Dispense per il corso Bibbia, scuola e catechesi 2022-2023 complete

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 10 /01 /2023 - 13:53 pm | Permalink | Homepage
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Dispense per il corso Bibbia, scuola e catechesi 2022-2023 complete

Andrea Lonardo (www.gliscritti.it )

Introduzione

16 anni di IdR - 4 anni di catechesi

Un approccio teologico, non semplicemente storicistico: perché un approccio teologico in catechesi e nella scuola e con quali differenze. Il “noi” della catechesi diverso da quello della scuola, ma pur sempre un “noi”

Dove è posta la Bibbia nel complesso della fede?

Cosa è la Bibbia da un punto di vista teologico?

Questa prospettiva illumina i grandi problemi dell’IdR e della catechesi

1/ infantilismo che non aiuta a cogliere le domande grandi

2/ esasperazione delle attività a scapito delle esperienze

3/ assenza quasi totale dei contenuti, in particolare di quelli teologici – la grande questione della teologia nell’IDR

4/ dimenticanza della teologia fondamentale (e dell’apologetica) perché non ci si rende conto del contesto scolastico e delle critiche alla fede tout court; cfr. nuovo Direttorio 145

5/ itinerario a scaletta o a partire dal centro?

La gerarchia delle verità (Unitatis redintegratio 11): «Esiste un ordine o "gerarchia" nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana».

La via scelta dal Concilio Vaticano II

Regna ancora una profonda incomprensione della Dei Verbum

DV 2. Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona [Seipsum revelare] […] La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione

- nello Schema preconciliare: De duplici fonte Revelationis al centro era la questione del rapporto fra Scrittura e Tradizione. Con la Dei Verbum si dette così addio definitivamente ad un’impostazione ancora legata agli schemi cinquecenteschi di derivazione controriformista (anti-luterana o pro-luterana… Sola Scriptura?)

- una cristologia conciliare

Dante Commedia, Purgatorio III, 37-39

State contenti, umana gente, al quia; 
ché se potuto aveste veder tutto, 
mestier non era parturir Maria

da H. de Lubac, Esegesi medievale. I quattro sensi della Scrittura, I, Paoline, Roma 1972, pp. 344; 353-354
[Cristo,] sì, Verbo abbreviato, “abbreviatissimo”, “brevissimum”, ma sostanziale per eccellenza. Verbo abbreviato, ma più grande di ciò che abbrevia
. [...] Le due forme del Verbo abbreviato e dilatato sono inseparabili. Il Libro dunque rimane, ma nello stesso tempo passa tutt’intero in Gesù e per il credente la sua meditazione consiste nel contemplare questo passaggio. Mani e Maometto hanno scritto dei libri. Gesù, invece, non ha scritto niente; Mosè e gli altri profeti “hanno scritto di lui”. Il rapporto tra il Libro e la sua Persona è dunque l’opposto del rapporto che si osserva altrove. La Parola di Dio adesso è qui tra di noi, “in maniera tale che la si vede e la si tocca”: Parola “viva ed efficace”, unica e personale, che unifica e sublima tutte le parole che le rendono testimonianza. Il cristianesimo non è la “religione biblica”: è la religione di Gesù Cristo”.

da papa Francesco, discorso ai membri della Pontificia Commissione Biblica, il 12/4/2013
Come sappiamo, le Sacre Scritture sono la testimonianza in forma scritta della Parola divina, il memoriale canonico che attesta l'evento della Rivelazione. La Parola di Dio, dunque, precede ed eccede la Bibbia. È per questo che la nostra fede non ha al centro soltanto un libro, ma una storia di salvezza e soprattutto una Persona, Gesù Cristo, Parola di Dio fatta carne.

Immagini in dissonanza con la teologia

Una conseguenza pedagogica

Due possibili modi di procedere

A/ un itinerario progressivo, “a scaletta” (dalle fonti alla “res”)

B/ il centro, il cuore

«È al singolare che noi dobbiamo parlare del mistero cristiano», di de Lubac (1938!) (su www.gliscritti.it )

L’essenza del cristianesimo (titolo da L. Feuerbach a von Harnack, a K. Adam, a R. Guardini, a J. Ratzinger-Benedetto XVI, con Introduzione al cristianesimo, a EG di papa Francesco che interpreta in maniera nuova il concetto di Kerygma): cfr. soprattutto EG 164-165

EG 164 Quando diciamo che questo annuncio è “il primo”, ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti. Per questo anche «il sacerdote, come la Chiesa, deve crescere nella coscienza del suo permanente bisogno di essere evangelizzato».

165. Non si deve pensare che nella catechesi il kerygma venga abbandonato a favore di una formazione che si presupporrebbe essere più “solida”. Non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio. Tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma che va facendosi carne sempre più e sempre meglio, che mai smette di illuminare l’impegno catechistico, e che permette di comprendere adeguatamente il significato di qualunque tema che si sviluppa nella catechesi. È l’annuncio che risponde all’anelito d’infinito che c’è in ogni cuore umano. La centralità del kerygma richiede alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, ed un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche. Questo esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna.

la questione del kerygma: Cristo? O Cristo e l’uomo? O Dio creatore, Cristo e l’uomo?

cfr. Il Kerygma nella teologia e nella catechesi: la riflessione di Hans Urs von Balthasar.
Appunti da uno studio di Marco Tibaldi, di Andrea Lonardo (su www.gliscritti.it )... quale rapporto fra dato biblico ed antropologia? Il primo Barth sottolinea il paradosso del kerygma, Bultmann sottolinea all’opposto la significatività antropologica quasi a discapito del dato storico, Balthasar completa l’analisi del kerygma con la dimensione trinitaria

da «Piacque a Dio…». Introduzione alla fede cristiana, di Andrea Lonardo (su www.gliscritti.it )
Presentare la novità della persona stessa di Gesù, prima dei singoli episodi che lo riguardano, è la via scelta già, oltre che da San Paolo, anche dagli evangelisti. Tutti e quattro, prima di ripercorrere la sua vicenda terrena, si aprono innanzitutto con uno sguardo sintetico su di lui, dichiarando immediatamente chi è Gesù in relazione all’unico Dio: Marco con il titolo programmatico - Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio - e con la proclamazione della figliolanza divina nel Battesimo di Gesù, Matteo con la genealogia - Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide - nella quale Gesù è presentato come il Messia ed il discendente davidico e subito dopo come l’Emmanuele, il Dio con noi - Luca con il cosiddetto Vangelo dell’infanzia - dove la nascita di Giovanni Battista, pur miracolosa, si manifesta come qualitativamente diversa da quella di Gesù chiamato Figlio di Dio, opera dello Spirito Santo - Giovanni con il Prologo - dove il Dio che nessuno ha mai visto, si rende visibile nel Logos che si fa carne.

Cosa è il Tetramorfo

Presentare la teologia cristiana anche nella scuola non è contro la laicità

Affrontare un equivoco

Qual è il “noi” dell’insegnante credente? Come si differenzia dal “noi” del catechista?

Noi presentiamo la teologia, prima che la Bibbia o la storia

Da papa Francesco Evangelii gaudium 200
Dal momento che questa Esortazione è rivolta ai membri della Chiesa Cattolica, desidero affermare con dolore che la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. L’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria.

dall’intervista rilasciata da Benedetto XVI a Radio Vaticana ed a tre televisioni tedesche il 13 agosto 2006
L’anima africana e anche l’anima asiatica restano sconcertate di fronte alla freddezza della nostra razionalità. Proprio la fede cristiana non è un impedimento, ma invece un ponte per il dialogo con gli altri mondi. Non è giusto pensare che la cultura puramente razionale, grazie alla sua tolleranza, abbia un approccio più facile alle altre religioni. Ad essa manca in gran parte “l’organo religioso” e con ciò il punto di aggancio a partire dal quale e con il quale gli altri vogliono entrare in relazione. Perciò dobbiamo, possiamo mostrare che proprio per la nuova interculturalità, nella quale viviamo, la pura razionalità sganciata da Dio non è sufficiente.

- lo specifico cattolico di tale insegnamento in Italia

Accordo tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede del 18 febbraio 1984
Articolo 9. 2. La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento. All'atto dell'iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell'autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione.

L’immagine a sostegno del “detto”

Tintoretto, Gesù in mezzo ai dottori

Pinturicchio, Cappella Baglioni, Spello, Gesù in mezzo ai dottori

Cfr. Le domande grandi dei bambini

L’importanza di una sintesi

La Tradizione e la Sacra Scrittura: il nodo del loro rapporto si scioglie 

Dei Verbum 7.
Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni. Perciò Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta intera la Rivelazione di Dio altissimo, ordinò agli apostoli che l'Evangelo, prima promesso per mezzo dei profeti e da lui adempiuto e promulgato di persona venisse da loro predicato a tutti come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale, comunicando così ad essi i doni divini. Ciò venne fedelmente eseguito, tanto dagli apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca del Cristo vivendo con lui e guardandolo agire, sia ciò che avevano imparato dai suggerimenti dello Spirito Santo, quanto da quegli apostoli e da uomini della loro cerchia, i quali, per ispirazione dello Spirito Santo, misero per scritto il messaggio della salvezza. Gli apostoli poi, affinché l'Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i vescovi, ad essi «affidando il loro proprio posto di maestri». Questa sacra Tradizione e la Scrittura sacra dell'uno e dell'altro Testamento sono dunque come uno specchio nel quale la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia, com'egli è (cfr. 1 Gv 3,2).
8. Pertanto la predicazione apostolica, che è espressa in modo speciale nei libri ispirati, doveva esser conservata con una successione ininterrotta fino alla fine dei tempi. Gli apostoli perciò, trasmettendo ciò che essi stessi avevano ricevuto, ammoniscono i fedeli ad attenersi alle tradizioni che avevano appreso sia a voce che per iscritto (cfr. 2 Ts 2,15), e di combattere per quella fede che era stata ad essi trasmessa una volta per sempre. Ciò che fu trasmesso dagli apostoli, poi, comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa del popolo di Dio e all'incremento della fede; così la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede. Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio. Le asserzioni dei santi Padri attestano la vivificante presenza di questa Tradizione, le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e che prega. È questa Tradizione che fa conoscere alla Chiesa l'intero canone dei libri sacri e nella Chiesa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le stesse sacre Scritture. Così Dio, il quale ha parlato in passato non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce dell'Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza (cfr. Col 3,16).

da Umberto Betti, La trasmissione della divina rivelazione, in La costituzione dogmatica sulla divina rivelazione, LDC, Torino-Leumann, 1967, pp. 219-262, le pp. 250-255 scritte a commento dei paragrafi della Dei Verbum che trattano del rapporto fra Scrittura e tradizione.
p. 234 A differenza della Scrittura, la predicazione viva traduce in pratica quanto annunzia e ne attualizza, per quanto possibile, la realtà intera. Una cosa, per esempio, è raccontare l’istituzione e la celebrazione dell’eucarestia; altra cosa è celebrarla e parteciparne. Il racconto rimane sul piano storico e nozionale; la celebrazione ne dà esperienza spirituale e conferisce la grazia che salva. La trasmissione della predicazione apostolica al di fuori della Scrittura, come pure tutto ciò che ne è oggetto, si chiama Tradizione.
pp. 250-255 L’elemento fondamentale che la tradizione e la Scrittura hanno in comune è la stessa origine da Dio e lo stesso fine da lui assegnato a tutt’e due: quello di trasmettere la Rivelazione, cioè tutta l’economia della salvezza. Questa trasmissione però avviene in modo diverso, e quindi ha anche espressione diversa. La Scrittura, perché divinamente ispirata, è parola di Dio non solo quanto al contenuto, ma anche quanto alla sua espressione verbale. La Tradizione invece, pur contenendo ugualmente la parola di Dio, intesa nel senso più vasto di tutto ciò che proviene da lui in ordine alla salvezza, non è parola di Dio nelle sue manifestazioni: queste non sono divinamente ispirate, e quindi rimangono sempre semplicemente umane.

da J. Ratzinger, Un tentativo circa il problema del concetto di tradizione, in K. Rahner - J. Ratzinger, Rivelazione e Tradizione, Morcelliana, Brescia, 2006, pp. 36-37
Il fatto che esista la «Tradizione» si fonda innanzitutto sulla non-identità delle due realtà, «Rivelazione» e «Scrittura». Rivelazione infatti indica il complesso di parole e gesta di Dio per l'uomo, cioè una realtà di cui la Scrittura ci informa ma che non è semplicemente la Scrittura stessa.
La rivelazione perciò supera la Scrittura nella stessa misura in cui la realtà trascende la notizia che ce la fa conoscere. Si potrebbe anche dire: la Scrittura è il principio materiale della rivelazione (forse l'unico, forse uno accanto ad altri - è una questione che per il momento può essere lasciata aperta), ma non è la rivelazione stessa.
Di questo i riformatori erano perfettamente consci; fu soltanto nella successiva controversia tra teologia cattolica postridentina e ortodossia protestante che ciò andò in gran parte perduto. Nel nostro secolo furono dei teologi evangelici, come Barth e Brunner, a riscoprire questo fatto, che per la teologia patristica e medioevale costituiva una cosa perfettamente ovvia.
Quanto s'è detto può risultare chiaro se lo consideriamo anche da un altro punto di vista: si potrebbe possedere la Scrittura anche senza avere la rivelazione. La rivelazione infatti diventa realtà soltanto e sempre là dove c'è fede. Il non-credente rimane dietro il velo, di cui parla Paolo nel cap. 3 della 2 Cor. Egli può leggere la Scrittura e conoscere ciò che contiene, può perfino comprendere concettualmente ciò ch'essa intende dire e la coerenza delle sue affermazioni, tuttavia egli non è divenuto partecipe della rivelazione.
C'è piena rivelazione soltanto là dove, oltre alle affermazioni materiali che la testimoniano, è divenuta operante nella forma della fede anche la sua intima realtà. Di conseguenza appartiene, fino a un certo punto, alla rivelazione anche il soggetto ricevente, senza del quale essa non esiste.
Non si può mettere in tasca la rivelazione, come si può portare con sé un libro. Essa è una realtà vivente, che esige l'accoglienza di un uomo vivo come luogo della sua presenza.

- cfr. Edmond Rostand, Cyrano de Bergerac, 1897 

da Seder Elijahu Zuta, 2
Una volta ero in cammino lungo una strada e un uomo si accostò a me. Egli venne a me aggressivamente, con il genere di argomento che conduce all’eresia [si può pensare a un Sadduceo; forse anche ai Sadducei moderni che interpretano la Bibbia solo in modo storico-critico?!]. Quell’uomo accettava la Torah scritta, ma non la Torah orale (letteralmente: la Mishnah). Mi disse: La Torah scritta fu data a noi sul monte Sinai; la Torah orale non fu data a noi sul monte Sinai. Io gli dissi: Figlio mio, non furono forse pronunciate sia la Torah scritta che la Torah orale dall’Onnipotente? E allora che differenza c’è fra la Torah scritta e la Torah orale? A che cosa si può paragonare questo? A un re mortale che aveva due servi; li amava ambedue di amore perfetto; consegnò a ciascuno una misura di grano e una matassa di lino. Il servo saggio che cosa fece? Prese il lino e ne confezionò un pezzo di stoffa; poi prese il grano e ne fece della farina, la purificò, la macinò, la impastò, la fece cuocere nel forno e la mise in tavola. Poi la coprì con la stoffa e lasciò così finché il re fosse venuto. Il servo stolto invece non fece assolutamente nulla. Dopo alcuni giorni il re tornòda un viaggio, entrò nella sua casa e disse loro: Figli miei, portatemi ciò che vi ho dato. L’uno mostrò il pane fatto con la farina sulla tavola con la stoffa distesa sopra, e l’altro mostrò il grano ancora nel contenitore, con la matassa di lino sopra; ahimè per sua vergogna, ahimè per sua disgrazia! Ora, quando il Santo, Egli sia benedetto, donò la Torah a Israele, non la donò loro se non come grano, perché ne facessero uscire farina, e come lino perché ne facessero uscire un vestito.

