Le visioni di Ildegarda di Bingen illustrate dalle miniature: l’uomo al centro dell’universo ben prima dell’Umanesimo e del Rinascimento. Forse con il Rinascimento l’uomo comincia a dimenticare le ragioni per cui aveva senso sentirsi al centro, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 21 /11 /2022 - 16:05 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Storia e filosofia.

Il Centro culturale Gli scritti (20/11/2022)

È vero ciò che l’Umanesimo e il Rinascimento avrebbero posto per la prima volta al centro l’uomo? O è vero piuttosto che a partire dal Rinascimento l’uomo sarebbe stato spodestato dal centro, per giungere infine al post-moderno che ritiene l’uomo un essere casuale e inferiore rispetto al resto del cosmo?

Pe orientarsi in tale questione vale la pena soffermarsi sulle immagini che accompagnano i manoscritti a noi pervenuti di Ildegarda di Bingen (così come studiare immagini similari del tempo che saranno citate più avanti).

Il Liber Scivias (1141-1151), nel quale più forte è l’intenzione teologica, e il Liber divinorum operum (1163-1173), rivolto maggiormente alla cosmologia, sono due opere di Ildegarda che sono pervenute a noi in manoscritti accompagnati da miniature eseguite nei secc. 12° e 13°[1].

1/ L’uomo al centro dell’universo, abbracciato dal Padre e dal Figlio. La II visione della parte prima del Libro delle opere divine

L’immagine più famosa sull’uomo è quella della II visione della parte prima del Libro delle opere divine. Come scrive in sintesi Ildegarda, spiegando ciò che vide in visione: «L’uomo è il centro della creazione e tutta lo riguarda, come dimostra il fatto che tocca con testa, piedi e dita il cerchio di aria leggera. È piccolo materialmente, ma dotato di grande anima. Come con gli occhi del corpo vede le creature, con quelli della fede vede Dio in tutto il creato»[2].

Ovviamente in Ildegarda, che è una badessa benedettina, tale centralità dell’uomo è garantita dalla Trinità e, infatti, nella stessa miniatura si vede ciò che lei scrive a proposito della testa d’uomo su cui poggia una testa di vegliardo: «È Dio nella sua duplice funzione di Creatore dell’uomo e di Cristo redentore»[3].

Ecco perché la miniatura dipinge due teste ad indicare nella Trinità il Padre e il Figlio che abbracciano il cosmo intero e, in particolare, l’uomo. Il Padre abbraccia l’uomo tramite l’amore del Figlio.

Non solo, ma l’intera circonferenza che tutto abbraccia «rappresenta la Divinità senza inizio né fine, che tutto comprende senza essere circoscritta»[4].

Inoltre così scrive Ildegarda dei due cerchi di fuoco lucido e nero: «Il fuoco lucido è la potenza di Dio, che è sopra di tutti e dà vita a tutto. Quello nero indica il fuoco della Geenna, che colpisce i colpevoli di cattive azioni»[5].

E subito precisa: «Il fuoco lucido ha densità doppia dell’altro, perché solo con la grazia e la clemenza di Dio l’uomo può superare la gravità del peccato»[6].

Insomma l’uomo è assolutamente al centro dell’universo, ma lo è perché lì lo ha posto il Dio creatore e lo ha salvato il Cristo con la sua croce.

Ogni altro particolare dell’immagine riportata poi nella miniatura - anche se molti particolari vengono omessi rispetto al testo della visione – rimanda a questioni cosmologiche, come il globo che è al centro che è indicato come la terra[7], ma al contempo permette a Ildegarda approfondimenti morali e spirituali: «Posto ad uguale distanza dal cerchio d’aria da ogni parte, indica la vita attiva che deve equilibrarsi fra le opere spirituali e quelle corporali. La sua distanza dagli altri elementi è stata stabilita da Dio per preservare il mondo dallo strepitio degli elementi, dalle inondazioni e dalla violenza dei venti. Così il fedele tempera il suo comportamento fra la sfiducia nelle proprie forze e la considerazione delle potenze divine»[8].

