

da Pico della Mirandola, Discorso sulla dignità dell'uomo (Oratio de hominis dignitate)
Negli scritti degli Arabi ho letto, Padri venerandi, che Abdalla Saraceno, richiesto di che gli apparisse sommamente mirabile in questa specie di teatro che è il mondo, rispondesse che nulla scorgeva più splendido dell'uomo.
E con questo detto concorda quel famoso di Ermete: "Grande miracolo è l'uomo, o Asclepio".

Ora mentre ricercavo il senso di queste sentenze, non mi soddisfacevano gli argomenti che in gran numero molti recano sulla grandezza della natura umana: esser l'uomo vincolo delle creature, familiare a quelle superiori, sovrano di quelle inferiori, interprete della natura per l'acume dei sensi, per l'indagine della ragione, per la luce dell'intelletto, intermedio fra il tempo e l'eternità e, come dicono i Persiani, copula anzi imeneo del mondo, di poco inferiore agli angeli secondo la testimonianza di David. Grandi cose, queste, certo, ma non le più importanti, non tali, cioè, per cui possa giustamente arrogarsi il privilegio di una ammirazione senza limiti. Perché, infatti, non ammirare di più gli angeli e i beatissimi cori del cielo?
Ma alla fine mi parve di avere compreso perché l'uomo sia il più felice degli esseri animati e degno perciò di ogni ammirazione e quale sia infine quella sorte che, toccatagli nell'ordine universale, è invidiabile non solo ai bruti, ma agli astri e agli spiriti oltremondani. Cosa incredibile e meravigliosa! E come altrimenti, se è per essa che giustamente l'uomo vien proclamato e ritenuto un grande miracolo e meraviglia fra i viventi! Ma quale essa sia, ascoltate, o Padri, e benigno orecchio porgete, nella vostra cortesia, a questo mio parlare.
Già il sommo Padre, Dio creatore, aveva foggiato, secondo le leggi di un'arcana sapienza, questa dimora del mondo, quale ci appare, tempio augustissimo delle divinità. Aveva abbellito l'iperuranio, aveva avvivato di anime eterne gli eterei globi, aveva popolato di una turba di animali d'ogni specie le parti vili e turpi del mondo inferiore. Sennonché, recata l'opera a compimento, l'artefice desiderava che vi fosse qualcuno capace di afferrare la ragione di un'opera sì grande, di amarne la bellezza, di ammirarne l'immensità. Perciò, compiuto ormai il tutto, come attestano Mosè e Timeo, pensò ad ultimo a produrre l'uomo. Ma degli archetipi non ne restava alcuno su cui foggiare la nuova creatura, né dei tesori uno ve n'era da elargire in retaggio al nuovo figlio, né dei posti di tutto il mondo uno ne rimaneva su cui sedesse codesto contemplatore dell'universo. Tutti ormai erano pieni; tutti erano stati distribuiti, nei sommi, nei medi, negli infimi gradi. Ma non sarebbe stato degno della paterna potestà venir meno quasi impotente nell'ultima opera; non della sua sapienza rimanere incerta nella necessità per mancanza di consiglio; non del suo benefico amore, che colui che era destinato a lodare negli altri la divina liberalità fosse costretto a biasimarla in se stesso.
Stabilì finalmente l'ottimo Artefice che a colui, cui nulla poteva dare di proprio, fosse comune tutto ciò che singolarmente aveva assegnato agli altri. Accolse perciò l'uomo come opera di natura indefinita e postolo nel cuore del mondo così gli parlò: "Non ti ho dato, Adamo, né un posto determinato, né un aspetto tuo proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell'aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto appunto, secondo il tuo voto e il tuo consiglio, ottenga e conservi. La natura determinata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai, da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Ti posi nel mezzo del mondo, perché di là tu meglio scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che tu avessi prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori, che sono i bruti; tu potrai rigenerarti, secondo il tuo volere, nelle cose superiori che sono divine".
O suprema liberalità di Dio Padre! O suprema e mirabile felicità dell'uomo a cui è concesso di ottenere ciò che desidera, di essere ciò che vuole. I bruti nel nascere recano seco dal seno materno, come dice Lucilio, tutto quello che avranno. Gli spiriti superni o dall'inizio o poco dopo furono ciò che saranno nei secoli dei secoli. Nell'uomo nascente il Padre ripose semi d'ogni specie e germi d'ogni vita. E secondo che ciascuno li avrà coltivati, quelli cresceranno e daranno in lui i loro frutti. E se saranno vegetali, sarà pianta; se sensibili, sarà bestia; se razionali, diventerà animale celeste; se intellettuali, sarà angelo e figlio di Dio. Ma se, non contento della sorte di nessuna creatura, si raccoglierà nel centro della sua unità, fatto un solo spirito con Dio, nella solitaria caligine del Padre, colui che fu posto sopra tutte le cose starà sopra tutte le cose.

- Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia 1511

Alcuni giorni fa, tornando dall'Italia in Inghilterra, per non sprecare in chiacchiere banali il tempo che dovevo passare a cavallo, preferii riflettere un poco sui nostri studi comuni e godere del ricordo degli amici tanto dotti e cari, che avevo lasciato qui. Fra i primi che mi sono tornati alla mente c'eri tu, Moro carissimo. Anche da lontano il tuo ricordo aveva il medesimo fascino che esercitava, nella consueta intimità, la tua presenza che è stata, te lo giuro, la cosa più bella della mia vita.

50. Meno mi devono i poeti, che pure appartengono apertamente alle mie schiere, libera schiatta come sono, secondo il proverbio, tutti presi dall'impegno di sedurre l'orecchio dei pazzi con autentiche sciocchezze e storielle risibili. Fidando in questi mezzi, mirabile a dirsi, promettono immortalità e divina beatitudine a se stessi e anche agli altri. A costoro soprattutto sono legate Filautìa [amore di se stessi] e Kolakìa [adulazione], che da nessun'altra stirpe mortale ricevono un culto altrettanto schietto e costante. [...]

Nella stessa schiera rientrano quelli che aspirano a fama immortale pubblicando libri. Mi devono tutti moltissimo, ma in particolare coloro che imbrattano i fogli con autentiche sciocchezze. Gli eruditi, infatti, che scrivono per pochi dotti, e che non rifiutano per giudici né Persio né Lelio, a me non sembrano punto felici, ma piuttosto degni di pietà, perché senza posa si arrovellano a fare giunte, mutamenti, tagli, sostituzioni. Riprendono, limano; chiedono pareri; lavorano a una cosa anche per nove anni, e non sono mai contenti; a così caro prezzo comprano un premio da nulla quale è la lode, e lode di pochissimi, per di più: la pagano con tante veglie, con tanto spreco di sonno - il sonno, la più dolce delle cose! - con tanta fatica, con tanto sacrificio.

- attività al servizio della Curia Pontificia in quegli anni di Leonardo Bruni, di Poggio Bracciolini, di Leon Battista Alberti che a Roma scrisse alcune delle sue opere più importanti, di Lorenzo Valla, di Flavio Biondo, di Bartolomeo Platina.

- Lorenzo Valla, sepolto in San Giovanni in Laterano, nella Cappella del Crocifisso

