1/ Contro il vittimismo e chi lo incentiva. Chi promuove il vittimismo inter-culturale è complice della violenza e del mancato sviluppo. Chi incentiva il vittimismo è eurocentrico e colonialista, di Giovanni Amico 2/ Chi è oggi colonialista?, di Giovanni Amico

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 30 /12 /2017 - 18:35 pm | Permalink | Homepage
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1/ Contro il vittimismo e chi lo incentiva. Chi promuove il vittimismo inter-culturale è complice della violenza e del mancato sviluppo. Chi incentiva il vittimismo è eurocentrico e colonialista, di Giovanni Amico

Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza on-line non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Integrazione, intercultura nella sezione Carità, giustizia e annunzio.

Il Centro culturale Gli scritti (30/12/2017)

Diversi intellettuali provenienti da mondi extra-europei chiedono con sempre maggior insistenza ai loro connazionali di trarsi fuori dal vittimismo nel quale versano. Si pensi, ad esempio al filosofo franco-marocchino Abdennour Bidar[1], al libanese Samir Khalil Samir[2], all’algerino Kamel Daoud[3], all’islamologo Maurice Borrmans[4], all’imam francese di origini algerine Hochine Drouiche[5], ai vescovi della Nigeria e del Senegal[6].

Chiedono ai loro connazionali di cessare di attribuire indistintamente le colpe del mancato sviluppo del proprio paese, sia economico che culturale, all’occidente.

Lo chiedono non perché l’occidente non abbia colpe.

Lo chiedono, invece, perché i loro paesi di origini hanno colpe gravi come il mondo occidentale e se cambiasse l’occidente, ma non loro, a niente servirebbe, perché le proprie responsabilità sono sufficienti  a rendere impossibile un vero sviluppo.

Lo chiedono perché hanno compreso che lo sviluppo culturale dell’occidente dipende anche dalla capacità di autocritica che a loro manca e dal fatto che l’Europa è abituata non farsi mai un alibi dei torti subiti da altre culture e paesi o religioni, bensì sottopone a critica continua la propria cultura e la propria religione.

Lo chiedono soprattutto perché il vittimismo, con la sua logica del capro espiatorio proiettato sempre esternamente a sé, è proprio ciò che impedisce di chiarire a se stessi se si vuole realmente uno sviluppo culturale ed economico ed una maggiore libertà in campo religioso, rimboccandosi le maniche e cominciando a realizzarlo.

Tutti costoro hanno chiaro che una visione vittimista impedisce di guardare in casa propria: a loro avviso, con la scusa dell’occidente, nessuno si interroga più se il mancato sviluppo non dipenda anche da una mancata passione per la cultura, la scuola e l’istruzione e la loro libertà, nesuno si chiede se non dipenda anche da una mancata del mondo femminile in vista di una generazione di donne più libere e protagoniste, nessuno si chiede se non dipenda anche dalla mancanza di una maggiore libertà di analisi critica delle fonti religiose, che implichi la possibilità di un pubblico dissenso o anche dell’abbandono esplicito della fede originaria da parte di alcuni.

Gli intellettuali summenzionati – e tanti altri con loro - hanno compreso, inoltre, che ci sarebbe sufficiente ricchezza in casa propria, nonostante le ingiustizie altrui, se non ci fosse corruzione locale e se gli aiuti dell’occidente venissero effettivamente utilizzati a beneficio di tutti e non di singole caste o famiglie o tribù. Sanno bene che una diminuzione della pressione economica dell’occidente, se non compensata da una nuova mentalità lavorativa locale, scevra da corruzione e animata da una nuova etica del lavoro, non basterebbe allo sviluppo dei loro paesi, bensì rischierebbe di impoverirli ulteriormente.

Gli intellettuali occidentali, invece, sono così eurocentrici – proprio loro che criticano la cultura europea in quanto eurocentrica – che talvolta nemmeno si avvedono di tali posizioni che emergono nei pensatori più intelligenti dei paesi dell’Africa, del nord dell’Africa o del mondo medio-orientale.

Essi continuano a ripetere che l’occidente e il colonialismo occidentale sono stati e sono la causa del mancato sviluppo.

Per quel politicamente corretto così facilmente confondibile con un vero rispetto per le altre culture non si accorgono che sono gli stessi intellettuali più avveduti di quei paesi a denunciare per primi il razzismo e il tribalismo da sempre presente in Africa e mai scalfito nella mentalità musulmana.