- cfr. la tradizione orale nell’ebraismo (ad esempio il concetto di siepe della Torah – cfr. Il valore del rito. Le mitzvoth ebraiche nell’ebraismo ortodosso secondo Ernest Gugenheim, di Andrea Lonardo su www.gliscritti.it - , ma anche tutta la ricchezza dell’ebraismo... es. D. Lifschitz (a cura di), Uomo e donna immagine di Dio. Il sabato. L’Aggadah su Genesi 2, Ediz. Dehoniane Roma, Roma, 1996, p. 73 Perché plasmò dalla costola e non dalla testa? Per evitare che la donna dominasse l’uomo. Perché non dal piede? Per evitare che l’uomo la dominasse. Dalla costola, perché avessero pari dignità.) ed il problema dei detti di Maometto (cfr. Gli hadith ("detti") di Maometto e l'interpretazione del Corano, di Michel Cuypers su www.gliscritti.it )

da una lettera di J. R. R. Tolkien a Michael Tolkien in J. R. R. Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, p. 442.
I “protestanti” cercano nel passato la “semplicità” e il rapporto diretto... la “mia chiesa” non è stata concepita da Nostro Signore perché restasse statica o rimanesse in uno stato di eterna fanciullezza; ma perché fosse un organismo vivente (come una pianta), che si sviluppa e cambia all’esterno in seguito all’interazione fra la vita divina tramandatale e la storia – le particolari circostanze del mondo in cui si trova. Non c’è alcuna somiglianza tra il seme di senape e l’albero quando è completamente cresciuto. Per quelli che vivono all’epoca della sua piena crescita è l’albero che conta, perché la storia di una cosa viva fa parte della vita e la storia di una cosa divina è sacra. I saggi sanno che tutto è cominciato dal seme, ma è inutile cercare di riportarlo alla luce scavando, perché non esiste più e le sue virtù e i suoi poteri ora sono passati all’albero. Molto bene: le autorità, i custodi dell’albero devono seguirlo, in base alla saggezza che posseggono, potarlo, curare le sue malattie, togliere i parassiti e così via. (Con trepidazione, consapevoli di quanto poco sanno della sua crescita!) Ma faranno certamente dei danni, se sono ossessionati dal desiderio di tornare indietro al seme o anche alla prima giovinezza della pianta quando era (come pensano loro) bella e incontaminata dal male.

da Joseph Ratzinger-Vittorio Messori, Paoline, Milano, 1985, Rapporto sulla fede, p. 168
«C'è la riscoperta della necessità di una Tradizione, senza la quale la Bibbia è come sospesa in aria, diventa un vecchio libro tra tanti altri. Questa riscoperta è favorita anche dal fatto che i protestanti sono, assieme agli ortodossi, nel Consiglio Ecumenico di Ginevra, l'organismo che raccoglie una grande parte delle Chiese e delle Comunità cristiane. Ora: dire "ortodossia orientale" significa dire "Tradizione"».
«Del resto - aggiunge - questo accanimento sul Sola Scriptura del protestantesimo classico non poteva sopravvivere e oggi è più che mai messo in crisi proprio dall'esegesi "scientifica" che, nata e sviluppatasi in ambito riformato, ha mostrato come i vangeli siano un prodotto della Chiesa primitiva; anzi, come la Scrittura intera non sia che Tradizione. Tanto che, rovesciando il loro motto tradizionale, alcuni studiosi luterani sembrano convergere nell'opinione delle Chiese ortodosse d'Oriente: non, dunque, Sola Scriptura ma Sola Traditio. C'è poi anche, da parte di alcuni teologi protestanti, la riscoperta dell'autorità, di una qualche gerarchia (cioè di un ministero spirituale sacramentale), della realtà dei sacramenti».
Sorride, come soprappensiero: «Sino a quando queste cose le dicevano i cattolici per i protestanti era difficile farle proprie. Dette dalle Chiese d'Oriente sono state accolte e studiate con maggior attenzione, forse perché si diffidava meno di quei cristiani, la cui presenza al Consiglio di Ginevra si rivela dunque provvidenziale».

In una sola nazione la fede è nata dalla Bibbia, in Corea, ovunque, prima, dalla testimonianza

La nascita della chiesa in Corea: l'unico caso nella storia di un'evangelizzazione iniziata tramite la lettura di libri e non tramite la testimonianza vivente di missionari

- il Canone, in particolare, stabilito dal Concilio di Trento, è opera della Tradizione... la Tradizione prima della Bibbia ed a suggello di essa... la Bibbia è un dono della Tradizione!

Insistere sui deuterocanonici a scuola non è una questione importante

Il libro esiste solo nella tradizione e il TM è medioevale

Cfr. il Tetragramma YHWH: il Tetragramma, le quattro lettere del Nome divino del prof.Giancarlo Biguzzi

Cfr. Qumran e LXX come chiavi per capire il rapporto fra la tradizione e la Scrittura: si potrebbe dire, esagerando, che non esiste un testo in sé, che, per il metodo storico-critico, non esiste la Sola Scriptura perché esiste la critica testuale e le scelte ecclesiali del Canone e delle traduzioni ufficiali

Cfr. su questo A. Lonardo, La Parola si è fatta carne e non libro, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2019

La Scrittura, locutio Dei, Parola ispirata in ogni suo iota o apice

Relazioni tra la Scrittura e la Tradizione
9. La sacra Tradizione dunque e la sacra Scrittura sono strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo un tutto e tendono allo stesso fine. Infatti la sacra Scrittura è parola di Dio (locutio Dei) in quanto consegnata per iscritto per ispirazione dello Spirito divino; quanto alla sacra Tradizione, essa trasmette integralmente la parola di Dio (Verbum Dei) affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli, ai loro successori, affinché, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; ne risulta così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura e che di conseguenza l'una e l'altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e riverenza.

- perché si prendono appunti, si scrive un diario, ecc. ?

Mc 7 14Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! 15Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». [16]
17Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. 18E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, 19perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti. 20E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. 21Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, 22adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. 23Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

Nei libri di storia si dovrebbe parlare della birra inventata dai monaci nel IX secolo, del prosciutto e dei tortellini, come della carbonara

Mc 4 35In quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro: «Passiamo all’altra riva». 36E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. 37Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. 38Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». 39Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. 40Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». 41E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Dei Verbum 21. La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo. È necessario dunque che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura. Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell'anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla sacra Scrittura ciò che è stato detto: «viva ed efficace è la parola di Dio» (Eb 4,12), «che ha il potere di edificare e dare l'eredità con tutti i santificati» (At 20,32; cfr. 1 Ts 2,13).

Si raccomanda la lettura della sacra Scrittura
25. Perciò è necessario che tutti i chierici, principalmente i sacerdoti e quanti, come i diaconi o i catechisti, attendono legittimamente al ministero della parola, conservino un contatto continuo con le Scritture mediante una lettura spirituale assidua e uno studio accurato, affinché non diventi «un vano predicatore della parola di Dio all'esterno colui che non l'ascolta dentro di sé», mentre deve partecipare ai fedeli a lui affidati le sovrabbondanti ricchezze della parola divina, specialmente nella sacra liturgia. Parimenti il santo Concilio esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere «la sublime scienza di Gesù Cristo» (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. «L'ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo» (S. Girolamo, Commento ad Isaia, Prologo). Si accostino essi volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia, che è impregnata di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi, che con l'approvazione e a cura dei pastori della Chiesa, lodevolmente oggi si diffondono ovunque. Si ricordino però che la lettura della sacra Scrittura dev'essere accompagnata dalla preghiera, affinché si stabilisca il dialogo tra Dio e l'uomo; poiché «quando preghiamo, parliamo con lui; lui ascoltiamo, quando leggiamo gli oracoli divini».

Sintesi: la Parola è Gesù Cristo, trasmesso dalla vita della Chiesa che tiene nelle sue mani la Scrittura e dalla Scrittura proclamata dalla viva voce della Chiesa

Tradizione e Scrittura non relazionate a partire dai “casi disperati”, ma nell’ordinario della vita della Chiesa!

La Sacra Scrittura è l’attestazione, la “cristallizzazione” della rivelazione

Circolarità della Scrittura e della Tradizione, non due “fonti”

II sezione del Corso - I “misteri” di Cristo

Cfr. A. Lonardo - L. Mugavero, La Parola si è fatta carne, San Paolo

Ciò che vi dirò oggi è il frutto di tale ricerca, o meglio, questo corso mi ha spinto a scrivere quel libro

Io lo ritengo molto importante

Le domande grandi dei bambini (scrivere per i piccoli è decisivo!)

Ma questo è teologicamente ed esegeticamente signìficativo

Non a partire da un singolo Vangelo (es. Marco)

«Ratzinger, in particolare, ha insistito molto sul fatto che i Vangeli andassero presentati nella catechesi secondo la dottrina classica dei mysteria vitae Christi» (integrazione orale di Schönborn stesso all’articolo in C. Schönborn, Il Catechismo della Chiesa Cattolica nelle Chiese particolari, in R. Fisichella (a cura di), Catechismo della Chiesa Cattolica. Testo integrale. Commento teologico-pastorale, Città del Vaticano – Cinisello Balsamo, LEV – San Paolo, 2017, nella relazione pronunciata l’11/10/2017 nella commemorazione solenne del venticinquesimo anniversario della firma della Costituzione Apostolica Fidei Depositum per la pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, nel corso del Convegno organizzato dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione e la Catechesi. Le integrazioni orali al testo scritto sono state trascritte da chi scrive in C. Schönborn, Principi direttivi nell’elaborazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (http://www.gliscritti.it/blog/entry/4280).

Nuovo direttorio per la catechesi del 2020

170. La catechesi e la liturgia, raccogliendo la fede dei Padri della Chiesa, hanno plasmato un modo peculiare di leggere e interpretare le Scritture, che conserva ancora oggi il suo valore illuminante. Esso si caratterizza per una presentazione unitaria della persona di Gesù attraverso i suoi misteri[1], cioè secondo i principali eventi della sua vita compresi nel loro perenne senso teologico e spirituale. Questi misteri sono celebrati nelle diverse feste dell’anno liturgico e sono rappresentati nei cicli iconografici che adornano molte chiese. In questa presentazione della persona di Gesù si uniscono il dato biblico e la Tradizione della Chiesa: tale modo di leggere la sacra Scrittura è particolarmente prezioso nella catechesi. La catechesi e la liturgia non si sono mai limitate a leggere separatamente i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, ma leggendoli insieme hanno mostrato come solo una lettura tipologica della sacra Scrittura consente di cogliere in pienezza il significato degli eventi e dei testi che raccontano l’unica storia della salvezza. Tale lettura indica alla catechesi una via permanente, ancora oggi di grande attualità, che permette a chi cresce nella fede di cogliere che niente dell’antica alleanza viene perduto con Cristo, ma in lui tutto trova compimento.

Esiste un’esegesi della Chiesa ed una cristologia della Chiesa, che non è data solo dal Credo (vero Dio e vero uomo), ma anche dal ciclo dei “misteri”

Qui si vede come la Bibbia e la Tradizione siano un tutt’uno in dialogo

CCC

Paragrafo 3: I MISTERI DELLA VITA DI CRISTO

512
Il Simbolo della fede, a proposito della vita di Cristo, non parla che dei Misteri dell'Incarnazione (concezione e nascita) e della Pasqua (passione, crocifissione, morte, sepoltura, discesa agli inferi, risurrezione, ascensione). Non dice nulla, in modo esplicito, dei Misteri della vita nascosta e della vita pubblica di Gesù, ma gli articoli della fede concernenti l'Incarnazione e la Pasqua di Gesù, illuminano tutta la vita terrena di Cristo. "Tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui... fu assunto in cielo" (At 1,1-2) deve essere visto alla luce dei Misteri del Natale e della Pasqua.

513
La catechesi, secondo le circostanze, svilupperà tutta la ricchezza dei Misteri di Gesù. Qui basta indicare alcuni elementi comuni a tutti i Misteri della vita di Cristo (I), per accennare poi ai principali Misteri della vita nascosta (II) e pubblica (III) di Gesù.

I. Tutta la vita di Cristo è Mistero

514
Non compaiono nei Vangeli molte cose che interessano la curiosità umana a riguardo di Gesù. Quasi niente vi si dice della sua vita a Nazaret, e anche di una notevole parte della sua vita pubblica non si fa parola [Cf Gv 20,30]. Ciò che è contenuto nei Vangeli, è stato scritto "perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo Nome" (Gv 20,31).

515
I Vangeli sono scritti da uomini che sono stati tra i primi a credere [Cf Mc 1,1; Gv 21,24] e che vogliono condividere con altri la loro fede. Avendo conosciuto, nella fede, chi è Gesù, hanno potuto scorgere e fare scorgere in tutta la sua vita terrena le tracce del suo Mistero. Dalle fasce della sua nascita, [Cf Lc 2,7] fino all'aceto della sua passione [Cf Mt 27,48] e al sudario della Risurrezione, [Cf Gv 20,7] tutto nella vita di Gesù è segno del suo Mistero. Attraverso i suoi gesti, i suoi miracoli, le sue parole, è stato rivelato che "in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" (Col 2,9). In tal modo la sua umanità appare come "il sacramento", cioè il segno e lo strumento della sua divinità e della salvezza che egli reca: ciò che era visibile nella sua vita terrena condusse al Mistero invisibile della sua filiazione divina e della sua missione redentrice.

I tratti comuni dei Misteri di Gesù

516
Tutta la vita di Cristo è Rivelazione del Padre: le sue parole e le sue azioni, i suoi silenzi e le sue sofferenze, il suo modo di essere e di parlare. Gesù può dire: "Chi vede me, vede il Padre" (Gv 14,9), e il Padre: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo" (Lc 9,35). Poiché il nostro Signore si è fatto uomo per compiere la volontà del Padre, [Cf Eb 10,5-7] i più piccoli tratti dei suoi Misteri ci manifestano "l'amore di Dio per noi" (1Gv 4,9).

517
Tutta la vita di Cristo è Mistero di Redenzione. La Redenzione è frutto innanzi tutto del sangue della croce, [Cf Ef 1,7; Col 1,13-14; 1Pt 1,18-19 ] ma questo Mistero opera nell'intera vita di Cristo: già nella sua Incarnazione, per la quale, facendosi povero, ci ha arricchiti con la sua povertà; [Cf 2Cor 8,9] nella sua vita nascosta che, con la sua sottomissione, [Cf Lc 2,51] ripara la nostra insubordinazione; nella sua parola che purifica i suoi ascoltatori; [Cf Gv 15,3] nelle guarigioni e negli esorcismi che opera, mediante i quali "ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie" (Mt 8,17); [Cf Is 53,4] nella sua Risurrezione, con la quale ci giustifica [Cf Rm 4,25].

518
Tutta la vita di Cristo è Mistero di Ricapitolazione. Quanto Gesù ha fatto, detto e sofferto, aveva come scopo di ristabilire nella sua primitiva vocazione l'uomo decaduto:

Allorché si è incarnato e si è fatto uomo, ha ricapitolato in se stesso la lunga storia degli uomini e in breve ci ha procurato la salvezza, così che noi recuperassimo in Gesù Cristo ciò che avevamo perduto in Adamo, cioè d'essere ad immagine e somiglianza di Dio [Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 18, 1]. Per questo appunto Cristo è passato attraverso tutte le età della vita, restituendo con ciò a tutti gli uomini la comunione con Dio [Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 18, 1].

La nostra comunione ai Misteri di Gesù

519
Tutta la ricchezza di Cristo "è destinata ad ogni uomo e costituisce il bene di ciascuno" [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 11]. Cristo non ha vissuto la sua vita per sé, ma per noi, dalla sua Incarnazione "per noi uomini e per la nostra salvezza" fino alla sua morte "per i nostri peccati" (1Cor 15,3) e alla sua Risurrezione "per la nostra giustificazione" (Rm 4,25). E anche adesso, è "nostro avvocato presso il Padre" (1Gv 2,1), "essendo sempre vivo per intercedere" a nostro favore (Eb 7,25). Con tutto ciò che ha vissuto e sofferto per noi una volta per tutte, egli resta sempre "al cospetto di Dio in nostro favore" (Eb 9,24).

520
Durante tutta la sua vita, Gesù si mostra come nostro modello: [Cf Rm 15,5; Fil 2,5] è "l'uomo perfetto" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 38] che ci invita a diventare suoi discepoli e a seguirlo; con il suo abbassamento, ci ha dato un esempio da imitare, [Cf Gv 13,15] con la sua preghiera, attira alla preghiera, [Cf Lc 11,1] con la sua povertà, chiama ad accettare liberamente la spogliazione e le persecuzioni [Cf Mt 5,11-12].

521
Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in lui e che egli lo viva in noi. "Con l'Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22]. Siamo chiamati a formare una cosa sola con lui; egli ci fa comunicare come membra del suo Corpo a ciò che ha vissuto nella sua carne per noi e come nostro modello:

Noi dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, in fine, completare gli stati e i Misteri di Gesù. Dobbiamo poi pregarlo che li porti lui stesso a compimento in noi e in tutta la sua Chiesa. . . Il Figlio di Dio desidera una certa partecipazione e come un'estensione e continuazione in noi e in tutta la sua Chiesa dei suoi Misteri mediante le grazie che vuole comunicarci e gli effetti che intende operare in noi attraverso i suoi Misteri. E con questo mezzo egli vuole completarli in noi [San Giovanni Eudes, Tractatus de regno Iesu, cf Liturgia delle Ore, IV, Ufficio delle letture del venerdì della trentatreesima settimana].

Cfr. A. Lonardo, Il Dio con noi. Piccola cristologia del buon annunzio

J. Ratzinger – Benedettro XVI, Gesù di Nazaret

Papa Francesco EG su omelia 135-159
142. Un dialogo è molto di più che la comunicazione di una verità. Si realizza per il piacere di parlare e per il bene concreto che si comunica tra coloro che si vogliono bene per mezzo delle parole. È un bene che non consiste in cose, ma nelle stesse persone che scambievolmente si donano nel dialogo. La predicazione puramente moralista o indottrinante, ed anche quella che si trasforma in una lezione di esegesi, riducono questa comunicazione tra i cuori che si dà nell’omelia e che deve avere un carattere quasi sacramentale: «La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17). Nell’omelia, la verità si accompagna alla bellezza e al bene. Non si tratta di verità astratte o di freddi sillogismi, perché si comunica anche la bellezza delle immagini che il Signore utilizzava per stimolare la pratica del bene. La memoria del popolo fedele, come quella di Maria, deve rimanere traboccante delle meraviglie di Dio. Il suo cuore, aperto alla speranza di una pratica gioiosa e possibile dell’amore che gli è stato annunciato, sente che ogni parola nella Scrittura è anzitutto dono, prima che esigenza.

