Gli autori (M. Tortora, C. Carmina, G. Cingolani, R. Contu) presentano Una storia chiamata letteratura, manuale di letteratura italiana per le superiori 1/ La centralità del testo, di Massimiliano Tortora 2/ Un corpo a corpo con i personaggi: la letteratura come laboratorio “morale”, di Claudia Carmina 3/ Letteratura italiana, cittadinanza globale Gabriele Cingolani 4/ Il manuale in classe, di Roberto Contu

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 07 /02 /2022 - 00:16 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito dell’editore Palumbo i testi di presentazione scritti dai quattro autori del manuale di letteratura per le superiori Una storia chiamata letteratura (https://www.palumboeditore.it/schedaopera/itemId/3047/fbclid/IwAR3Wa-AtTG60JwrmqJRpQ5aolM5Wt8u5ZiH4smSGlDiXDxij5i5KLCfhJl0#laparolaagliautori). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Letteratura.

Il Centro culturale Gli scritti (6/2/2022)

1/ La centralità del testo, di Massimiliano Tortora

Massimiliano Tortora (Roma 1973) insegna Letteratura Italiana Contemporanea all’Università di Roma Sapienza. È condirettore de «L’Ellisse. Studi storici di letteratura italiana», e direttore responsabile di «Allegoria»; ha inoltre fondato il Centre for European Modernism Studies.

Per conoscere la letteratura italiana è indispensabile leggere la letteratura italiana: i suoi testi. L’affermazione è meno tautologica e meno scontata di quanto si creda. Negli ultimi decenni infatti – talvolta in maniera diretta, altre volte in forme meno esplicite – si è assistito a proposte di marginalizzare la letteratura, rendendola subalterna ad altre discipline o ad altri campi di sapere. Così di volta in volta la letteratura è diventata occasione di educazione linguistica, possibilità di realizzare storia della cultura e dei grandi temi, allenamento per competenze trasversali, strumento per conoscere l’evoluzione storica, e via dicendo.

Sia chiaro: padroneggiare l’italiano, studiare per temi, avere competenze trasversali, conoscere la storia sono elementi essenziali per l’educazione e la crescita dello studente e della studentessa della scuola superiore; ma non sono il primo obiettivo dell’ora di letteratura italiana.

Ogni insegnamento che voglia fornire agli studenti competenze e conoscenze per leggere e comprendere le opere letterarie, deve porre al centro di ogni suo discorso il testo letterario. Ogni elemento che costituisce l’insegnamento letterario non può non partire dal testo, e al testo sempre fare ritorno.

Detto in maniera ancora più esplicita e diretta, insegniamo letteratura per permettere alle nostre studentesse e ai nostri studenti di comprendere un’opera letteraria: una poesia, un romanzo, un racconto, una pièce teatrale, un saggio. E solo in un secondo momento questo testo – o meglio la sua comprensione – può assolvere ad altri compiti: in primo luogo quello storico letterario, e poi gli altri legati alla cittadinanza, ad altri ambiti culturali, alle più varie e utili competenze.

Il testo è un oggetto che deve essere conquistato. Non basta infatti leggere un’opera per poter entrare in sintonia con il codice letterario, con la sua complessità, con la molteplicità di significati messi in gioco. Né si può fare affidamento sul “piacere della lettura”, che certamente esiste, ma che non è il punto di partenza, ma anch’esso un obiettivo da raggiungere: del resto – e anche questa è un’affermazione banale, ma non innecessaria – proviamo piacere solo se capiamo quello che stiamo leggendo.

E la comprensione, dal livello più semplice a quello più strutturato, è il livello da raggiungere affinché il testo venga fatto proprio: ossia conquistato, per usare l’espressione da cui è partito il nostro discorso.

Per tutte queste ragioni si è ritenuta indispensabile una costante assistenza al testo, che non può limitarsi ad alcuni passaggi del manuale, ma deve essere costante e diffusa in ogni elemento che costituisce un corso di letteratura per le scuole medie superiori. Certamente le analisi che seguono i testi antologizzati sono il momento privilegiato in cui si offrono a giovani lettrici e lettori quei primari e principali strumenti per decodificare il messaggio contenuto in un brano.

Tuttavia le singole analisi oltre a mettere chi legge in condizioni di poter comprendere, offrendo dunque tutti quegli strumenti indispensabili, assumono anche un’apertura saggistica, ossia di approfondimento: ed è questa la fase in cui si passa dalla comprensione all’interpretazione, dal capire cosa dice un testo al capire cosa significa un testo; ed è il momento in cui il singolo brano richiama a sé quanto sostenuto nel profilo storicoletterario, creando un tutto-unico volto sempre e soltanto a illuminare e a chiarire il testo: il cuore della letteratura, o meglio la letteratura tout court.

Ma anche il profilo storico-letterario (ossia i quadri dell’epoca, la descrizione delle correnti, le introduzioni agli autori e alle opere) non può essere solo un bacino ragionato di informazioni che poi, nella migliore delle ipotesi, può essere utilizzato quando si passa alla sezione antologica del manuale. Al contrario il profilo è una parte che da subito deve dialogare con i testi, e anzi per certi aspetti deve mostrare a chi legge come nasca proprio dai testi (a cui al tempo stesso intende rimandare). Questo è il motivo per cui tutte le parti del profilo (da quelle generali a quelle monografiche) accolgono al loro interno dei testi: componimenti poetici e brani di prosa, che da subito esemplificano i concetti espressi.