Si noti bene – e ciò varrà anche per le osservazioni successive – che con ciò non si intende disprezzare l’Africa o i musulmani così come noi riteniamo che chi critica l’Europa e i cristiani per la schiavitù e le crociate non intenda disprezzarli, bensì molto più semplicemente compiere un lavoro di chiarificazione storica. Infatti, il lavoro degli storici in merito al colonialismo occidentale ha portato ad un mea culpa pubblico dell’occidente  laico e della Chiesa che sono grati ai suoi critici del loro lavoro. Le osservazioni in tal senso qui registrate vanno nella stessa direzione, quella di un lavoro storico volto non alla ricerca di un capro espiatorio, bensì di un’analisi più scientifica ed equilibrata che faccia rifuggire dall’idea stessa di capro espiatorio. Se non si assisterà ad un lavoro più equilibrato degli storici che mostri le pecche della storia islamica e africana almeno in tema di sviluppo, agli occhi della gente semplice sarà sempre troppo facile rifugiarsi nel vittimismo e dimenticare di essere stati anche carnefici e corresponsabili del mancato sviluppo.

Si pensi al colonialismo arabo-musulmano che, dal VII secolo in poi, ha diviso l’Africa dall’Europa, portando alla scomparsa delle culture tradizionali di tanti popoli – si pensi solo alla sottomissione araba dei berberi - e portando alla quasi totale scomparsa della presenza cristiana che invece avrebbe giovato ad un progresso più libero di quelle società.

Si pensi all’immensa tratta schiavista islamica prima araba e poi turca che dal VII secolo al XX ha flagellato l’Africa nera, precedendo e seguendo quella portoghese, spagnola e inglese.

Si pensi alle lotte tribali interne alle popolazioni africane, con imperi e regni che si sono asserviti a vicenda ben prima dell’arrivo degli occidentali.

Come è esistito ed esiste un colonialismo occidentale, così è esistito ed esiste un colonialismo islamico e arabo ed esiste ed è esistito un colonialismo intertribale.

Lo sfruttamento economico poi gli uni degli altri è certamente causato anche dell’occidente, ma è stato ed è allo stesso tempo presente in tutte queste culture.

Ma si pensi anche al colonialismo del blocco sovietico. Nazioni come l'Angola, il Mozambico, l'Etiopia, l'Eritrea hanno sofferto di un colonialismo di stampo comunista che ha soffocato lo sviluppo economico e la libertà culturale di quei paesi. Al tempo della Guerra fredda, Ovest ed Est colonizzavano a loro modo regioni diverse dell'Africa, cercando con armi, soldati e denaro di portarle dalla loro parte. L'Angola, ad esempio, giunse ad avere più di 23.000 soldati cubani "colonialisti" stanziati sul proprio territorio. Tuttora l'Eritrea, una delle più terribili dittature africane dalla quale provengono moltissimi dei migranti e dei profughi, conserva il carattere militarista del comunismo che lo tiranneggiò: i giovani, costretti ancora oggi a tempo indeterminato alla leva militare e oppressi anche quanto a libertà religiosa da uno stato ateistico, cercano di fuggire in Europa per trovare libertà da quel colonialismo di stampo materialista.  

Oggi, poi il colonialismo prende nuovi nomi e nuovi volti, poiché sono la Cina, l’India e i paesi arabi del golfo ad essere entrati a pieno titolo nel club del Nord del  mondo e il loro potere è certamente oggi immensamente più grande di quello del sud dell’Europa (Grecia, Italia e Spagna).

Inoltre l’enorme corruzione dei governi africani e medio-orientali è una delle cause determinanti della povertà di ampie fasce di popolazione in quelle nazioni: il divario fra ricchi e poveri è molto più alto nei paesi del Golfo o dell’Africa, ma anche in Cina e India, rispetto all’Europa, ed è molto più alto del divario economico fra quei paesi e l’Europa stessa[7].

