Bologna: appunti sconclusionati, di Andrea Lonardo (I parte) 1/ L’Archiginnasio e il gabinetto anatomico 2/ Il Compianto su Cristo morto di Niccolò dell’Arca, in Santa Maria della Vita

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 26 /03 /2017 - 22:20 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito alcuni appunti di Andrea Lonardo. Per apptofondimenti, cfr. la sezione I luoghi della Bibbia e della storia della Chiesa.

Il Centro culturale Gli scritti (26/3/2017)

N.B. Gli appunti che seguono, come dice il titolo, intendono essere solo una memoria di visite molto parziali, a partire da luoghi determinati che per motivi parziali, a macchia di leopardo, ho potuto intravedere.

1/ L’Archiginnasio e il gabinetto anatomico

Memoria di san Carlo Borromeo, alla base dello scalone dei Legisti. San Carlo, protagonista dell controriforma e cardinale legato di Bologna, promosse l'Archiginnasio. L'affresco (1610-1612) è di Giovanni Luigi Valesio, e rappresenta quattro figure femminili indentificabili con Fede, Speranza, Carità e Temperanza. Gli stemmi che incorniciano il tutto sono quelli dei consiglieri dei Legisti negli anni 1610 e 1611.
Memoria per il medico Venceslao Lazzari, a sinistra alla base dello scalone degli Artisti, dipinta nel 1601 da Lionello Spada.

L’Archiginnasio è uno dei luoghi che riconcilia con la controriforma cattolica e ne mostra l’interesse e l’apertura culturale.

Il Concilio di Trento terminò nel 1563 (era iniziato nel 1545 ed aveva visto anche due sessioni a Bologna nel 1547 e 1549). I lavori vennero chiusi da papa Pio IV.

La costruzione dell’Archiginnasio, pensato per accrescere la formazione universitaria in Bologna nello spirito del Concilio tridentino ed unificare i diversi insegnamenti che erano ancora frammentati nei diversi studi dei diversi maestri, avvenne negli stessi anni, fra il 1562 e il 1563 - negli stessi anni venne realizzata la piazza e la fontana del Nettuno (1564), l’Ospedale della Morte (1565) - oggi Museo Civico - e il Palazzo dei Banchi (1565-1568).

Il nome di Pio IV figura sugli stipiti della maggior parte delle porte del II piano dell’Archiginnasio, il piano del Teatro  anatomico: proprio per accedere al Teatro si varca una soglia con l’iscrizione pontificia. Le altre portano i nomi del cardinale Carlo Borromeo, Legato pontificio di Bologna (il futuro san Carlo Borromeo, il grande santo dell’età tridentina) e del vice-legato Pier Donato Cesi.

Il cardinal Borromeo è ricordato in maniera più solenne nella scala che porta al piano superiore, dove, nell’affresco che lo ritrae, sono raffigurate quattro virtù (la Fede, la Carità, la Speranza e la Temperanza).

Molto interessante - a fornire uno sguardo molto diverso della controriforma rispetto a quello ideologico fornito dai libri di storia - è il continuo accostamento di segni che indicano il rispetto per la ricerca scientifica e universitaria e di segni religiosi: stanno gli uni a fianco degli altri in perfetta sintonia

Dappertutto si vedono gli stemmi e le memorie dei docenti universitari. Il Teatro anatomico è successivo (1637), ma è espressione di quel mondo (siamo in età barocca). In esso si vede al centro del soffitto Apollo, dio della Medicina (il soffitto è barocco, degli anni 1647-1649), con intorno le 12 costellazioni, segno dell’ordinato svolgersi del tempo.

La cattedra è del 1733-1746 quando gran parte del teatro venne rifatto. I due “spellati” che le fanno corona, opera di Ercole Lelli (le cui opere si ritrovano poi a Palazzo Poggi), dicono anch’esse la stima per la ricerca medica. Reggono l’anatomia che riceve in omaggio da un putto un femore. Alle pareti stanno 12 statue di medici famosi (anch’esse degli anni 1733-1746), ad indicare tutta la stima e la necessità della ricerca scientifica.