139. Abbiamo detto che il Popolo di Dio, per la costante azione dello Spirito in esso, evangelizza continuamente sé stesso. Cosa implica questa convinzione per il predicatore? Ci ricorda che la Chiesa è madre e predica al popolo come una madre che parla a suo figlio, sapendo che il figlio ha fiducia che tutto quanto gli viene insegnato sarà per il suo bene perché sa di essere amato. Inoltre, la buona madre sa riconoscere tutto ciò che Dio ha seminato in suo figlio, ascolta le sue preoccupazioni e apprende da lui. Lo spirito d’amore che regna in una famiglia guida tanto la madre come il figlio nei loro dialoghi, dove si insegna e si apprende, si corregge e si apprezzano le cose buone; così accade anche nell’omelia. Lo Spirito, che ha ispirato i Vangeli e che agisce nel Popolo di Dio, ispira anche come si deve ascoltare la fede del popolo e come si deve predicare in ogni Eucaristia. La predica cristiana, pertanto, trova nel cuore della cultura del popolo una fonte d’acqua viva, sia per saper che cosa deve dire, sia per trovare il modo appropriato di dirlo. Come a tutti noi piace che ci si parli nella nostra lingua materna, così anche nella fede, ci piace che ci si parli in chiave di “cultura materna”, in chiave di dialetto materno (cfr 2 Mac 7,21.27), e il cuore si dispone ad ascoltare meglio. Questa lingua è una tonalità che trasmette coraggio, respiro, forza, impulso.

157. Solo per esemplificare, ricordiamo alcuni strumenti pratici, che possono arricchire una predicazione e renderla più attraente. Uno degli sforzi più necessari è imparare ad usare immagini nella predicazione, vale a dire a parlare con immagini. A volte si utilizzano esempi per rendere più comprensibile qualcosa che si intende spiegare, però quegli esempi spesso si rivolgono solo al ragionamento; le immagini, invece, aiutano ad apprezzare ed accettare il messaggio che si vuole trasmettere. Un’immagine attraente fa sì che il messaggio venga sentito come qualcosa di familiare, vicino, possibile, legato alla propria vita. Un’immagine ben riuscita può portare a gustare il messaggio che si desidera trasmettere, risveglia un desiderio e motiva la volontà nella direzione del Vangelo. Una buona omelia, come mi diceva un vecchio maestro, deve contenere “un’idea, un sentimento, un’immagine”.

Sintesi sull’origine dei “misteri”

La tradizione medita Cristo, tenendo in mano le Scritture

Le feste, poi la catechesi, gli affreschi, poi i “misteri” del Rosario

Un’esemplificazione in Roma: la Chiesa Nuova

Al link La Chiesa Nuova per presentare i misteri di Cristo

Cappella del transetto a destra

Le due cappelle alle estremità del transetto furono modificate con un arretramento, in analogia alle cappelle delle navate: i lavori furono eseguiti nel 1634 per la cappella della Presentazione.

1/ Cappella della Presentazione di Maria

 All'estremità sinistra del transetto. Fu costruita nel 1589 a spese del vescovo Angelo Cesi, e decorata su disegno di Martino Longhi il Vecchio nel 1591 con marmi policromi e due colonne in marmo verde antico all'altare.

Nel 1592 furono collocate nelle apposite nicchie le statue di "San Pietro" e "San Paolo", opera di Giovanni Antonio Paracca e nel 1603 fu consegnata la pala d'altare, raffigurante la "Presentazione di Maria al Tempio" di Federico Barocci.

Dopo i lavori di modifica, fu completamente rifatta la decorazione affrescata, con "Storie di Anna, Elcana e Samuele" sulla volta, ad opera di Alessandro Salucci.

Cappella della Presentazione di Maria: verità della Fede espresse dal quadro

- Dio entra nella storia, una vera storia... (Realismo dei particolari: cesta, cappello, bue…).

- Dio non solo entra, ma prepara il suo ingresso nella storia.

- La consacrazione già da bambini (posizione del corpo di Maria).

- Dedicazione di un Tempio, dedicazione della persona umana come tempio.

- La consacrazione ci richiama il valore della libertà dell'uomo.

- Una consacrazione non si improvvisa.

- Nella Presentazione al Tempio di Gerusalemme riconosciamo che il dono della vita viene da Dio.

Cappelle delle navate

Le cappelle, che inizialmente si aprivano sull'unica navata, furono tutte ricostruite per far posto alle navate laterali tra il 1594 e il 1606.

Navata sinistra a partire dall’ingresso

2/ Cappella dell'Annunciazione

Prima cappella della navata sinistra. Concessa in patronato alla famiglia Ruspoli, banchieri fiorentini, nel 1589.

Nel 1591 fu completata l'originaria decorazione affrescata, di Andrea Lilio, di cui si conservano quelli del sottarco ("Annuncio della nascita della Vergine a Gioacchino ed Anna", "Rebecca al pozzo", "Rachele nasconde gli idoli", l'"Immacolata Concezione", "Uva della terra promessa", "Sposa del Cantico dei Cantici" e la "Sposa entra nella sala del banchetto"). La pala d'altare dello stesso anno e raffigurante l'"Annunciazione", fu opera di Domenico Cresti (detto "il Passignano").

Dato il cattivo stato di conservazione degli affreschi, una seconda decorazione con marmi policromi e stucchi, fu commissionata nel 1662.

Cappella dell’Annunciazione: verità della Fede espresse dal quadro

- Dio entra nella storia, una vera storia… (Realismo dei particolari: oggetti tipici del ‘500).

- È un avvenimento umile e nascosto. Nessuno lo vide, nessuno lo conobbe se non Maria. Ma al tempo stesso il più decisivo per la storia dell’umanità.

- Maria rinnova la sua offerta libera dicendo “Eccomi” all’annuncio dell’Arcangelo Gabriele. La posizione del suo corpo è uguale a quella del suo primo “sì” nella Presentazione al Tempio.

- Maria è santa perché santificata in un modo unico e irripetibile dallo Spirito Santo.

- Nel quadro è raffiguratala Trinità, il Padre in alto, lo Spirito Santo (colomba), il Figlio è già nel grembo di Maria.

- Il “Sì” di Gesù e di Maria si rinnova nel “Sì” dei Santi, specialmente dei martiri che vengono uccisi a causa del Vangelo.

3/ Cappella della Visitazione

 Seconda cappella della navata sinistra. Concessa in patronato a Francesco Pizzamiglio, veneziano, nel 1582. Alla metà del Settecento passò a Filippo Sicurani.

La pala d'altare di Federico Barocci, del 1586, raffigura la "Visitazione" ed era particolarmente cara a san Filippo Neri.

Dopo la ricostruzione, che fu completata solo nel 1611, la decorazione a stucco fu eseguita entro il 1617 e l'anno successivo furono commissionati gli affreschi di Carlo Saraceni ("San Matteo", "San Giovanni Evangelista" e "San Giovanni Battista", quest'ultimo oggi perduto).

Cappella della Visitazione: verità della Fede espresse dal quadro

- Maria riceve in questo momento la conferma della verità delle parole dell'Angelo.

- Bellissimo il particolare delle due mani che si stringono, la mano anziana di Elisabetta e quella giovane e delicata di Maria.

- Sempre i particolari che ci dicono che questa Storia è viva nel presente (l'asino spettatore, le gallinelle nella cesta...).

- Maria è "Cristofora - Portatrice di Cristo" ed è questo che fa sussultare di gioia il bimbo nel grembo di Elisabetta.

- Lo Spirito Santo ci fa vedere Gesù anche quando è nascosto.

4/ Cappella della Natività o dell’Adorazione dei Pastori

 Terza cappella della navata sinistra. Concessa in patronato a Silvio Antoniano, futuro cardinale, nel 1580.

La pala d'altare, di Durante Alberti, raffigura l'"Adorazione dei pastori" (prima del 1590). Dopo la ricostruzione era stata decorata con stucchi (Giovanni Guerra) e affreschi (Pomarancio), non più conservati.

Cappella della Natività o dell’Adorazione dei Pastori: verità della Fede espresse dal quadro

- I primi che adorano Dio fatto uomo sono i più esclusi e lontani di tutto il popolo d'Israele.

- I pastori erano disprezzati e considerati ai margini della vita civile e religiosa.

- Da guardare insieme il Bambino e l'Agnellino con le zampe legate. In una sola immagine è descritta tuttala Storiadi Gesù, nato e morto per Amore.

- La bellezza della paglia così concreta ci dice che questo avvenimento è presente oggi.

- La curiosità, lo stupore, la tenerezza e la commozione dei pastori.

5/ Cappella dell’Adorazione dei Magi o dell'Epifania

 Quarta cappella della navata sinistra. Concessa in patronato nel 1578 a Porzio Ceva, notaio della Camera Apostolica.

La pala d'altare, opera di Cesare Nebbia del 1578, raffigura l'"Adorazione dei Magi".

Dopo la ricostruzione, la nuova decorazione con marmi policromi e stucchi sulla volta fu affidata ancora a Stefano Longo e fu completata nel 1619, riprendendo i motivi della cappella della Purificazione. Gli affreschi sulla volta, in cattivo stato, furono probabilmente completati nel 1625 da Baccio Ciarpi.

Cappella dell’Adorazione dei Magi o dell'Epifania: verità della Fede espresse dal quadro

- L'edera rappresenta nell'iconografia cristiana la vita eterna e l'immortalità dell'anima, ed è dono di Cristo che nasce.

- La corona regale ai piedi della culla di Gesù indica come sia Lui il vero Re dell'Universo.

- Un raggio della stella in alto sembra un rivolo di luce che va a bagnare il Bambino.

- Il sasso con le due lettere CN, Cesare Nebbia, esprime la consapevolezza dell'Autore di essere un piccolo sasso davanti alla Regalità di Cristo.

6/ Cappella della Presentazione di Gesù al Tempio o della Purificazione

 Quinta cappella della navata sinistra. Concessa a Fabrizio e Cesare Mezzabarba, di Pavia, era stata inizialmente destinata all'esposizione dell'antica immagine miracolosa della "Madonna Vallicelliana". Con i lavori di ricostruzione il patronato passò al cardinale Agostino Cusani e nel 1854 ai conti Polidori.

La decorazione a stucco posteriore alla ricostruzione è opera di Stefano Longo, mentre i riquadri affrescati nella volta furono completati nel 1620 dal Cavalier d'Arpino ("Sant'Ambrogio", "Sant'Agostino" e "Santa Monica"). Gli affreschi, danneggiati, furono ricoperti da un restauro del 1885.

La pala d'altare è costituita da una tela del 1627, ancora del Cavalier d'Arpino, raffigurante la "Purificazione della Vergine".

Cappella della Presentazione di Gesù al Tempio o della Purificazione: verità della Fede espresse dal quadro

- Come Maria, anche Gesù viene presentato al Tempio. Gesù entra in una vera Storia, in un vero Popolo, il Popolo d'Israele. (Giuseppe porta tra le mani le colombe prescritte dalla Legge del Signore). L'incontro di Giuseppe e Maria con Simeone e la profetessa Anna (Luca 2,22-40).

- Gesù è riconosciuto da Simeone come Luce che illumina le Genti.La Chiesa, in questa festa, celebra questa verità con la benedizione delle candele e una processione solenne all'inizio della Santa Messa (Candelora).

Navata sinistra a partire dall’ingresso

7/ Cappella del Crocifisso

 Prima cappella della navata destra. Concessa in patronato a Camillo Caetani, patriarca di Alessandria e in seguito passò a Paolo Paganino, di Modena, e ancora alla famiglia Rossi e, nel 1746, al marchese Giacomo Vettori.

La pala d'altare, di Scipione Pulzone, raffigurante il "Crocefisso", fu completata entro il 1586.

Sotto il patronato del Paganino e dopo la ricostruzione fu rifatta la decorazione nel 1621, con stucchi del sottarco (eseguiti da Stefano Longo con le allegorie della Giustizia e della Fortezza) e della volta di copertura, dove riquadrano affreschi ad olio di Giovanni Lanfranco ("Incoronazione di spine", "Flagellazione" e "Orazione nell'orto").

Cappella del Crocifisso: verità della Fede espresse dal quadro

- La Morte e Resurrezione di Gesù non è un avvenimento concluso nel passato, ma sprigiona ancora oggi tuttala Sua Potenza; per chi ricorre ad esso. È come un'esplosione nucleare che per innescare una reazione a catena ha bisogna della libertà dell'uomo.

- L'Eccomi, il Sì di Maria anche ora sotto la croce.

- Maria Maddalena che avvolge completamentela Crocee i piedi di Gesù con i suoi lunghi capelli biondi. Anche noi possiamo unire alla Croce i nostri dolori e da essa attingerela Pacedi Gesù Cristo. Èla Sua Croceche ci porta.

8/ Cappella della Deposizione o della Pietà

 Seconda cappella della navata destra. Concessa in patronato a Pietro Vittrici, "guardaroba" del papa. Passò quindi a Ermete Cavalletti.

Dopo la ricostruzione ricevette una decorazione con marmi policromi e stucco (1612) e con affreschi di Angelo Caroselli ("Sindone" nel sottarco e "Pietà fra David e Isaia" nella volta).

Sull'altare era stata collocata la "Deposizione di Cristo nel sepolcro" di Michelangelo Merisi da Caravaggio (1602), che fu asportata dai francesi nel 1797 e sostituito con una copia di Michele Koeck, mentre dopo la restituzione l'originale si conserva nella Pinacoteca dei Musei Vaticani.

Cappella della Deposizione o della Pietà: verità della Fede espresse dal quadro

- Cristo è stato appena schiodato dalla croce. II suo corpo bellissimo (è evidente l'omaggio alla Pietà di Michelangelo in S. Pietro) è sostenuto da Giovanni e da Nicodemo, il cui volto, in primo piano, è caratterizzato come un ritratto: qualcuno vi ha ravvisato il volto di Michelangelo. Nicodemo è chinato su Cristo e si volge verso lo spettatore coinvolgendolo. In secondo piano i testimoni storici della morte di Cristo: Maria di Cleofa alza le braccia in un urlo disperato verso un cielo nero e indecifrabile; Maddalena piange la morte del suo Signore.

- Maria,la Madre, raffigurata anziana e impietrita dal dolore, stende le braccia in forma di croce come per abbracciare tutto il corpo del Figlio; Giovanni, il discepolo amato, piegato sul Salvatore, posa la mano sulla piaga del costato, la cui apertura, prodotta dal colpo della lancia, egli solo tra gli evangelisti ha riportato. Colpisce l'angolo della pesante lastra di pietra che punta verso chi contempla la scena: «La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d'angolo»: per questo la pietra, posta in prospettiva angolare, emerge con tanta evidenza fino a diventare silenziosa protagonista. Sulla pietra scartata riposa la speranza di salvezza per ognuno di noi. Quando, all'elevazione, il celebrante alzava l'Ostia consacrata ed il calice del Sangue, i fedeli li vedevano allineati con l'angolo della pietra. Il braccio di Cristo pende verso il basso, attirato dalla forza di gravità. La natura lo domina. Ma le dita della sua mano si "impigliano" nel bordo della pietra. L'indice e il medio fanno da perno, fermando momentaneamente la mano e arcuando leggermente il braccio. Gesù è il punto di incontro tra Dio e l'uomo. Il candido telo èla Sindone, il cui lembo, mosso da un soffio leggero, accarezza la pietra, mentre dal buio già una pianta emerge, con il suo verde fogliame, ad indicare che la morte, dentro a tale sepolcro, non ha la sua vittoria. Chi sta per scendere nella tomba è un morto particolare: la mattina di Pasqua ne svelerà al mondo la piena identità, rivelando al tempo stesso lo stupendo "disegno" di Dio.

9/ Cappella dell'Ascensione: verità della Fede espresse dal quadro

 Terza cappella della navata destra. Concessa in patronato nel 1581 a Tiberio Ceuli, banchiere romano. Nel 1868 il patronato passò alla famiglia De Villanova Castellacci.

La pala d'altare con l'"Ascensione" si deve a Girolamo Muziano, prima del 1587.

Dopo la ricostruzione fu nuovamente decorata con marmi policromi e stucchi e consacrata nel 1607. Gli affreschi ad olio sulla calotta furono eseguiti da Benedetto Piccioli a partire dal 1624 ("San Coprete", "Sant'Alessandro" e "San Patermuzio").

Cappella dell’Ascensione

- Gesù ascende con i segni della sua Passione.

- Ascende per restare sempre con noi ogni giorno in una forma ancora più forte: attraverso il Dono immenso e smisurato dello Spirito Santo.

- Maria è insieme agli undici e ha ancora gli occhi arrossati per il forte dolore.

10/ Cappella della Pentecoste

 Quarta cappella della navata destra. Concessa in patronato nel 1579 a Vincenzo Lavaiana, banchiere pisano, che al momento della ricostruzione la cedette a Diego del Campo, fiammingo, "cameriere segreto" del papa. Nel 1728 il patronato passò al conte Pietro Giraud.

La decorazione della volta ("I sette candelabri", "Il battesimo di Cristo" e "Mosè con le tavole della Legge"), completata nel 1602, si deve a Egidio della Riviera.

L'originaria pala d'altare con la "Discesa dello Spirito Santo" era del pittore fiammingo Wensel Cobergher (1607), ma fu sostituita nel 1689 dall'attuale tela con stesso soggetto di Giovanni Maria Morandi.

Cappella della Pentecoste: verità della Fede espresse dal quadro

- Maria attende il Dono immenso della Spirito di Dio insieme agli undici ed è in preghiera. Il Padre non dà lo Spirito Santo a tutti. Dà lo Spirito Santo a tutti coloro che lo chiedono.

- L'Eccomi, il Sì di Maria anche qui... sempre quella posizione del corpo e delle mani che esprime la sua offerta, la sua consacrazione continua a Dio. Nell'offerta di noi stessi a Dio, Maria è per noi Madre insostituibile.

- Il Dono è raffigurato come fiamme di fuoco che scendono sui discepoli trasformandoli da uomini timorosi e ancora dubbiosi in coraggiosi missionari.

11/ Cappella dell’Assunta o Cappella Pinelli

 Quinta cappella della navata destra. Concessa in patronato al banchiere genovese Giovanni Agostino Pinelli, tesoriere del papa.

Conserva gran parte della decorazione originaria in stucco, terminata nel 1587, su disegno di Giacomo della Porta.

