L’amicizia, la famiglia e l’educazione in Harry Potter, di Roberta Tosi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 06 /11 /2022 - 23:25 pm | Permalink | Homepage
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo sul nostro sito i tre interventi di Roberta Tosi, tenuti in occasione del ciclo Ascoltando i maestri nell’incontro su Harry Potter tenuto in dialogo con Andrea Lonardo (qui il file audio dell’intera serata https://soundcloud.com/gliscritti/220331_0725a ). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Letteratura e Educazione. Cfr. in particolare:

Il Centro culturale Gli scritti (6/11/2022)

1/ L’amicizia. Brano introduttorio, cui segue il commento di Roberta Tosi

Da J.K. Rowling, Harry Potter e l’ordine della fenice, Milano, Salani, 2011, pp. 326-331

Davanti c’erano Neville, Dean e Lavanda, seguiti da Call e Padma Patil con (lo stomaco di Harry fece un salto mortale all’indietro) Cho e una delle sua amiche ridoline, poi (da sola, e con aria così svagata che pareva fosse capitata lì per caso) Luna Lovegood; poi Katie Bell, Alicia Spinnet e Angelina Johnson, Colin Dennis e una ragazza di Tassorosso con una lunga treccia di cui Harry non sapeva il nome; tre ragazzi di Corvonero che era abbastanza sicuro si chiamassero Anthony Goldstein, Michael Corner e Terry Steeval; Ginny, seguita da un ragazzo alto, biondo e magro con il naso all’insù che Harry  riconobbe vagamente come un membro della squadra di Quidditch di Tassorosso, e a chiudere la fila Freud e George Weasley con il loro amico Lee Jordan, tutti e tre muniti di grossi sacchetti di carta gonfi della mercanzia di Zonko.

«Un paio?» disse Harry a Hermione, in un sussurro roco. «Un paio?»

«Be’, sì, l’idea ha avuto un certo successo» rispose allegramente Hermione.  «Ron, ti va di prendere qualche altra sedia?»

Il barista era rimasto paralizzato nell’atto di pulire un bicchiere con uno straccio tanto sporco che pareva non essere mai stato lavato. Probabilmente non aveva mai visto il locale così pieno.

«Buondì» disse Fred avvicinandosi al bancone e contando rapidamente i suoi compagni, «possiamo avere …venticinque Burrobirre, per cortesia?»

Harry rimase a guardare stordito mentre il folto e ciarliero gruppo prendeva le Burrobirre da Fred e rovistava nelle tasche in cerca di monete. Non riusciva a immaginare perché fosse venuta tutta quella gente, finché non ebbe l’orribile idea che potessero aspettarsi una qualche specie di discorso, e a quel punto si voltò verso Hermione.

«Ma cosa hai raccontato?» bisbigliò. «Cosa si aspettano da me?»

«Niente, vogliono solo sentire che cos’hai da dire» rispose Hermione cercando di tranquillizzarlo; ma poiché Harry continuava a guardarla furibondo aggiunse in fretta: «Tu non devi fare niente, adesso, parlerò prima io».

[…]

«Ecco…ehm …bene, sapete tutti perché siamo qui. Dunque, Harry ha avuto l’idea...» - Harry le lanciò un’occhiataccia - «cioè io ho avuto l’idea …che sarebbe stato meglio per chi voleva imparare Difesa contro le Arti Oscure, e intendo dire impararla davvero, non quella spazzatura che ci fa studiare la Umbridge …» - la voce di Hermione si fece all’improvviso più forte e sicura - «perché nessuno potrebbe definire quella roba Difesa contro le Arti Oscure» («Giusto!» disse Anthony Goldstein, e Hermione parve rincuorata), « …be’, ho pensato che avremmo fatto meglio, insomma, a prendere in mano la situazione».

Fece una pausa, guardò di traverso Harry e proseguì: «E con questo intendo dire imparare a difenderci sul serio, ma solo in teoria, ma con veri incantesimi …».

«Certo» rispose prontamente Hermione. «Ma ancora di più voglio essere ben addestrata nella Difesa, perché …perché …» respirò a fondo e concluse, «perché Lord Voldermort è tornato».

La reazione fu immediata e prevedibile. L’amica di Cho strillò e si versò la Burrobirra addosso; Terry Steeval ebbe una specie di spasmo involontario; Padma Patil rabbrividì, e Neville emise uno strano suono che riuscì a trasformare in un colpo di tosse. Tutti comunque fissarono intensamente, quasi avidamente, Harry.

«Be’ … il progetto è questo» continuò Hermione. «Se volete unirvi a noi, dobbiamo decidere come …»

«Dove sono le prove che Tu-Sai-Chi è tornato?» chiese il giocatore biondo di Tassorosso in tono aggressivo.

1B/ Commento di Roberta Tosi su Harry Potter e l’amicizia

La storia di Harry Potter si presenta come un vero e proprio Bildungsroman ovvero un romanzo di formazione, ovvero una forma di romanzo antichissima. Romanzi come il Perceval di Chrétien de Troyes, il poema incompiuto scritto all’epoca delle crociate o più recentemente, il giovane Holden e così via. Protagonisti sono sempre dei giovani, quando non bambini come Harry, che partono da situazioni svantaggiose in cui si percepiscono soli, inadeguati, a volte perfino disadattati, in un mondo che non comprendono così come non comprendono loro stessi… Chi è il ragazzo o la ragazza che non si è sentito o non si sente così?

Ma quello che i giovani cercano (e mi verrebbe da dire non solo i giovani) è che queste situazioni non siano permanenti, che nella vita ce la si possa fare, che le difficoltà si possano superare e che la nostra storia abbia un senso.

Un grande scrittore inglese come Chesteron diceva: “Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono, i bambini lo sanno già che i draghi esistono, le fiabe insegnano ai bambini che i draghi possono essere sconfitti!”