Molti dei particolari della visione hanno a che fare poi innanzitutto co la cosmologia medioevale, come i cerchi di etere e, più vicino alla terra, delle acque che la circondano, ma anche con dodici modalità, definite “venti” e caratterizzate ognuno da un simbolo animale, che l’uomo deve comprendere, in senso morale e spirituale, per raggiungere, ad esempio, la pazienza o per sfuggire alle tentazioni del diavolo.

2/ La visione del Figlio di Dio in forma umana nello Scivias

Per comprendere appieno la visione appena considerata è importante confrontarla con due altre visioni, anch’esse rappresentate dalle miniature antiche.

La prima è la II visione del II libro dello Scivias.

Anche qui al centro è la figura umana, ma questa volta essa non è semplicemente quella dell’uomo, bensì quella del Figlio di Dio che prenderà la carne nel grembo della Vergine.

Quel Figlio è il Figlio del Padre rappresentato dalla luce che circonda il Figlio, generato prima dei tempi secondo la divinità, come afferma esplicitamente Ildegarda che così scrive:

in questa visione, «la luce senza origine cui nulla manca è il Padre e la forma d’uomo di color zaffiro, senza macchia di imperfezione, invidia e iniquità indica il Figlio, generato dal Padre prima dei tempi, secondo la sua divinità e, in seguito, incarnato nel mondo secondo la sua umanità. Tutta questa luce, ardente di un fuoco dolcissimo, privo di ogni forma di arida e tenebrosa mortalità, rappresenta lo Spirito Santo, grazie al quale l’Unigenito Figlio di Dio fu concepito secondo la carne e poi nacque nel tempo da una vergine. Lo Spirito infonde nel mondo la luce del vero splendore»[9].

Qui, insomma, la visione è trinitaria e difatti si parla anche dello Spirito «grazie al quale l’Unigenito Figlio di Dio fu concepito secondo la carne e poi nacque nel tempo da una vergine»[10].

La centralità dell’uomo, allora, non dipende puramente dalla creazione e dalla sua presenza eccedente nel mondo, bensì dal Figlio stesso e dalla sua incarnazione che, prendendo carne umana, mostrò l’altissima dignità dell’uomo, dignità talmente alta che lo stesso Figlio di Dio non esitò a farsi uomo.

Ovviamente la visione di Cristo e conseguentemente la sua raffigurazione sono frequentissime nella cattolicissima Ildegarda, ma in questa visione la figura umana non è semplicemente rappresentata, bensì è posta ancora una volta al centro dell’immagine.

Nella miniatura[11] un alone è ritagliato intorno al Figlio di modo che sia la luce stessa del Padre quella che tutto abbraccia, abbracciando non solo lo stesso Spirito, ma lo stesso Figlio fino a toccarlo da vicino e a sostenerlo: è quella “luce serena” la paternità stessa di Dio che ha generato dall’eterno il suo Figlio.

3/ La visione dell’uomo al centro del mondo, questa volta senza la Trinità che lo abbraccia, nella III visione della I parte del Libro delle opere divine

La terza visione della I parte del Libro delle opere divine è speculare alla seconda visione. Qui Ildegarda accentua gli influssi che provengono direttamente dalle cose create sull’uomo, senza rappresentare più esplicitamente la testa d’uomo con su posta la testa di Vegliardo, che abbiamo visto essere quelle del Figlio e del Padre che hanno posto l’uomo al centro del cosmo.

Certo, restano i due cerchi, quello più spesso che rappresenta la misericordia di Dio e quello meno spesso che rappresenta invece la sua giustizia, ma è come se in questa visione ci si incentrasse sull’uomo così come egli è nel cosmo.

In particolare qui sono posti in evidenza gli influssi dei venti che sono da un lato, dal punto di vista cosmologico, necessari al buon andamento del mondo, ma, dall’altro, dal punto di vista morale e spirituale, Ildegarda interpreta anche come segni dell’azione di Dio che spinge l’uomo al retto agire. Scrive, ad esempio: «Vento del nord che spira dal solstizio d’inverno: Quando il tedio e la stanchezza rallentano l’uomo nel comportamento delle buone opere, anche le tribolazioni corporali lo affliggono, ma il vento spinge l’uomo reagire»[12].

4/ Dio, nella I immagine della I parte del Libro delle opere divine

La I visione – e la conseguente I miniatura – del Libro delle opere divine è dedicata interamente a Dio. Afferma Ildegarda che nell’immagine rivestita di tunica dorata è simbolizzata «la carità ardente di Dio. La tunica dorata indica il corpo incarnato di Cristo rivestito di carità, perché le capacità umane senza fede non valgono nulla»[13].