- dall’Apologia ad Eugenio IV (1445), in Lorenzo Valla, Scritti Filosofici e religiosi, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2009, pp. 433-434 e 453-454 (vedi G.M. Vian, La donazione di Costantino, Il Mulino e Lorenzo Valla e la dimostrazione della falsità della Donazione di Costantino: brevi note storiche in forma di recensione ad un volume di Giovanni Maria Vian, di Andrea Lonardo)
Ho scritto di grammatica, della lingua latina, di logica, di retorica, di diritto civile, di filosofia e di altre cose, criticando i secoli passati e molti autori viventi. I miei nemici non potendo vincermi nella disputa e non osando scrivere contro i miei libri, a causa delle cose che sembravano riferirsi alla religione hanno condannato anche quelle che dalla religione erano lontanissime, affinché non osassi pronunciare nemmeno una parola contro di loro, anzi addirittura non parlassi affatto. Ma come può accadere che io non. parli mai più degli studi o parli diversamente da come penso? Spingendo al colmo la loro follia mi hanno costretto a giurare che avrei riconosciuto quelle cose di mia propria convinzione, ciò che non poteva accadere. E, non contenti di questa pena, aspettavano avidamente la mia rovina, che si erano ripromessi di ottenere ad ogni costo. Grande, o Sommo Pontefice, grande è lo stimolo dell'invidia, grande la collera che nasce dall'essere superati dagli altri e per giunta dai più giovani, grande l'odio contro coloro che, forniti di una singolare abilità, proponendo apertamente e semplicemente dei buoni insegnamenti, costituiscono un rimprovero ed una condanna per gli ignoranti. Come al passaggio di cani di razza forte e generosa e di altri nobili animali da ogni parte si mettono a latrare i cani plebei, così i miei nemici, sebbene grandi e potenti, si sono scagliati contro di me come botoli contro un orso. Credimi, in coscienza, Sommo Pontefice, essi si sono proposti di rovinarmi non per amore della religione, della quale sono nemici, non per reverenza alla virtù, della quale mai hanno avuto sentore, non in nome dell'onore, che hanno sovvertito anche negli altri, ma per invidia, per dolore, per malanimo. [...]
Ma sento che, oltre a ciò, essi (che cosa non sono capaci di fare uomini malvagi e ostili, e contro un assente?), quando mi hanno accusato di fronte a te nei giorni passati, mi hanno imputato il delitto di aver scritto contro la tua dignità ai padri del Concilio di Basilea, di aver chiesto da quella parte dei benefici, e di essermi dichiarato tuo nemico. Poiché queste cose, Padre beatissimo, non entrano nella causa della fede, concedimi, di grazia, di riservarle ad un altro discorso, anche perché non sembri che tu, giudice nella causa altrui, lo sia pure nella tua. In quello avrò larga possibilità di parlare della mia innocenza, della perfidia dei miei nemici, delle tue lodi. Se invece in questa orazione io, non dico sviluppassi, ma solo facessi cenno delle tue lodi, sembrerei fare offesa alla mia causa. Voglio essere esente non solo dal sospetto di voler adulare ma anche da quello di voler implorare qualsiasi altra cosa, se non questa sola, che tu mi restituisca alla mia posizione primitiva e alla reputazione che godevo, come ha fatto l'ottimo re per quanto ha potuto: se ho peccato, che tu mi spieghi il mio errore e poi, secondo la tua clemenza, mi imponga una pena più mite di quanto la colpa non comporti, tanto più che di pene ne ho già scontate abbastanza e a sufficienza. Per questa tua misericordia prometto che la tua Santità trarrà da me, a cagione dei miei studi, non dico dell'utilità, poiché ciò è sopra le mie forze, non della gloria, poiché la gloria tua non può essere aumentata dalle lodi né diminuita dalle detrazioni, ma qualche piacere.

3/ Una difficoltà a riconoscere che dobbiamo tanto ai pontefici, a Giulio II in particolare, ma poi a Leone X e a tanti altri. Dire che il Rinascimento è a Roma è dire che la Chiesa, pur con i suoi errori, ha illuminato il mondo

- Giulio II che chiama i tre grandi Bramante, Michelangelo e Raffaello!

Non bisogna dimenticare che Michelangelo precede cronologicamente Raffaello!!!

Mostra ideologica su Raffaello, Raffaello iniziatore del laicismo!!! Raffaello 1520-1483!!!