Ma nessuno “si costruisce” da solo. Per sconfiggere i draghi bisogna che qualcuno ti sia accanto per indicarti la strada. E ci vogliono anche degli amici con cui condividere il cammino…

La Rowling, in questo, più che seguire il romanzo di formazione “tradizionale” si accosta infatti a due giganti della narrativa del fantastico. C.S. Lewis, autore delle Cronache di Narnia (non per niente la storia di HP si snoda per sette libri come sette sono quelli di Narnia) e J.R.R. Tolkien sia con Lo Hobbit ma ancor di più con Il Signore degli Anelli. Ciò che infatti viene posto in risalto in questi romanzi, al di là dell’evolversi appassionante della narrazione, è proprio la compagnia in cui si vengono a formare e a trovare i loro protagonisti.

Nelle avventure di HP, scrive l’amico e saggista Paolo Gulisano, l’autrice “descrive il contesto attuale post moderno portando il lettore da una visione di uomo individualista verso una visione di uomo guidato da valori morali, quali la scelta del bene, il dono, il sacrificio, l’amicizia, l’amore. È così messo in risalto che il successo ottenuto senza fatica, la ricchezza, una vita eterna su questa terra, sono solo illusioni: ciò che veramente conta sono l’impegno, l’amicizia, l’amore”.

La parola amore è forse una delle più ricorrenti nella saga potteriana, è la parola portante di tutta la storia. Sarà grazie all’amore di sua madre che Harry potrà camminare nel mondo ma sarà anche grazie all’amore di quelli che diventeranno poi suoi amici che Harry giungerà a sconfiggere Voldemort. Ma che tipo di “amore” è quello tra amici? L’amicizia infatti è un tipo di affetto, di sentimento, non indispensabile ed è anche, volendo, il meno istintivo.

L’amicizia che si crea a Hogwarts nasce innanzitutto all’interno della casa di appartenenza, e dunque tra i Grifondoro, i Tassorosso, i Corvonero… ma questo fatto non preclude l’apertura ad altri gruppi. Il due infatti, aveva scritto proprio Lewis, non è il numero distintivo dell’amicizia, e neppure il più congeniale. Quindi non un élite ma un gruppo aperto. Il brano che abbiamo ascoltato poc’anzi, parla proprio di questo. Si può essere amici anche al di fuori del proprio gruppo di appartenenza quando si condividono gli stessi interessi, valori, obiettivi, quando si è uniti da uno scopo. Questo vuol dire che si deve essere sempre d’accordo su tutto? Assolutamente no, le voci possono essere dissonanti e perfino contrapposte. Il dialogo che si viene a creare, quando basato sul buon senso e il reciproco rispetto, diviene sempre un momento di crescita, di piacere, di riflessione. Un’infinità di volte, nel corso della storia, vediamo momenti di scontro tra Harry, Ron, Hermione. Ma questo non precluderà mai il rapporto tra loro. Uno dei primi segni della vera amicizia è anche quello di saper fronteggiare una persona cara quando si pensa che questa sia nel torto. Pensiamo a Neville, in quella scena topica proprio al primo anno di scuola quando vorrebbe impedire agli amici di compiere la loro ultima scorribanda. Proprio aver fronteggiato i suoi più cari amici gli farà meritare la menzione da parte di Silente.

E che dire di Luna, la più stravagante amica di Harry, capace però di dire la cosa giusta al momento giusto? Ma gli esempi potrebbero continuare all’infinito.

Harry però non instaurerà rapporti d’amicizia solo con i suoi “pari”. Anche alcune figure adulte costituiranno per lui un riferimento importante, alcune le vedremo fra poco ma tra queste ce n’è uno col quale stringe un legame fortissimo ed è Sirius Black. Amico fraterno del papà di Harry, James, Sirius sarà disposto a subire la condanna di ben 12 anni nella prigione di Azkaban pur di non tradire il suo più caro amico. E, una volta ritrovato, riverserà lo stesso affetto nei confronti di Harry. Anzi, potremmo dire che lo vedrà come un vero e proprio figlio e anche lui, per salvarlo, non esiterà a intervenire in suo soccorso morendo per proteggerlo.

Se avete notato prima, nel citare le varie case, non ho però nominato la casa di Serpeverde. Che tipo di amicizia si trova tra i Serpeverde? Di sicuro ben diversa da quella delle altre case. È un’amicizia basata sulla subalternità o al più sul cameratismo. Si sta insieme per convenienza, per sentirsi migliori o più forti. Si segue, per esempio, un capo: vedi Malfoy che è ricco, è un purosangue e dunque fa sentire chi gli sta accanto dalla parte “giusta”. Non ci si mischia con gli altri considerati inferiori. Una delle conseguenze però di questo stare insieme non basato su un vero affetto è, per esempio, la codardia. Ci si muove sempre “in branco”, non si affronta mai l’avversario, o presunto tale, da soli. E quando succede, non si ha il coraggio di arrivare fino in fondo. Anzi, se la situazione volge al peggio non si resta al fianco del presunto capo ma si fugge.

Anche nello scontro finale Voldemort è attorniato dai suoi Mangiamorte. Sono forse amici? No, sono seguaci, come capita a tutti i dittatori e spesso agli uomini di potere.

E quando la situazione non appare più così favorevole al loro “amico”, seppure di fronte a dei ragazzi, a un gruppo di adulti malandato e un castello in rovina, non esitano ad abbandonarlo o comunque a non intervenire per difenderlo. Non basta dunque avere le armate a propria disposizione: Voldemort le ha ed è anche il mago più potente di tutti ma viene fermato da Harry e dai suoi amici. Sì perché la vera amicizia si vede anche nelle difficoltà. E cosa c’è di più difficile, terribile dell’affrontare la morte?