La circonferenza di color oro, invece, «è la Sapienza divina che tutto circonda»[14].

Le due ali originate dalle spalle «sono la carità di Cristo che abbraccia giusti e peccatori»[15].

L’agnello splendente tra le mani dell’immagine, invece, è «la carità [che] fa agire Cristo con la mansuetudine della vera fede, che risplende e illumina tutti»[16].

Ecco nuovamente ciò che dà centralità all’uomo: l’uomo è al centro, ma non perché un qualche pensiero filosofico ve lo collochi, bensì per l’opera di Dio.

Lo stesso Dio lotta perché la “centralità” dell’uomo sia tale e lotta contro i demoni che vogliono invece condurre l’uomo e il cosmo alla perdizione, strappando loro la vita.

Infatti, la figura centrale schiaccia il mostro orribile di colore nero a rappresentare che «la carità schiaccia il male, rappresentato dalla discordia, congiunta a molti vizi, grazie ai piedi di Cristo, che ha affrontato la croce»[17].

Non solo, ma Ildegarda nella visione contempla un serpente che morde l’orecchio del mostro: «La posizione del serpente indica la totalità dei vizi e la pelle screziata la molteplicità delle forme che Satana assume, costituendo un unico ammasso di malvagità»[18].

5/ L’uomo al lavoro nella IV visione del I Libro delle opere divine

Nella IV visione della I parte del Libro delle opere divine è considerato, invece, l’uomo nel fluire delle stagioni. L’immagine pone questo in evidenza, rappresentando l’uomo al lavoro sulla superficie del globo sferico, con alberi che mostrano gli effetti dell’autunno, dell’inverno, della primavera e dell’estate.

Così scrive Ildegarda: «Nel firmamento è disposto dal Creatore, in modo congruente con determinate attribuzioni, il fuoco, l’etere, le acque, le stelle, i venti»[19].

E ancora: «Perché l’uomo, che è rafforzato da Dio a somiglianza del firmamento, deve considerare sempre con cura sé stesso e le sue opere, giacché Dio lo ha reso creatura razionale su tutte le altre affinché egli lo conoscesse e glorificasse»[20].

Ed ancora: «Le due forze dell’anima: una giova alle cose che si riferiscono a Dio, l’altra svolge il suo compito vivificando e guidando il corpo»[21].

È chiara qui la visione medioevale che vede una perfetta corrispondenza fra macrocosmo e microcosmo, dove gli elementi corrispondono alle stagioni e queste alle età dell’uomo e queste ancora ai temperamenti dell’uomo[22].

Al contempo è evidente anche che il lavoro – e le conoscenze “scientifiche” necessarie ad esso – non sono viste solo come “punizione” dopo il peccato originale, ma anche come mezzi di redenzione affidati all’uomo che può con essi contribuire ad una vita più giusta e ricca per tutti.

6/ La storia della salvezza nelle immagini dello Scivias

Nello Scivias, invece, tutta una serie di miniature rimandano alla storia della salvezza.

Ad esempio, nella visione V del Libro I, l’“immagine femminile pallida dalla testa fino all’ombelico” rappresenta «la Sinagoga, madre dell’incarnazione di Cristo che prevede nell’ombra i segreti di Dio dal momento dell’origine dei suoi figli fino alla loro fortificazione, ma non li svela pienamente»[23].

La miniatura[24] la rappresenta con occhi chiusi ad indicare questo non vedere pienamente, eppure altissima, come una torre fatta proprio per vedere. Il colore della donna è pallido, ma i suoi santi e profeti sono di colori vivissimi e con occhi aperti perché tutti volti ad indicare l’incarnazione ventura.

Nel suo cuore «c’è Abramo. Egli, infatti, dette inizio alla circoncisione della Sinagoga. Nel petto Mosè. Egli, infatti, portò nel cuore degli uomini la legge divina. Nel ventre gli altri profeti. Essi furono i custodi dei precetti divini, nell’insieme dell’opera loro affidata dalla divinità»[25].