Vi si trovano inoltre affreschi di Aurelio Lomi con "Storie di Maria" e "Storie dell'infanzia di Gesù" nel sottarco, tondi nella volta con "Dormitio Virginis", "Incoronazione di Maria" e "Funerali della Madonna", e sulle pareti "Rebecca ed Eleazar" e "Giaele e Sisara".

L'originaria pala di altare con l'"Assunzione e apostoli" di Giuseppe Ghezzi, fu sostituita alla metà del Seicento con quella di Giovanni Domenico Cerrini, con medesimo soggetto.

Cappella dell’Assunta o Cappella Pinelli: verità della Fede espresse dal quadro

- Questa è una delle immagini miracolose che a Roma e in tutto lo Stato Pontificio hanno preceduto l'arrivo di Napoleone. Per diversi giorni davanti a migliaia di testimoni (anche notai) aprì e chiuse gli occhi.

- Il segno prodigioso ci ricorda ancora oggi che Maria ha "gli occhi aperti" sui nostri dolori, sulle nostre prove e unita al Figlio Suo già da subito in anima e corpo continua a svolgere la sua missione.

Cappella del transetto a sinistra

12/ Cappella dell'Incoronazione della Vergine

 All'estremità destra del transetto. Fu concessa nel 1591 ad Alessandro Glorieri, nunzio apostolico a Napoli.

Nel 1592 venne costruito l'altare maggiore, con colonne in marmo verde antico analoghe a quelle dell'opposta cappella della Presentazione e la cappella venne consacrata nel 1594 con un'elaborata decorazione in marmi policromi. Le nicchie ospitano due statue di "San Giovanni Battista" e "San Giovanni Evangelista" di Flaminio Vacca.

La pala d'altare, raffigurante l'"Incoronazione della Vergine", fu dipinta dal Cavalier d'Arpino e, completata nel 1615, venne ulteriormente modificata dallo stesso autore due anni dopo, su richiesta della Congregazione.

Cappella dell’Incoronazione della Vergine: verità della Fede espresse dal quadro

- È bello guardare da questa cappella della Presentazione di Maria al tempio da cui siamo partiti.

- L'Eccomi finale di Maria con la stessa posizione del corpo di quel primo Eccomi da bambina.

- Maria è incoronata come Regina di Umiltà da Gesù Cristo stesso. È Regina di tutti gli angeli e di tutti i santi.

- L'Umiltà vera porta ad evitare due errori gravi. Maria dice "Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente". Il primo errore è credere di poter fare grandi cose senza l'amicizia di Dio, senzala Sua Grazia, senza il Suo Spirito. Il secondo non meno grave è credere che l'Onnipotenza di Dio non possa fare grandi cose anche con la nostra vita. In questo cammino di vera umiltà Maria ci è madre e maestra.

III parrte del corso. Una esemplificazione: Genesi 1-2 (meglio 1-11)

Un’introduzione alla questione per la via delle immagini

Genesi: testi ebraici non cristiani

Sant'Agostino diceva che non gli interessava tanto ciò che dice l'ebraico, l'aramaico e o il greco, bensì se Dio avesse creato veramente il mondo: «Fammi udire e capire come in principio creasti il cielo e la terra. Così scrisse Mosè, così scrisse, per poi andarsene, per passare da questo mondo, da te a te. Ora non mi sta innanzi. Se così fosse, lo tratterrei, lo pregherei, lo scongiurerei nel tuo nome di spiegarmi queste parole [...] Dentro di me piuttosto [...] la verità, non ebraica né greca né latina né barbara, mi direbbe, senza strumenti di bocca e di lingua, senza suono di sillabe: "Dice il vero". E io subito direi sicuro, fiduciosamente a quel tuo uomo: "Dici il vero". Invece non lo posso interrogare; quindi mi rivolgo a te, Verità, Dio mio, da cui era pervaso quando disse cose vere; mi rivolgo a te: [...] concedi anche a me di capirle» (Confessioni XI,3.5).

Non "come" e "perché" (linguaggio poco chiaro e poco scientifico), ma cause prime e cause seconde

Per compiere un’esegesi storico-critica della Scrittura, debbo comprendere che la Scrittura stessa rilegge la Scrittura in chiave allegorica: l’atteggiamento scientifico e quello credente non possono essere separati

1/ L'uomo è fatto per Dio: il riposo del sabato

Gen 1,14 ricorda già il tempo festivo: «Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; siano segni per le feste, per i giorni e per gli anni».

Es. Genesi 1: il sabato, dalla fonte P all’esegesi spirituale ebraica e cristiana

Sabato=6+1 non 1,2,3,4,5,6 e 7

Monreale, Dio si riposa nel settimo giorno

(1180-1190 d.C.): Requievit Dominus die septimo ab omni opere quod paraverat. 

da Isidor Grunfeld, Lo Shabbath
Il lavoro può rendere liberi, ma si può anche esserne schiavi
. È detto nel Talmud che quando Dio creò il cielo e la terra, essi continuarono a girare senza posa come due rocchetti di filo, sino a quando il Creatore ordinò: "Basta".
L'attività creativa di Dio fu seguita dallo Shabbath, allorché deliberatamente Egli cessò la Sua opera creatrice. Questo fatto, più di ogni altra cosa, ci presenta Dio come libero creatore, che liberamente controlla e limita la creazione da Lui attuata secondo la Sua volontà.
Non è quindi il lavoro, ma la cessazione del lavoro che Dio scelse come segno della Sua libera creazione del mondo
. L'ebreo, cessando il suo lavoro ogni Shabbath, nel modo prescritto dalla Torah, rende testimonianza della potenza creatrice di Dio.
E, inoltre, rende manifesta la vera grandezza dell'uomo. Le stelle e i pianeti, una volta iniziato il loro moto rotatorio che durerà in eterno, continuano a girare ciecamente, senza interruzione, mossi dalla legge naturale di causa ed effetto. L'uomo invece può, con un atto di fede, porre un limite al suo lavoro, affinché non degeneri in una fatica senza senso
.
Osservando lo Shabbath, l'ebreo diviene, come dissero i nostri Saggi, simile a Dio stesso
. Similmente a Dio, egli è padrone del suo lavoro, non schiavo di esso.

da Achad Ha-am, Al parashat derakim, III, c. 30 (citato in Le livre du chabbat. Recueil de textes de la letterature juive, a cura di A. Pallière- M. Liber, Paris 1974, p. 61;  Achad Ha-Am= “uno del popolo” è pseudonimo di Asher Hirsch Ginsberg, 1856-1927)
Non è tanto Israele che ha custodito il sabato, ma è il sabato che ha custodito Israele.

da Y. Vainstein, The Cycle of the Jewish Year. A Study of the festivals and of Selections from the Liturgy, Jerusalem, 1980, p. 89
Senza il sabato – che è la quintessenza di tutta la Torah – non possono esistere né l’ebraismo né gli ebrei; la storia ebraica non conosce alcun esempio che mostri che gli ebrei abbiano potuto sopravvivere senza il sabato.

da Chajjim Nachman Bialik (1873-1934), Epistole (Iggherot), 5 voll. 1938-39
Senza lo Shabbat, né Israel, né Erez Israel, né la cultura ebraica possono sopravvivere

Ap 1 nel giorno del Signore

Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali
[23] PRINCIPIO E FONDAMENTO.
L'uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e così raggiungere la salvezza; le altre realtà di questo mondo sono create per l'uomo e per aiutarlo a conseguire il fine per cui è creato
. Da questo segue che l'uomo deve servirsene tanto quanto lo aiutano per il suo fine, e deve allontanarsene tanto quanto gli sono di ostacolo. Perciò è necessario renderci indifferenti verso tutte le realtà create (in tutto quello che è lasciato alla scelta del nostro libero arbitrio e non gli è proibito), in modo che non desideriamo da parte nostra la salute piuttosto che la malattia, la ricchezza piuttosto che la povertà, l'onore piuttosto che il disonore, una vita lunga piuttosto che una vita breve, e così per tutto il resto, desiderando e scegliendo soltanto quello che ci può condurre meglio al fine per cui siamo creati.

dall'omelia di Benedetto XVI del 9/9/2007,  nel Duomo di Santo Stefano di Vienna
Sine dominico non possumus! Senza il Signore e il giorno che a Lui appartiene non si realizza una vita riuscita. La domenica, nelle nostre società occidentali, si è mutata in un fine-settimana, in tempo libero. Il tempo libero, specialmente nella fretta del mondo moderno, è una cosa bella e necessaria; ciascuno di noi lo sa. Ma se il tempo libero non ha un centro interiore, da cui proviene un orientamento per l'insieme, esso finisce per essere tempo vuoto che non ci rinforza e non ricrea.
Il tempo libero necessita di un centro - l'incontro con Colui che è la nostra origine e la nostra meta. Il mio grande predecessore sulla sede vescovile di Monaco e Frisinga, il cardinale Faulhaber, lo ha espresso una volta così: «Dà all'anima la sua domenica, dà alla domenica la sua anima».

da J. Ratzinger, Il dialogo delle religioni ed il rapporto tra ebrei e cristiani, in La Chiesa, Israele e le religioni del mondo, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2000, pp. 72-73
Karl Barth ha operato una distinzione nel cristianesimo tra religione e fede. Ha avuto torto a voler separare del tutto queste due realtà, considerando positivamente la fede e negativamente la religione. La fede senza la religione è irreale, essa implica la religione, e la fede cristiana deve, per sua natura, vivere come religione. Ma ha avuto ragione ad affermare che anche fra i cristiani la religione può corrompersi e trasformarsi in superstizione, ad affermare, cioè, che la religione concreta, in cui la fede viene vissuta, deve essere continuamente purificata a partire dalla verità che si manifesta nella fede e che, d'altra parte, nel dialogo fa nuovamente riconoscere il proprio mistero e la propria infinitezza. 

Cfr. Il grave errore di molti libri scolastici

2/ Dio è Creatore e Padre perché ha creato l'uomo molto buono

Lettura “canonica” della Scrittura: Genesi 1 e 2 insieme (2 capitoli capitali): l’unità della Scrittura

L’uomo, l’ultima creatura (Gen 1), la prima creatura (Gen 2)

Dio «ci ha scelti - afferma la lettera agli Efesini - prima della creazione del mondo» (Ef 1,4)!

Da Francesco d’Assisi, Cantico delle creature
Laudato sie, mi’ Signore […]

Per quelli ke perdonano per lo tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione
beati quelli ke l’sosterranno in pace
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Per sora nostra morte corporale
da la quale nullu homo vivente pò skappare.
Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali.
Beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati ka la morte secunda no ‘l farrà male.

Rengratiate e serviateli cum grande humilitate.

da Hans Urs von Balthasar, Il cuore del mondo, Piemme, Casale Monferrato, 1994, pp. 17-18
Tu senti il tempo, e questo cuore non senti? Percepisci la corrente di grazia che ti compenetra col suo rosso colore e calore, e non ti accorgi quanto sei amato? Cerchi una prova, e sei tu stesso la prova. Tu cerchi di prenderlo, lo sconosciuto, nelle maglie della tua conoscenza, e sei tu stesso preso nell'indistricabile rete del suo potere. Vorresti afferrare, comprendere, e già sei afferrato. Vorresti dominare, e sei sopraffatto. Ti spingi avanti a cercare, e sei già da lungo tempo e da sempre trovato. Ti apri brancicando la strada attraverso mille vestiti verso un corpo vivente, ed affermi di non sentire la mano che tocca la tua anima nuda e senza veli? Ti agiti cercando tutt'attorno nella furia del cuore inquieto, e chiami tutto ciò religione, ma si tratta in realtà degli scossoni del pesce già finito nella barca da pesca. Vorresti trovare Dio, pur fra mille dolori: ma che umiliazione venir a sapere che il tuo agire non era che un vuoto rito, perché Dio ti tiene da lungo tempo in sua mano. Metti il tuo dito sul polso vivente dell'essere. Avverti quel battito che nell'unico atto della sua creazione a un tempo ti sfida e ti libera. Nell'immenso sgorgare dell'esistenza esso definisce l'esatta misura che ti distanzia: lo devi amare come il più prossimo dei prossimi e insieme davanti a lui cadere come davanti all'altissimo. Come egli con lo stesso atto per amore ti veste e per amore ti spoglia. Come egli, con l'esistenza, ti mette in mano tutti i tesori e il più prezioso gioiello: poterlo riamare, ridonare, e subito ti toglie ogni cosa donata (subito e non dopo, in un secondo atto, un passo più avanti), affinché possa amare non il dono ma il donatore. 

2.1/ Un’immagine sintetica che supera Genesi 1 e 2: l’arte

da Trittico romano, di Karol Wojtyla
Mi trovo sul limine della Sistina -
Forse tutto ciò era più facile interpretare nel linguaggio della "Genesi" -
Ma il Libro aspetta l'immagine.- È giusto. Aspettava
un suo Michelangelo.
Perché Colui che creava, "vedeva" - vide, che "ciò era buono".
"Vedeva", ed allora il Libro aspettava il frutto della "visione".
O uomo che vedi anche tu, vieni -
Sto invocandovi "vedenti" di tutti i tempi.
Sto invocandoti, Michelangelo!


Nel Vaticano è posta una cappella, che aspetta il frutto della tua visione!
La visione aspetta l'immagine.
Da quando il Verbo si fece carne, la visione, da allora, aspetta.

Stiamo sulla soglia del Libro.

Questo è il Libro delle Origini - Genesis.
Qui, in questa cappella lo ha descritto Michelangelo,
non con le parole, ma con una ricchezza
affluente dei colori.

Entriamo, per rileggerlo,
passando dallo stupore allo stupore.

"Dio foggiò l'uomo a Sua immagine e somiglianza,
lo creò maschio e femmina -
e Dio vide, che ciò era buono assai,
l'uno e l'altra erano ignudi e non ne avevano vergogna".
Questo è possibile?
Non chiederlo ai contemporanei, ma chiedi a Michelangelo,
(o forse anche ai presenti!?).
Chiedi alla Sistina.
Così tanto raccontano queste mura! [...]
Perché proprio di quell'unico giorno si è detto:
"Dio vide che ciò che aveva fatto era buono assai"?
Perché, allora, sembra che la storia contraddica tutto questo?
Pure il nostro ventesimo secolo! E non solo il ventesimo!
Però, nessun secolo riuscirà ad offuscare la verità
su immagine e somiglianza. […]
Anche loro, sulla soglia degli eventi,
vedono se stessi in assoluta autenticità:
erano ignudi tutti e due...
Anche loro sono divenuti i partecipanti di questa visione
che il Creatore ha trasmesso su di loro.
Non vogliono forse rimanere tali?
Non vogliono forse riacquistare questa visione di nuovo?
Non vogliono forse, per se stessi, essere autentici e trasparenti -
come già lo sono per Lui?
Se è così, cantano l'inno del ringraziamento,
un Magnificat dell'intimo umano

ed è allora che sentono profondamente
che proprio "in Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" -
Proprio in Lui!
È Lui che gli permette di partecipare a questa bellezza
che aveva ispirato in loro!
È Lui che gli schiude gli occhi.
[…]
E quando divengono "un corpo solo"
- la più stupenda unione -
dietro il suo orizzonte si schiude
la paternità e la maternità.

3/ Eppure l’uomo non è il centro: Dio è Creatore e Padre perché forma l'uomo con un corpo che dice la sua dipendenza da Dio e da tutto il creato

 Mc 7  14Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! 15Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». [16]
17Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. 18E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, 19perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti. 20E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. 21Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, 22adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. 23Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

San Francesco: «Un giorno i frati discutevano assieme se rimaneva l’obbligo di non mangiare carne, dato che il Natale quell’anno cadeva in venerdì. Francesco rispose a frate Morico: “Tu pecchi, fratello, a chiamare venerdì il giorno in cui è nato per noi il Bambino. Voglio che in un giorno come questo anche i muri mangino carne, e se questo non è possibile, almeno ne siano spalmati all’esterno”» (Vita seconda di Tommaso da Celano 199).

Si costruisce più civiltà intorno alla tavola che con un tablet, di Fabrice Hadjadj, da Avvenire dell’11/10/2015
Le discussioni a riguardo del Sinodo sulla famiglia si sono molto focalizzate sull’ammissione dei «divorziati risposati» alla Tavola eucaristica – come se la prospettiva non fosse cambiata da ventuno secoli a questa parte (perché, lo ricordo, questo problema si è posto fin dai primi tempi della Chiesa)… A dire il vero non siamo più a quel punto. Siamo in un’epoca in cui la questione è molto più rudimentale: come fare affinché la famiglia si ritrovi intorno a una tavola, molto semplicemente?

Abbiamo dimenticato ciò che i nostri padri sapevano: la tavola è un oggetto ultratecnologico, al punto che accanto ad essa le sofisticherie moderne appaiono come  cose grossolane. Un rapido sguardo al materiale già lo prova: passare da una tavola in ciliegio massiccio a una fatta con gli ultimi ritrovati in materia di superconduttori sarebbe uno scadimento evidente (un po’ come sostituire il minestrone della nonna con un beverone sintetico).

 Ma questo non è che un indizio. Il grande vantaggio della tavola su tutti i nostri apparecchi futuristi si manifesta soprattutto nel campo del multimediale. Là dove la tecnologia riesce a favorire solamente la comunicazione virtuale, la tavola tende a organizzare la comunione vivente.

Ecco dei commensali realmente presenti, che scaturiscono come busti siamesi da uno stesso centauro immobile, riuniti e aperti come i rami fioriti di un unico albero mistico, e che si mostrano nella loro specificità umana, vale a dire animale e al tempo stesso razionale, con le bocche che a volte parlano e a volte mangiano, le mani che levano i calici e si passano i piatti in modo da rinnovare una sostanza personale che nessun download potrà mai fornire.