Leone X sarebbe l’iniziatore

- Laocoonte 1506 ritrovamento, sacerdote troiano contrario al Cavallo di Troia

Gli dèi fecero uscire due serpenti mostruosi

- Apollo del Belvedere

Giulio II 1489 ancora cardinale acquistò per il suo palazzo

Apollo ha appena scagliato una freccia, lo sguardo segue la freccia

- Torso del Belvedere

Aiace che medita il suicidio dopo che Ulisse gli ha rubato le armi di Achille che custodiva

- Prima ancora Sisto IV, cfr. la sua tomba di Antonio del Pollaiolo nel Tesoro di San Pietro

- Leone X Lorenzo il Magnifico

da Le Stanze di Raffaello (Musei Vaticani), di Andrea Lonardo. Un’introduzione per la visita (da A. Lonardo, Dove si eleggono i papi. Guida ai Musei Vaticani. Cappella Sistina. Stanze di Raffaello. Museo Pio Cristiano, EDB, Bologna, 2015)
Leone X è il secondogenito di Lorenzo il Magnifico. 
Il Magnifico affidò al primogenito Piero, secondo le consuetudini dell’epoca, il compito di succedergli alla guida di Firenze, mentre avviò Giovanni (il futuro Leone X) agli studi ecclesiastici, perché facesse carriera a Roma e sostenesse dalla sede apostolica la famiglia de’ Medici, facendogli ricevere il titolo cardinalizio all’età di tredici anni.
Cacciato insieme agli altri Medici da Firenze nel 1494, Giovanni, dopo un lungo viaggio per conoscere l’Europa, si trasferì stabilmente a Roma nell’attuale Palazzo Madama (la residenza dei Medici nell’urbe, che allora si chiamava Palazzo di S. Eustachio). 
Con la morte del fratello Piero, Giovanni divenne a tutti gli effetti il capo della famiglia Medici e da Roma iniziò ad adoperarsi per il ritorno dei Medici in Firenze. Nel 1512, indebolitisi i francesi, i Medici rientrarono nel capoluogo.
Nel 1513, alla morte di Giulio II, Giovanni divenne papa con il nome appunto di Leone X. Da quel momento egli si prefisse il duplice compito di guidare la chiesa ed, insieme, di reggere le sorti di Firenze
Scelse come nuovo capo del regime fiorentino il nipote Lorenzo de’ Medici, figlio del defunto Piero, mentre affidò a Giuliano, che successivamente venne fatto dal re di Francia duca di Nemours, l’incarico di plenipotenziario per i possedimenti dello Stato pontificio.
Dopo che nel 1516 morì Giuliano e nel 1519 Lorenzo, Leone X incaricò da Roma Michelangelo di recarsi a Firenze per scolpire le tombe dei due, l’odierna Sagrestia Nuova di S. Lorenzo a Firenze, unitamente alla tomba del padre.

B/ Una prospettiva

1/ Come sempre il nostro è un proporre e argomentare

proprio per provocare una discussione, proprio per proporre tale questione anche ai nostri turisti e pellegrini

Ci si misura sul bene, sull’originalità, non sul gossip

Guardare al mondo classico come pre-figurazione del cristiano, come elemento che non si deve perdere

2/ Cosa è un “classico”?

Ci sono autori e testi, opere ed architetture, forme e modelli che sono superiori

Che superano i secoli

Che sono attuali sempre

In particolare c’è il mondo classico greco e latino che il cristianesimo non deve perdere, ma anzi deve amare

Pico della Mirandola: Duos agnosco dominos, Christum et litteras, riconosco due signori: Cristo e le lettere

Es. architettonici

- Via retta, via Giulia

Con via della Lungara, assetto definitivo con Giulio II (già prearata da Alessandro VI): Lungara, lunga, diritta!

- Tridente

Via di Ripetta fu rettificata già sotto Leone X, prendendo il nome di via Leonina, mentre via del Babuino fu ultimata più tardi, sotto Clemente VII, ritardata dagli eventi del sacco di Roma del 1527, così come l'urbanizzazione di quel lato del Tridente. 