Questi infratesti, assistiti da parafrasi (quando necessario) e comunque sempre presentati nel discorso che anticipa o che segue, si offrono anche come modello di lettura per i brani antologizzati. In questo modo viene a saltare il confine tra storia e antologia, in quanto la prima accoglie già i testi, e le analisi dei testi approfondiscono gli argomenti, sfociando quando serve verso dimensioni saggistiche. In entrambi i casi la letteratura viene studiata sui testi, e non sulle sintesi.

Anche le rubriche, le attività didattiche, e gli approfondimenti diventano procedure volte alla conquista dei testi. Ad esempio la rubrica Io leggo con metodo ha l’obiettivo di preparare chi studia a confrontarsi autonomamente con le opere, richiedendo allo studente di ricostruire il significato con le proprie forze, emulando – in maniera guidata – le procedure presenti nelle analisi dei passi antologizzati.

Io leggo con metodo diventa dunque il momento in cui tutte le conoscenze dell’epoca e degli autori, e le competenze retoriche, stilistiche, linguistiche e via dicendo, devono essere mentalmente recuperate, per poter essere riversate nell’analisi testuale, e dunque in quell’appropriazione del testo, che è l’obiettivo primo e ultimo della storia letteraria.

E anche quando il manuale si apre alle voci di esperti, l’obiettivo è quello di recuperare strumenti utili a comprendere i testi: è il caso ad esempio della rubrica La parola alla critica, in cui lo studente in primo luogo si confronta con la comprensione di un testo argomentativo (quello del brano critico antologizzato), e in secondo luogo proprio dal passo studiato ricava alcuni elementi fondamentali alla comprensione delle opere (dei testi!) che sta analizzando in quel dato capitolo.

Infine anche i supporti digitali assolvono innanzitutto a questa funzione di assistenza al testo: dalla lettura attoriale (letture recitate ed espressive), ai podcast con sintetiche ed efficaci analisi del testo, alle interviste a critici letterari. E anche le presentazioni generali delle autrici e degli autori più significativi prendono spunto da un testo particolarmente significativo: è l’ulteriore dimostrazione che in letteratura dai testi non si esce; a meno che si sia disposti ad uscire dalla letteratura.

La letteratura però non è un microcosmo autonomo e autoreferenziale, ma è in continua osmosi con il mondo circostante: si ispira al reale e ne trae ispirazione, e al tempo stesso lo osserva, lo descrive e ne offre dunque una rappresentazione nuova e originale.

In questo senso il testo letterario diventa un punto di osservazione privilegiato del mondo reale: infatti nel descriverlo ne offre una visione diversa da quella consueta, e dunque più nuova.

In altre parole chi legge ha la possibilità di osservare la realtà da un’altra prospettiva e dunque di scorgerne aspetti prima impossibili da cogliere. Se ne ricava che, diversamente da quanto troppo spesso si sostiene, non è il mondo a spiegare il testo letterario, ma è il testo letterario che spiega il mondo.

Del resto la letteratura è sempre realistica: a volte in maniera più diretta ed esplicita, in altri casi in forme più metaforiche e figurate. Ma sempre e comunque le opere letterarie esprimono un’idea del mondo circostante, e invitano dunque a uscire dagli stretti confini del testo; confini che però possono essere superati solo quando il testo è stato fatto proprio da chi legge.

I testi letterari non ci interessano perché parlano di letteratura, ma perché parlano del mondo. E un manuale deve far propria questa spinta dal testo al contesto, dalla letteratura al mondo, dalla metafora letteraria alla realtà concreta.

Solo dopo che il testo è stato fatto proprio – ossia è stato compreso nei suoi significati letterari e in quelli più profondi – si può procedere oltre, e spingersi oltre il livello letterario: i temi di cittadinanza, l’educazione civica, l’attenzione al rapporto tra la sfera delle emozioni e l’esposizione pubblica.

Alcune delle rubriche di Una storia chiamata letteratura hanno proprio questa funzione. Ad esempio, a livello digitale, il ciclo di dibattiti dal titolo Quando la letteratura incontra l’educazione civica serve a concentrarsi su quei momenti in cui la letteratura ha espresso la propria opinione sui grandi temi sociali, come l’ecologia, l’uguaglianza, i rapporti di genere.

E peraltro proprio questa rubrica dimostra come per svolgere educazione civica lo specifico letterario sia sufficiente: come già detto, da sempre la letteratura si confronta con il mondo, e dunque con i differenti modi sociali per organizzare il reale.

In fondo la letteratura è anche una grande palestra dei sentimenti, delle emozioni, della vita interiore in genere. Per questo motivo si è resa necessaria la rubrica Mondo interiore/Mondo esteriore, che capitolo dopo capitolo offre allo studente un vero e proprio vocabolario delle emozioni, ossia una serie sempre più precisa di rappresentazioni delle emozioni e dei sentimenti; i quali a loro volta vanno declinati e modellati sulle esigenze del mondo esteriore.