Ai due lati estremi del corridoio del piano superiore stavano le Aule dei Legisti (oggi Aula magna dello Stabat Mater) e l’Aula Magna degli Artisti (dei medici), oggi Sala di Lettura.

Ma, insieme a tutti questi simboli che esprimono la piena consapevolezza dell’importanza della scienza, stanno i simboli religiosi. Se si leva il capo, nel lungo ingresso che permette di accedere all’Archiginnasio, si vedono in alto la Madonna con il Bambino.

Entrati nel cortile proprio nel lato più importante, di fronte all’ingresso, sta la Cappella della Madonna dei Bulgari (dal nome di uno dei famosi giuristi che insegnò a Bologna, Bulgaro, nel XII secolo) che conserva come pala d’altare l’Annunciazione di Denis Calvaert.

La Cappella universitaria di Santa Maria dei Bulgari è esattamente sotto il Teatro anatomico, ad indicare architettonicamente la serena relazione fra la vita di fede e quella della ricerca intellettuale.

La chiesa dell'Archiginnasio, Santa Maria dei Bulgari, 
esattamente al di sotto del Teatro anatomico

Sulla torre dell’Archiginnasio sta la croce, mentre una Madonna con Bambino è sulla parete di fondo della Sala detta oggi dello Stabat Mater perché vi venne eseguito per la prima volta lo Stabat Mater di Rossini sotto la direzione di Gaetano Donizetti.

Nel corridoio che conduce alla Sala si vede una Madonna del tempo di papa Clemente X (precisamente del 1672) a ricordare la presenza costante di studenti croati e ungheresi nel periodo difficile dell’invasione turca dell’Europa.

Molte delle memorie sono di ecclesiastici che, insieme ai laici, conducevano studi e ricerche e tenevano docenze, come il canonico Pietro Francesco Poggi del seicento, ma anche di papi, come la memoria di Gregorio XIII che dopo Trento fece aggiornare il calendario che da lui prese il nome di calendario gregoriano, quello attualmente in uso.

Furono i rivoluzionari francesi, giunti a Bologna, ad allontanare tutto il corpo docente e discente dall’antica sede dell’Archiginnasio, motivo per il quale essa divenne ad un certo punto dell’ottocento un edificio delle Scuole Pie, per tornare poi a rappresentare in età successiva l’Università.

2/ Il Compianto su Cristo morto di Niccolò dell’Arca, in Santa Maria della Vita

Niccolò viene detto dell’Arca per aver scolpito l’arca marmorea (1469-1473) che custodisce il corpo di San Domenico nell’omonima chiesa in Bologna. Nel 1478 scolpisce la Madonna di Piazza.

L’opera di Santa Maria in vita è dunque anteriore, 1463.

Niccolò venne sepolto nella chiesa dei Celestini nei pressi di San Petronio.

Di molto successivo sarà il Compianto di Alfonso Lombardi, in Cattedrale, 1522, dove le figure sono più legate fra di loro (si pensi alle due Marie che sostengono la Madonna che sviene).

Niccolò ha firmato la sua opera sul cuscino sul quale è il capo di Gesù morto, dal lato opposto al lato dei visitatori.

L’opera era chiaramente dipinta, come appare evidente dalle tracce di colore superstite.

Il Compianto raffigura da sinistra Giuseppe d’Arimatea, che ha ancora le tenaglie con le quali ha tolto i chiodi per far discendere Gesù morto dalla croce. Manca invece Nicodemo che è tradizionalmente raffigurato in questo tipo di composizioni. Fu Giuseppe a chiedere il corpo di Gesù e a mettere a disposizione il sepolcro.

Segue Maria detta di Salome, ritenuta la madre di Giacomo e Giovanni e, quindi, moglie di Zebedeo.

Viene poi la Madonna. Segue Giovanni evangelista, rappresentato sempre come un giovane. Giovanni e Maria sono vicini perché Gesù li ha affidati l’uno all’altra.

