Heidegger era riduzionista, mentre Edith Stein lo contestava con un’antropologia corretta: un breve dialogo sui due grandi filosofi con la prof.ssa Angela Ales Bello, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 29 /05 /2023 - 22:32 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Filosofia del novecento e, in particolare:

Il Centro culturale Gli scritti (29/5/2023)

Parliamo di Heidegger e della Stein (dopo l’incontro sulla Stein del ciclo Ascoltando i maestri, fatto insieme a lei), insieme alla prof.ssa Ales Bello.

Mi dice:

Sì, la visione antropologica di Heidegger è riduzionista e Edith Stein lo coglie benissimo nella sua appendice sul pensiero di Heidegger a Essere finito e Essere eterno (oggi in E. Stein, La ricerca della verità dalla fenomenologia alla filosofia cristiana (A. Ales Bello, a cura di), Roma, Città Nuova, 1993, pp. 153-230), dal titolo La filosofia esistenziale di Martin Heidegger, del 1936. Mai compare in Heidegger la parola “persona” o l’espressione “essere umano”.

Heidegger chiama invece l’uomo l’Esserci - il Dasein in tedesco -, per dire che egli è una realtà fra le tante del mondo. Certo è solo il Dasein, fra tutte le cose, che si interroga sulle cose. È solo lui che cerca di interpretarle.

Ma Heidegger vede l’uomo solo dall’esterno, in una fenomenologia che trascura di domandarsi come lavori l’intimo dell’uomo.

In questa maniera lo relativizza, lo vede solo come un essere fra le cose, che si occupa delle cose. Di peculiare l’Esserci ha, per Heidegger, che deve morire: è un essere-per-la-morte: ma nemmeno la sua mortalità lo porta a riflettere sul fatto che egli non vuole morire e per questo cerca l’eternità.

Interessante è che delle appendici del volume della Stein Essere finito e Essere eterno del 1936, l’una sia dedicata ad Heidegger – se ne è già parlato sopra - e l’altra a Teresa d’Avila. In questi due testi la Stein riflette su come una fenomenologia non riduzionista, ma invece piena della persona non possa trascurare il fatto che essa, in quanto umana, si interroghi sulla morte, nella speranza di vincerla, e manifesti una coscienza carica del desiderio dell’uomo di attingere l’infinito e, quindi, di interrogarsi almeno se Dio possa esistere. Questa dimensione è fenomenologicamente costitutiva dell’essere umano”.

La Ales Bello prosegue:

“Ma anche Husserl si accorse di come Heidegger si allontanava da una corretta fenomenologia. Certo non scrisse quasi niente del disaccordo crescente con Heidegger, suo discepolo, ma restano invece le testimonianze di ciò che disse a voce, quando si accorse che Heidegger nascondeva qualcosa di fondamentale dell’uomo. Ecco perché è corretta la lettura nihilista di Heidegger ed ecco perché egli è decisivo nell’ingresso del nihilismo nel pensiero contemporaneo, anche nel pensiero debole. Anche il pensiero debole è, in fondo, un pensiero riduzionista della persona umana”.

Esco dal dialogo con la Ales Bello confermato nella convinzione che il pensiero di Heidegger debba essere riconsiderato profondamente, evidenziandone i limiti – e con esso anche i limiti delle correnti filosofiche contemporanee che a lui si rifanno.

La grande questione non è semplicemente quella del perché Heidegger abbia condiviso il nazismo in maniera totale e, di fatto, non l’abbia mai rinnegato nemmeno dopo la guerra, con le sue terribili affermazioni anti-semite che si trovano nei suoi appunti privati, nei suoi Diari, ben oltre il 1945: su questo ormai il consenso va ampliandosi e ormai non c’è quasi più nessuno che non ammetta che egli fu un pensatore compromesso con l’hitlerismo.

Ma dire che egli fu politicamente nazista non è sufficiente, se poi se ne distacca il pensiero, quasi esso fosse indipendente. Eppure questo è la prospettiva di tanti: si accetta che egli sia stato nazista, ma si continua a non vedere il limite della sua prospettiva filosofica.

La questione è, invece, più complessa e più ampia: si deve porre la domanda del perché l’orizzonte filosofico di Heidegger non avesse gli anti-corpi per scoprire il carattere totalitario ed anti-umanistico del nazismo. Si deve porre fino in fondo la domanda del perché il nihilismo sia, in fondo, in “armonia” con il pensiero nazista, ben prima e ben oltre delle prese di posizioni politiche.

È evidente che è il nihilismo stesso di Heidegger ad essere problematico in una visione che non rende conto della dignità dell’essere umano.