I libri di Harry Potter, così come anche la trilogia del Signore degli Anelli, parlano di temi universali (Tolkien diceva che le fiabe parlano di cose permanenti: non di lampadine elettriche ma di fulmini) ovvero parlano di Morte e Immortalità.

Trovarsi di fronte a un pericolo così grande che mette a rischio la tua vita, anche se in quel momento sai che lo stai facendo per il tuo più caro amico, non è scontato né facile.

Nel brano che abbiamo sentito Harry ammette che di fronte a tutti i rischi che ha dovuto affrontare è stato molto aiutato dalle persone che erano accanto a lui, che gli volevano bene, dagli amici, dagli insegnanti. Anche se poi le ha dovute affrontare da solo, contava sulla loro vicinanza. Sapeva che c’erano. Nel film “l’Ordine della Fenice” che comunque hanno sempre avuto tutti la supervisione della Rowling) c’è un passaggio molto significativo in cui Harry afferma:

“Affrontare queste cose nella vita reale, non è come come a scuola. A scuola quando commetti un errore puoi sempre riprovare il giorno dopo, ma lì fuori quando sei a un istante dall’essere ucciso o vedi un amico morire davanti ai tuoi occhi, non sapete cos’è”.

E lo scopriranno cos’è, ciascuno di loro lo scoprirà, ma non si tiranno indietro. Ne avranno la possibilità. Ron, a un certo punto, durante la ricerca degli horcrux, se ne andrà. In uno scontro acceso con Harry, lo lascerà, andrà via e sembrerà voltare le spalle a tutta quella sfida impossibile e agli amici. Ma se ne pentirà. Subito dopo. E, anzi, sarà poi Ron a salvare Harry in un momento di grande difficoltà. Lui stesso a distruggere un Horcrux. Ecco infatti quello che faranno poi le persone più care per Harry. Lo aiuteranno nella sua ultima e definitiva missione e arriveranno a distruggere quasi tutti gli horcrux al suo posto. Nonostante Harry abbia visto in faccia la morte più di una volta, nonostante siano morte le persone a cui teneva di più, anzi proprio per questo, proprio perché tutte in qualche modo sono state capaci del dono più grande, ovvero dare la propria vita per amore, per salvarlo e per salvare non solo lui, che Harry capisce, comprende come la morte non sia l’ultima definitiva parola (Molto significativa, in questo senso, la storia dei fratelli Peverell descritta nel settimo libro).

Nella Pietra Filosofale, il primo libro, quando ancora non si poteva intuire l’evoluzione che avrebbe preso l’intera storia, per bocca di Silente sentiamo questa frase:

“In fin dei conti, per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova grande avventura.”

Qualcosa di simile l’aveva detto anche il Peter Pan di Barry, ricordate?

La morte non è la fine: “l’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte” è la frase che si legge sulla tomba di Lily e James Potter (dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi).

Ed è nella certezza che il suo sacrificio ha un senso, grazie a chi gli è stato accanto fino a quel momento, grazie al dono di sua madre, che Harry si consegnerà volontariamente alla morte e per questo supererà la prova.

Come dirà infatti in quel bellissimo dialogo con Silente, alla fine del 7° libro: “Avrei dovuto morire… non mi sono difeso! Volevo che mi uccidesse!”

E Silente risponde: “E questo deve aver fatto, credo, tutta la differenza”.

Chi invece ha paura della morte, nonostante tutto, è proprio Voldemort che non ha bisogno di amici, non ha bisogno di amore se non per i propri fini utilitaristici e che rappresenta in qualche modo l’uomo che vuol farsi da se stesso, l’uomo autodeterminato, che non contempla una realtà che lo trascende, che vive schiacciato sul presente e sul proprio Io. Ricorda il superuomo profetizzato da Nietzsche. Ma proprio perché il suo orizzonte è piatto e la sua visione limitata che teme la morte e cerca in tutti i modi di esserne il signore (si fa già chiamare Lord), dando così al suo nome un’aura di sacralità, autoinvestendosi di un potere che non ha: quello di essere Signore, appunto. Questa la sua più grande debolezza e da qui il suo fallimento, perché non può comprendere come una persona possa deliberatamente scegliere di morire per salvare i suoi amici.

2A/ La famiglia. Brano introduttorio, cui segue il commento di Roberta Tosi

Da J.K. Rowling, Harry Potter e l’ordine della fenice, Milano, Salani, 2011, pp. 122-126

Quel giorno Harry si svegliò alle cinque e mezza, di colpo e completamente, come se qualcuno gli avesse urlato in un orecchio. Per qualche istante rimase disteso e immobile, mentre la prospettiva dell’udienza disciplinare riempiva ogni piccola parte del suo cervello, poi, incapace di sopportarlo, balzò fuori dal letto e inforcò gli occhiali. La signora Weasley aveva disposto i suoi jeans e la T-shirt appena lavati ai piedi del letto. Harry se li infilò. Il quadro vuoto sulla parete ridacchiò.

Ron era disteso sulla schiena, a braccia aperte, con la bocca spalancata, profondamente addormentato. Non si mosse nemmeno quando Harry attraversò la stanza, uscì sul pianerottolo e richiuse piano la porta. Cercando di non pensare alla prossima volta in cui avrebbe visto Ron, se non fossero più stati compagni di scuola a Hogwarts, Harry discese piano le scale, passò sotto le teste degli antenati di Kreacher e scese in cucina.

Si era aspettato di trovarla vuota, ma giunto davanti alla porta sentì un quieto borbottio. La aprì e vedi il signore e la signora Weasley, Sirius, Lupin e Tonks seduti, come se lo stessero aspettando. Erano vestiti di tutto punto tranne la signora Weasley, che indossava una vestaglia trapuntata viola e balzò in piedi all’ingresso di Harry.

«La colazione» disse sfoderando la bacchetta, e corse verso il camino.