Ma anche queste prospettive finiscono per riportare al testo, soprattutto a livello didattico. È quando ci si accorge che la letteratura parla di noi e del nostro mondo, che cominciamo a leggerla; ossia a leggere i testi, perché senza i testi non c’è letteratura. E allora su che altro dovrebbe soffermarsi un manuale di letteratura se non sui testi letterari della nostra tradizione dal Duecento a oggi?

2/ Un corpo a corpo con i personaggi: la letteratura come laboratorio “morale”, di Claudia Carmina

Claudia Carmina (Palermo 1978) insegna Letteratura Italiana Contemporanea all’Università di Palermo. Ha pubblicato saggi e articoli su scrittori dell’Ottocento e del Novecento e su Dante. Si è occupata di didattica della letteratura ed è autrice di manuali per la scuola.

Il cavaliere, il picaro, il viaggiatore, la seduttrice, l’arrampicatore sociale, l’eroe senza macchia e senza paura, l’angelo del focolare, l’inetto, l’uomo senza qualità: sono innumerevoli i tipi umani che popolano la letteratura di tutti i secoli.

E c’è di più. Sfogliando i grandi libri del passato non ci s’imbatte solo in tipi ricorrenti, ma in personaggi individualizzati e indimenticabili. Da Don Chisciotte ad Amleto, da Orlando a Robinson, da Gargantua a Gulliver, da Ulisse ad Anna Karenina, dal capitano Achab a Mattia Pascal, i personaggi letterari ci vengono incontro con i loro tratti riconoscibili e particolari.

Vivono in un paese infinito, senza barriere e senza confini, sussidiario al nostro, che però riflette la multiformità della nostra stessa vita. Così i personaggi della letteratura attingono alla realtà, incarnano le caratteristiche e le contraddizioni del tempo che abitano, e sanno persino anticiparne scenari e sviluppi.

Alle volte impersonano un sentimento o una condizione collettiva, tanto da trasformarsi in veri e propri stereotipi e da giustificare l’uso dell’antonomasia nel passaggio dal nome proprio al nome comune: il donchisciotte, il dongiovanni, il gattopardo… In ogni caso passare in rassegna i personaggi che hanno fatto la storia della letteratura permette di pedinare i cambiamenti dell’immaginario e di analizzare le evoluzioni che hanno segnato non solo la cultura, ma anche la vita degli uomini.

I grandi personaggi di finzione sono cartine di tornasole per capire una società e un’epoca. E dicono anche qualcosa di noi. Incontrarli nei testi è un modo per capire sia il mondo che sta fuori di noi sia quello che sta dentro di noi.

Per questo Una storia chiamata letteratura accoglie due serie di rubriche (Mondo interiore/Mondo esteriore e Un personaggio per discutere) che valorizzano i personaggi e le grandi questioni, costruendo percorsi tematici articolati e/o mettendo le grandi figure letterarie in rapporto concreto con l’immaginario di oggi.

Il cortocircuito tra passato e presente, anche straniante ma sempre fondato e argomentato, è la miccia che mette in moto un doppio processo: di storicizzazione e insieme di confronto con il vissuto.

Puntando sull’immaginario e sui personaggi, l’insegnamento della letteratura dà forza alle aperture interdisciplinari, fornendo alla classe gli strumenti per leggere le problematiche del nostro tempo, riconsiderando il passato dalla prospettiva del presente. In Retorica della narrativa lo studioso Wayne Booth afferma che, quando leggiamo una storia, mettiamo in moto una dinamica prevalentemente “morale”. Per tutto il tempo della lettura siamo disposti a sospendere il giudizio, e a “vestire i panni” dell’altro (il personaggio che agisce nel libro), filtrando la realtà attraverso il suo punto di vista.

Ci rivediamo in lui e gli prestiamo anche qualcosa di noi: ne creiamo una minuziosa rappresentazione mentale, che può addirittura forzare o travalicare i dati che ci fornisce l’autore. Diventiamo, in qualche modo, noi stessi “autori” perché contribuiamo a costruire i personaggi di cui leggiamo; tant’è che, quando ci capita di vedere una trasposizione cinematografica di un libro che abbiamo amato, spesso restiamo delusi perché il protagonista in “carne e ossa” non coincide mai esattamente con l’immagine che ne abbiamo tratteggiato nella nostra mente.

Leggendo di un personaggio diverso da noi, che può “vivere” in un tempo e in uno spazio lontanissimi dai nostri, ci immedesimiamo comunque in lui. Proviamo cioè quel «piacere del riconoscimento» di cui nel 1983 parlava Paul Ricoeur commentando un passo della Poetica di Aristotele in cui si legge: «nell’opera ci interviene di scoprire e di riconoscere che cosa ogni immagine rappresenti, come se, per esempio esclamassi: Sì, è proprio lui».

Il «Sì, è proprio lui» per Ricoeur apre l’ambito del «come se», spalanca gli universali timeless propri del racconto, dispiega un mondo di cui il lettore si appropria, fino a poter esclamare, seguendo le vicende che coinvolgono il personaggio: «Anche il mio caso è esattamente così!».