Pianta del Vasi successiva di 2 secoli (1777)

- la cupola (che si chiuderà a San Pietro solo a fine ‘500

Leon Battista Alberti, vedendo la Cupola del Brunelleschi
Chi mai sì duro o sì invido che non lo­dasse Pippo architetto vedendo qui struttura sì grande, erta sopra e' cieli, ampla da coprire con sua ombra tutti e' popoli toscani, fatta senza alcuno aiuto di travamenti o di copia di legname, quale artificio certo, se io ben iudico, come a questi tempi era incredibile potersi, così forse appresso gli antichi fu non saputo né conosciuto?

- l’armonia e l’ordine dell’arco, delle linee rette e curve

3/ Lo si vede in letteratura

Dove dialogano entrambi, il classico e il cristiano? Sulla bellezza dell’uomo

da una lettera di Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori, Magnifico ambasciatore fiorentino presso il Sommo Pontefice, proprio benefattore. In Roma
Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro.

Così Leon Battista Alberti che morì a Roma nel 1472, sepolto in Sant’Agostino in Campo Marzio, rifatta nel 1479
Pertanto così mi pare da credere sia l'uomo nato, certo non per marcire giacendo, ma per stare facendo [...]; l'uomo nacque non per attristarsi in ozio, ma per adoprarsi in cose magnifiche et ampie, colle quali e' possa piacere e onorare Iddio in prima, et per avere in se stesso come uso di perfetta virtù, così fructo di felicità.
Come confesseremo noi non essere più nostro che della, fortuna quel che noi con sollecitudine e diligentia delibereremo mantenere o conservare? Non è potere della fortuna, non è, come alcuni sciocchi credono, così facile vincere chi non voglia essere vinto. Tiene giogo la fortuna solo a chi gli si sottomette.

- Riunire il filologico, lo scientifico e il classico, l’umano

Rinascimento: guardare con nuova attenzione filologica, scendendo però nelle profondità dei valori del mondo classico e di quello cristiano

Cfr. Erasmo e gli Hexapla di Origene (testo ebraico, la sua traslitterazione in greco, e le diverse versioni greche esistenti: Settanta, Simmaco, Aquila e Teodozione) il suo Novum Testamentum, il primo con annotazioni di critica testuale