Segue Maria di Cleofa, ritenuta dalla tradizione parente di Maria e madre di Giacomo il Minore.

Viene poi la statua più famosa, quella della Maddalena.  

All’arrivo delle truppe rivoluzionarie francesi, nel 1798 (quindi ben prima di Napoleone, siamo ai tempi del Direttorio, a Terrore già concluso) tutto viene confiscato. Le comunità religiose e le confraternite che si prendevano cura dei malati vengono disgregate e tutti i beni vengono loro sottratti. Nasce allora il Grande Ospedale della Vita e della Morte nel 1810, ormai solamente statale, tramite l’unione forzata dei complessi di Santa Maria della morte, della Trinità, di San Francesco, di San Biagio, dei Fatebenefratelli. Prenderà successivamente il nome di Ospedale Maggiore nel 1814.

Sulle soppressioni e le confische di edifici - anche la Pinacoteca di Bologna è sita in una chiesa confiscata ai gesuiti con annessa casa e la maggior parte delle opere ivi custodite risalgono tutte al medesimo periodo di confisca sotto il dominio dei rivoluzionari francesi e poi durante il successivo periodo napoleonico - cfr.

- Introduzione alla Pinacoteca di Brera di Milano. «La Pinacoteca di Brera si distingue dalle raccolte di Firenze, di Roma, di Napoli, di Torino, di Modena, di Parma, per le vicende della sua formazione che non ha radici nel collezionismo aristocratico, principesco o di corte, ma nel collezionismo politico, di Stato, che è invenzione napoleonica. Ai dipinti tolti da chiese e conventi della Lombardia, se ne aggiunsero altre centinaia confiscati dai vari dipartimenti, numerosissimi quelli dal Veneto», di Luisa Arrigoni

- Le Gallerie dell’Accademia di Venezia. Guida per la visita, prima parte, di Andrea Lonardo 1/ La vera storia delle Gallerie dell’Accademia di Venezia: per capire la storia d’Italia all’arrivo dei rivoluzionari francesi 2/ I dipinti superstiti della chiesa di Santa Maria della Carità e i teleri depredati alla Sala dell’albergo della Scuola grande di San Marco, presenti nella sala 23 3/ I teleri di Vittore Carpaccio con le storie di Sant’Orsola e delle undicimila vergini depredati alla Scuola di Sant’Orsola 4/ Storia della chiesa di Santa Maria della carità (oggi sala delle Gallerie dell’Accademia di Venezia)

- La vera storia delle Gallerie dell'Accademia di Venezia per capire la vera storia d'Italia all'arrivo dei rivoluzionari francesi (II parte), di Andrea Lonardo 5/ I teleri con le Storie delle reliquie della Croce depredati alla Scuola di San Giovanni Evangelista 6/ I teleri di Jacopo Robusti detto Jacopo Tintoretto depredati alla Scuola Grande di San Marco 7/ L’istituzione laica delle Scuole di Venezia 8/ Un elenco delle opere depredate alle chiese di Venezia all’arrivo dei rivoluzionari francesi

Nel Museo si visitano i vasi della Farmacia appartenente all’Ospedale che era annesso alla chiesa e  all’Oratorio di Santa Maria in Vita.

In una vicina casa in affitto, di proprietà della Confraternita dei Battuti che serviva l’Ospedale, abitò a lungo Guido Reni che amava pregare nella chiesa di Santa Maria in Vita. Reni venne ricoverato tre volte nell’ospedale e tre volte guarito.

Alcuni vorrebbero che Reni avesse in mente il Compianto nella realizzazione della Strage degli innocenti, oggi nella Pinacoteca di Bologna, così come Picasso in Guernica avrebbe tratto ispirazione dall’opera (così la Guida ufficiale di Genus Bononiae che gestisce oggi il complesso).

Nell’Oratorio della Confraternita dei Battuti che gestiva la chiesa e l’ospedale splendida pala d’altare del Nosadella  con la Madonna, il Bambino e il beato Raniero fondatore della Confraternita in età medioevale e santi.