«Buo-buo-buongiorno, Harry» sbadigliò Tonks. Quella mattina aveva i capelli biondi e ricci. «Hai dormito bene?»

«Sì» rispose Harry.

«Sono sta-sta-stata su tutta la notte» disse, con un altro sbadiglio che la scosse tutta. «Vieni a sederti…»

Prese una sedia e rovesciò quella accanto.

«Che cosa vuoi, Harry?» domandò la signora Weasley. «Porridge? Muffin? Aringhe? Uova e pancetta? Pane tostato?»

«Solo… Solo pane tostato, grazie» rispose Harry.

Lupin gli lanciò un’occhiata e poi disse a Tonks: «Che cosa stavi dicendo a proposito di Scrimgeour?»

«Oh… sì… be’, dobbiamo stare un po’ più attenti, ha fatto strane domande a me e a Kingsley …»

Harry si sentì vagamente grato che non gli fosse richiesto di unirsi alla conversazione. Aveva le budella attorcigliate. La signora Weasley gli mise davanti due fette di pane tostato con la marmellata d’arance; lui cercò di mangiare, ma era come masticare moquette. La signora Weasley sedette al suo fianco e cominciò a sistemargli la T-shirt, infilando l’etichetta dentro il collo e lisciando le pieghe sulle spalle. Harry avrebbe preferito che non lo facesse.

«…e dovrò dire a Silente che domani non posso fare il turno di notte. Sono t-t-troppo stanca» concluse Tonks, con un nuovo enorme sbadiglio.

Il signor Weasley si rivolse a Harry.

«Come ti senti?»

Harry scrollò le spalle.

«Presto sarà tutto finito» gli disse il signor Weasley in tono incoraggiante. «Tempo poche ore sarai scagionato».

Harry non rispose.

«L’udienza è al mio piano, nell’ufficio di Amelia Bones. È il direttore dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, ed è lei che condurrà l’interrogatorio».

«Amelia Bones è a posto, Harry» disse Tonks con fervore.  «È una persona onesta, ti ascolterà fino in fondo».

Harry annuì, sempre incapace di pensare a qualcosa da dire.

«Non perdere il controllo» intervenne Sirius all’improvviso. «Sii educato e attieniti ai fatti».

Harry annuì di nuovo.

«La legge è dalla tua» aggiunse Lupin tranquillamente. «Anche i maghi minorenni sono autorizzati usare la magia in pericolo di morte».

Qualcosa di molto freddo colò lungo il collo di Harry; per un attimo pensò che qualcuno gli stesse scagliando un Incantesimo di Disillusione, poi capì che la signora Weasley stava attaccando i suoi capelli con un pettine bagnato.

«Ma non stanno mai giù?» Chiese in tono disperato.

Harry scosse il capo.

Il signor Weasley guardò l’orologio e poi Harry.

«Andiamo» disse. «Siamo un po’ in anticipo, ma starai meglio al Ministero che qui a ciondolare» …

«D’accordo» rispose Harry automaticamente; lasciò il pane tostato e si alzò.

«Andrà una meraviglia, Harry» disse Tonks, dandogli delle pacche sul braccio.

«Buona fortuna» aggiunse Lupin.

«Sono sicuro che andrà bene».

«E se non va bene» disse Sirius cupo, «ci penso io ad Amelia Bones…»

Harry fece un debole sorriso. La signora Weasley lo abbracciò.

«Teniamo tutti le dita incrociate».

«Bene» rispose Harry. «Be’… Ci vediamo dopo».

2B/ Commento di Roberta Tosi su Harry Potter e la famiglia

Sullo sfondo della saga, ma che ne permeano il tessuto e la trama, ci sono le famiglie. Harry Potter è una storia che parla anche di famiglie. Famiglie come le nostre: imperfette, bellissime, struggenti ma anche, tristi, meschine e ambiziose. È fortissimo il senso della famiglia in questi romanzi. A J.K. Rowling il giusto riconoscimento per aver messo in risalto un tema di grande grandissima attualità, soprattutto in questi ultimi anni e di averne portato un modello, per quanto imperfetto, che riporta al centro questo fondamento della società, di quella di noi babbani e perfino di quella dei maghi.

A partire dalla prima famiglia che funge da fil rouge per tutti e sette i libri ovvero la famiglia Potter che il ragazzo non conosce affatto ma che imparerà a conoscere un pò alla volta attraverso il racconto che ne faranno gli altri, e attraverso quel racconto imparerà a conoscere meglio anche sé stesso. Anzi imparerà a ri-conoscersi: in certi gesti, in certi atteggiamenti, sia fisicamente che nel carattere. E in questo riconoscimento inizierà anche la sua crescita, imparando ad apprezzare i lati buoni e meno buoni di sè. Un cammino non facile e anche estremamente doloroso. Soprattutto il ragazzo dovrà imparare ad accettare dentro di sé, senza sentirsi in colpa, il fatto che i suoi genitori si siano sacrificati per lui. Prima il padre James e subito dopo la madre Lily, anche perché quest’ultima avrebbe avuto la possibilità di salvarsi dato che Voldemort, probabilmente l’avrebbe risparmiata avendolo promesso a Piton. Ed è proprio il suo sacrificio che garantirà a Harry una protezione speciale fino al raggiungimento della maggiore età. Allo stesso tempo, seppur inconsapevolmente, il gesto di Lily salverà anche Piton il quale, vedendo la donna che amava uccisa da chi in realtà credeva un grande uomo, lo porterà a rinnegarlo e a tradirlo diventando protettore, a sua volta e decisamente a modo suo, del figlio di Lily. Grazie all’amore di Lily, Harry alla fine sarà capace di donare la sua vita e lo stesso farà Piton, senza esitare, fino all’atto estremo.

