“Un profugo a casa mia”. L’esperienza positiva di una famiglia romana e la difficile integrazione a causa della mancanza di lavoro. Un’intervista di Andrea Lonardo a Ernesto Miceli. 6/ L’accoglienza dei profughi nelle parrocchie romane

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 22 /10 /2017 - 23:02 pm | Permalink | Homepage
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Proseguiamo la raccolta di esperienza di accoglienza nelle parrocchie romane. Questa volta un laico racconta dell’accoglienza nella propria casa secondo il progetto diocesano Rifugiato a casa mia. Per approfondimenti, cfr. la sezione Immigrazione, accoglienza e integrazione. Vedi anche gli articoli

Il Centro culturale Gli scritti (22/10/2017)

Caro Ernesto, chi avete accolto nella vostra casa? Raccontaci qualcosa della sua storia di migrante?

Dal 4 Settembre 2016, vive con noi Alassane T. di 35 anni, nato a Dakar in Senegal, da dove è fuggito circa 6 anni fa con una nave che lo ha portato in Algeria. Da qui non sa (o non vuole dire) con quali mezzi è riuscito ad arrivare in Italia, a Roma. Qui ha studiato; è stato a Castelnuovo di Porto e poi a Capannelle; ha ottenuto il permesso di soggiorno quinquennale quale profugo ed è stato preso in carico dalla Caritas diocesana.

Come è maturata in famiglia la decisione di accogliere?

Nel Settembre 2015, Papa Francesco aveva chiesto ad ogni Parrocchia di accogliere un profugo: in seguito a questo appello, a Santa Melania abbiamo organizzato una serie di incontri rivolti alle Parrocchie della nostra Prefettura allo scopo di sensibilizzare le nostre Comunità. Al termine del ciclo, Maria Teresa, mia moglie, ed io abbiamo deciso di aderire all’invito del Papa e ci siamo messi in contatto con la Caritas diocesana, che, dopo una serie di incontri con cadenza mensile, ci ha preparati all’accoglienza di una persona nell’ambito del progetto “Un profugo a casa mia”.

Dopo un primo tentativo con un altro senegalese che non ha accettato la sistemazione a causa della distanza dell’Axa dal centro di Roma, finalmente è arrivato Alassane.

Come si struttura e con che impegni la vita in comune in casa?

All’inizio è stato semplice: tutti i giorni usciva alle 9 per andare al lavoro presso una sartoria e tornava alla sera a cena; i rapporti erano buoni anche se un po’ difficili per la notevole riservatezza e timidezza del ragazzo.

Però, ad aprile 2017 è stato licenziato e tuttora spera nell’eventuale rinnovo del contratto di tirocinio presso la stessa sartoria. Nell’attesa si è adattato ad accettare lavori saltuari e poco retribuiti; tuttavia, la maggior parte del tempo è in casa e la cosa si sta facendo meno gestibile, anche se cerca di rendersi utile.

La Caritas ci ha comunicato che, essendo trascorso più di un anno, Alassane dovrebbe rendersi autonomo nel momento in cui trovasse una occupazione soddisfacente. Tuttavia, ritiene anche che sia complicato rinnovare il contratto di tirocinio. Per ora, quindi, andiamo avanti così, anche se è evidente un certo disagio che cerchiamo di superare.

È stato possibile realizzare un coinvolgimento della comunità parrocchiale?

Non è facile trovare le vie, anche perché il ragazzo è musulmano non praticante e non ha mai manifestato l’intenzione di frequentare i nostri ambienti, ma si è instaurato un buon rapporto con i parenti e gli amici che frequentano la nostra casa.

Qual è la cosa più bella che vuoi raccontare di questa esperienza?

Non si è verificato nessun problema circa l’integrazione di Alassane nella nostra famiglia; anzi, è stato accolto con sorprendente serenità dai nostri figli e, soprattutto, dai nostri 7 nipoti che hanno un comportamento veramente affettuoso verso il ragazzo. E questo è il lato più positivo di tutta la storia; certamente non era scontato un atteggiamento così naturale. Lo stesso Alassane ha rivelato che apprezza molto tutto questo.

Quali sono le difficoltà che vi trovate ad affrontare?

Per una vera integrazione è indispensabile un lavoro dignitoso con una retribuzione che consenta l’affitto di una stanza anche in società con amici, mantenendo sempre la possibilità di mantenere rapporti con i tutor e con la nostra famiglia, perché una totale autonomia potrebbe comportare una messa ai margini e questo, nel caso specifico, sarebbe deleterio.

Nel complesso, possiamo dire che l’esperienza che stiamo facendo è senz’altro positiva. Certo, saremmo venuti volentieri agli itinerari di formazione proposti dall’Ufficio catechistico in estate, ma non potevamo lasciare Alassane da solo! Comunque, accettiamo volentieri le previste rinunce ad una certa libertà.