Sul lato opposto, il Transito della vergine di Alfonso Lombardi (lo stesso del Compianto in Cattedrale). La spiegazione ufficiale su pannello si sofferma stupidamente sulla questione dell’ebreo disteso in primo piano, quasi che l’opera avesse un tenore antisemita. La raffigurazione, derivata dai vangeli apocrifi e da successive leggende (riprese poi da Jacopo da Varagine), vuole invece sottolineare la realtà dell’Assunzione in corpo e anima di Maria (e, quindi, la salvezza dei malati che vengono curati dalla Confraternita nell’ospedale). Nei testi sopra nominati si vuole che al momento del transito di Maria (la dormitio Virginis) il sommo sacerdote o chi per lui volesse bruciare il corpo di Maria perché aveva dato vita a Gesù. Avvicinatosi a lettuccio avrebbe avuto o le sue mani attaccate al lettuccio senza potersene più separare o tagliate da un angelo. Convertitosi alla fede cristiana per il prodigio, avrebbe visto allora un secondo prodigio, il riprender vita delle mani (o il loro riattaccamento alle braccia).

La “citazione iconografica” dell’ebreo dagli apocrifi serve solo, allora, a confermare la verità dell’Assunzione in corpo e anima di Maria: il suo corpo non può essere profanato o bruciato, perché sale al cielo insieme all’anima immediatamente dopo la morte.

Il particolare iconografico veramente interessante che l’opera mette in evidenza è invece quello degli apostoli che scrutano nei libri antichi, nei libri dell’Antico Testamento, e si accorgono che ciò a cui stanno per assistere, l’Assunzione, è da un lato promesso, ma d’altro canto supera le promesse stesse fatte dai profeti: non vi è nei libri veterotestamentari niente di così grande di fronte a ciò di cui essi sono partecipi dopo la venuta di Cristo. La Parola piena di Dio non è nei libri, ma negli eventi dell’incarnazione, della morte e della resurrezione (con la connessa Assunzione di Maria)  

Per un commento in versi al Compianto di Niccolò dell’Arca, cfr. Davide Rondoni, Compianto, vita, Marietti, Genova-Milano, 2004.

Qui l’inizio del testo:

Ho fermato il mio camminare -

E si è fermata la città.

Mi si è fermata addosso. La sua
luce si è fermata.

E sono restato là,
come uno può restare

vedete, là
davanti al buio di quel porticato
in quel nero dove passano coppie, piccoli
gruppi di persone, o uomini solitari se ne vanno
e vengono, e in quell’andamento, in quello
svanimento sembrano le ombre
del cinema.

Forse sono sogni…
e nel buio dei portici chissà dove stanno andando
si perdono le voci, si spengono
le risa, e i nomi
i nomi che qualcuno sta chiamando…

Giovanni! Maddalena! Maria!

Prima Bologna mi girava intorno,
camminavo, andavo
e lei mi guardava
dai suoi palazzi, dalle vetrate
donne che traversano
le luci dei negozi, guardie giurate
e autisti fermi sulle strade,
bambini che scompaiono come gli anni
nei portoni, i corpi tristi
disegnati a matita
sui grandi autobus smarriti nel traffico
come elefanti nel circo
e certe impossibili signore, il ragazzo
che barcolla nella luce
quella luce livida, di orrore - -

Bologna come girava!

io andavo, tu andavi, poi si resta
a volte a guardare cosa va via nel buio dei portici…
Ecco, i cortei, quelli di protesta, ma anche quelli
di festa,  avanzano, quelli per Carlo V
imperatore, quelli per l’amore,
apre le finestre su quella nuova la città antica
c’è l’erba buona e anche il loglio mai vinto,
i soldati morti di fatica
i mercanti che hanno il corpo
e anche la testa come nel ‘400,
passano i Bentivoglio,
a loro si mescola una folla di questuanti
e ai loro levrieri rosa e color cenere
altri si affoltano
nuovi randagi, conciati, neri
e i cavalli, sì,
vanno vengono i cavalli, gli scooter, le grida
i drappelli di studenti,
le loro occhiaie di bragia
il dolce strazio
i capelli colorati e quelle risate mio Dio,
le birre in mano, tutto il tempo
che si confonde,
il tempo e anche lo spazio,
quelli accucciati
in via san Vitale come a Rabat


camminavo! andavo! E giravano le strade
la città, il cielo,
il cielo come una bandiera
batteva sui tetti, dietro le torri,
gli spioventi,
filavo, andavo
la città mi viaggiava intorno
mi viaggiava dentro.