Ma se da un lato abbiamo l’esempio della famiglia Potter, dall’altro abbiamo la famiglia Dursley: la famiglia della sorella di Lily ovvero Petunia, Vernon e Dudley. I Dursely accoglieranno infatti Harry come una vera e propria sciagura. Essi rappresentano la perfetta antitesi rispetto alla famiglia in cui il bambino è venuto al mondo. Su di Harry riversano tutto il loro astio, l’indifferenza e il fastidio di averlo e di doverlo tenere nella loro casa poiché questa gli garantisce quella protezione di “sangue” di cui ha bisogno. E Petunia, suo malgrado, aveva accettato l’ordine impartito da Silente di aver cura di Harry. Ma a casa Dursley l’aver cura assume semplicemente il significato di “farlo sopravvivere”.

Ed è quello che accadrà. Harry sopravvivrà. Non conoscendo nulla della sua storia, costantemente angariato dal cugino e dagli zii ma ce la farà, imparando a cavarsela, anche nelle situazioni difficili come quella di vivere in un sottoscala. Harry in fondo cresce in una famiglia dove vede che una forma d’amore, o più di egoismo, fluisce attraverso gli zii e il loro figlio ma non tocca Harry che vive in quella famiglia come l’orfano che è.

Alla famiglia di babbani fa da contrappeso una famiglia di maghi cosiddetti purosangue. Una delle casate più antiche e nobili nel mondo di Harry Potter ovvero la famiglia Malfoy (dal francese mal foi: ovvero cattiva fede) Lucius, Narcissa e Draco. È una famiglia dove lo status sociale conta più di tutto. Una famiglia ricchissima, all’apparenza perfetta ma talmente superba da guardare dall’alto in basso perfino gli altri maghi, tranne quelli utili al proprio tornaconto e disprezzando, senza se e senza ma, i cosiddetti nati babbani e dunque non degni di appartenere alla loro comunità. La loro famiglia, anche con la sorella di Narcissa ovvero Bellatrix, sarà una delle più devote al Signore Oscuro. Il figlio Draco cresce così in un ambiente più che protetto, coccolato e viziato, sapendo di far parte di una delle più importanti famiglie di maghi. A scuola si permetterà di bullizzare i compagni senza temere di essere punito e mostrandosi poco rispettoso perfino nei confronti degli insegnanti, sicuro della protezione del padre che riveste un ruolo significativo al ministero della magia. Draco si presenta come l’alter ego di Harry fin dall’inizio. Gli scontri tra loro non mancheranno, si perpetueranno fino alla fine ma anche la famiglia di Malfoy ha qualcosa che lega l’uno all’altra più del loro orgoglio di essere dei purosangue, più del loro essere fedelissimi di Voldemort, ovvero l’amore. Certo non un amore aperto come quello dei Potter ma pur sempre amore, almeno tra di loro. Voldemort infatti non riuscirà a prevedere, neanche questa volta, che il legame di sangue che lega un madre al proprio figlio è più forte della devozione nei suoi confronti. Sarà Narcissa infatti, quando si giungerà all’epilogo della storia, a salvare Harry appena saprà che anche suo figlio, alla fine di tutto, si è salvato grazie proprio a lui. Come se, con l’istinto della madre, Narcissa lo intuisse decidendo di risparmiare così il ragazzo.

Ho lasciato in ultimo, ma non per ultimo, la famiglia che abbiamo incontrato nel brano letto poc’anzi, ovvero la famiglia Weasley. È una famiglia di purosangue anch’essa ma, a differenza della famiglia Malfoy, oggi diremo che è una famiglia “inclusiva” ma più che usare questo termine, io direi che è una famiglia aperta. A cosa? Prima di tutto alla vita! Molly e Arthur Weasley non sono ricchi, anzi, più di una volta ci viene sottolineato questo particolare non trascurabile riguardante l’economia domestica eppure hanno ben 7 figli! (Ricorre il numero sette…). Ma tra loro, nonostante come tutte le famiglie incontrino difficoltà non da poco (essere dei maghi non vuol dire avere una vita più facile), si respira un’aria di “casa” e di vera famiglia dove ciò che s’insegna è l’amore reciproco, il rispetto, la dignità in ciò che si fa seppur piccolo o modesto, l’amicizia e la generosità. La loro casa è un porto sicuro per Harry e la loro è quella famiglia che il ragazzo non ha mai avuto. Lo accoglieranno fin da subito come un figlio, soffrendo in silenzio quando magari non ne condivideranno le scelte, ma schierandosi sempre al suo fianco nel momento del bisogno. Ciascuno dei suoi componenti ha un ruolo significativo nell’intera saga, a partire dal migliore amico di Harry, Ron, col quale condividerà ogni impresa anche quando a separarli saranno le vicende che coinvolgono Harry in prima persona.

Molly (ma bisognerebbe parlare di ciascun componente della famiglia), rappresenta quella madre affettuosa e premurosa che Harry non ha mai conosciuto. Il brano che abbiamo ascoltato poco fa ci restituisce proprio uno spaccato di vita in un momento complicato. Il preparare i vestiti stirati e puliti, la colazione, pettinare il figlio per renderlo con il suo miglior aspetto possibile rappresentano quei gesti semplici, quotidiani ma commoventi e significativi che la rendono davvero madre per Harry. Ma se Molly sembra il personaggio meno incisivo nel mondo dei maghi, è bellissimo il riscatto che proprio la Rowling le ha voluto assegnare alla fine. Nel momento in cui Bellatrix minaccia uno dei suoi figli, Molly diventerà quella tigre pronta a difendere i suoi cuccioli. Un momento davvero epico: mai dubitare delle potenzialità di una madre.

Alla fine i Weasley costituiranno anche quel punto di partenza per la famiglia che formerà Harry stesso sposando l’ultimogenita, Ginny, e che, nel percorso narrativo, si svela solo un poco per volta giungendo solamente nel sesto libro a diventare quel riferimento che poi rappresenterà per Harry.