E mentre i siti dove ci conduce la navigazione numerica sono legati alla nostra età e ai nostri interessi, il pasto ci avvicina agli altri innanzitutto perché essi hanno fame come noi; ecco perché la tavola è l’incomparabile medium dell’incontro con altre generazioni – dai nonni ai nipoti –, con persone che non condividono le nostre idee ma che volentieri condividono la nostra bistecca, e persino con altre specie – giacché il cagnolino sotto la tavola recupera le molliche

Si può capire, allora, che la civiltà si costruisce in questo luogo, nella difficile attenzione per imparare a comportarsi a tavola, affinché i nostri gomiti non disturbino quelli che ci siedono accanto, per chiedere dicendo «per favore» e ricevere dicendo «grazie».

Ma ci siamo sottomessi al progresso tecno-economico e abbiamo rinunciato alla civiltà. Tablet
e smartphone si sono impossessati della parola «conviviale», ridefinita da Steve Jobs, e il tempo si è destrutturato sotto il flusso delle news e del divertimento
 sempre disponibili e sotto la pressione di un lavoro che non segue più i ritmi del corpo e delle stagioni ma la cadenza infaticabile delle macchine.

Ormai la famiglia è scoppiata sotto lo stesso tetto. Ciascuno ha il suo orario capriccioso, ciascuno sta davanti al suo schermo tattile, e non gli resta altro da fare che mangiare in fretta, per conto proprio, cibo già pronto nell’anta del frigorifero, seguendo i consigli dietetici di Mypersonaltrainer.com.

Già negli anni cinquanta Günther Anders diceva che la televisione aveva distrutto la tavola familiare e che da allora il focolare domestico non aveva più nessun punto di convergenza. Con tutto ciò che ci attrezza individualmente all’informazione continua, l’esplosione è completa. Il divorzio dai propri cari e dunque da sé stessi è spesso la conseguenza dell’alta fedeltà a questo apparato tecnico: il tessuto familiare non si tesse più; il suo telaio – la tavola – è stato messo nei rifiuti. Ecco perché la nostra prima rivendicazione sociale dovrebbe unirsi al grido della mamma di quando eravamo bambini: «A tavola!».

Sospesi tra il pane quotidiano e il pancarré industriale, di Fabrice Hadjadj, da Avvenire del 18/10/2015
Non parlerò del Pane del Cielo ma del pane comune, non consacrato, sul quale si può pronunciare una benedizione senza troppa reticenza. Anche se, al momento di benedire il pasto, sono talvolta colto da un’esitazione. È opportuno proferire quelle antiche parole su una fetta di pancarrè industriale? Devo rendere grazie anche per i pesticidi, i fitofarmaci, gli additivi chimici, il glutine manipolato che conferisce alla nostra tartina la sua "inimitabile morbidezza" degna di un materasso permaflex? 
Posso cantare: «Benedetto sia Dio per il pirimfos-metile e il piperonil-butossido»? Non dovrei aggiungere alla mia preghiera anche un’intercessione per i mugnai ammalati a causa degli insetticidi per lo stoccaggio? Ma, in fin dei conti, sono proprio sicuro di avere un’idea abbastanza chiara della catena di produzione e di distribuzione che ha permesso a questo prodotto di arrivare sulla mia tavola?
È vero che nella nostra cara Europa la carestia non c’è più. Il pane sembra diventato disponibile per tutti e in abbondanza. Perciò mi si potrebbe ribattere, e non a torto, che le mie osservazioni sono quelle di un bambino viziato e ingrato. Ma questo non farebbe che confermare l’esistenza del problema: un bambino viziato è già un po’ sciupato anche se non allo stesso modo di un bambino affamato…
Il nostro pane quotidiano obbedisce ormai allo stesso rapporto che c’è tra il software e  l’hardware - il filosofo americano Albert Borgmann lo chiama «il paradigma del dispositivo (tecnologico)». Un tale dispositivo unisce sempre, come le due facce di una stessa medaglia, la disponibilità di un prodotto all'opacità della sua produzione, o ancora una commodity e un meccanismo. Il glamour del pane offerto sotto i riflettori della pubblicità nasconde un apparato oscuro da cui dipende la mia comodità.
Scrive Borgmann: «Nell’universo moderno dell’abbondanza e della disponibilità, il nostro contatto col mondo è ridotto a consumo senza sforzo e visione senza profondità. La fetta di pane che ho preso al supermercato non mi fa più pensare a un campo di grano, una mietitura, un mugnaio, un forno, né a una mano che benedice e spezza il pane. Il mio sguardo si ferma alla superficie, al suo colore, la sua struttura. Posso immaginare che dietro la sua brillante opacità ci sia una certa infrastruttura tecnica, probabilmente un business agroalimentare e una panificazione automatizzata situati chissà dove. Ma la mia comprensione del meccanismo è vaga quanto la mia coscienza della sua esistenza. Alla fine, in questo ambiente naturale di comodità superficiali, tendo a diventare superficiale io stesso». 
Il problema del nostro pane quotidiano non è innanzitutto dietetico o ecologico. È fenomenologico, legato alla percezione delle cose che abbiamo al giorno d’oggi. Ieri, col Padre Nostro, il pane sembrava provenire dal Dio invisibile, ma attraverso di esso si vedevano «la terra e il lavoro degli uomini», le spighe, il contadino, il mietitore, il mulino, il panettiere… Erano persone conosciute in paese, con cui forse ci si dava del tu
Oggi, il pane appare provenire da un’invisibile agro-tecno-industria, e tutto quello che vediamo è questa fetta bella e liscia come un MacBook. Se vogliamo saperne un po’ di più facciamo ricorso ad altri apparecchi opachi e alla competenza degli esperti. E il nostro immaginario resta sempre più vuoto con un campo di grano ridotto a un’etichetta e a delle equazioni chimiche che governano il reale. Si può capire allora che al momento di benedire il pane la mano resti per un attimo sospesa, prima di acconsentire, malgrado tutto, a fare il segno della croce comprendendo che una redenzione è a maggior ragione necessaria. 

4/ Eppure l’uomo non è il centro: Dio è Creatore e Padre perché dona all'uomo di poter dialogare con lui, dona l’“anima”

da Archivi del Nord di M. Yourcenar (Einaudi, Torino, 1997, pp. 9-13)  
Ma già compare, un po’ ovunque, l’uomo. L’uomo ancora sparso, furtivo, talora disturbato dalle ultime spinte dei ghiacciai incombenti, e che ha lasciato ben poche tracce in quella terra senza caverne e senza rocce. [...]
Un bruto certamente, l’uomo della pietra spaccata e della pietra levigata, poiché quel bruto è ancora in noi, ma quel Prometeo selvaggio ha inventato il fuoco, la cottura degli alimenti, il bastone spalmato di resina che illumina la notte. Meglio di noi ha saputo distinguere le piante commestibili da quelle che uccidono, e da quelle che invece di nutrire provocano strani sogni. Ha osservato che il sole d’estate tramonta più a nord, che certi astri girano in tondo attorno allo zenith e si muovono in processione regolare lungo lo zodiaco, mentre altri vanno e vengono, mossi da impulsi capricciosi che si ripetono dopo un certo numero di lunazioni o di stagioni; ha utilizzato queste conoscenze nei suoi viaggi diurni o notturni. Quei bruti hanno senza dubbio inventato il canto, compagno di lavoro, di piacere e di sofferenza fino all’epoca nostra, in cui l’uomo ha quasi completamente disimparato a cantare. Contemplando i ritmi grandiosi che essi esprimevano ai loro affreschi, ci sembra di poter indovinare le melopee delle loro preghiere o delle loro magie. L’analisi dei terreni in cui seppellivano i loro morti rivela che essi li coricavano su tappeti di fiori dai disegni complicati, forse non molto diversi da quelli che al tempo della mia infanzia le vecchie stendevano sul percorso delle processioni. Quei Pisanello o quei Degas della preistoria hanno conosciuto lo strano impulso dell’artista che consiste nel sovrapporre ai brulicanti aspetti del mondo reale una folla di raffigurazioni nate dal suo spirito, dal suo occhio e dalle sue mani.
Dopo appena un secolo di ricerche dei nostri etnologi cominciamo a sapere che esistono una mistica e una saggezza primitive, e che gli sciamani si avventurano su strade attraverso la notte. A causa della nostra superbia, che di continuo nega agli uomini del passato percezioni simili alle nostre, rifiutiamo di vedere negli affreschi delle caverne qualcosa di più che i frutti di una magia utilitaria: i rapporti fra l’uomo e la bestia da una parte, fra l’uomo e la sua arte dall’altra, sono più complessi e conducono più lontano. [...] Quelle genti ci somigliano: posti di fronte a loro, riconosceremmo nei loro tratti tutte le sfumature che vanno dalla stupidità al genio, dalla bruttezza alla beltà. L’uomo di Tollsund, contemporaneo dell’età del ferro danese, mummificato con la corda al collo in uno stagno dove i cittadini benpensanti dell’epoca gettavano, pare, i loro traditori veri o presunti, i loro disertori, i loro effeminati, in offerta a non si sa quale dea, ha uno dei visi più intelligenti che sia dato vedere: quel giustiziato ha certo guardato molto dall’alto quelli che lo giudicavano.

Amanti di Valdaro (mantovano, ca. 6000)

da D. Lattes, Nuovo commento alla Torah, Carucci, Roma, 1986, pp. 7-9
Nell'opera della creazione l'uomo rappresenta l'oggetto più nobile e più prezioso, sia perché egli è per la sua struttura e le sue doti intellettuali più vicino al creatore, sia perché sembra che esso sia il centro del mondo e, in terra, il signore degli altri animali. Josef Albo (morto nel 1440), ultimo fra i classici filosofici dell'ebraismo medioevale, afferma che dalle prime pagine della Genesi si ricava l'idea che la specie umana non solo è superiore a tutti gli esseri terrestri, ma che l'uomo solo è lo scopo principale della creazione di questo nostro mondo ('iqqàr kavvanath ha-jezirah ba-òlàm ha-shafèl)e per questo esso è stato l'ultimo ad essere creato fra gli animali (Iqqarim,I, 11). Questa supremazia dell'uomo sugli esseri e questa sua affinità col Creatore sono sottolineate nel racconto della Genesi e sono rilevate anche nella poesia ebraica, senza però che esse abbiano mai dato origine ad un sentimento di vanità e di orgoglio da parte del credente ebreo. […]

«L'antropocentrismo sembra così radicato nell'uomo quasi che fosse innato in lui. L'uomo è avvezzo a considerare il piano divino del mondo come un piano che miri al progresso dell'individuo e della collettività. L'uomo, come scopo dell'universo, è per naturale conseguen­za il metro del mondo. Contro questa idea che sembra centrale nel pensiero umano e che apparirebbe consacrata dall'ebraismo che ha sottolineato il valore dell'uomo e della sua libertà e il valore della società, contro quest'idea Maimonide muove la sua battaglia. Egli è stato il primo che abbia osato di far discendere l'uomo dal suo piedistallo di gloria in cui si era collocato da sé. E in questo ha anticipato la scienza la quale aveva atteso a farlo fino che non ebbe abolito la credenza nel geocentrismo, cioè fino a Copernico e Galileo. L'uomo non è lo scopo di quanto esiste. Solo nel mondo dei fenomeni, nel nostro ristretto e limitato mondo, l'uomo è l'essere più privilegiato. Entro questa angusta cornice sembra che tutto sia creato per l'uomo e sia al suo servizio. Ma questo mondo non è tutto ciò che esiste e non si può dire che tutto sia stato creato per la sua gloria. «Se dirà che tutto quanto esiste sotto l'emisfero della luna è fatto per lui, ciò sarà sotto questo aspetto vero; è però sciocco pensare che tutto quanto esiste è fatto per l'uomo, il quale è piccolissima parte del creato e non ha nessun valore relativamente a tutto l'universo esistente» (Moreh,III,12-13). È un'auto-divinizzazione ed una forma di idolatria per effetto della quale sfugge purtroppo all'uomo la visione del più grande universo. Noi dobbiamo invece avvezzarci a considerare l'uomo non già come il centro del mondo, ma come il gradino più umile del mondo reale ed allora ci si riveleranno i gradini di tutto ciò che esiste fino al più alto, che è di essi il più perfetto, ed in ultimo acquisteremo l'idea dell'Ente necessario, fine a se stesso e scopo di tutto quanto esiste. Allora ci considereremo parte e scopo di questa realtà e procureremo colle oneste azioni e coi puri pensieri di servire questo supremo fine di cui siamo parte sostanziale anche noi» J. KAUFFMANN, Moreh Nevukhim di MAIMONIDE, parte I, Prefazione, pag. XL-XLI).

«La Bibbia ebraica, per quanto dia piena soddisfazione alle esigenze della mente umana, è notoriamente teocentrica. L'uomo non è né il metro né il centro delle cose» (LEON ROTH, Jewish Thought in the Modern World in The Legacy of lsrael,Oxford, 1928, p. 437).

L'uomo “capax Dei” CCC inizio I parte

da J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Brescia, 1974   
Possedere un anima spirituale vuol dire precisamente essere tassativamente voluti, individualmente conosciuti ed amati da Dio; avere un anima spirituale significa essere creatura chiamata da Dio ad un perenne dialogo con lui, una creatura quindi capace a sua volta di conoscere Dio e di rispondergli... (Ciò) viene espresso mediante un linguaggio più spiccatamente storico ed attuale mediante la frase essere un interlocutore di Dio... L’immortalità dell’uomo si fonda sulla di lui dialogica polarizzazione su Dio, il cui amore è l’unica forza capace di accordare la vita eterna... Non è possibile in definitiva fare una netta distinzione fra naturale e soprannaturale.

da R.M. Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge,
Fiori e frutti sono maturi quando cadono; gli animali si sentono e si trovano l’un l’altro e sono soddisfatti. Ma noi, che ci siamo prefissi Dio, non possiamo essere pronti. Spostiamo in avanti la nostra natura come le sfere dell’orologio. Abbiamo ancora bisogno di tempo.

da «L’uomo supera infinitamente l’uomo». Breve riflessione sul transumano, di Fabrice Hadjadj (anche su www.gliscritti.it)
L’essere umano è l’animale che si meraviglia di esistere
. Siamo delle scimmie evolute, dei primati giunti al culmine della perfezione? Dubito che sia così. Perché il culmine della perfezione per il primate sta nell’agilità suprema con la quale spostarsi dal ramo o nella facilità assoluta di procurarsi delle banane. Essa non sta in questa capacità di meravigliarsi, in questa facoltà che vi lascia gli occhi sgranati, stupefatti, indifesi di fronte alla vertigine di essere vivi. Essa non sta in questa inclinazione alla contemplazione che, ad esempio, vi fa provare una tale meraviglia di fronte al manto striato della tigre che vi dimenticate di proteggervi contro i suoi graffi.
Alcuni dicono che l’affermazione dell’uomo, nel corso dell’evoluzione, sarebbe dovuta alla sua maggiore capacità di adattarsi al mondo. Eppure l’uomo sembra, al tempo stesso, un grande disadattato: invece di vivere pacificamente secondo l’istinto, cerca un senso, decifra il mondo come se fosse una foresta di simboli, desidera un al di là, un al di là non necessariamente come un altro mondo, ma come un modo di penetrare nel segreto di questo mondo, di intenderlo nel suo mistero, di bere alla sua fonte.
Noi tutti, quindi, ministri o agenti di polizia, ci sentiamo come dei passeggeri o dei passanti. Non solamente perché siamo mortali, ma anche perché nella nostra stessa vita desideriamo un superamento, non necessariamente un superamento verso un altrove (perché questo non sarebbe che turismo, e il turismo, nella spiritualità, è più frequente di quanto si immagini). Noi desideriamo piuttosto un superamento nell’intensità del nostro modo di essere qui e ora, gli uni verso gli altri, cercando infine di essere, gli uni con gli altri, senza ipocrisia, in una verità e in una amicizia profonda (confessiamolo, grattando un po’ la vernice del decoro: siamo ancora lontani da questa verità e da questa amicizia, perché queste presupporrebbero che la caduta di tutte la maschere e la messa a nudo del nostro spirito). [...] Quando si pretende di fondare l’umanesimo sull’uomo stesso accade la medesima cosa che si verifica quando si pretende di erigere un edificio senza alcun appoggio esteriore: l’edificio crolla. Per elevare un palazzo, c’è bisogno di un terreno. Affinché l’uomo si elevi, ha bisogno di un Cielo. Per Cielo intendo una speranza. Gli altri animali si generano attraverso l’istinto. L’uomo ha bisogno di ragioni per dare la vita. Senza queste ragioni, senza una speranza, certamente egli non si suiciderà – perché vi è in lui questa forza d’inerzia che lo spinge a continuare la sua corsa, come un solido nello spazio vuoto –, ma quantomeno non donerà più la vita, perché non vede la ragione di fare figli, se tutto è destinato alla putrefazione. La speranza non è una ciliegia sulla torta, essa deve dichiararsi alla nostra stessa carne, al nostro stesso sesso. Gli Ebrei lo sanno bene: è nel loro sesso che essi trovano il segno dell’Alleanza con l’Eterno, perché, se io non credo in questa Alleanza, per quale ragione continuare l’avventura umana, per quale ragione ostinarsi ad alimentare il carnaio? Ecco ciò che caratterizza l’uomo tra tutti gli animali: egli deve elevarsi verso il Cielo prima di poter dormire con la sua donna.
È in questo – molto semplicemente – che l’uomo supera infinitamente l’uomo. Egli cerca le ragioni per vivere al di là di se stesso. Egli aspira a una gioia che non possiede ancora veramente e di cui attende il compimento in qualche cosa – diciamolo – di «soprannaturale». Noi possiamo riprendere qui un verbo inventato da Dante, e dire che l’uomo è fatto per «trasumanarsi».

da papa Francesco, Evangelii gaudium 200
Dal momento che questa Esortazione è rivolta ai membri della Chiesa Cattolica, desidero affermare con dolore che la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. L’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria

dall’intervista rilasciata da Benedetto XVI a Radio Vaticana ed a tre televisioni tedesche il 13 agosto 2006
Abbiamo il nostro compito di mettere meglio in rilievo ciò che noi vogliamo di positivo. E questo dobbiamo anzitutto farlo nel dialogo con le culture e con le religioni, poiché il continente africano, l’anima africana e anche l’anima asiatica restano sconcertate di fronte alla freddezza della nostra razionalità. E’ importante dimostrare che da noi non c’è solo questo. E reciprocamente è importante che il nostro mondo laicista si renda conto che proprio la fede cristiana non è un impedimento, ma invece un ponte per il dialogo con gli altri mondi. Non è giusto pensare che la cultura puramente razionale, grazie alla sua tolleranza, abbia un approccio più facile alle altre religioni. Ad essa manca in gran parte “l’organo religioso” e con ciò il punto di aggancio a partire dal quale e con il quale gli altri vogliono entrare in relazione. Perciò dobbiamo, possiamo mostrare che proprio per la nuova interculturalità, nella quale viviamo, la pura razionalità sganciata da Dio non è sufficiente, ma occorre una razionalità più ampia, che vede Dio in armonia con la ragione, dobbiamo mostrare che la fede cristiana che si è sviluppata in Europa è anche un mezzo per far confluire ragione e cultura e per tenerle insieme in un’unità comprensiva anche dell’agire. In questo senso credo che abbiamo un grande compito, di mostrare cioè che questa Parola, che noi possediamo, non appartiene – per così dire – ai ciarpami della storia, ma è necessaria proprio oggi.

da In attesa de Il viaggio del veliero, dopo Il leone, la strega e l'armadio ed Il principe Caspian: chiavi per la lettura delle Cronache di Narnia, di Andrea Lonardo (su www.gliscritti.it )

Nel primo racconto, Il nipote del mago, Lewis racconta la creazione del mondo attraverso il canto di Aslan.