Il lettore dunque riconosce al personaggio un’universalità senza tempo e, calandosi nei suoi panni, fa esperienza in modo mediato di emozioni ed esperienze non sue. Tanto più che il personaggio – si sa – è un eccezionale dispositivo che accoglie emozioni, e ne suscita.

Confrontarsi con il testo letterario e con i personaggi che lo popolano, come ha scritto Edward Said, equivale allora a mettere in campo due atti cruciali: «ricezione» e «resistenza». Mentre leggiamo, siamo guidati da un’attitudine alla «ricezione» e alla remissività (che ci permette di “vivere” ciò che esperiscono i personaggi senza presunzione di governare il loro agire).

Una volta terminata la lettura, però, il nostro giudizio rientra in gioco. Possiamo assentire con le azioni e con la visione del mondo del personaggio, o viceversa condannarle. In ogni caso formuliamo un giudizio nuovo, ora più sfaccettato e motivato sulla base dell’esperienza vissuta nello spazio dell’invenzione.

E spesso l’esperienza di lettura modifica le nostre certezze, ci predispone all’ascolto e alla comprensione, smaschera pregiudizi e preconcetti. Per questa centralità del giudizio la letteratura dialoga strettamente con il diritto, tanto da giustificare la diffusione nella cultura anglosassone di una disciplina specifica, Law and Literature, che, a partire dalle situazioni umane raccontate nei testi letterari, riflette sulla legge e sulle modalità del processo.

In linea con queste sollecitazioni le rubriche Un personaggio per discutere propongono sempre uno spazio di discussione condivisa e forniscono degli spunti per utilizzare in classe la metodologia del debate, che consiste nella strutturazione e nella realizzazione di un confronto guidato, organizzato secondo regole e tempi precisi, nel quale due squadre di studenti sostengono e controbattono un’argomentazione su una questione “forte” vicina al loro vissuto, suscitata dalle scelte e dai comportamenti del personaggio letterario; lo scopo è acquisire quelle lifeskills che permetteranno ai ragazzi, una volta adulti, di esercitare un ruolo attivo in ogni processo decisionale.

In una società come la nostra, che sollecita insistentemente l’adesione a emozioni effimere, la letteratura è allora un mezzo per fare “resistenza”, per dare profondità a ciò che proviamo, per vivere in modo consapevole le esperienze degli altri, vicine e lontane, per prendere posizione.

Le vicende di personaggi sempre attuali come Francesca da Rimini, Gertrude, Rosso Malpelo o Raskolnikov ci insegnano che non esiste storia che, in una qualche misura, non possa essere narrata e rispettosamente compresa in tutte le sue ambiguità e le sue sofferenze. Che non esiste colpa o diversità che non possa essere indagata e accolta.

Ci insegnano che la letteratura non è un mondo separato dal mondo, ma ne assorbe e ne riformula situazioni, tendenze, processi. La forte curvatura didattica di Una storia chiamata letteratura sulla discussione critica e sulla riscoperta del senso vivo dello studio della letteratura, della storia, ma anche della lingua, vuole dunque produrre un arricchimento non solo disciplinare ma innanzitutto formativo, per educare giovani lettori che in futuro sappiano guardare con spirito critico e appassionato non solo ai libri ma anche, e soprattutto, alla vita.

Lettori come la Ludmilla protagonista di Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, per cui i grandi testi letterari non sono «un sogno» in cui stordirsi «come in una droga», né una barriera da mettere avanti «per tener lontano il mondo di fuori», ma «sono dei ponti che getti verso il fuori, verso il mondo che t’interessa tanto da volerne moltiplicare e dilatare le dimensioni attraverso i libri»

3/ Letteratura italiana, cittadinanza globale Gabriele Cingolani

Gabriele Cingolani (Recanati 1972) è docente di Lettere al Liceo Giacomo Leopardi di Recanati. È autore di una monografia e di diversi saggi e articoli dedicati alla letteratura italiana e al suo insegnamento. È membro del direttivo e tesoriere della Sezione Didattica dell’ADI (Associazione Degli Italianisti).

Le discipline scolastiche non sono entità metafisiche ma oggetti storici. Questo significa che nessuna disciplina è data una volta per tutte, ma è costretta ogni volta a ritrovare la sua ragione di esistere dentro il proprio tempo.

Questo oggi vale ancora di più per una disciplina che si chiama letteratura italiana, e che col suo nome rimanda a due elementi, la letterarietà e l’italianità, che sembrano così fuori sincrono rispetto a questa nostra epoca tecnologica e globalizzata.

È evidente che la scelta di pubblicare un nuovo manuale di letteratura italiana è già di per sé una riaffermazione della centralità di questa disciplina nella formazione di giovani che, pur con lo sguardo ad un orizzonte globale, si trovano a vivere e crescere in questo Paese; ma forse è il caso di discutere in che modo e a quali condizioni questa centralità è ancora possibile.