E che dire della famiglia originaria di Voldemort? La famiglia dunque di Tom Riddle?

Tom non nasce da una relazione d’amore ma da un’infatuazione da parte della madre purosangue nei confronti del padre babbano e da un inganno, perpetrano all’insaputa di quest’ultimo che altrimenti non avrebbe mai sposato la donna. La conseguenza di questa fatto sarà che la madre non sopravvivrà al dolore di venire in seguito lasciata dal marito, una volta scoperto l’inganno, e nonostante abbia avuto un figlio da lui si lascerà morire. Il figlio nato non basterà a salvarla. La madre di Tom muore. Così come muore la mamma di Harry ma quest’ultima per una scelta di vita, l’altra per una scelta di morte. Harry Potter e Tom Riddle vivono una situazione molto simile in partenza. Entrambi sono stati abbandonati e non crescono in una situazione idilliaca. Tom in un orfanotrofio ma neanche uno dei peggiori, Harry nella situazione che abbiamo già visto. I bambini, come confermano gli studi, non concepiscono che i loro genitori non siano onnipotenti, non possano tutto, non possano, per esempio, fermare la morte e quando viene a “rompersi” questo patto, il dolore che ne deriva è lacerante. La Rowling, nel pensare al personaggio di Voldemort, disse che da un certo punto di vista Tom Riddle era una vittima: delle circostanze, di quanto era accaduto prima di lui, così come lo era anche Harry ma che poi aveva fatto le sue scelte.

La responsabilità, come ben risulta in tutta la saga, è personale. È sempre personale. Ciò che ci determina non è da dove proveniamo ma le scelte che facciamo. Il dono più grande che è stato concesso all’essere umano è il libero arbitrio. E nella saga di Harry Potter ciò che viene sottolineato è proprio l’importanza fondamentale di questa capacità, che è concessa a tutti.

Come ben ricorda Albus Silente, nella Camera dei Segreti:

“Le nostre scelte, Harry, mostrano ciò che siamo veramente, molto più delle nostre capacità”.

Voldemort sceglie di operare il male. Non ci sono finti buonismi nella saga potteriana, il male ha un nome e bisogna riconoscerlo per affrontarlo e anche questa è una questione di scelta perché, come dice ancora Silente:

“Tempi scuri e difficili ci attendono. Presto dovremo scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile”.

3A/ L’educazione. Brano introduttorio, cui segue il commento di Roberta Tosi

Da J.K. Rowling, Harry Potter e l’ordine della fenice, Milano, Salani, 2011, pp. 241-243

«Zitto!»

Una porta alla sua sinistra si aprì di colpo e la professoressa McGranitt uscì dal suo ufficio con aria cupa e un po’ infastidita.

«Si può sapere perché diamine urli, Potter?»

Scattò, «Perché non sei a lezione?»

Le tese il messaggio della Professoressa Umbridge. La professoressa McGranitt lo prese, accigliata, lo aprì con un colpo di bacchetta, lo strotolò e cominciò a leggere. I suoi occhi si spostavano da un lato all’altro del foglio dietro gli occhiali quadrati mentre scorreva le parole della Umbridge, e a ogni riga si stringevano di più.

«Entra, Potter». Harry la seguì nell’ufficio. La porta si chiuse da sola dietro di lui.

«Allora?» chiese la professoressa McGranitt, voltandosi. «È vero?»

«È vero che cosa?» chiese Harry, più aggressivo di quanto non volesse. «Professoressa?» Aggiunse, nel tentativo di sembrare più educato.

«È vero che hai urlato contro la professoressa Umbridge?»

«Sì» rispose Harry.

«E le hai dato della bugiarda?»

«Sì».

«Le hai detto che Colui-che-non-deve-essere-nominato è tornato?»

«Sì».

La professoressa McGranitt si sedette alla sua scrivania e osservò Harry, accigliata. Poi disse: «Prendi un biscotto, Potter».

«Prendo… Che cosa?»

«Prendi un biscotto» ripeté lei impaziente, indicando una scatola di latta stampata con un disegno scozzese in cima a una pila di documenti sulla scrivania. «E siediti».

Già in un’altra occasione Harry si era aspettato di venire bacchettato dalla professoressa McGranitt e invece si era visto assegnare alla squadra di Quidditch di Grifondoro. Sprofondò in una sedia di fronte a lei e preso uno Zenzerotto, confuso e spiazzato come quella volta.

La professoressa McGranitt posò il biglietto della Professoressa Umbridge e guardo Harry con molta serietà.

«Potter, devi stare attento».

Harry la fissò.

Il suo tono di voce non era affatto quello a cui era abituato; non era sbrigativo asciutto e severo; era basso e ansioso e in qualche modo molto più umano del solito.

«Una cattiva condotta della classe della professoressa Umbridge potrebbe costarti molto di più di qualche punto sottratto alla Casa e un castigo».

Suonò la campana che segnalava la fine della lezione. Sopra di loro e tutto attorno risuonarono i rumori elefantiaci di centinaia di studenti in movimento.

«Qui c’è scritto che ti ha assegnato una punizione per tutte le sere di questa settimana, a partire da domani» disse la professoressa McGranitt, guardando di nuovo il biglietto della Umbridge.

«Tutte le sere della settimana!» ripeté Harry, orripilato. «Ma professoressa, non può…?»

«No, non posso» rispose la professoressa McGranitt in tono piatto.

«Ma…»

«È una tua insegnante e ha tutti i diritti di infliggerti punizioni.

Andrai nel suo ufficio domani alle cinque per primo. Ricorda solo questo: stai attento a Dolores Umbridge».