da Erasmo da Rotterdam, Paraclesis, ovvero esortazione allo studio della filosofia cristiana, in Erasmo da Rotterdam (1516, insieme all’edizione del NT), Scritti religiosi e morali, Einaudi, Torino, 2004, pp. 128-129
Mi dispiace dovere adesso, per prima cosa, rinnovare una vecchia lamentela: vecchia, ma, ahimé!, fin troppo giusta. E non so se sia mai stata più giusta di oggi, quando, mentre i mortali si dedicano con tanta passione ai loro studi, la sola filosofia di Cristo è addirittura derisa da certi cristiani, dalla maggior parte di essi è trascurata, e solo da pochi viene studiata - ma con indifferenza, per non dire con ipocrisia. Eppure, in tutte le altre discipline create dall'ingegno umano non c'è niente di cosi recondito e nascosto che non sia stato esplorato dalla sagacità dell'intelletto, niente di tanto difficile che non sia stato compreso grazie a un lavoro incessante. Perché allora accade che noi, che pure ci chiamiamo tutti col nome che ci viene da Cristo, non ci dedichiamo a quest'unica filosofia con l'animo che essa merita? Platonici, Pitagorici, Accademici, Stoici, Cinici, Peripatetici, Epicurei conoscono profondamente i principi della propria scuola, e li sanno a memoria, e per essi combattono, pronti a morire piuttosto che tradire l'insegnamento del proprio maestro. E noi, perché non dimostriamo una fedeltà anche maggiore al nostro fondatore e maestro Cristo? Chi non troverebbe assurdo che un seguace di Aristotele ignorasse il pensiero di quel filosofo sulle cause dei fulmini, sulla materia elementare, sull'infinito? Eppure, queste sono cose che non rendono felici a saperle, né infelici a ignorarle. E noi, che siamo stati iniziati e avvicinati a Cristo in tanti modi e con tanti sacramenti, non riteniamo disonorevole ignorare una dottrina che garantisce a tutti una felicità certissima? Ma a che serve ingrandire qui polemicamente l'argomento, quando è empio e folle il fatto stesso di paragonare Cristo con Zenone o Aristotele, e la sua dottrina con le loro - per parlare educatamente - formulette? Attribuiscano pure ai capi della loro setta quello che possono o che vogliono: questo è senza dubbio l'unico maestro venuto dal cielo, il solo che abbia potuto, essendo l'eterna sapienza, insegnare certezze; il solo a impartire insegnamenti salvifici, unico autore dell'umana salvezza; il solo ad essere assolutamente coerente con tutto ciò che ha insegnato; il solo che può mantenere tutto ciò che ha promesso. Se ci arriva qualcosa dai Caldei o dagli Egizi, bramiamo ardentemente di conoscerlo proprio perché viene da un mondo a noi estraneo, e l'arrivare da lontano fa parte del suo valore. Spesso sulle fantasie di un poveruomo, per non dire di un impostore, ci tormentiamo ansiosamente, non solo senza alcun frutto, ma con grande spreco di tempo - per non dir di peggio (sebbene sia già gravissimo non ottenere nessun risultato). Ma come mai una curiosità di questo genere non stuzzica l'animo dei Cristiani, che sanno benissimo che la loro dottrina non viene dall'Egitto o dalla Siria, ma dal cielo stesso? Perché non riflettiamo tutti che è necessario sia uno straordinario, mai visto, genere di filosofia quello per predicarci il quale colui che era Dio si è fatto uomo, colui che era immortale si è fatto mortale, colui che era nel cuore del Padre è sceso in terra? È necessario che sia qualcosa di grande, di nient'affatto comune, qualsiasi cosa sia, ciò che è venuto a insegnarci quel maestro tanto ammirevole, dopo tante scuole di filosofi e tanti insigni profeti. Perché, qui, non conosciamo, analizziamo, discutiamo, con pia curiosità, ogni singola cosa? Soprattutto visto che questo genere di sapienza - tanto esimio da rendere una volta per tutte stolta tutta la sapienza di questo mondo - lo si può attingere, come da limpidissime fonti, da questi pochi libri, con fatica di gran lunga minore di quella che costa attingere da tanti volumi spinosi, da tanto immensi e contraddittori commenti di interpreti la dottrina aristotelica - per non aggiungere con quanto maggior frutto. Qui infatti non è necessario avvicinarsi muniti di tante angoscianti dottrine. Il viatico è semplice e accessibile a chiunque, purché si abbia un animo pio e disponibile, e soprattutto dotato di fede semplice e pura. Perché tu sia docile, otterrai grandi risultati in questa filosofia. E lei che ci fornisce lo spirito maestro, che non si offre tanto volentieri quanto agli animi semplici.

- Questa è la caratteristica dei nostri itinerari di formazione per guide

Questa è la visione che vi proponiamo di proporre ai turisti e pellegrini

Via da ogni bigottismo, via da ogni spiritualismo, ma mai senza far risplendere un’epoca e la sua dimensione “eterna”. La vera laicità conosce il valore dell’umano e del religioso, li apprezza, non è anti-clericale, sa che il religioso è una dimensione propria dell’umano, sa che proprio questo chiedono i popoli di altre culture e religioni: capire la storia della Chiesa e le sue bellezze

Con due sottolineature:

- per il mondo ortodosso, il Rinascimento è un allontanarsi dalla fede,

- similmente per il mondo protestante che reagirà con un’accentuazione del tema del peccato e della grazia

- Un esempio
La Cappella Nova di Luca Signorelli (1499-1503)

Le catabasis

Omero, Virgilio, Ovidio, Stazio, Dante

- Anche l’autocoscienza critica è tipica di questa prospettiva. Nessuno è colpevole del fascismo e del comunismo? Nessuno è colpevole delle invasioni islamiche? Tutto ciò è stato buono? No, ci sono precise responsabilità di chi sostenne , ad esempio, il fascismo come il comunismo sovietico

Certo è che questo a Roma è prassi, cfr. purificazione della memoria!!!