La prima questione riguarda il posto della letteratura dentro un mondo meticcio e plurale. Partiamo da un dato: la vita delle persone che si trovano a studiare in Italia fra i sedici e i diciotto anni è sempre meno legata univocamente all’Italia e alla sua cultura. Sempre più spesso queste ragazze e questi ragazzi hanno vissuto una parte della loro vita in altri paesi, o lo hanno fatto le loro famiglie, oppure mettono in conto di partire subito dopo la fine della scuola o dell’università; inoltre, questi giovani parlano sempre di più anche altre lingue e, a prescindere dalle loro storie personali, sono immersi in un paesaggio comunicativo multimediale effettivamente senza confini.

La scuola non può prescindere da questo; essa deve accompagnare queste persone mentre imparano a vivere in un mondo con queste caratteristiche, ma ha il dovere di aiutarle a starci in maniera seria, consapevole: uno studente o una studentessa che completa un corso di scuola secondaria dovrebbe prima di tutto aver scoperto chi è, qual è la sua storia, così da poter portare questa sua identità e questa sua storia nel mondo, unica condizione per poterci vivere da protagonista e non da spettatore o – peggio – da ingranaggio di un meccanismo anonimo e disanimato.

Per raggiungere questo scopo, la letteratura – con il suo bagaglio di storie diversissime, con i dilemmi etici che propone, col suo sforzo continuo di illuminare attraverso le parole strati profondi e nascosti dell’esperienza umana – può offrire un contributo determinante. Sì, ma allora quale letteratura portare in classe? La prima tentazione potrebbe essere quella di rispondere che, se il mondo è globale, allora anche la letteratura che si studia a scuola debba essere globale.

Sì e no. Sì, perché in effetti la letteratura può essere un modo per entrare in maniera avvincente e significativa in esperienze umane che ci sono geograficamente e culturalmente lontane; e quindi è bene leggere, ad esempio, narrativa e poesia proveniente da ogni parte del mondo, con la giusta mediazione culturale: peraltro lo si fa già in ogni grado di scuola, anche attraverso discipline diverse dall’italiano.

Ma un approccio orizzontale alla letteratura globale non basta, e serve anche un approccio verticale, perché resta necessario dare una profondità storica a un dato di realtà che comunque permane, il fatto cioè di essere – qui e ora – immersi in una specifica lingua, in una specifica tradizione culturale, con il suo particolare patrimonio di riflessioni e di prospettive sull’uomo che è – proprio in quanto patrimonio condiviso nei secoli da una specifica comunità – uno strumento preziosissimo e unico.

Un patrimonio che è necessario indagare e conoscere a fondo per poterlo poi mettere in relazione, confrontare, magari fondere con altre tradizioni, altre prospettive umane, altre esperienze della vita, certamente non meno ricche e feconde di quella italiana.

Ecco dunque che, per essere buoni cittadini globali, è necessario studiare la letteratura italiana. Proprio quella italiana, e non un’altra. E non perché sia migliore di altre o addirittura “la più bella del mondo” (per quanto offra effettivamente un patrimonio di opere e personalità di valore davvero universale, a partire da Dante e Leopardi); ma per altri ordini di motivi, se vogliamo più pragmatici.

In primo luogo, i testi della letteratura italiana sono quelli che più proficuamente possono essere avvicinati dagli studenti (a volte, certamente, con qualche difficoltà, a cui bisogna rispondere con gli opportuni ausili didattici) nella lingua originale in cui gli autori li hanno pensati e scritti: un passaggio obbligato, questo, affinché la letteratura – che è fatta sempre di un’inestricabile unità di forma e contenuto – possa sprigionare a pieno le sue potenzialità conoscitive e attivare reali competenze interpretative.

Il secondo motivo è storico-culturale: studiare la letteratura italiana permette di conoscere testi che sono portatori di una visione originale del mondo strettamente legata a una particolare esperienza politico-culturale e a un contesto geografico ben determinato, quello che viene convenzionalmente chiamato Italia e nel quale chi studia questo manuale si trova, stabilmente o provvisoriamente, a vivere, e di cui è necessario che conosca almeno a grandi linee storia e cultura.

Il terzo motivo è strettamente legato al secondo, e riguarda proprio lo specifico contributo della letteratura alla conoscenza del passato: conoscere la storia di un paese come l’Italia anche attraverso la letteratura, e non solo con lo studio della storia, significa assumere uno sguardo problematico e sfaccettato su quella realtà, uno sguardo che può contribuire a rendere quella conoscenza parte di una visione più aperta del mondo, e non uno strumento di identitarismo chiuso e ristretto.

Conoscere certi nodi della storia, in altre parole, e affrontarli nel modo sfaccettato, ambiguo, problematico e mai pacificato proprio dei grandi testi letterari, è insomma un passo necessario per sentirsi cittadini non di un singolo paese, ma del mondo, parte di un comune destino umano.

Su questa idea di cittadinanza si potrebbe costruire l’intero curricolo di letteratura italiana. E lo si potrebbe fare senza mai tradire la letteratura; non serve, infatti, fare della letteratura un’ancella dell’educazione alla cittadinanza, ovvero “usarla” per altri fini. Basta semplicemente presentare la letteratura per quel che è: il modo più profondo e raffinato che l’uomo abbia trovato per raccontare, descrivere e spiegare attraverso il linguaggio l’esperienza e la condizione umana; un’esperienza e una condizione che sono sempre, per forza di cose, l’incontro di vicende personali e collettive dentro il fluire del tempo.