Tutto il discorso costruito in passato intorno ai concetti di Nord e Sud del mondo è in corso di rapida revisione, poiché al nord del mondo appartengono ormai paesi nuovi, dal Brasile, alla Cina, all’India, ai paesi arabo-musulmani, mentre ne stanno uscendo diverse nazioni occidentali, fra le quali l’Italia[8]. Se il migrante ritiene ancora che un viaggio in Italia possa essere per lui motivo di promozione sociale, non così lo consiglierebbe un esperto di politiche lavorative che lo inviterebbe, invece, a recarsi in Arabia Saudita, in Iran  o in Kuwait.

Gli intellettuali summenzionati non intendono minimamente relativizzare le responsabilità colonialiste europee - e noi con loro - , ma intendono al contempo mettere in rilievo il colonialismo tipico dei paesi nord-africani e islamici.

Intendono soprattutto insistere sul fatto che non si può attribuire solo a cause esterne il mancato sviluppo culturale, bensì ci si deve domandare se non sia la propria religione o la propria cultura (o almeno il modo di intenderle in determinate epoche) ad essere al contempo – e forse più ancora che il colonialismo occidentale – causa dei debolissimi investimenti in chiave educativa, nei confronti delle nuove generazioni  e delle donne in particolare.

Affermano questo non per essere meno critici verso l’occidente, bensì perché ritengono che solo una critica ai propri paesi e alla loro politica culturale, come alla visione dei propri capi religiosi, permetterà uno sviluppo reale.

Papa Francesco, proseguendo la linea di richiesta di perdono già fatta propria dal Concilio e da Giovanni Paolo II, continua a ripete con sapienza ai cristiani e all’occidente che, nonostante le innumerevoli storie di santità e di carità, ci sono stati torti perpetrati da occidentali e anche da cristiani e questo suo atteggiamento non deve essere interpretato come un disprezzo della fede di cui lui stesso è il padre e il custode: ebbene i paesi islamici, i paesi del nord Africa e dell’Africa intera hanno bisogno di simili leader religiosi che sappiano mostrare le pecche della propria storia, non per un disprezzo verso di essa, bensì in vista di quella conversione che sola permette lo sviluppo.

Il vittimismo, poi, oltre ad essere falso e improduttivo, ha oggi una conseguenza devastante che deve essere tenuta presente da chi scrive di tali questioni. Il vittimismo ingenera desideri di ribellione e, a volte, di vendetta e invita a farsi “giustizia” da soli, facendo sì che il violento si senta nel giusto, anzi si senta il “solo” giusto, proprio perché ribelle violento contro i “malvagi”.

In un tempo di fondamentalismi, anzi, il vittimismo è l’arma psicologica più utilizzata dai violenti per reclutare giovani. Proprio facendo forza su reali e presunti torti subiti si invitano i giovani alla violenza contro chiunque, anche contro la popolazione civile, convincendoli della necessità di gesti estremi come l’unica via possibile per eliminare gli “altri”, personificazione del male, cioè coloro che hanno sempre attentato a “noi”, figli del bene.

Invece, la riflessione culturale occidentale - e la sua traduzione a livello educativo nella scuola - insegna sempre più alle nuove generazioni a riconoscere le proprie colpe, le colpe del proprio paese, le responsabilità della propria religione. Proprio questa via porta ad una visione diversa dell’“altro”. La via del vittimismo, invece ingenera risultati opposti nelle culture “altre”, anch’esse bisognose di riconoscere le proprie violenze storiche e le proprie colpe nel mancato sviluppo, mentre certamente non mancano di additare quelle degli altri, come il colonialismo e lo schiavismo occidentali.

Non si dimentichi mai, per comprendere l’importanza di uscire dalla logica indolente e violenta del vittimismo, che esistono atteggiamenti differenti in persone diverse che pure appartengono agli stessi paesi. Gli stessi intellettuali sopra citati lottano per un’evoluzione non violenta e per sostenere politiche culturali di maggiore apertura e di accesso a studi per giovani e donne. Lottano per una libertà di studio e perché le popolazioni si liberino da stili vessatori e tribali, come da imposizioni religiose. Sono espressioni di quelle culture, ma non vittimisti.