Se, alla maniera medioevale, si denuncia anche la cecità della Sinagoga, nondimeno essa è esaltata, perché la rivelazione al popolo ebraico è riconosciuta come vera, vitale, decisiva ed eterna.

La miniatura rappresenta la visione con in alto sul petto della donna Mosé, che ha portato agli uomini i comandamenti eterni di Dio e, nel grembo, Aronne con il coltello iniziatore del sacerdozio e Abramo con la tiara sul capo. Il testo di Ildegarda è, come sempre, più ricco della miniatura e spiega come la “sinagoga” sia al contempo antitesi e prefigurazione della chiesa, sia luce e ombra.

Nella IV visione del libro II, invece, è la Chiesa stessa ad essere rappresentata[26]: «Immagine femminile, come una torre, che è inserita nel muro di cinta di una città: quell’immagine, per la sua struttura massiccia, non poteva cadere in nessun modo. È la chiesa. Lo Spirito Santo, nella forza dell’incarnazione di Gesù, operò miracoli nella sposa di Cristo e la rese tanto forte nel difendersi, che ella non può cadere in errore, per cui gioirà sempre nell’amore del suo sposo per la protezione celeste»[27].

Nella visione V sono – sempre all’interno della chiesa immaginata nella figura di una donna - le monache, e i monaci insieme agli altri uomini: «Grandissima folla di uomini, più luminosi del sole, tutti adorni di oro e gemme in modo meraviglioso. È l’illustre schiera dei vergini, che brillano davanti a Dio più di quanto appaia sulla terra, perché affrontarono coraggiosamente la morte, ornandosi della soma sapienza che deriva dalle opere compiute in nome di Cristo»[28].

Si vede qui, ancora una volta, la centralità dell’uomo e della donna consacrati, che già brillano in terra, ma che in realtà brillano molto di più di quanto appaia agli occhi terreni, brillano della gloria divina che si manifesterà nel giudizio e nella vita eterna.

Ma nella miniatura, molto meno precisa rispetto al testo, si vedono a destra della donna anche alcune figure che sembrano combattere la Chiesa, mentre a sinistra altri che sembrano voler tornare alla comunione con lei. In basso vi sono persone chine al lavoro, forse in parte distolte dalla loro vocazione, mentre le figure centrali sembrano ben salde nella loro vocazione nella Chiesa e con essa. In alto sono fiamme di fuoco che rappresentano l’azione dello Spirito che abbraccia quella della Chiesa: il fuoco spirituale fuoriesce da tre finestre, simbolo della trinità.

Si potrebbe continuare analizzando le visioni una per una, ma vale la pena accennare ancora alla VI visione[29], che presenta il valore dei sacramenti nella vita della Chiesa.

Dice il testo di Ildegarda: «Il venerabile sacramento del corpo di Cristo. La chiesa è congiunta a Cristo nella passione, è ornata del suo sangue e ne è scaturita la salvezza delle anime»[30].

La miniatura che la accompagna mostra la croce di Cristo ed una donna – la Chiesa – che raccoglie i frutti della passione tramite i sacramenti. La donna/Chiesa è raffigurata due volte nella miniatura, una volta come colei che è toccata dal sangue di Cristo che sgorga dalla croce di Cristo e insieme mentre lo raccoglie in un calice e poi, una seconda volta, in basso, alla mensa dell’eucarestia.

Il duplice momento è ulteriormente rafforzato dai simboli circostanti. Nella crocifissione, in alto, un cartiglio recita: “Haec sit tibi, Fili, sponsa in restaurationem populi mei, cui ipsa mater sit, animas per salvationem spiritus et aquae regenerans”.

In basso la mensa dell’altare eucaristico ha, invece, intorno a sé quattro dei misteri della vita di Cristo[31] - la sua nascita, la sua deposizione nel sepolcro, la sua resurrezione e la sua ascensione al cielo – perché chi partecipa dell’eucarestia diviene parte di quei misteri.

L’insieme di tali visioni mostra come la centralità dell’uomo nel cosmo si compia proprio nel mistero della Chiesa che restituisce all’uomo la figliolanza divina in pienezza, per cui l’uomo si sente amato e posto da Dio nel mondo e proteso non alla morte, ma alla vita che non delude.