Leggere e capire in profondità testi letterari è educazione alla cittadinanza perché nei testi letterari possiamo vedere come nasce un’idea di comunità, perché nei testi letterari possiamo trovare uno sguardo critico e demistificante sui processi storici, e perché infine i testi letterari sono il punto di incontro fra identità e partecipazione.

La letteratura italiana disegna una idea di comunità. Questo è il primo grande insegnamento che la letteratura italiana può offrirci proprio in virtù delle particolari condizioni con cui si è sviluppato, nei secoli, l’intreccio fra vicende letterarie e politiche di questo paese.

Per più di sei secoli è esistita una letteratura italiana senza che esistesse un paese chiamato Italia, e questo ha determinato prima la necessità per gli scrittori di interrogarsi sui fondamenti dello stare insieme di un popolo, e poi – dopo l’Unità – un’enfasi forse eccessiva sul valore identitario rappresentato dalla letteratura stessa.

Ma questo continuo interrogarsi degli scrittori su cosa significhi stare insieme ha portato i suoi frutti migliori proprio quando ha delineato un’idea di comunità aperta, fondata sulla condivisione di valori universali e sul riconoscimento di una comune condizione umana.

L’ha fatto, per esempio, con Giovanni Boccaccio, che con il Decameron ci ha mostrato come si esca da una tragedia come la peste ricostruendo piccole comunità fondate sulla condivisione di storie, e ci ha ricordato che bisogna avere fiducia nella parola, perché trovare un linguaggio giusto e vero per dire le cose è già un modo per dominare il reale e salvarsi.

E l’ha fatto anche con Giacomo Leopardi, che alla fine della sua parabola poetica e umana ci ha lasciato come testamento, nella Ginestra, un richiamo all’etica della solidarietà fra i viventi, fondata sul riconoscimento della fragilità che ci accomuna tutti.

Ma la letteratura italiana offre anche una visione critica, non conciliata, della storia. Studiare la letteratura italiana offre molti esempi di una visione divergente dei grandi fenomeni storici, e questo rappresenta un grande laboratorio per il libero pensiero e l’affinamento della capacità di lettura critica e allo stesso tempo consapevole della realtà.

Basti pensare al modo in cui la scrittura raffinatissima e classicista di Giuseppe Parini è stata capace, con l’arma dell’ironia, di demistificare un intero mondo, quello dell’ancien régime, descrivendone la dissoluzione in corso prima ancora che la storia ne decretasse l’effettiva scomparsa.

O al modo in cui il radicale pessimismo e le altrettanto radicali scelte stilistiche di Giovanni Verga hanno denunciato, dalla prospettiva del Meridione del paese, le fortissime contraddizioni del processo unitario.

O a come Pier Paolo Pasolini ha saputo mettere il dito nella piaga di una modernizzazione senz’anima. Insomma, la letteratura è sempre anche un laboratorio di critica sociale, e quindi una palestra di riflessione democratica. La letteratura italiana, infine, offre straordinari esempi di storie individuali prese nelle morse della storia.

Entrare in classe significa confrontarsi ogni giorno con le domande di senso dei nostri studenti, che in definitiva si riducono sempre ad una: chi sono io? qual è il mio posto nel mondo? E la letteratura, luogo per eccellenza dell’incontro di particolare e universale, permette di sperimentare sia la propria identità (cioè il proprio essere diverso da chiunque altro), sia il proprio essere nel mondo (e quindi partecipe a dinamiche che vanno oltre sé stessi).

In questo senso, la letteratura rivela una forza straordinaria quando racconta l’ingresso, spesso traumatico, della grande storia nelle vite dei singoli: quando il fante Giuseppe Ungaretti, nel carnaio delle trincee della Prima Guerra Mondiale, appunta brevissime, scarnificate poesie sulle scatole dei cerini; quando Elsa Morante getta uno sguardo pieno di pietas sulle vittime di «uno scandalo che dura da diecimila anni», ossia La storia che dà il titolo a uno dei suoi libri più famosi; quando un essere umano di nome Primo Levi ritorna dall’inferno di Auschwitz e trova la forza di raccontarlo; quando Beppe Fenoglio descrive un partigiano che guarda il paesaggio delle Langhe e si dice che l’importante è che rimanga sempre almeno una persona disposta a scommettere la propria vita per una battaglia giusta e necessaria.

Sono storie di vittoria e di sconfitta, di salvati e di vittime, di persone che a volte devono fare scelte dolorose ma necessarie, o altre volte non possono proprio scegliere. Insomma, la letteratura racconta vicende di donne e di uomini che, come ciascuno di noi, stanno dentro la Storia, e che, come ciascuno di noi, dentro la Storia devono trovare il modo più giusto e degno di curare la propria umanità, riconoscendo e rispettando l’umanità altrui.

Vivere è scegliere, è decidere come reagire a ciò che la realtà ci mette di fronte: imparare a farlo insieme ai grandi autori della letteratura può darci forza e può farci sentire meno soli.