La melodia del leone chiama all'esistenza tutto ciò che esiste, finché, al culmine della sua opera, vengono destati la coscienza e l'amore negli animali parlanti: «“Narnia, Narnia, Narnia, svegliati. Ama. Pensa. Parla. Che gli alberi camminino. Che gli animali parlino. Che le acque siano sacre”. Quella era la voce del leone. I bambini avevano sempre saputo che prima o poi il leone avrebbe parlato, ma quando sentirono la sua voce provarono un’emozione fortissima. […] E tutte le creature e tutti gli animali, con voci diverse, alte o basse, cupe o chiare, salutarono con queste parole: “Salute, o Aslan. Abbiamo udito e ti obbediamo. Noi siamo svegli. Noi amiamo. Noi pensiamo. Noi parliamo. Noi sappiamo”. [...] “O nobili creature, io vi faccio dono di voi stessi”. […] “Io vi faccio dono di me stesso”» (Le cronache di Narnia, I, Il nipote del mago, Mondadori, Milano, 2000, pp. 87-88)

Da La peculiarità del linguaggio umano: fare uso infinito di mezzi finiti. Il big bang della parola. Neuroscienze - la nuova frontiera. Un’intervista di Alessandra Stoppa ad Andrea Moro, dal sito della rivista Tracce, n. 11, dicembre 2013
«Il linguaggio è più simile ad un fiocco di neve che ad un collo di giraffa». Sa di lasciare interdetto l’interlocutore. «È strano, capisco. Ma essendo in gioco l’infinito non può che essere così». È poetico sentir parlare di parole il neurolinguista Andrea Moro. S’inventa immagini, verbi buffi, frasi nelle frasi, per mostrare che la grammatica di ogni lingua umana incapsula l’infinito. «Il linguaggio nasce come il fiocco di neve: dalle leggi di natura, non da un accumulo di fatti storici, evolutivi. Le sue regole, legate in modo inscindibile all’infinito, non possono che nascere all’improvviso e complete, nel cervello». […]

«Quando si osserva il linguaggio si parla dell’uomo tutto intero. E non si può parlare dell’uomo senza parlare del linguaggio»

Perché?
Primo, perché è lo strumento con il quale l’uomo caratterizza non solo tutto quello che fa, ma anche quello che pensa di ciò che fa: dunque, senza linguaggio non ci sarebbe la possibilità di autocoscienza. Secondo, perché la struttura del linguaggio umano è unica tra tutti gli esseri viventi: gli uomini e solo gli uomini, per dirla con Wilhelm von Humboldt, «fanno uso infinito di mezzi finiti». Questa è la sintassi: elementi finiti (le parole) che costruiscono strutture che potrebbero andare avanti all’infinito

È la sintassi, quindi, lo spartiacque tra il linguaggio umano e quello animale? 
Tutti gli animali comunicano. Se la comunicazione è passare informazioni, anche i papaveri lo fanno. Ma i codici di tutti gli altri esseri viventi non hanno una struttura simile alla lingua umana. È solo degli uomini la capacità di produrre sequenze di parole potenzialmente infinite, nelle quali gli stessi elementi danno significati diversi, talvolta opposti, in base all’ordine: Caino uccise Abele, Abele uccise Caino. Negli anni Settanta, si è visto che gli scimpanzé, così simili a noi, riescono ad apprendere un numero notevole di parole (circa 130), ma senza poterle ordinare all’infinito né con significati diversi. Hanno sequenze di segnali non espandibili e che non cambiano senso. […]

Un’ultima cosa. Ha scritto: «Il dare un nome alle cose è il vero Big Bang che ci riguarda». 
Nella Genesi Dio si ferma e ascolta la sua creatura dare i nomi. Io mi sono sempre chiesto cosa volesse davvero dire essere fatti «a Sua immagine e somiglianza» e credo che nel dare i nomi alle cose noi siamo simili a Dio, perché - se pur parzialmente - compiamo un atto creativo. Certo, questo non esaurisce la somiglianza, ma ne offre un’immagine tenerissima e sorprendente. Almeno per me.

5/ Dio è Creatore e Padre dell'uomo e della donna: la famiglia

tzela non vuol dire solo costola, ma anche fianco

da Daniel Lifschitz
«Perché Dio plasmò dalla costola e non dalla testa? Per evitare che la donna dominasse l’uomo. Perché non dal piede? Per evitare che l’uomo la dominasse. Dalla costola, perché avessero pari dignità». 

Veniva formata non una dominatrice e neppure una schiava dell’uomo, ma una sua compagna” (Sentenze 3, 18, 3). “In questa azione è rappresentato il mistero di Cristo e della Chiesa. Come infatti la donna è stata formata dalla costola di Adamo mentre questi dormiva, così la Chiesa è nata dai sacramenti che iniziarono a scorrere dal costato di Cristo che dormiva sulla Croce, cioè dal sangue e dall’acqua, con cui siamo redenti dalla pena e purificati dalla colpa” (Sentenze 3, 18, 4). 

A. de Saint-Exupéry, Terra degli uomini
Amare non è guardarsi negli occhi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione.

Gesù interprete di Genesi, quando parla del divorzio, Gesù il fondatore dell’indissolubilità del matrimonio e del celibato/verginità per amore: Gesù si richiama a Genesi: Ma in principio non fu così

Cfr. Capitolo del libro Il Dio con noi

Amoris laetitia

Papa Francesco nella Conferenza stampa di ritorno da Lesvos/Lesbo

La grande preoccupazione della maggioranza dei media era: Potranno fare la comunione i divorziati risposati?. E siccome io non sono santo, questo mi ha dato un po’ di fastidio, e anche un po’ di tristezza. Perché io penso: Ma quel mezzo che dice questo, questo, questo, non si accorge che quello non è il problema importante? Non si accorge che la famiglia, in tutto il mondo, è in crisi? E la famiglia è la base della società! Non si accorge che i giovani non vogliono sposarsi? Non si accorge che il calo di natalità in Europa fa piangere? Non si accorge che la mancanza di lavoro e che le possibilità di lavoro fanno sì che il papà e la mamma prendano due lavori e i bambini crescano da soli e non imparino a crescere in dialogo con il papà e la mamma? Questi sono i grandi problemi! 

1/ Meravigliatevi! Per un manifesto dei meravigliati, di Fabrice Hadjadj, apparso sul sito printempsfrancais.fr

Non siamo degli indignati. Ciò che ci anima è un sentimento più primitivo, più positivo, più accogliente: si tratta di quella passione che Cartesio considera la prima e la più fondamentale di tutte: l’ammirazione.

Essa è prima perché la si sperimenta di fronte alle cose che ci precedono, che ci sorprendono, che non abbiamo pianificato noi: i gigli dei campi, gli uccelli del cielo, i volti, tutte le primavere…  Prima di soddisfarci dell’opera delle nostre mani e della vittoria dei nostri princìpi, ammiriamo questo dato naturale.

Questa è la colorazione affettiva che tentiamo di fare entrare nelle nostre azioni. Esse non sono motivate da uno stato d’animo triste o di rivendicazione. Non sono imbevute di amarezza. Non vorrebbero essere altro che rendimenti di grazie. Perché, a partire da questa ammirazione primigenia, esse devono fiorire in gratitudine verso la vita ricevuta, verso la nostra origine terrestre e carnale: il fatto che non ci siamo fatti da soli, ma che siamo nati, da un uomo e da una donna, secondo un ordine che sfuggiva a essi stessi.

Lungi dall’essere degli spiritualisti o dei moralizzatori, riconosciamo quella che Nietzsche chiamava «la grande ragione del corpo» e anche «lo spirito che opera dalla vita in giù». Sì, noi siamo meravigliati dall’ordinazione reciproca dei sessi, dal genio della genitalità. Certo, questa organizzazione stupefacente è come il naso in mezzo al nostro volto: tendiamo a non vederlo. Ci inorgogliamo di avere costruito una torcia, e dimentichiamo lo splendore del sole; idolatriamo la magia delle nostre macchine, e disprezziamo la meraviglia della nostra carne.

Questa meraviglia la nascondiamo sotto le parole «biologico», «determinismo», «animalità», e assumiamo un’aria di superiorità, vantando le libere prodezze della nostra fabbrica. E tuttavia, che cosa c’è di più stupefacente di questa unione degli esseri più differenti, l’uomo e la donna? E cosa c’è di più sorprendente del loro abbraccio, chiuso sul suo proprio godimento, e che tuttavia si strappa, secondo natura, per permettere l’avvento di un altro, di un’altra differenza ancora: la futura piccola peste, il già disturbante, colui che chiamiamo «il bambino»? Jules Supervielle esprime con una precisione più che scientifica che la riduzione biologistica ci nasconde: «Ed era necessario che un lusso d’innocenza/ concludesse il furore dei nostri sensi?».

Perciò le nostre manifestazioni non sono quelle di una corporazione, ma quelle dei nostri corpi. Non partono da uno scopo politico o partitico, ma da un riconoscimento antropologico. Non cercano di prendere il potere, ma di rendere una testimonianza culturale a un dato di natura, in uno slancio di gratitudine. […] Si fondano su un’esigenza di ospitalità verso questa presenza reale, fisica, iniziale (non segare il ramo su cui siamo seduti, non pretendere di far sbocciare il fiore forzando il bocciolo). Ed è a causa di questo che le nostre manifestazioni dureranno fintanto che ci saranno peni e vulve, e la loro ordinazione reciproca anzitutto involontaria, e la loro fecondità che mette in discussione la nostra avarizia.

Ma è esattamente questa esigenza di ospitalità, questa relazione di meraviglia e di gratitudine verso la nostra origine, diciamo pure questo rapporto di debolezza, che risultano insopportabili a coloro che concepiscono tutto in termini di rapporti di forza. Vorrebbero che noi non fossimo altro che una fazione. Preferirebbero che mettessimo le bombe. Questa violenza gli risulterebbe meno violenta della nostra manifestazione elementare, quella della semplice presenza fisica di un uomo e di una donna, e di un bambino di cui essi sono anche il padre e la madre… Se non si trattasse che della nostra opinione, se non fosse altro che la nostra arroganza, potrebbero farci tacere. Ma come far tacere la presenza silenziosa del corpo sessuato? […]

Siamo soltanto dei francesi, e più semplicemente ancora sia degli uomini e delle donne, molto lontani da qualsiasi puritanesimo e da qualsiasi fondamentalismo, ci incantano le natiche e non ci repelle l’ammirazione della congiunzione improbabile del «pisello» e della «passerina» e del pancione che ne deriva. Con maggiore precisione ci si potrebbe collocare fra i fautori di un’ecologia integrale. Ma questo genere di classificazione viene rifuggita per timore di dover riconoscere le contraddizioni dei numerosi movimenti ecologisti odierni, ma anche perché non c’è niente, in fondo, che ci si può rimproverare, ovvero il rimprovero può colpirci soltanto colpendo anche il dato rappresentato dalla carne. Se siamo fascisti, bisognerebbe concludere che la natura stessa è fascista, e che è necessario eliminarla, cosa che presenta un certo numero di inconvenienti.

2. […] C’è un’evidente e naturale diseguaglianza fra la coppia formata da un uomo e una donna e quella di due uomini o di due donne.

Per rendere uguali le condizioni, è necessario ricorrere all’artificio, e passare dalla nascita alla fabbricazione, dal “born” al “made”… Dietro la pretesa legalizzazione giuridica, c’è dunque un assoggettamento tecnocratico, e il progetto di produrre persone non come persone, dunque, ma come prodotti, in base ai nostri capricci, secondo la legge della domanda e dell’offerta, in conformità ai desideri fomentati dalla pubblicità: «Un bambino à la carte, la vostra piccola cosa, l’accessorio della vostra autorealizzazione, il terzo compensatorio delle vostre frustrazioni; infine, per una modica somma, il barboncino umano!».

Stop Surrogacy Now. Stop agli uteri in affitto. Il manifesto firmato da personalità di diversi orientamenti etnici, culturali, religiosi (fra i quali femministe, madri che hanno avuto figli con maternità surrogata, esponenti LGBT, attivisti di ONG, medici, filosofi) VERSIONE NON UFFICIALE ITALIANA (a cura de Gli scritti)

DICHIARAZIONE: CAMPAGNA per fermare immediatamente  la MATERNITA’ SURROGATA
Siamo donne e uomini di diversa origine etnica, religiosa, culturale, socio-economica provenienti da tutte le regioni del mondo. Insieme vogliamo qui esprimere la nostra preoccupazione per le donne e i bambini sfruttati attraverso contratti per la gestazione tramite madri surrogate ("uteri in affitto").

Noi tutti siamo consapevoli della forza del desiderio di diventare genitori che è naturale e universale. Tuttavia, come nel caso della maggior parte dei desideri, devono essere posti dei limiti. I diritti umani ci forniscono un punto di riferimento significativo per tutti quelli che vogliono identificare tali limiti e determinarne le conseguenze concrete. Noi crediamo che la maternità surrogata debba essere vietato in quanto comporta una violazione dei diritti umani delle donne e dei bambini.

La maternità surrogata è spesso basata sullo sfruttamento delle donne più povere. In molti casi, i poveri sono costretti a vendere e i ricchi possono permettersi di acquistare. Tali operazioni ingiuste comportano un assenso da parte di donne malamente o talvolta per niente informate, bassi compensi, coercizione, mancato monitoraggio medico e gravi rischi per la salute a breve e a lungo termine, per le donne che accettano la maternità surrogata. […] La maternità surrogata rompe il legame materno naturale che si sviluppa durante la gravidanza - una relazione che invece i medici professionisti incoraggiano e cercano di rafforzare con decisione. Il legame biologico tra madre e figlio appartiene innegabilmente alla natura, e, quando è rotto, comporta conseguenze ineliminabili per entrambe le parti. Nei paesi in cui la maternità surrogata è consentita, questa sofferenza potenziale viene istituzionalizzata.

Siamo quindi convinti che non vi è alcuna differenza tra la pratica commerciale della maternità surrogata e la vendita e l'acquisto dei bambini. Anche se non ci fosse scambio di denaro (vale a dire nel caso della versione gratuita della maternità surrogata, detta "altruistica"), una prassi che espone le donne e i bambini a tali rischi deve essere vietata.

Nessuno ha il diritto di avere un bambino, né gli eterosessuali, né gli omosessuali, né le persone che hanno scelto di rimanere single.

Siamo uniti per chiedere ai governi delle nazioni del mondo e ai leader della comunità internazionale di lavorare insieme per l'immediato arresto della maternità surrogata.

da Che cos’è una famiglia?, di Fabrice Hadjadj
Noi insistiamo spesso [sulle caratteristiche di una buona famiglia, che ami, che sia competente, che lasci liberi], poiché partiamo dal bene del bambino. Ma così facendo ci perdiamo l’essenza della famiglia. […] Ed ecco la conseguenza fatale: pretendendo di fondare la famiglia perfetta sull’amore, sull’educazione e sulla libertà, quello che si fonda, in verità, non è la perfezione della famiglia, ma l’eccellenza dell’orfanatrofio. Non v’è dubbio: in un orfanatrofio eccellente si amano i bambini, li si educano e si rispettano le loro persone. Si pensa di essere così in qualche modo nella completezza di un progetto genitoriale, poiché prendersi cura dei bambini è il progetto costitutivo di una tale impresa.