«Ma ho detto la verità!» Esclamò Harry, offeso. «Voldemort è tornato, lei lo sa; e il professor Silente sa che…» «Per l’amor del cielo, Potter!» inveì la McGranitt raddrizzandosi gli occhiali con rabbia (aveva fatto una smorfia terribile al nome di Voldemort). «Credi davvero che c’entra la verità o le bugie? Il problema è che devi stare tranquillo e controllarti!»

«Prendi un altro biscotto» disse lei in tono irritato, spingendo la scatola verso di lui.

«No, grazie» rispose Harry freddamente.

«Non hai sentito il discorso di Dolores Umbridge al banchetto di inizio anno, Potter?»

«Sì… ha detto… che il progresso verrà proibito o… be’, voleva dire che… che il Ministero della Magia sta cercando di interferire a Hogwarts».

La professoressa McGranitt lo scrutò per un attimo, poi tirò su col naso, fece il giro della scrivania e gli apri la porta.

«Be’, sono felice che almeno ascolti Hermione Granger» disse, e gli fece segno di uscire dal suo ufficio.

3B/ Commento di Roberta Tosi su Harry Potter e l’educazione

Mi verrebbe da dire che nessun romanzo prima d’ora aveva posto così al centro il ruolo della scuola nella storia dei suoi protagonisti. Eppure, se ci pensiamo, nella prima parte della nostra vita (per alcuni anche dopo), è il luogo in cui trascorriamo la maggior parte del tempo e che occupa la maggior parte del nostro tempo anche al di fuori dell’edificio scolastico. Da qui il ruolo prezioso e fondamentale che ricopre nell’esistenza di ciascuno.

Hogwarts è una vera e propria comunità in cui seguiamo Harry all’inizio del suo viaggio, nel mondo magico, fino all’età adulta. Qui è dove il primo passo da compiere è venire assegnati in una delle case presenti ovvero le già citate Grifondoro, Corvonero, Tassorosso e Serpeverde. Una vera e propria chiamata in cui un cappello (parlante in questo caso) indica un’assegnazione precisa, un’appartenenza oserei dire secondo caratteristiche ben delineate, secondo carismi che appartengono a ciascuno dei membri di una tale casa e che noi sappiamo essere il coraggio per Grifondoro, l’intelligenza per Corvonero, la diligenza per Tassorosso e l’ambizione per Serpeverde.

Inizia così il percorso di ciascun studente a Hogwarts: una scuola per di più fondata, fin dall’inizio della sua istituzione, sull’uguaglianza di tutti i ragazzi ammessi, sia i giovani provenienti da famiglie di maghi purosangue, sia i ragazzi provenienti da quelle come la famiglia di Harry ma perfino da famiglie di babbani, per un atto di fiducia da parte dei fondatori stessi (sebbene Salazar Serpeverde non fosse per niente d’accordo su quest’ultimo punto, vinsero gli altri). Il fatto poi che gli studenti indossino tutti una divisa che caratterizza l’appartenenza alla scuola (com’è nei college inglesi), previene i possibili disagi che potrebbero scaturire da difficoltà economiche delle varie famiglie. La divisa che indossano è infatti uguale per tutti dai più ricchi ai più poveri e per questi ultimi esiste anche un fondo per sostenere chiunque ne abbia bisogno. Hogwarts è casa e protezione, finché i ragazzi si trovano lì. Lo sarà perfino per Voldemort, la scuola costituirà infatti l’unica casa che abbia davvero conosciuto, e lo sarà poi anche per Harry con esiti ovviamente molto diversi.

A Hogwarts i protagonisti si confrontano, come tutti i ragazzi, con lezioni più o meno interessanti, con professori che ne mettono alla prova sia le capacità che la sopportazione. Imparano che ci sono delle regole che vanno sempre e comunque rispettate, anche se a volte vengono infrante dal nostro protagonista e dai suoi amici. Ma i ragazzi imparano anche a rapportarsi col mondo degli adulti, vivendo così una realtà totalmente differente rispetto a quella di casa. Si vengono così a creare dei rapporti unici con tutti i protagonisti dei vari eventi che accadono e con alcuni insegnanti in particolare.

A partire dal preside, il quale non è direttamente un insegnante di Harry ma lo era stato all’inizio della sua carriera, e che costituisce quella guida, quel mentore, al fianco del ragazzo negli episodi più cruciali della storia, senza però sostituirsi a lui. Non lo farà mai. Vediamo infatti che nei momenti clou, Silente non c’è e sembra far mancare la sua presenza proprio negli episodi più importanti dove invece sarebbe richiesta. Eppure, proprio questo fatto aiuterà Harry ad aver sempre più fiducia in sé stesso, a capire che ce la può fare e che in lui, per rammentare una frase di Tolkien nel romanzo Lo Hobbit, c’è più di quanto lui stesso creda. Ma è una figura totalmente positiva quella di Silente? In realtà l’autrice svela le sue carte un pò per volta e col tempo ci rivela che anche il preside ha le sue debolezze e i suoi lati oscuri. Ma per questo vuole meno bene a Harry o è meno degno di fare il preside? Silente aveva imparato dai suoi errori e anche se non riusciva a perdonarsi forse totalmente, li aveva accettati e attraverso Harry vedeva perfino una parte migliore di sé stesso. Alla fine anche Silente deciderà di sacrificarsi, per mano di Piton, affinché Harry possa compiere la sua missione fino in fondo.

Un’altra figura importante e di riferimento per Harry e che, credo, tutti adoriamo, è quella della professoressa McGrannit, capo della casa di Grifondoro. Abbiamo appena ascoltato il dialogo che riguarda lei e Harry. La McGrannit è quel tipo di insegnante all’apparenza tutta d’un pezzo, totalmente dedita alla scuola e ai suoi studenti, che non risparmia loro nulla. Severa e giusta quando si tratta del lavoro a scuola ma anche attenta e, a suo modo, affettuosa nei confronti di chi se lo merita. Ai suoi occhi tutti gli studenti sono meritevoli ma quando qualcuno eccelle è giusto che venga valorizzato anche se non esattamente nella propria materia, così come accade a Harry divenuto fin dal primo anno un fenomeno nello sport del Quidditch, grazie proprio all’intuizione della McGrannit. Minerva sarà l’insegnate che non risparmierà neppure le proprie considerazioni nei confronti degli altri insegnanti, ma sempre cercando di essere rispettosa di fronte ai suoi studenti come quando criticherà la prof.ssa di Divinazione oppure quando si schiererà apertamente contro la professoressa Umbridge tentando, ancora una volta di tutelare la scuola da ingerenze esterne.