Anche la presenza dei cristiani indigeni di quei paesi - si pensi ai cristiani palestinesi o arabi - mostra che, pur nell’identica condizione di sudditanza, ben diversi possono essere gli esiti se si esce dal vittimismo: chi è di cultura cristiana spinge sempre a rifiutare qualsiasi tipo di soluzione violenta e ad accrescere il grado di istruzione laica, facendo sì che più uno diviene radicalmente cristiano più scelga atteggiamenti politici realistici, capaci di dialogo, rifiutando ogni assenso, anche solo implicito, a qualsiasi esito che tenda alla violenza. La presenza cristiana araba ed africana pone la questione del radicalismo religioso e del suo influsso positivo o negativo negli atteggiamenti di vittimismo: infatti, nel caso del cristianesimo, più uno si converte radicalmente a Gesù, più esige giustizia, ma con i mezzi della politica e del dialogo, desideroso di una maggiore istruzione libera dei suoi figli, sempre pronto personalmente al perdono.

Tale esito è un ulteriore rifiuto del vittimismo ed una scoperta del ruolo attivo della religione vissuta in modo radicale che inviti ad assumersi le proprie responsabilità nel campo della cultura e della pace, mentre si denunciano i torti altrui.

Fondamentale è che il vittimismo sia bandito in ogni vero modello educativo. Se una seria ricerca storica deve portare ad ammettere le responsabilità altrui nel mancato sviluppo, essa deve al contempo aiutare a comprendere le proprie colpe in tale ritardo: solo questa duplice ed equilibrata visione garantisce una visione culturale e religiosa che rifugga dalla violenza e anzi la combatta all’origine.

Il ripetere il mantra del vittimismo e del capro espiatorio è, invece, il modo migliore per soffiare sul fuoco: qualunque intellettuale dipinga il mondo in tinte di bianco contro nero si rende oggi corresponsabile del dilagare della violenza e, soprattutto, non aiuta i popoli che dichiara di amare a crescere e a maturare. Solo da una scelta profonda e consapevole di voler porre in atto uno sviluppo culturale ed economico può nascere un reale progresso.

È sempre più facile individuare un nemico esterno a sé che lavorare sul proprio cuore e sulla propria religione e cultura.

N.B.

Anche la storia marxista ha conosciuto l’utilizzo del vittimismo in chiave rivoluzionaria. Un esempio: i terroristi marxisti di Sendero Luminoso in Perù assassinarono il prete missionario don Alessandro Dordi, poiché egli aiutava i campesinos ha studiare, a lavorare la terra più proficuamente, a creare reti di aiuto e di solidarietà, ad accrescere la propria ricchezza con i propri mezzi, oltre che annunziare loro la fede. Per Sendero Luminoso questo lavoro di sviluppo del popolo era “pericoloso” perché allontanava i contadini dalla rabbia che li avrebbe spinti alla rivolta. Per loro era meglio mantenere la popolazione nella fame, purché crescesse la rabbia: chi lavorava concretamente allo sviluppo andava eliminato.  

2/ Chi è oggi colonialista?, di Giovanni Amico

Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza on-line non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Integrazione, intercultura nella sezione Carità, giustizia e annunzio.

Il Centro culturale Gli scritti (30/12/2017)

Non è mai tempo perso provare a precisare chi sia il “colonialista” che viene accusato di aver rovinato e di rovinare tuttora culture e paesi, decretando la fine delle tradizione locali ed impedendo uno sviluppo conforme alla storia locale.

Nel passato, infatti, spesso sono stati i missionari cristiani a preservare dal “colonialismo”, a fare di tutto per conservare i costumi positivi ed i valori delle culture tradizionali, portandovi certo il cristianesimo, ma in modo che esso salvasse tutto ciò che c’era di buono nelle tradizioni linguistiche e familiari, nel rapporto fra anziani e giovani, nell’afflato umano e religioso. Essi si sono spessissimo opposti a gruppi laici, interessati solamente al guadagno economico, che invece intendevano sfruttare senza ritegno le popolazioni locali. I missionari si sono sempre distinti poi, nel secolo scorso, per il contributo  che hanno dato alla conquista dell’indipendenza delle diverse nazioni, lavorando alla fuoriuscita dal colonialismo.

Oggi poi il colonialismo è non solo quello islamico che tende a livellare le culture locali, come, ad esempio, quella berbera, a partire dai precetti coranici, ma ancor più quello dei media e quello delle visioni libertarie in campo affettivo e familiare che destabilizza le tradizioni tipiche di paesi e tribù.