Questo è cultura umanistica: qui questa autocritica è avvenuta, dove è avvenuto parimenti?  

C/ La lettera di Raffaello a Leone X

- Da un lato allargare lo sguardo dalle opere al pensiero e alla vita

D’altro canto l’arte e l’architettura come chiave per la cultura nella sua interezza

- Solo a Roma, recupero dell’antico, lettera di Raffaello

La prima volta nella storia dell’umano che un letterato difenda la conservazione delle antichità!

Non nel cristianesimo, nella storia

Proprio a Roma e proprio dinanzi ad un papa

- studiata da Salvatore Settis

Cfr. La Lettera a Leone X di Raffaello e Baldassarre Castiglione nell’analisi di Salvatore Settis. “Modernità di Raffaello. Dalla Lettera a Leone X alla Costituzione italiana”. Una presentazione di Andrea Lonardo

- Raffaello non è mai stato il primo soprintendente alle antichità di Roma, nonostante si continui a ripetere acriticamente tale affermazione, anzi l’incarico venne creato per la prima volta dopo la sua morte, nel 1534.

Quanti pontifici, Padre Santissimo, quali haveano el mede(si)mo officio che ha Vostra Santità, ma non già el mede(si)mo saper, né il mede(si)mo valore e grandezza de animo (...), quanti, dico, pontifici hanno atteso a ruinare templi antiqui, statue, archi et altri edificii gloriosi!
Goti, Vandali et altri tali perfidi inimici, profani e scelerati barbari (...) onde quelle famose opere che hoggi di più che mai sarebbono fiorenti e belle, fluirono dalla scelerata rabbia e crudele impeto di malvaggi homini, anzi fiere, arse e distratte: ma non tanto però che non vi restasse quasi la machina del tutto [cioè 'la forma generale della città'], ma senza ornamenti e, per dir così, fossa del corpo senza carne.
[Possa] haver cura che quello poco che resta di questa anticha madre de la gloria e grandezza italiana [...], non sia estirpato e guasto dalli maligni et ignoranti [...] cerchi Vostra Santità, lassando vivo el paragone de li antichi [cioè conservandone, a modello, gli edifici residui], eguagliarli e superarli come ben fa con magni edificii, col nutrire e favorire le virtù, risvegliare li ingegni, dare premio alle virtuose fatiche.

- distruzione della San Pietro paleocristiana e medioevale

Disprezzo del romanico e del gotico

Parve dappoi, che i tedeschi cominciassero a risvegliare un poco quest’arte: ma negli ornamenti furono goffi, e lontanissimi dalla bella maniera de’ romani: li tedeschi per ornamento spesso ponevano solamente un qualche figurino, rannicchiato e malfatto, per mensola a sostenere un trave: e animali strani, e figure, e fogliami goffi e fuori di ogni ragione naturale. Pure ebbe la loro architettura questa origine, che nacque dagli alberi non ancor tagliati, li quali piegati li rami e rilegati insieme, fanno li loro terzi acuti. E benchè questa origine non sia in tutto da sprezzare, pure è debole; perchè molto più reggerebbon le capanne fatte di travi incatenate e poste a uso di colonne, con li culmini e coprimenti, come descrive Vitruvio dell’origine dell’opera dorica, che gli terzi acuti li quali hanno due centri. Ma…

- Costituzione della Repubblica Italiana, articolo 9
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.