Ma non considerare la famiglia che a partire dall’amore, dall’educazione e dalla libertà, fondarla sul bene del bambino come individuo e non come figlio, e sui doveri dei genitori come educatori e non come genitori, significa proporre una famiglia già defamiglizzata. Perché si potrà sempre dire che un padre e una madre possono essere meno amorevoli, meno competenti e meno rispettosi che due maschi o due femmine, e certamente meno efficaci che tutta un’organizzazione composta dei migliori specialisti. Questa organizzazione d’individui competenti potrà passare per la migliore delle famiglie e la migliore delle famiglie s’identificherà con il migliore degli orfanatrofi.

Perché abbiamo così facilmente perduto l’essenza della famiglia? Ma perché il principio della famiglia è troppo elementare, troppo infimo, troppo animale in apparenza; e dunque vergognoso (non si parla forse di «parti vergognose» del corpo?). Voi avete compreso che il principio della famiglia è nel sesso. Anche quando si tratta di una famiglia adottiva, o nel caso di una famiglia spirituale, dove il padre è il padre abate e i fratelli sono i monaci, gli alti e puri termini di uso comune vengono presi primariamente dalla sessualità. I nomi padre e figli si enunciano a partire da questo fondamento sensibile, che è la nostra fecondità carnale…

La famiglia annoda così cinque tipi di legami: coniugale (dell’uomo e della donna), filiale (dai genitori ai figli), fraterno (tra i figli) - a cui s’aggiungono altri due, spesso ignorati, ma decisivi per situare la famiglia storicamente e già politicamente. Il quarto è il legame nonni-nipoti, che permette d’attenuare l’influenza dei genitori e d’aprire il tempo della famiglia a quello della tradizione. C’è poi un quinto tipo di legame che tende a relativizzare l’ideale di coppia, pur di non trascurare la suocera. Voglio parlare della “grande famiglia… Attraverso questo legame l’alleanza coniugale si duplica in un’alleanza, per così dire, tribale e apre lo spazio della famiglia a quello della società. […]

Quando un bambino dice ai suoi genitori “non ho scelto io di nascere”, essi potrebbero rispondere: “nemmeno noi abbiamo scelto; ci sei stato donato e proveremo a cambiare la nostra sorpresa in gratitudine”. […] Nella famiglia, il legame educativo si fonda su di un’autorità senza competenza. Non si aspetta d’essere un buon padre o una buona madre per avere un figlio. In caso contrario, saremmo sempre in attesa. La paternità vi cade addosso, poiché il desiderio si è rivolto verso una donna. Che rapporto c’è tra i due? …

La famiglia è il fondamento carnale dell’apertura alla trascendenza. La differenza sessuale, generazionale e la differenza di entrambe c’insegna a guardare l’altro in quanto altro. È il luogo del dono e dell’accoglimento incalcolabile di una vita che si dispiega con noi - e anche malgrado noi - e ci getta sempre più profondamente nel mistero dell’esistenza.

Da Edipo a Telemaco (Massimo Recalcati)

La rivoluzione pedagogica che fabbrica teste vuote, di Giorgio Israel [Contro i discepoli di Edgar Morin e non solo] (su www.gliscritti.it ) N.B. vi scongiuro di leggerlo

6/ Genesi demitizza testi precedenti e spalanca la via alla scienza 

dall’Epopea di Gilgamesh
«La dea Aruru [...] diede vita al pensiero di An. La dea Aruru lavò le sue mani,
prese un grumo di argilla, lo gettò nella piana.
Nella piana lei creò Enkidu, l'eroe,
creatura del silenzio, reso forte da Ninurta.
Tutto il suo corpo è coperto di peli,
la chioma fluente come quella di una donna,
i capelli del suo capo crescono come orzo. Ma non conosce né la gente né il Paese;
egli è vestito come Sumuqan.
Con le gazzelle egli bruca l'erba,
con il bestiame beve nelle pozze d'acqua.
con le bestie selvagge si disseta d'acqua.
Shamkat lo vide, l'uomo primordiale,
il giovane la cui selvaggia virilità viene dal profondo
della steppa.
Il cacciatore disse: "È lui, o Shamkat, denuda il tuo seno,
allarga le tue gambe perché egli possa penetrarti.
Non lo respingere, abbraccialo forte,
egli ti vedrà e si avvicinerà a te.
Sciogli le tue vesti affinché egli possa giacere sopra di te;
dona a lui, l'uomo primordiale, l'arte della donna.
Allora il suo bestiame, cresciuto con lui nella steppa,
gli diventerà ostile,
mentre egli sazierà le sue brame amorose".
Shamkat denudò il suo seno, aprì le sue gambe
ed egli penetrò in lei.
Essa non lo respinse, lo abbracciò fortemente,
aprì le sue vesti ed egli giacque su di lei.
Essa donò a lui, l'uomo primordiale, l'arte della donna,
ed egli saziò con lei le sue brame amorose.
Per sei giorni e sette notti Enkidu giacque con Shamkat
e la possedette.
Dopo essersi saziato del suo fascino,
volse lo sguardo al suo bestiame:
le gazzelle guardano Enkidu e fuggono,
gli animali della steppa si tengono lontani da lui.
Enkidu era diverso, una volta che il suo corpo
era stato purificato:
le sue gambe, che tenevano il passo delle bestie,
erano diventate rigide;
Enkidu non aveva più forze, non poteva più correre
come prima;
egli però aveva ottenuto l'intelligenza; il suo sapere
era divenuto vasto.
Egli desistette e si accovacciò ai piedi della prostituta.
La prostituta lo guardò attentamente,
e ciò che gli diceva la prostituta egli andava ascoltando
attentamente.
Ella, allora, parlò a lui, a Enkidu:
“Tu sei divenuto buono, o Enkidu, sei diventato simile
a un dio”».

da D. Lattes, Nuovo commento alla Torah, Carucci, Roma, 1986, pp. 4-5 e 5-7
Non si è potuto negare alla prima pagina della Genesi quello che essa possiede di nuovo, di originale, di grandioso, di rivoluzionario. «La bella pagina «IN PRINCIPIO DIO CREÒ IL CIELO E LA TERRA» è stato come il freddo maestrale che ha pulito il cielo, come il colpo di scopa che ha cacciato dal nostro orizzonte le chimere che l'oscuravano. Una volontà libera, come quella che implica la parola creò,sostituita a diecimila volontà fantastiche, è a modo suo un progresso. [...]
Dal testo della Bibbia la creazione appare avvenuta ex-nihilo,dal nulla. Nessuna materia o elemento è detto esistere prima. Il cielo e la terra del primo verso indicano le due porzioni del creato uscito dal nulla, l'uno la parte che è in alto ed è sede delle nubi, delle acque superiori, degli angioli, l'altra quella che è in basso, dove crescono le piante e gli animali, coi continenti e i mari. [...]
Il compianto Gran Rabbino dell'impero inglese [J.H. Hertz] affermava che non c'è nulla di non ebraico nell'idea darwiniana intorno alle origini e all'evoluzione delle forme di esistenza, tanto è vero che il racconto biblico ammette la graduale ascesa dal caos amorfo all'ordine, dalla materia inorganica alle forme organiche della vita, dal minerale al vegetale, dall'animale all'uomo, purché non si dimentichi però che ogni stadio della creazione biblica non è prodotto del caso, ma è un atto della volontà di Dio. Questo divino intervento rappresenterebbe il dissidio irrimediabile fra Mosè e Darwin.
Renan aveva scritto con saggia misura: «Il vero è che la bella pagina con cui si apre la Genesi non è né dotta alla maniera della scienza moderna, né ingenua alla maniera delle cosmogonie pa­gane. È una scienza fanciulla; un primo tentativo di spiegazione delle origini del mondo, la quale implica un'idea giustissima della evoluzione successiva dell'universo. La chiara semplicità del genio ebraico e la limpidezza del racconto ebraico hanno soppresso le esuberanze mitologiche facendo di quella prima pagina un capolavoro dell'arte che richiede per certi soggetti di essere insieme chiaro e misterioso» (RENAN, 1.c., II, 387-8). «Le persone intelligenti si debbono convincere che intenzione della Torah non è l'insegnamento delle scienze naturali e che essa non è stata promulgata se non per indirizzare gli uomini sulla via dell'umanità e della giustizia, per infondere loro la fede dell'unità di Dio e nella Divina Provvidenza, giacché la Torah non era destinata soltanto ai dotti ma a tutto il popolo. Allo stesso modo che l'idea della Provvidenza non è stata esposta, né poteva esserlo, in forma filosofica, così neppure il fatto della creazione è stato narrato, né poteva esserlo, in forma filosofica. Iddio voleva far nota agli uomini la unità del mondo e l'unità della specie umana. Sono questi i due scopi che si propone il racconto delta creazione» (S.D. LUZZATTO, Il Pentateuco,1871, pag. 2). 

7/ Dio è Creatore e Padre perché tutto è stato da Lui creato, compresa la concatenazione degli eventi che la scienza sapientemente studia

da Darwin, L’origine della specie , VI edizione dell’opera:
Non vedo alcuna buona ragione perché le opinioni espresse in questo volume debbano urtare i sentimenti religiosi di chicchessia. Allo scopo di dimostrare come certe impressioni siano passeggere, giova qui ricordare che la più grande scoperta mai fatta dall’uomo, ossia la legge dell’attrazione gravitazionale, fu anch’essa attaccata da Leibniz «come sovversiva della religione naturale e, quindi, di quella rivelata». Un celebre autore e teologo mi ha scritto di «aver compreso a poco a poco che si può avere un concetto di Dio altrettanto nobile sia credendo che Egli abbia creato alcune forme originarie capaci di autosvilupparsi in altre forme necessarie, sia credendo che Egli sia ricorso ad un nuovo atto di creazione per colmare i vuoti provocati dall’azione delle Sue leggi».

D'altro canto fu un monaco cattolico agostiniano, Mendel, a spiegare come si trasmettessero geneticamente i caratteri evolutivamente vincenti. Anche l'ipotesi di un'originaria concentrazione dell'energia da cui si sarebbe sviluppato poi l'universo fu formulata da un sacerdote cattolico, Georges Édouard Lemaître: il termine Big Bang fu inventato per deridere la sua ipotesi che ora è, invece, la più accreditata in materia.

Follia della creazione e noia del mercato, di Fabrice Hadjadj, da Avvenire del 3/4/2016
Avete mai pensato alle lingue del camaleonte, del formichiere, del picchio verde? Conoscete il chiasmodon niger, il pesce degli abissi detto anche “black swallower” che ha uno stomaco elastico che gli permette di inghiottire pesci ben più grossi della sua taglia?

la sterna paradisea, che ogni anno vola per 70.000 chilometri dall'Artide all'Antartide, coprendo così durante la sua esistenza un po' di più di sei volte la distanza dalla Terra alla Luna? E la cyphonia clavata, quel tipo di mosca innocua che porta sulla schiena un travestimento da formica velenosa per proteggersi? E l'araneus rota, ragno del deserto che ha il colore della sabbia e si sposta facendo la ruota sulle sue otto zampe sottili?

Ma perché concentrarsi su questi animali rari? Una mucca che bruca pacificamente l'erba possiede una forma completamente originale e farebbe la figura di una bestia favolosa là dove non ci fossero che ricci di mare o canguri…

Un giorno il rabbino Nissim di Charenton mi propose quest'osservazione esegetica: «Prima dei dieci comandamenti ci sono le dieci piaghe d'Egitto, e prima delle dieci piaghe d'Egitto ci sono le dieci parole con cui l'Eterno creò tutta la diversità dell'universo».

Con questo voleva dire che non è possibile aprirsi alla vera morale senza avere considerato prima il dramma della storia e la fantasia della creazione. Quest'ultimo punto significa che il Dio che proibisce l'adulterio è lo stesso che ha creato la piovra e lo struzzo, o che onorare il padre e la madre entra in risonanza con l'invenzione del rospo delle canne, della talpa dal naso stellato, del Casuarius casuarius e delle galassie…

Dove va a parare una simile constatazione? mi chiederete. Semplicemente all'idea che la legge divina, lungi dallo schiacciarci, c'è per renderci partecipi di questa creatività abracadabresca. Perché, bisogna riconoscerlo, davanti a un tale guazzabuglio di esseri viventi così bizzarri, l'immagine fondamentalista della divinità può solamente sgretolarsi e lasciare spazio alla visione di un poeta sconcertante, ultra-surrealista, amico del grottesco, esploratore di tutte le combinazioni fino alle più incredibili.

Purtroppo, quando vi trovate al museo di storia naturale di New York per ammirare l'esposizione Life at the Limits e non potete non stupirvi davanti alle stravaganze a trecentosessanta gradi della natura, una voce off non smette di cercar di azzittire la voce della vostra coscienza e di ridurre il vostro stupore alle norme del funzionalismo e delmanagement contemporanei.

Vi ripete, infatti, che tutto questo è solamente il prodotto di struggle for life, la lotta per la vita, il caso, la selezione naturale, l'adattamento, competizione... La sterna dell'Artide farebbe quei milioni di chilometri solo per la sua sopravvivenza, il che la renderebbe più piccione di un piccione, poiché perlomeno quest'ultimo può accontentarsi per sopravvivere di ogni piccolo spazio.

E la vita, in generale, sarebbe molto più stupida del più piccolo sasso, poiché farebbe sforzi inauditi per giungere a una conservazione molto più precaria di quella di quest'ultimo. Ma non importa, ragazzo mio! Bisogna battersi per un salario miserabile! Bisogna adattarsi all'estensione indefinita del campo di lotta! Bisogna essere sempre più stupidi e competitivi!

È così che la divulgazione scientifica del Museo di storia naturale si sforza di proiettare sullo splendore che ci riempie gli occhi la cupa concorrenza del mercato capitalista e non vede nell'apparizione delle specie altro che l'applicazione di quei principi che valgono innanzitutto per l'erezione dei grattacieli newyorchesi.

Ed è così che le dieci parole creatrici, che sono la condizione per l'ascolto dei dieci comandamenti, sono spogliate della loro libertà. Tutta la loro poesia è ricondotta a uno stretto utilitarismo, affinché tutti i comandamenti si riducano al solo “Adattati o crepa!” che è il vero motto del progresso.

Dei Verbum, 3
Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cfr. Gv 1,3), offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé (cfr. Rm 1,19-20)

- Non un Dio solo prima della creazione

da Tommaso d’Aquino, Commento al Simbolo degli Apostoli, ESD, Bologna, 2012, p. 24
San Tommaso d’Aquino, «fra le verità che i fedeli devono credere, la prima è quella di credere che esiste un solo Dio. Ma, considerando che il nome di Dio non vuol dire altro che reggitore e provveditore di tutte le cose, crede davvero che Dio esiste solo chi crede che tutte le cose di questo mondo sono governate da lui e tutte soggiacciono alla sua Provvidenza. Chi  perciò credesse che tutte le cose sono frutto del caso, di fatto non crederebbe all' esistenza di Dio»

- San Tommaso d'Aquino, due tipi di cause, le cause prime e le cause seconde

- cfr. madre, padre e figlio… la concatenazione biologica e l’amore 

da G. Maspero – P. O’Callaghan, Creatore perché Padre. Introduzione all’ontologia del dono, Cantagalli, Siena, 2012, pp. 7-9
Un episodio della vita di un famoso fisico-matematico britannico, considerato uno dei fondatori della meccanica quantistica, Paul Dirac (1902-1984), può risultare utile per illustrare l’impostazione del presente libro. Si racconta che egli fosse ovviamente molto abile con i numeri, ma piuttosto impacciato con le parole, per cui, quando nacque il suo primo figlio e dovette inviare un telegramma al suocero per comunicare la bella notizia, scrisse semplicemente il testo 1+1=3. Il paradosso di questa formula è espressivo di uno scarto logico, di un salto che si produce quando entrano in gioco paternità e filiazione. La necessità della somma elementare 1+1=2 viene scardinata dalla libertà di chi può generare: da un pensiero al finito, si passa a pensare a partire da una sorgente.

Uno dei rischi del momento culturale attuale, è intendere la creazione solamente a partire dal limite imposto dalla necessità, cercando di liberarsi da questo vincolo percepito come imposizione. Si dimentica, invece, che la logica più profonda insita nel creato è proprio quella della vita ricevuta e donata, in modo tale che il senso del mondo non è la necessità, ma la libertà del dono.

Ciò è connesso a come viene percepita l’immagine di Dio: se l’unica logica della creazione è quella necessaria, allora il Creatore non può essere che qualcuno che mi impone una legge, mi chiude nel limite, mi getta nell’esistenza. Invece la logica del dono, ciò cui rimanda la formula 1+1=3, è legata alla verità della Paternità di Dio, dalla quale sgorga la creazione stessa. Perciò è importante leggere il mondo e la storia a partire da questa verità, perché il Creatore è Padre. Come Dio non è uno nonostante sia trino, ma è uno proprio perché è trino, così Dio è creatore proprio perché è Padre. Chi crea è la Trinità stessa, che agisce come è, lasciando impressa nel creato la traccia del suo essere Padre, Figlio e il loro eterno Amore. E la fonte e l’origine di tutto, della Trinità stessa come della creazione, è la Prima Persona divina.

Quando Dante scrive, alla fine della Divina Commedia, il magnifico verso «L’amor che move il sole e l’altre stelle» (Paradiso XXXIII,145) sta dicendo che il senso del creato è l’amore stesso, la libertà. Questa libertà che può portare alla condanna eterna contemplata nell’attraversare l’inferno e che implica la responsabilità di cui è conseguenza il purgatorio, ma soprattutto quella libertà che si identifica con il paradiso. Nei vespri del lunedì della II settimana del tempo ordinario, l’antifona del terzo salmo nell’Ufficio divino recita «Ora si compie il disegno del Padre: fare di Cristo il cuore del mondo». Per comprendere la creazione, per coglierne il valore, bisogna dunque guardare al Figlio incarnato, che ne è il senso. Lui, che ne è il cuore, rivela come la creazione abbia origine dal Cuore del Padre e tenda ad Esso. [...]

pp. 9-10
Ma questa attrazione [con la quale la Trinità ci invita] non è da fuori, non è estrinseca, ma piuttosto siamo attratti da dentro, nel nostro stesso cuore. Il ritorno non è imposto e non si realizza in modo necessario, ma è dono e compito per la nostra libertà.