7/ L’immagine della stessa Ildegarda, sempre insieme alla Chiesa

Lo sguardo ecclesiale di Ildegarda appare nelle miniature quando esse recano, in basso, la raffigurazione della stessa Ildegarda, talvolta sola, talvolta con il monaco Volmar, suo segretario e consigliere spirituale, talvolta con Richardis di Strade, sua consorella monaca e discepola prediletta.

Ildegarda era sempre accompagnata dalla preghiera delle sue consorelle, anche quando si recava a predicare nelle pubbliche piazze e in tante chiese cattedrali, come avvenne tra l’altro a Colonia, Treviri, Liegi, Magonza, Metz, Bamberga e Würzburg, e la comunità la sosteneva nella sua missione.

Nella Vita (II, 23, 107) “quasi” autobiografica scritta dal monaco Goffredo e successivamente Teodorico, Ildegarda afferma:

«Mentre scrivevo il libro Scivias, avevo accanto a me, unita d’amore, come Paolo a Timoteo, una nobile fanciulla, figlia della marchesa […] che si era vincolata a me con amicizia privilegiata in ogni cosa, si era afflitta con me nei miei affanni, finché non portai a termine il libro».

Ildegarda aveva desiderava che Richardis potesse rimanere presso di sé sempre nel monastero di Rupertsberg, ma - afferma ancora Ildegarda - a causa della nobiltà della sua casata, si piegò poi ad un incarico di maggior prestigio, cioè diventare badessa di un diverso rinomato monastero.

Le immagini di Ildegarda con Richardis e con il suo consigliere Volmar fanno ben capire anche a livello iconografico come Ildegarda, da vera monaca, non fosse mai sola, bensì sempre accompagnata dalla sua comunità: Ildegarda è donna di chiesa, non sapiente solitaria.

8/ Ildegarda non è sola nella descrizione della centralità dell’uomo nel cosmo nel medioevo

Si è fin qui parlato delle immagini peculiari tratte dalle visioni di Ildegarda. Ma guai a dimenticare che la centralità dell’uomo nel cosmo da lei attestata è tipica di qualsiasi autore dell’epoca.

Lo prova la costanza con la quale ogni ciclo pittorico o scultoreo medioevale ha raffigurato le scene di Genesi, nelle quali è assolutamente evidente che l’uomo è l’opera più bella di Dio, che l’uomo è posto al centro e nel cuore del mondo.

Adamo ed Eva sempre vengono raccontati e raffigurati, sempre introducono le altre storie bibliche, perché è proprio a motivo del fatto che l’uomo è al centro dell’amore divino che tutto il testo della historia salutis lo riguarda.

Se si passa poi a raffigurazioni più sintetiche, come quella di Ildegarda – raffigurazioni meno narrative delle storie bibliche -, si trovano altri esempi analoghi.

Famosa è la seconda volta del ciclo della Creazione del Cosmo nella cripta della cattedrale di Anagni[32]: l’uomo è raffigurato al centro con le quattro lettere H-O-M-O disposte in cerchio. Tutto è disposto intorno all’uomo, in un rimando di microcosmo e macrocosmo, in una suddivisione in quattro spicchi nei quali sono rappresentati o semplicemente scritti le quattro età della vita dell’uomo, i temperamenti umani, le quattro stagioni dell’anno e i quattro elementi.

9/ L’uomo al centro del cosmo in Ildegarda e l’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci

Per contemplare ulteriormente il significato delle visioni di Ildegarda e la loro specificità, vale la pena confrontarle con le immagini dell’uomo nel cosmo elaborate in età rinascimentale, innanzitutto quella disegnata da Leonardo da Vinci che è divenuta come un simbolo della sua propria epoca.

Il cosiddetto Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci è uno studio morfologico con il quale Leonardo intese fissare con assoluta precisione le “misure” del corpo umano in relazione a figure geometriche.

Leonardo si accorse che Vitruvio si era sbagliato quando aveva suggerito che la figura umana potesse essere iscritta similmente in un cerchio ed in un quadrato: nel cerchio (homo ad circulum), invece, il centro dell'uomo corrisponde all'ombelico, mentre nell'uomo inserito in un quadrato (homo ad quadratum) tale centro si trova sotto il pube, ossia nei genitali.