4/ Il manuale in classe, di Roberto Contu

Roberto Contu (Viterbo 1976) è docente di Lettere presso il Liceo Sesto Properzio di Assisi. Autore di saggi, articoli e opere letterarie, si occupa di letteratura italiana contemporanea, didattica della letteratura e di riflessione sul mondo della scuola.

L’insegnante di lettere, che sia arrivata o arrivato da poco a scuola, nel pieno della carriera, o che si avvicini al termine di una lunga e preziosa esperienza, potrebbe raccontare cosa accade in certi momenti, quando certi testi entrano in classe.

Capita che gli sguardi improvvisamente si facciano attenti, anche quello di quell’alunna o di quell’alunno sempre ostile, che la voce dell’insegnante per un tempo sospeso paia non trovare resistenze, che la percezione dell’ascolto della maggioranza se non di tutti sia reale.

Il testo sembra imporsi, le considerazioni che il docente può inserire tra una riga e l’altra, tra un verso e l’altro, paiono perfette e necessarie, danno vita infine alle interpretazioni degli studenti, che magari si affastellano, perché sono altrettanto perfette, sono altrettanto necessarie.

Sono quelle lezioni che ogni insegnante di lettere potrebbe raccontare, perché capitano, certo che capitano, e che prendono forma grazie a nomi e titoli spesso ricorrenti e di tutti: Francesca e Paolo, il Canto notturno, I limoni; ma possono essere anche lezioni che devono il loro successo a nomi e titoli meno canonici, archiviati tra gli indici del manuale ma che a un certo punto si riveleranno, magari in modo non previsto, classici inattesi che rimarranno nella storia segreta di quella classe per quello che hanno portato in dote: dalla dignità di Chiara Matraini, allo stupore di Carlino Altoviti, fino alla riflessione sull’amore di Amerigo Ormea.

Verrebbe da dire che l’insegnante di lettere lavori proprio perché a un certo punto, in classe, capitino questi momenti, ma forse sarebbe proprio l’insegnante di lettere a precisare che quelle occorrenze in realtà siano un risultato certo atteso, felice e auspicato, ma per niente scontato, di quel lavoro assolutamente multiforme che è l’insegnamento della letteratura italiana.

A riguardo, in quel sistema complesso di interazioni che prende costantemente vita ogni mattina all’interno delle nostre classi, è fondamentale stabilire quale possa essere la funzione di un buon manuale di letteratura. Si tratta senz’altro di un rapporto delicato, un rapporto a tre, insegnante, studente e manuale, il cui corretto bilanciamento è parte integrante del successo della relazione educativa.

Alla base dell’idea di Una storia chiamata letteratura, c’è senz’altro anche la convinzione, maturata attraverso l’esperienza d’aula, di come un buon manuale di letteratura non possa rischiare anzitutto di essere solo un contenitore statico, per quanto esaustivo, di conservazione della storia letteraria, che finirebbe per essere al più un ottimo sussidio per il docente nella preparazione delle lezioni, ma di fatto non consegnabile all’utilizzo autonomo dello studente.

Parimenti un buon manuale di letteratura non dovrebbe nemmeno essere uno strumento che, mosso dall’intenzione di un approccio facilitante, rischi di compiere un’invasione di campo nel rapporto centrale studente-docente, dando idealmente del tu a quest’ultimo, ma di fatto facendo propria una prerogativa che è e deve restare dell’insegnante, il quale è e deve rimanere il mediatore finale tra studente e storia letteraria.

Un buon manuale di letteratura dovrebbe essere piuttosto un luogo nel quale docente e studente si incontrano, un luogo ampio, bello e degno della storia che intende raccontare, capace di fornire tutto ciò che serve, che rivendichi una propria identità culturale ma che sia al servizio di quanto quotidianamente accade tra i banchi della classe, sul tavolo del docente che a casa imposta la lezione, sulla scrivania dello studente che nella sua camera si prepara per il giorno dopo.

Da questo punto di vista, la centralità del testo come pietra angolare di ogni didattica che guardi ai nuovi studenti, oramai tutti nati negli anni Zero, è dirimente. Specie per chi si è formato nella scuola e sui manuali delle grandi arcate storico-culturali, delle correnti e dei medaglioni (vita, opere minori, opera maggiore), in cui il testo a volte rischiava di essere solo lo sbrigativo punto d’approdo finale, è chiaro come quel modello oggi sia lontano dal modo in cui i nostri studenti conoscono e imparano, e che è un modo retto da sintassi mentali fatte di connessioni continue, che privilegiano il metodo induttivo, che trova maggiore agio nella ricostruzione dell’universale partendo dal particolare.

Del resto, anche le novità introdotte nel nuovo Esame di Stato segnato dal crocevia della pandemia e della prova orale d’italiano che ha iniziato a svolgersi partendo obbligatoriamente dal commento di un testo, per non dire della normalizzazione definitiva del digitale entrato in tutte le scuole con la dad e con quello che comporta per la ridefinizione dei modelli d’apprendimento anche in presenza, chiamano a una riflessione sull’insegnamento della letteratura italiana, proprio a partire da un nuovo protagonismo del testo letterario nell’ora di lezione.