Nel semplice agire quotidiano, quanto detto si traduce nella connessione tra cause e fini. L’uomo non agisce solo per cause deterministiche; la libertà per definizione fa saltare la dinamica deterministica; per essere felice l’uomo ha bisogno di ragioni per vivere, di fini, di motivi. La libertà è intrinsecamente connessa ai fini, la libertà è lo spazio tra cause e fini. Non basta, quindi, l’intelletto ma ci vuole anche la volontà, cioè l’amore.

amare non è guardarsi negli occhi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione.

Albert Einstein disse una volta in proposito: «Quello che c’è, nel mondo, di eternamente incomprensibile, è che esso sia comprensibile» (“The Journal of the Franklin Institute”, vol. 221, n. 3, marzo 1936). 

da Francesco d’Assisi, Cantico delle creature
«Altissimu, onnipotente bon Signore,

Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.

«Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole, [...]

7A /La creazione è continua

8/ L'immagine di Dio è Cristo

Rom 8,29; Col 1,15

Rm 829Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; 30quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati.

Col 1, 15Egli è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
16perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.

GS 22 Solo nel “mistero” del verbo incarnato trova vera luce il “mistero” dell’uomo

9/ Da dove viene il male? Che cosa è il male?

- il male come assenza di bene, come rivolta libera contro il bene

L'Apocalisse identifica il serpente antico che tentò il primo uomo: è Satana (Ap 12,9). Lo si potrebbe definire come l'essere personale che non è persona.

da Liquidazione del diavolo, ora  in J. Ratzinger, Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia, 1974, pp. 189-197
Il pensiero moderno mette a disposizione, mi sembra, una categoria che ci può aiutare a comprendere di nuovo e con più esattezza la potenza dei demoni, la cui esistenza è di certo indipendente da tali categorie. Essi sono una potenza del «rapporto», col quale l'uomo è confrontato ad ogni pié sospinto, senza che egli lo possa arrestare. Paolo intende esattamente questo quando parla dei «signori di questo mondo tenebroso»; quando dice che la nostra lotta è diretta contro di essi, contro le potenze celesti del male, non contro la carne e il sangue (Ef 6,12). Essa si dirige contro quel «rapporto» saldamente stabilito, che lega gli uomini l'uno all'altro e nello stesso tempo li separa uno dall'altro, che usa loro violenza mentre fa da preludio alla loro libertà. Qui si chiarifica una particolarità tutta specifica del demoniaco, cioè la sua assenza di fisionomia, la sua anonimità. Quando si chiede se il diavolo sia una persona, si dovrebbe giustamente rispondere che egli è la non-persona, la disgregazione, la dissoluzione dell'essere persona e perciò costituisce la sua peculiarità il fatto di presentarsi senza faccia, il fatto che l'inconoscibilità sia la sua forza vera e propria. In ogni caso rimane vero che questo rapporto è una potenza reale, meglio, una raccolta di potenze e non una pura somma di io umani. La categoria dell'intermedio, che ci aiuta così a ricomprendere l'essere del demonio, si presta inoltre per un altro servizio parallelo; rende possibile spiegare meglio la vera potenza opposta, che diventa anch'essa sempre più estranea alla teologia occidentale, lo Spirito Santo cioè. Noi potremmo dire, partendo da quella categoria, che egli è quell'intermediario, nel quale Padre e Figlio costituiscono una cosa sola, l'unico Dio; nella forza di questo intermediario il cristiano si pone di fronte a quell'intermediario demoniaco, che sta ovunque «fra mezzo» ed ostacola un'unità.

W. Kasper scrisse seguendo J. Ratzinger: «il diavolo è una non-figura che si dissolve in qualcosa di anonimo e senza volto, un essere che si perverte nel non-essere: è persona nel modo della non-persona». 

Dante, con un’immagine potentissima, ha descritto la condizione del Maligno attraverso il mare di ghiaccio nel quale egli è avvolto (e non si dimentichi che C. S. Lewis, ne Le cronache di Narnia, ha ripreso la stessa immagine). Più che il fuoco, per Dante è il gelo del freddo a rappresentare un cuore che non ama, che non prova alcun calore, che non cerca il bene e l’affezione. Il sommo poeta, nel XXXIV canto dell’Inferno, ha scolpito l’eterna tristezza del male, rappresentandolo con tre paia d’ali: «e quelle svolazzava, / sì che tre venti si movean da ello: / quindi Cocito tutto s’aggelava» (Inferno, XXXIV, vv. 50-52).
Il Cristo, invece, restituisce all’uomo ogni relazione, lo riporta alla pienezza della sua umanità, aprendolo alla fede ed alla carità che anima ogni relazione veramente “personale”, rivelando all’uomo, cioè, la sua natura di “persona”.

da F. Camon, Occidente. Il diritto di strage, Garzanti, Milano 2003, pp. 121-122
Un pittore aveva bisogno di un modello per disegnare la figura del Cristo nell’Ultima Cena. Gira e rigira, lo trovò in un contadino povero, con uno sguardo mansueto e luminoso. Lo pregò di posare per lui, e quello accettò. Ne venne un Cristo meraviglioso. Il pittore era molto contento. Disegnò anche gli apostoli, tutti tranne Giuda; anche per Giuda ci voleva un modello, perché era troppo importante per quella scena. Gira e rigira, questo modello non lo trovava, finché capita un giorno in un paese di campagna e vede un contadino torvo, bieco, violento, che stava bestemmiando in un casolare e litigando con i familiari. Lo guardò bene e gli parve adatto. Lo pregò di posare per lui, convincendolo con l’impegno che lo avrebbe pagato, e cominciò il ritratto di Giuda. A un certo punto si accorse che l’uomo piangeva. Pieno di stupore, gli chiese: “Perché piangi?”. “Perché”, rispose l’altro, “quel Cristo che avete dipinto la volta scorsa, sono io”. “E cos’hai fatto, dunque, per essere ora così diverso?”. E l’uomo rispose: “Ho peccato”.

dalle Confessioni, libro VII, capp. XI-XVI (Agostino sta narrando come uscì dall'inganno dei manichei che affermavano l'esistenza di due principi, di due dèi, uno del bene ed uno del male)
Diressi il mio sguardo alle cose sotto di Te, e vidi che né sono in modo assoluto né in modo assoluto non sono: per un verso sono, perché sono da Te, per un altro non sono, perché non sono ciò che Tu sei. Infatti è veramente solo ciò che immutabilmente permane. (...)

E mi fu chiaro che le cose soggette a corruzione sono buone; in quanto non potrebbero corrompersi né se fossero il sommo bene, né se non avessero nulla di buono. Perché, se fossero il sommo bene, sarebbero incorruttibili; se non avessero nulla di buono, mancherebbe l'oggetto della corruzione.
La corruzione implica infatti danno, e se non diminuisce il bene, non c'è danno. Dunque, o la corruzione non reca alcun danno, il che non è possibile, o, il che è certissimo, tutto ciò che si corrompe subisce una diminuzione di bene. Se poi saranno private di ogni bene, assolutamente non saranno. Se infatti esistessero, e non potessero più subire alcuna corruzione, sarebbero migliori, perché permarrebbero incorruttibili. Ora, che cosa si potrebbe dire di più mostruoso, che private di ogni bene sarebbero migliori?
Dunque, se venissero private di ogni bene, non sarebbero nulla; dunque, finché sussistono, sono buone. Ma allora, tutto ciò che esiste è buono, e il male, di cui cercavo l'origine, non è una sostanza, perché se fosse una sostanza, sarebbe un bene: o una sostanza incorruttibile, e dunque un grande bene, o una sostanza corruttibile, che, non essendo buona, non può essere soggetta a corruzione.

Così vidi e mi fu chiaro che Tu hai fatto tutte le cose buone, e che inoltre non esistono sostanze che non siano state fatte da Te. Ma non le facesti tutte uguali; però, in quanto esistono sono tutte buone, e, nel loro complesso, ottime, perché il nostro Dio «ha creato tutto in perfezione». (...)
Del resto, per Te il male non esiste, e non solo per Te, ma anche per tutto ciò che hai creato, poiché nulla dal di fuori può irrompervi e turbare l'ordine che Tu hai stabilito. È vero che alcuni elementi, siccome non si armonizzano con certi altri, sono giudicati non buoni; ma quegli stessi invece s'accordano poi con altri e per questo sono buoni; anzi sono buoni in se stessi. E tutte le cose che non si armonizzano tra loro, sono però in accordo con la parte inferiore del mondo, quella che chiamiamo terra, a cui si confà un cielo velato di nubi e spazzato dai venti. 

Lungi da me ormai il pensiero: «O se tutte codeste cose non esistessero!». Se vedessi codeste sole, potrei certo desiderarne di migliori, ma pur di quelle dovrei darti lode. (...) Non potevo ormai desiderare cose migliori; passandole tutte in rassegna, certo trovavo che quelle che stanno in alto sono più perfette di quelle che stanno in basso; ma ad un giudizio più equilibrato vedevo che il tutto era anche più eccellente che non le parti superiori. (...) Mi rivolsi poi a considerare le altre cose e vidi che da Te hanno il loro essere e in Te la loro limitazione, non come in un luogo, ma molto diversamente, poiché Tu le racchiudi tutte nella verità, come in una mano, e, in quanto esistono, sono tutte vere; né si ha falsità se non quando si crede che esista ciò che non esiste.

E vidi pure che le cose non solo s'accordano ciascuna con il proprio luogo, ma anche con il proprio tempo, e che Tu, il solo Eterno, non hai incominciato ad operare dopo incalcolabili periodi di tempo, perché i periodi di tutti i tempi, i passati ed i futuri, non andrebbero e non verrebbero, se Tu non operassi, eternamente stabile.
L'esperienza insegna che non c'è da meravigliarsi che il pane, così gradito ad un palato sano, riesca disgustoso ad un palato malato e che la luce sia penosa per gli occhi sofferenti, mentre è piacevole per gli occhi normali. Così anche la tua giustizia è odiosa ai malvagi; e non meno la vipera o il verme, che tu creasti come beni convenienti alle parti inferiori della tua creazione: alle quali sono convenienti i malvagi stessi, e tanto più quanto più sono dissimili da Te, mentre diventano tanto più armonizzanti con gli elementi superiori quanto più si fanno simili a Te.
Mi domandai che cosa fosse la malvagità: e trovai non una sostanza, ma il traviamento della volontà dalla somma sostanza, da Te, o Dio, volontà ripiegantesi su ciò che vi è di più basso, gonfiata al di fuori sotto la spinta delle sue interiora.

Il cardinale Newman disse una volta in maniera straordinaria: il peccato è «l’unica cosa al mondo che l’offenda, l’unica cosa che non sia sua».

Dio e il male: un video apocrifo su Albert Einstein bambino, un video agostiniano, di A.L.

- il male: lo sconfitto, il perdente 

«Nel NT non esiste la preoccupazione di fornire un libro – o almeno alcune pagine – sul demonio, né di spiegare con una definizione esaustiva chi egli sia. Ciononostante, tutti gli scritti neotestamentari dicono qualcosa su come, attraverso Gesù Cristo, l’uomo è liberato dal demonio».
Così afferma acutamente mons. Manicardi in una recente pubblicazione sul “mistero del male” e prosegue affermando che ciò che del maligno «si intravede è la sua sconfitta».
Questa è la straordinaria prospettiva evidenziata dai vangeli: Gesù “incontra” il male per uscirne vincitore, per manifestare che esso non ha lo statuto di Dio, bensì che il Signore, per la sua misericordia ed onnipotenza, ne è più forte, non lo teme e lo scaccia via.
È così immediatamente evidente che la proposta evangelica si differenzia da qualsiasi dualismo, da qualsiasi sistema filosofico o religioso – si pensi al manicheismo - che nei secoli ha contrapposto il bene ed il male vedendoli come principi coeterni di pari potenza.
Si percepisce, già solo da questo primo dato, perché sia liberante la proposta cristiana: essa si misura certamente con la realtà del male, ma la affronta nella prospettiva di Dio. L’incontro di Gesù con i demòni non vuole atterrire, bensì far esultare di gioia, perché dove egli giunge, il male batte in ritirata sconfitto.

- cfr. Ap 666

La mia prova dell’esistenza di Dio, di Andrea Lonardo (da www.gliscritti.it )
Evidente prova dell’esistenza di Dio è l’antiCristo, è il maligno, è il male. La rabbia e l’odio contro Gesù, il giusto, il Figlio dl Padre, sono la prova che proprio egli è Dio, che il Padre lo ha mandato. Non si spiegherebbe tanto odio contro Gesù, contro la fede cristiana – ed anche non si spiegherebbe tanto odio nella storia contro il popolo ebraico – se non fosse perché il male percepisce che Dio lì è presente.
Il male attacca la vita, la odia, vuole la divisione tra Dio e la sua creatura, vuole la divisione degli uomini tra di loro: ma non può non attestare, anche se solo negativamente, che non vuole tutto ciò proprio perché lì è la verità e la bellezza.
Che il male ed il Maligno esistano è certo. Ed è molto più certo che esistano allora il bene e Dio. È evidente che esiste il “mistero” del male. E che la misericordia di Dio è ciò che si oppone al mysterium iniquitatis.
Questa prova nulla toglie alle prove dell’esistenza di Dio della tradizione tomista, così come a quelle che dall’esistenza morale giungono al postulato dell’esistenza di Dio e del suo giudizio.
Ma ad esse, anche questa, a contrario, si aggiunge. E attesta.

-il peccato originale dell’uomo

il diffidare di Dio: “Dio sa che quando ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e voi diventereste come Dio”

l’orgoglio

in Gv 2 virtù (la fede in Cristo e l’amore ai fratelli) e 2 peccati (l’anticristo che non crede che Dio è venuto nella carne e l’odio del fratello)

- il dogma conosciuto per esperienza (il peccato originale originato)

Rm 715Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto. 16Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la Legge è buona; 17quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. 18Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; 19infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. 20Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. 21Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. 22Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, 23ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. 24Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? 25Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mia ragione, servo la legge di Dio, con la mia carne invece la legge del peccato. 

Gaudium et Spes, 13: «Quel che ci viene manifestato dalla rivelazione divina concorda con la stessa esperienza. Infatti l'uomo, se guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e immerso in tante miserie, che non possono certo derivare dal Creatore, che è buono. Così l'uomo si trova diviso in se stesso. Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre»

Socrate aveva affermato che l’uomo fa il male solo perché non ne è consapevole. L’educazione filosofica consisteva precisamente, secondo la sua proposta, nel far prendere coscienza del male; egli era convinto che, attraverso questo processo, l’uomo avrebbe vinto da se stesso il male presente nel suo cuore.

«Più fallace di ogni altra cosa è il cuore dell’uomo e difficilmente guaribile; chi lo può conoscere?» afferma il profeta Geremia (Ger 17,9). Paolo non solo eredita dall’Antico Testamento questa comprensione della complessità del cuore umano, ma ben più profondamente si accorge, a partire dalla sua fede nel Cristo, del motivo di questo. Perché il cuore umano è tale? Perché è un guazzabuglio (come direbbe Manzoni)?

G. K. Chesterton, ha voluto rispondere all’irrisione che spesso veniva - e viene - gettata sul tema del peccato originale: «Certi nuovi teologi mettono in discussione il peccato originale, la sola parte della teologia cristiana che possa effettivamente essere dimostrata. Alcuni, nel loro fin troppo fastidioso spiritualismo, ammettono bensì che Dio è senza peccato - cosa di cui non potrebbero aver la prova nemmeno in sogno - ma, viceversa, negano il peccato dell’uomo che può esser visto per la strada. I più grandi santi, come i più grandi scettici, hanno sempre preso come punto di partenza dei loro ragionamenti la realtà del male. Se è vero (come è vero) che un uomo può provare una voluttà squisita a scorticare un gatto, un filosofo della religione non può trarne che una di queste deduzioni: o negare l’esistenza di Dio, ed è ciò che fanno gli atei; o negare qualsiasi presente unione fra Dio e l'uomo, ed è ciò che fanno tutti i cristiani. I nuovi teologi sembrano pensare che vi sia una terza più razionalistica soluzione: negare il gatto».
Ma, insieme, Chesterton subito affermava che la dottrina del peccato originale è «l’unica visione lieta» della vita umana, perché ci ricorda che «abbiamo abusato di un mondo buono, e non siamo semplicemente intrappolati in una realtà malvagia».

- la trasmissione “per mancanza di mediazione spirituale” del peccato originale (e l’unica mediazione di Cristo); peccato originale originante e originato

Rm 512Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato… 13Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, 14la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.
15Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti. 16E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. 17Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. 18Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. 19Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti. 20La Legge poi sopravvenne perché abbondasse la caduta; ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia. 21Di modo che, come regnò il peccato nella morte, così regni anche la grazia mediante la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.

Hans Urs von Balthasar (in Solo l’amore è credibile), afferma che all’apparire di Cristo l’uomo comprende finalmente cosa sia l’amore e, al contempo, prende coscienza di non aver mai amato di quell’amore

- la tentazione

cfr. C.S. Lewis, Le lettere di Berlicche

- distrazione

- chiesa come “nostro” alleato

- rinunciare ai doveri di stato - non pregare

Note al testo

[1] Cf CCC 512-ss.