Leonardo, probabilmente, stava realizzando il volume De figura quando disegnò lo studio di proporzioni che venne poi erroneamente chiamato “uomo vitruviano”.

Nell’analogo disegno di Cesare Cesariano, del 1521, si comprende come le osservazioni morfologiche di Leonardo fossero ben più precise rispetto a quelle di derivazione “vitruviana”[33].

Cesare Cesariano, "Uomo vitruviano", 1521

La differenza della rappresentazione dell’uomo di Leonardo rispetto a quello di Ildegarda è certamente dovuta innanzitutto alla “precisione” della nuova epoca: l’età rinascimentale già si avvicina all’età barocca che, per prima, possederà strumenti di precisione, come il cannocchiale o l’orologio per calcolare con precisione il tempo – cosa che era impossibile precedentemente e tale impossibilità rendeva la ricerca scientifica diversa non nelle intenzioni, ma nei risultati. La scoperta della prospettiva e delle proporzioni è parte di questo spirito incipiente.

Ma la differenza sta ancor più nell’assenza dell’abbraccio di Dio all’uomo. La centralità dell’uomo è fondata da Ildegarda nella rivelazione, mentre in Leonardo è come data per presupposta. Si noti bene: non che Leonardo non fosse cattolico! No, egli lo era pienamente, ma è come se con il Rinascimento, pian piano, passasse in secondo piano il bisogno di ricordare il motivo della centralità dell’uomo in Dio.

Nell’altra raffigurazione che è stata scelta da tanti, oltre a quella dell’Uomo vitruviano, come immagine chiave della visione dell’uomo del Rinascimento, Piero della Francesca a Rimini, nel Tempio Malatestiano, pone l’uomo, in questo caso Sigismondo Pandolfo Malatesta, al centro, ma lo pone, a differenza di Leonardo, ancora dinanzi al divino, in questo caso rappresentato da san Sigismondo che porta un’aureola scorciata in prospettiva. L’uomo è qui inginocchiato a chiedere l’intercessione del santo, anche se è il vero centro del dipinto, avendo a sinistra il santo e a destra più in basso due cani, uno nero e l’altro bianco, a rappresentare forse la fedeltà e la vigilanza.

Nella mente di Piero, come di Leonardo, la Trinità è assolutamente presente, sia quando viene rappresentata, sia quando è iconograficamente assente.

Ma sempre più l’abbraccio trinitario dell’uomo passa sullo sfondo.

Il paradosso è che proprio quando scompare la presenza divina si avvia la strada alla “marginalizzazione” dell’uomo: diversi filosofi descrivo l’epoca post-moderna, che succede alla moderna età nella quale l’uomo è ancora centrale, come post-umanista o addirittura post-umana [34].

A partire da Nietzsche[35], ma ancor più nello sguardo contemporaneo, l’uomo non è più centrale come nel medioevo e nel rinascimento, bensì può diventare secondario anche rispetto agli animali e certamente assolutamente insignificante rispetto alle coordinate del tempo e dello spazio – il tempo che si allarga ai quindici miliardi di anni dal Big Bang e lo spazio dell’universo in espansione.

Insomma, il Rinascimento non pone l’uomo al centro, ma inizia a destituirne la centralità.

Note al testo

[1] Scrive Dalli Regoli: «Il codice di Wiesbaden (Hessische Landesbibl., 1) - oggi perduto ma attestato da una copia su pergamena realizzata nella prima metà di questo secolo (Wiesbaden, Hessische Landesbibl., B) - conteneva la stesura originaria del Liber Scivias, curata da I., e dunque databile nella seconda metà del sec. 12°; più tarda è la redazione di Heidelberg (Universitätsbibl., Sal. X, 16). L'esemplare più antico del Liber divinorum operum è quello conservato a Lucca (Bibl. Statale, 1942), probabilmente proveniente da uno scriptorium renano del terzo decennio del 13° secolo» (dalla voce Ildegarda di Bingen, di G. Dalli Regoli, in Enciclopedia dell'Arte Medievale (1996), disponibile on-line). Dalli Regoli ricorda poi che «comune ai due codici è comunque la capacità di sintetizzare in forma icastica una materia scientifica e teologica complessa, ricorrendo largamente alle superfici specchianti del fondo oro, a profili scuri che delineano figure d'impronta solenne e ieratica, a un repertorio decorativo classicizzante: tipologie e caratteri stilistici che riportano alla grande tradizione della miniatura ottoniana, evidentemente un riferimento culturale ancora valido nella regione renana tra 12° e 13° secolo». A questo link è possibile sfogliare on-line il manoscritto di Lucca https://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu.jsp?id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3ALU0022_ms.1942&mode=all&teca=MagTeca+-+ICCU mentre la pagina di presentazione è al seguente link http://www.internetculturale.it/it/41/collezioni-digitali/26271/hildegard-von-bingen-della-biblioteca-statale-di-lucca.