Una storia chiamata letteratura nasce dall’idea di mettere a disposizione della pratica d’aula un luogo nel quale è possibile entrare da diversi punti di accesso e muoversi in diverse direzioni, il che è poi un modo per agevolare al massimo grado quella libertà necessaria alla relazione educativa che nasce sempre dal rapporto particolare, che è diverso per ogni scuola, per ogni classe, per ogni ora di lezione.

Il docente che si trova a suo agio partendo dal testo letterario, potrà tranquillamente muovere da quello, attraverso le analisi e gli strumenti che lo accompagnano, potendo contare su un linguaggio e uno sguardo critico che poi ritroverà coerente nella parte dei quadri e dei profili, secondo un principio di continuità tra riflessione generale e analisi delle opere e di cui gli infratesti sono segno esplicito.

Viceversa, il docente che preferisce un approccio deduttivo, potrà comunque fare tesoro di un impianto che accompagna la riflessione più generale in modo lineare e diretto all’incontro con il testo, di cui la prima è premessa e il secondo è completamento naturale.

L’intenzione è dunque quella di offrire un impianto culturale il più omogeneo possibile, pur nella distinzione e riconoscibilità delle singole parti, al fine di rendere al massimo grado agevoli le proprie scelte di metodo sul materiale proposto che, lo ribadiamo, determinano i loro percorsi migliori a partire anzitutto dall’interazione primaria tra docente e gruppo classe.

Ma che in classe si arrivi al testo come punto d’arrivo o che lo si utilizzi come punto di partenza, l’esperienza d’aula insegna anche come il lavoro debba continuamente muoversi su due fronti.

Da una parte il testo letterario va storicizzato, fondato con serietà e giustificato nel relativo tempo storico e in questo senso è decisivo potere disporre di un manuale che fornisca in modo puntuale e completo i giusti quadri di riferimento, che sappia orientare con sicurezza lo studente, che sia in grado di veicolare con chiarezza ogni informazione necessaria, evitando dispersioni dello sforzo conoscitivo che, per quanto se ne dica, i nostri ragazzi e le nostre ragazze sono ancora disposti a mettere in campo.

In secondo luogo, quando tale movimento sarà messo a sistema nella classe, è essenziale rendersi disponibili alla sfida di storicizzare quegli stessi testi nel nostro presente, nei fatti capire come quel Canzoniere, che abbiamo anzitutto collocato seriamente nel proprio tempo, possa ancora entrare in relazione con il proprio conflitto interiore e che per primo un adolescente sa riconoscere; come quel Principe, che abbiamo anzitutto collocato seriamente nel proprio tempo, possa indicare oggi l’importanza del ragionamento critico e antidogmatico; come La storia, che abbiamo anzitutto collocato seriamente nel proprio tempo, possa mostrarci anche oggi come da sempre «l’umanità, per propria natura, tenda a darsi una spiegazione del mondo nel quale è nata».

A riguardo, quanto Una storia chiamata letteratura vuole mettere in campo attraverso le proposte che aprono alla cittadinanza, all’educazione civica, alla dimensione delle emozioni, si pone come un ulteriore luogo d’approdo dove liberamente il docente e la classe possono incardinare la propria attività nell’ora di lezione. Fondando il passato, storicizzandolo nel presente, la classe diventa così realmente laboratorio conoscitivo, luogo di interpretazione della realtà ma proprio perché, grazie alla lente della letteratura di cui si è appropriata, è capace di gestire quella che oggi pare essere la competenza davvero più importante: quella dell’esercizio del pensiero complesso.

In fondo si torna sempre lì, a quella percezione che l’insegnante avverte, ma evidentemente anche lo studente, quando la campanella annuncia il termine dell’ora di lezione. Si esce spesso con la sensazione di non avere raggiunto un risultato sperato; ogni tanto, inutile negarlo, si patisce la frustrazione di non riuscire a trovare un centro stabile; molto più spesso si percepisce l’andamento ordinario di un percorso che è lento, progressivo, che più delle vette e dei precipizi accusa piuttosto la fatica della pianura che nasconde un orizzonte certo; a volte, si ottengono infine quei momenti importanti descritti all’inizio di questa riflessione, che sembrano davvero risignificare il senso stesso dello stare in classe.

Perché è proprio quanto avviene nell’aula, in quell’universo in espansione che è già la singola ora di lezione, a dire da sempre a ogni insegnante come a scuola non esista la formula che mondi possa aprirti, ma che invece si è sempre chiamati a un lavoro continuo di approssimazione al meglio, di ridefinizione degli equilibri, dei metodi e degli strumenti, di riscoperta permanente dei veri protagonisti del nostro lavoro, che sono gli studenti, ma anche di noi stessi insegnanti che abbiamo scelto di fare scuola ed essere scuola con loro.

Pensare che un manuale, con rispetto e contezza di quanto gli spetti, possa farsi prossimo nella relazione educativa che prende vita ogni giorno nelle nostre aule, che metta a disposizione tutto il necessario affinché quell’incontro avvenga anche tra i panorami significativi della grande letteratura, è tra tutte le intenzioni che hanno mosso quest’opera, forse quella che più direttamente nasce dall’esperienza di classe, di certo una delle più importanti che ci ha spinto a realizzarla.