E ora mi si è fermata,
fermata addosso.

Vedete?
Questa è l’ora che tutto si volge al desìo,
l’ora che le donne alle finestre
si voltano verso il sole, caduto,
l’ora che fa Bologna perfetta
in questa luce di fine giorno
che rende nuovissima
intatta la linea dei colli intorno
e la successione dei tetti,
e viene a tutti il desìo di cosa,
di cosa di non morire ? o di una carezza
soltanto ? di fare canestro nel cestino
uscendo dallo studio
di camminare vicino a quei fianchi
che stanno ondeggiando
tra la folla sotto i portici
e sotto i portici svanendo
o forse di fermarsi nel bar
in una piazza, di bere qualcosa
guardandosi finalmente nella rosa
del volto, via dagli schermi degli uffici,
togliersi la giacca
facendo un arco, un lampo
di camicia bianca,

l’ora che la bellezza di Bologna
appena dopo essersi sentita stanca
si fa quasi insopportabile
e il desìo, il desiderio, la stessa
parola più dolce e appuntita,
non sa come fare a stare così
senza misura, senza obiettivo,
e nella luce bionda mietuta
avvampa come una febbre chiara
di voler piacere e una specie di dolore,
la mano porta alle labbra l’aperitivo
e c’è una spina
nel cuore che come può si consola,
quando su Bologna divampa una luce d’oro
poi declina e lei apre piano i suoi occhi viola…


II

Ho fermato il mio camminare.

Davanti qui
a Santa Maria della Vita –
lo strano nome da dire e ridire…

Che posto è  la Vita
con il portico detto della Morte
sul lato opposto…

Perché nominarla così…
per cosa dire…

Come a non poterne più
di chiamarla soltanto
Madonna. O soltanto  
Maria del Rosario, o del santo
Carmelo. O inseguirla Maria
dell’acqua, del fuoco,
dell’olmo, sì, ma anche del faggio,
Maria degli indios ma anche
degli spagnoli, del mare
ma anche dei pescatori,
e dei bagnanti
ma anche dei bagnini,
dei giudici ma anche dei ladri,
dei santi ma anche dei peccatori,
dei nobili e dei vili, della fortuna
ma anche Maria del Soccorso,
non sapere più come chiamarla, dopo
che l’hanno detta, lei, semprechiamata,
Maria della Rosa
o dell’anno trascorso
del cardellino, della torre
o di ogni dolore, e di ogni sorpresa

lei che tutti i nomi li fissa, li fa fiorire
e poi se ne va
eterna ragazza di Dio,

e allora qui l’han chiamata, per il vicino
ospedale, per l’essere così vicina al male,
non potendone più
e vedendo che in ogni nome lei
sembrava andare via,

splendida ragazza dell’eterno restava
ma anche sfuggiva,
Maria del roseto ma anche del monte,
della quercia ma, via, anche là, della fonte,

per farla restare, non andare, Maria,
vedi come si può soffrire, lo sai tu
non andare via, l’han chiamata con il nome
minimo e supremo

stringendo il pugno nel letto
con il nome che andava via dalle loro labbra bianche
e dai petti rapiti nell’ombra

l’hanno chiamata
con il nome semplice che solo a ripeterlo
mette i brividi e il magone

con il nome di tutto quel che si ha e che si perde:

Maria della vita, della vita…della vita…vita…
Maria della vita mia.

Non c’è nessuno qui, stasera.
Viene una notte elettrica, nera,
un viola quasi verde.

Sono entrato solo.