Ma se la McGrannit cercherà sempre di essere equa nei confronti degli studenti altrettanto non si può dire del prof. Piton. Severus Piton infatti, come precisa Ron all’inizio è il direttore della casa dei Serpeverde “e quelli della sua casa dicono che li favorisce sempre”. Ed è davvero così. Piton, a differenza degli altri insegnanti, non riuscirà mai a mettersi in gioco veramente, non si metterà in ascolto degli studenti che frequentano la sua aula, ma li tratterà tutti (eccetto quelli della sua casa appunto) con particolare fastidio (vediamo i numerosi momenti in cui, per esempio se la prende con il povero Neville). Con Harry però raggiungerà l’apice. Ogni occasione sarà buona per riprenderlo, punirlo, umiliarlo: in un rapporto che non è paritario e non può esserlo ma esercitando tutta la sua autorità, avendo in più, dalla sua, la tutela da parte di Silente che lo difende da ogni possibile attacco. Certo Piton, un pò come Silente, si svelerà solo alla fine e solo alla fine riusciamo a comprendere il combattimento che sempre lo dilaniava nei confronti di Harry e, apprendiamo come vigilasse, seppur a modo suo, affinché restasse incolume. Solo alla fine anche Harry comprenderà il valore dell’uomo che aveva avuto come insegnante. Ma anche questo fa parte di quegli insegnamenti della vita, forse i più duri, in cui spesso ci rendiamo conto del valore di certe situazioni o di certe persone, soltanto a distanza di tempo o quando le abbiamo perdute.

Tra questi nomi di educatori non possiamo non citare una delle figure più care a Harry e poi ai suoi amici ovvero quella di Rubeus Hagrid, custode delle chiavi e guardiacaccia di Hogwarts, ma poi anche insegnante di Cura delle Creature Magiche, quando dovrà sostituire un’insegnante andata in pensione (sì, si va in pensione anche a Hogwarts). Hagrid è più un amico che un insegnante per Harry, Ron e Hermione. È grazie a lui che il giovane Potter fa il suo ingresso nel mondo magico e di fronte a qualunque preoccupazione o difficoltà è nella sua capanna che Harry va a rifugiarsi per risolvere i suoi problemi. Tra loro non c’è un rapporto di subalternità. Hagrid pur essendo più vecchio, più grande e con un ruolo ben preciso, si confiderà a sua volta con loro come fossero vecchi amici. Potremmo dire che come insegnante, per Harry, non era un granché, anzi, appena ne avrà l’occasione abbandonerà le sue lezioni a causa della predilezione sconsiderata di Hagrid per le creature un pò troppo pericolose, ma come amico lo considererà uno dei più cari.

Così come diventa un vero amico anche il prof. Lupin, un insegnante di Difesa contro le arti oscure, passato solo per un anno nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. A volte non serve trascorrere troppo tempo insieme a una persona per rendersi conto che quella è una persona di cui fidarsi, una persona con la quale stringere un legame che si protrae poi nel tempo.

Lupin si presenta come un insegnante che sa trasmettere con passione la sua materia, coinvolgendo gli studenti in sfide sempre più interessanti e con lezioni a cui i ragazzi partecipano volentieri. Certo poi veniamo a conoscenza della sua storia e di quell’affetto speciale che nutre per Harry che lo farà restare al suo fianco fino alla fine della storia. Ma già durante l’anno scolastico, capiamo che è in grado di mostrare a Harry le sue vere potenzialità e lo aiuterà a credere di più in sé stesso anche svelandogli particolari della sua storia e di quella dei suoi genitori. Una volta cresciuto, Harry diventerà il padrino del figlio di Lupin a indicare quel legame che andava ben al di là del periodo scolastico.

E Voldemort? Anche Voldemort avrebbe voluto diventare un insegnante a Hogwarts. Avrebbe infatti voluto insegnare Difesa contro le arti oscure, richiesta sistematicamente respinta da Silente, perché qui anche Voldemort aveva stretto dei legami, non certo con gli insegnanti o gli altri allievi ma proprio con l’istituzione stessa e magari, un giorno, sognava di diventarne il preside. Non per niente, appena Silente muore, è la scuola il suo primo obiettivo: poter forgiare nuove menti, assoggettarle al proprio credo, creando una nuova generazione di maghi a lui devoti. È qui che si scaglierà con tutte le sue forze nel duello finale, e qui morirà.

Un ultimo accenno alla scuola di Hogwarts lo merita l’antico motto sullo stemma della scuola che si presenta in latino. Non una lingua corrente dunque ma una lingua antica: Draco dormiens numquam titullandus (“mai solleticare un drago che dorme”). Tutti gli incantesimi sono in latino, ci avete pensato?

E forse è questa anche un’ultima magia di Hogwarts. “Le parole - dirà Silente - sono, nella mia non modesta opinione, la nostra massima e inesauribile fonte di magia, in grado sia di infliggere dolore che di alleviarlo”.

A Hogwarts si riscopre anche questa lingua, dagli studenti magari non del tutto compresa o accettata, sottolineando, una volta in più, l’importanza dell’origine delle parole e del loro significato. La potenza e la bellezza che in esse si cela e il potere straordinario che, appunto, racchiudono: “Expecto Patronum”.