[2] Ildegarda di Bingen, Libro delle Opere Divine, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 383. L’edizione di Sciacca non è completa, ma ad essa vale la pena fare riferimento per una prima comprensione delle opere: l’edizione critica e completa, con il testo originale latino, è disponibile in Ildegarda di Bingen, Il libro delle opere divine (edizione a cura di M. Cristiani e M. Pereira), Milano, Mondadori, 2003, che sarà citata talvolta a integrazione.

[3] Ildegarda di Bingen, Libro delle Opere Divine, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 406.

[4] Ildegarda di Bingen, Libro delle Opere Divine, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 382.

[5] Ildegarda di Bingen, Libro delle Opere Divine, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 382.

[6] Ildegarda di Bingen, Libro delle Opere Divine, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 382.

[7] Ildegarda di Bingen, Il libro delle opere divine (edizione a cura di M. Cristiani e M. Pereira), Milano, Mondadori, 2003, pp. 194-197.

[8] Ildegarda di Bingen, Libro delle Opere Divine, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 383.

[9] Ildegarda di Bingen, Scivias, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, pp. 106-107.

[10] Ildegarda di Bingen, Scivias, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, pp. 106-107.

[11] Cfr. per una descrizione accurata H. Spaziante, Hildegard von Bingen e le miniature dello Scivias. Un dono di Dio da riscoprire, Fano, Edizioni Segno, 2018, pp. 138-141.

[12] Ildegarda di Bingen, Libro delle Opere Divine, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 392.

[13] Ildegarda di Bingen, Libro delle Opere Divine, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 373.

[14] Ildegarda di Bingen, Libro delle Opere Divine, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 373.

[15] Ildegarda di Bingen, Libro delle Opere Divine, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 374.

[16] Ildegarda di Bingen, Libro delle Opere Divine, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 374.

[17] Ildegarda di Bingen, Libro delle Opere Divine, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 374.

[18] Ildegarda di Bingen, Libro delle Opere Divine, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 374.

[19] Ildegarda di Bingen, Libro delle Opere Divine, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 393.

[20] Ildegarda di Bingen, Libro delle Opere Divine, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 394.

[21] Ildegarda di Bingen, Libro delle Opere Divine, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 395.

[22] Cfr. Tale perfetta corrispondenza è rappresentata iconograficamente nella cripta del Duomo di Anagni, descritta in D. Angelucci – C. Coladarci, Il Museo della Cattedrale di Anagni. La guida storico artistica, Roma, Efesto, 2021, pp. 110-115, su cui si veda più oltre.

[23] Ildegarda di Bingen, Scivias, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 92.

[24] Cfr. per una descrizione accurata H. Spaziante, Hildegard von Bingen e le miniature dello Scivias. Un dono di Dio da riscoprire, Fano, Edizioni Segno, 2018, pp. 117-122.

[25] Ildegarda di Bingen, Scivias, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 93.

[26] Cfr. per una descrizione accurata H. Spaziante, Hildegard von Bingen e le miniature dello Scivias. Un dono di Dio da riscoprire, Fano, Edizioni Segno, 2018, pp. 149-152.

[27] Ildegarda di Bingen, Scivias, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 116.

[28] Ildegarda di Bingen, Scivias, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 123.

[29] Cfr. per una descrizione accurata H. Spaziante, Hildegard von Bingen e le miniature dello Scivias. Un dono di Dio da riscoprire, Fano, Edizioni Segno, 2018, pp. 158-163.

[30] Ildegarda di Bingen, Scivias, in Ildegarda di Bingen, Visioni (edizione a cura di A.M. Sciacca), Roma, Castelvecchi, 2019, p. 125.