Si peni all’effetto devastante della TV e degli smartphone che impongono modelli culturali alieni agli antichi rapporti di fedeltà e di onore presenti in tante popolazioni. Ma si pensi anche alle politiche sulla sessualità imposte da altissimi organismi internazionali che offrono aiuti umanitari solo a condizione che le popolazioni locali accettino di lavorare sui temi del gender o sulla contraccezione, venendo meno a tradizioni secolari in materia.

Il lato colonialista dell’occidente spesso deve essere identificato spesso con tutte quelle agenzie laiche che vorrebbero che tutti aderissero ai must della cultura digitale e libertaria, rinnegando tradizioni millenarie basate sui legami familiari.

Molta della povertà in cui versano bambini e giovani soli nelle periferie di tante città africane deriva anche dalla dissoluzione di quel patrimonio umano che un tempo sorreggeva le persone anche in condizioni di estrema povertà, prima dell’incontro con altri mondi (si pensi alla situazione economica nel cuore dell’Africa nera prima della sua scoperta da parte del resto del mondo nella seconda metà dell’ottocento).

Note al testo

[1] Cfr. Lettera aperta al mondo musulmano, di Abdennour Bidar.

[2] Cfr. P. Samir: C'è una guerra interna all'islam e i politici occidentali non difendono la cultura europea, di Samir Khalil Samir e La questione del Testo Sacro e della sua esegesi nella storia dell’Islam, di Samir Khalil Samir.

[3] Cfr. 1/ Kamel Daoud. L’intellettuale algerino: «Impossibile scrivere di Islam, mi ritiro», di Stefano Montefiori 2/ Parla di «porno-islamismo», viene messo alla gogna. Ma in Francia non erano tutti Charlie?, di Leone Grotti 3/ «Ho scritto non solo perché volevo avere successo, ma anche perché avevo il terrore di vivere una vita senza senso. Ho scritto spesso, troppo, con furore, collera e divertimento. Ho detto quello che pensavo sulla sorte delle donne nel nostro Paese, sulla libertà, sulla religione e su altre grandi questioni che possono condurci alla consapevolezza o all’abdicazione e all’integralismo». La lettera di Kamel Daoud e Se sei nero in Algeria, di Kamel Daoud.

[4] Cfr. Quale evoluzione possiamo oggi aspettarci dal mondo islamico?, di Maurice Borrmans.

[5] Cfr. Il vicepresidente degli imam di Francia si dimette: "Ormai è difficile distinguere l'islam dall'islamismo": la dichiarazione di Hocine Drouiche, imam di Nîmes e vicepresidente degli imam di Francia e La maggioranza degli imam di Francia (e Belgio) vietano gli auguri a Natale e Capodanno, di Hocine Drouiche. È quanto denuncia l’imam di Nimes, Hocine Drouiche, vice-presidente della Conferenza degli imam di Francia. Egli condanna quanti rivendicano che l’islam è una religione di pace e poi considerano gli auguri “un insulto”. L’importanza della presenza di “musulmani aperti” che “ti accolgono con un sorriso e ti augurano felice anno nuovo”.

[6] Cfr. Alla partenza. I vescovi africani agli emigranti: restate e create ricchezza, di Anna Bono.

[7] Cfr. i dati che emergono trasversalmente nelle nuove ricerche: Povertà. Più disuguaglianza in Italia. Il sorpasso dei super-ricchi. [Cambia il Nord e il sud del mondo: nell’ordine le zone nelle quali c’è una maggior concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi a discapito della maggioranza sono il Medio Oriente, poi a pari disuguaglianza l’India e il Brasile, poi l’Africa subsahariana, poi gli USA e il Canada, poi la Russia, poi la Cina: rispetto a tutte queste zone in Europa la ricchezza è meglio distribuita, pur essendo anche qui profondamente ineguale], di Nicola Pini.

[8] Cfr. su questo Est-Ovest, Nord-Sud o altrimenti? Nell’economia moderna la divisione fra ricchi e poveri passa ormai dentro ogni città, a Nuova Delhi come a Parigi, a Nairobi come a New York, alla Mecca come a Roma, a Pechino come al Cairo, di Giovanni Amico e Che fare ora che le masse musulmane scoprono che molte nazioni islamiche appartengono al Nord del mondo, all’élite ricca e benestante del pianeta, e l’alibi del “povero arabo oppresso dall’occidente” si rivela senza fondamento? Breve nota di Giovanni Amico.