[31] Sui “misteri” di Cristo, cfr. A. Lonardo, La Parola si è fatta carne, non libro. I "misteri" della vita di Gesù tra Scrittura, liturgia e arte, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2019 (insieme a L. Mugavero).

[32] La datazione è discussa e l’intera affrescatura della cripta viene attribuita a tre diverse scuole che, comunque, terminarono il lavoro entro il 1231, secondo Romano. Per un’analisi dettagliata della seconda volta e dell’intero ciclo, cfr. D. Angelucci – C. Coladarci, Il Museo della Cattedrale di Anagni. La guida storico-artistica, Roma, Edizioni Efesto, 2021, pp. 109-163; in particolare sulla seconda volta, pp. 111-112.

[33] Appare ridicola qualsiasi interpretazione del disegno leonardiano come esoterico, mentre esso, all’opposto, intende essere chiaro e chiarificante. Tale interpretazione del disegno, quasi fosse un’opera per iniziati dai reconditi significati, è diffusa dalla stupidità di autori vari e appare nel romanzetto di Dan Brown Il codice da Vinci, operetta talmente sconclusionato nella trama che, mentre suggerisce che un’orrenda trama di “malvagi” intendano nascondere qualcosa al mondo intero, mette invece in scena un ricercatore francese di nome Jacques Saunière che è un esoterico che non intende divulgare a nessuno il “segreto” che egli solo conosce sulla vera vita di Gesù, iniziatore della dinastia merovingia e del suo sangue regale. Egli, infatti, pur essendo un ricercatore del Louvre, non ha mai voluto scrivere alcuna pubblicazione sul “segreto” di cui è a conoscenza e, anche in punto di morte, preferisce mantenere segreto il segreto, mettendosi nella posizione dell’uomo “vitruviano” per essere “compreso” dall’unico “iniziato” che può capirlo, per continuare a trasmettere il segreto ad altri iniziati per mantenerlo segreto e nasconderlo ai più. Peccato che lo studio delle proporzioni umane di Leonardo sia una critica a Vitruvio e che parli, invece, il linguaggio della chiarezza.

[34] Cfr. su questo L’uomo e il suo trionfo: Petrarca, Ariosto, Machiavelli. Secondo incontro del ciclo Sulle spalle dei giganti, di Franco Nembrini che affronta il tema di uno sguardo che situi l’antropologia medioevale rispetto a quella rinascimentale e a quella moderna e post-moderna, nelle sue diversità storiche.

[35] Cfr. in maniera esemplificativa le parole con le quale il giovane F. Nietzsche inizia Su verità e menzogna in senso extra-morale: «In un qualche angolo remoto dell’universo che fiammeggia e si estende in infiniti sistemi solari, c’era una volta un corpo celeste sul quale alcuni animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e menzognero della “storia universale”: e tuttavia non si trattò che di un minuto. Dopo pochi sussulti della natura, quel corpo celeste si irrigidì, e gli animali intelligenti dovettero morire. Ecco una favola che qualcuno potrebbe inventare, senza aver però ancora illustrato adeguatamente in che modo penoso, umbratile, fugace, in che modo insensato e arbitrario si sia atteggiato l’intelletto umano nella natura: ci sono state delle eternità, in cui esso non era; e quando nuovamente non sarà più, non sarà successo niente. Per quell’intelletto, infatti, non esiste nessuna missione ulteriore, che conduca al di là della vita dell’uomo. Esso è umano, e soltanto il suo possessore e produttore può considerarlo con tanto pathos, come se in lui girassero i cardini del mondo. Se fosse per noi possibile comunicare con la zanzara, verremmo a scoprire che anch’essa con lo stesso pathos nuota nell’aria dove si sente come il centro che vola di questo mondo. Non c’è niente in natura di così spregevole e dappoco che con un piccolo soffio di quella facoltà conoscitiva non si possa gonfiare come un otre; e allo stesso modo in cui qualsiasi facchino vuol avere i suoi ammiratori, anche il più orgoglioso degli uomini, il filosofo, è convinto che da ogni lato gli occhi dell’universo siano puntati telescopicamente sul suo fare e sul suo pensare» (F. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extra-morale, in F. Nietzsche, Verità e menzogne e altri scritti giovanili, Newton Compton, 1981).